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Non tutti siamo uguali ... di fronte alla TBC

Il ritorno della tubercolosi nei paesi occidentali rappresenta un amaro risveglio dal convincimento comune a molti che questa fosse una malattia del passato. L'aumento del commercio dovuto alla globalizzazione, gli elevati e poco controllati flussi migratori da paesi in cui la tbc è diffusa e non ultimo la comparsa di ceppi batterici ultra-resistenti agli antibiotici, sono tutti elementi che contribuiscono alla insorgenza di un rinnovato problema sanitario.
Mycobacterium tubercolosis
Interessante quindi è la ricerca condotta congiuntamente fra gruppi di ricerca di Harvard e della Washington University in USA, del Kings College di Londra e di una unità della università di Oxford con sede in Vietnam. Il messaggio centrale del lavoro pubblicato sulla rivista Cell, è che la capacità di un organismo di affrontare il batterio è in larga parte determinata geneticamente. 
Di particolare importanza è la sequenza del gene LTA4H, gene che codifica per una proteina coinvolta nella produzione dei leucotrieni, molecole di natura lipidica, il cui ruolo è importante nel bilanciare le attività pro- e anti-infiammatorie. L'infiammazione è un meccanismo di difesa primario, veloce ma non specifico. Se assente l'organismo non ha il tempo di montare una risposta specifica (mediante gli anticorpi e cellule specializzate), se eccessiva crea danni anche irreparabili ad i tessuti sani.
Ed è nell'ambito del controllo del processo infiammatorio che le varianti scoperte del gene LTA4H, acquistano importanza. Varianti che prendono il nome di polimorfismi e non di "mutazioni" in quanto presenti nella popolazione con una frequenza  superiore all'1%, alleli quindi a diffusione rilevante. Le varianti identificate non sono silenti: causano sostituzioni aminoacidiche nella proteina LTA4H responsabili di una risposta infiammatoria rilevantemente superiore o inferiore, nei diversi casi, rispetto a quella standard.
A causa della frequenza non trascurabile di questi alleli, e a seguire del fatto che essi non siano associati a patologie, il numero di eterozigoti risultanti (normale/low, low/high, normale/high) è prevedibile.
Bene, si è visto in questo studio che alcune forme di eterozigosi (quelle con high/low) erano in grado di montare una risposta infiammatoria sufficiente, ma non troppo forte, per contenere l'infezione da micobatteri. 
Soggetti omozigoti (debole/debole o forte/forte) risultavano invece più sensibili ad infezioni di grave entità. Infatti mentre una risposta debole non è in grado di contenere il titolo batterico, una risposta eccessiva porta alla morte dei macrofagi, gli agenti cellulari in prima fila nella risposta veloce a batteri grazie alla loro attività fagocitaria, a causa del massiccio rilascio di sostanze infiammatorie. La morte dei macrofagi ha fra le conseguenze indesiderate il rilascio in circolo dei batteri fagocitati ma ancora vitali.
Ricapitolando, in base a questo effetto di vantaggio dell'eterozigote o Effetto Goldilocks (noto in topi ma molto raro in genetica umana) i soggetti portatori di una copia del gene con sequenza ad "alta attività" e di uno con sequenza a "bassa attività", risultano relativamente ben protetti dalla virulenza di ceppi batterici altamente pericolosi come quelli responsabili della tubercolosi meningea. Al contrario i soggetti con due copie ad alta o a bassa attività sono esposti a infezioni potenzialmente letali.
Questa scoperta permetterà in prospettiva di modulare l'approccio terapeutico in funzione del corredo genomico, un approccio che è alla base della farmacogenomica, una scienza che sta rivelando le sue enormi potenzialità nella drug discovery e nella terapia antitumorale.
In questo caso in particolare, le differenze nella attività della proteina LTA4H si esplicitano nel fatto che la terapia anti-infiammatoria è di beneficio solo per i pazienti la cui variante genica è ad alta attività (promuovono una eccessiva risposta infiammatoria), mentre tale terapia risulta deleteria per gli altri pazienti.
La possibilità di distinguere a priori quali siano i soggetti che meglio risponderanno alla terapia con dexametasone (anti-infiammatorio più comunemente usato) permetterà un trattamento mirato e veloce sui soggetti idonei mentre indirizzerà gli altri verso terapie sostitutive eliminando quindi gli effetti collaterali che il trattamento anti-infiammatorio avrebbe su di essi generato.

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Post successivi sull'argomento antibiotici: 1 ; 2   

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