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Visualizzazione post con etichetta Missioni Spaziali. Mostra tutti i post
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Le aziende private (finalmente) sono riuscite a sbarcare sulla Luna

Blue Ghost, un robot "quadrupede" made in Texas, ha raggiunto il 2 marzo la regione Mare Crisium sulla Luna, e fin qui nulla di speciale considerando il numero di missioni dirette sul suolo lunare negli ultimi anno.
A fare la differenza è l'essere il primo veicolo spaziale commerciale a compiere la missione con successo. Il lander costruito da Firefly Aerospace trascorrerà le prossime due settimane sul terreno per compiere esperimenti appaltati dalla NASA, dopo di che arriverà la gelida notte lunare a terminare ogni operazione.
L'ombra proiettata dal lander sul suolo lunare
(Credit: Firefly Aerospace)
Altre aziende avevano tentato prima l'allunaggio ma per un motivo o l'altro tutte le missioni erano fallite; ad esempio, la navicella spaziale Odysseus era riuscita nell'impresa ma aveva impattato il terreno con tale violenza da rompersi una delle "gambe" finendo i suoi giorni ribaltata sul lato.
Le prime immagini inviate dal lander hanno mostrato la sonda in posizione verticale sulla superficie grigia, tra cui un suggestivo scatto della sua ombra e la Terra che brilla sullo sfondo.

Tutti questi tentativi compiuti dalla aziende private hanno il compito principale di togliere carichi economici (e logistici) alla NASA che può quindi concentrarsi su missioni ad alto valore. Servono inoltre, oltre alla già citata delega a compiere esperimenti su commissione, a selezionare il partner commerciale più affidabile nell'ambito del programma Commercial Lunar Payload Services con cui la NASA vuole esternalizzare la consegna di strumenti scientifici e in futuro i "mattoni" per le basi lunari.

Tra gli strumenti trasportati da Blue Ghost ci sono un piccolo trapano e il planetvac" specie di "aspirapolvere" per raccogliere la friabile (e abrasiva) polvere lunare. Tra gli esperimenti in fieri lo studio della viscosità della polvere lunare e test basati sull'attivazione di campi elettrici finalizzati a trovare un modo per tenere libere dalla polvere la superficie delle astronavi.

Esperimenti che devono essere conclusi entro il 16 marzo quando inizierà la notte lunare della durata di 14 giorni in cui non sarà possibile ricaricare le batterie solari e le temperature (circa -133 C) non permetteranno l'operatività.
Due giorni prima della messa in stand-by le telecamere a bordo di Blue Ghost cattureranno un'eclissi totale causata dalla interposizione della Terra.
La rotta di avvicinamento alla Luna seguita da Blue Ghost
(credit: Firefly Aerospace)


Articoli precedenti sul tema Luna (e missioni lunari) sono reperibili cliccando sul tag dedicato


Fonte
Private spacecraft nails Moon landing: first images of Blue Ghost on the lunar surface
Nature 2025


***

Gadget e strumenti per chi la Luna la deve osservare da lontano
Luna luminosa da mensola (Amazon)

La mitica Aquila di Spazio 1999
(Amazon)




Come creare ossigeno su Marte

Nel film Total Recall il buon Schwarzi arriva nel 2084 in un insediamento umano su Marte protetto da una megacupola, fondamentale sia come protezione dai raggi cosmici (l'atmosfera marziana è sottile, priva di ozono, e per di più il pianeta manca di campo magnetico) che per contenere un'atmosfera respirabile.
Paraitepuy Pass su Marte (Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)
Vero che mancano alcuni decenni ma è verosimile che l'ambiente in cui vivranno le prime generazioni di coloni sul pianeta rosso saranno grotte o insediamenti sotterranei, condizionati con aria respirabile.
Escludendo a priori di trasportare ossigeno su Marte, i coloni dovranno produrlo localmente scindendo la CO2 atmosferica e/o l'acqua sotterranea, congelata o intrappolata nei minerali. Sebbene il processo sia fattibile, pur non in volumi tali da riempire una cupola cittadina, esistono altri fattori limitanti che sono i catalizzatori delle reazioni chimiche per la produzione di ossigeno. Catalizzatori che quindi dovrebbero essere trasportati dalla Terra in un processo continuo, cosa estremamente costosa.
Una soluzione viene da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Synthesis che descrive come produrre i catalizzatori, necessari ad estrarre ossigeno dall'acqua (e altre reazioni utili), direttamente su Marte usando il materiale là disponibile.
L’obiettivo iniziale dei ricercatori era indagare se uno strumento delle dimensioni di un frigorifero e dotato di un braccio robotico per le analisi, fosse anche in grado di ottenere catalizzatori usando come materiale di partenza materiale da meteoriti di origine marziana.
Lo strumento testato dai ricercatori
(Credit: Qing Zhu et al, Nature Synthesis)


Grazie ad una intelligenza artificiale integrata nel sistema il dispositivo ha prima dissolto e frazionato il materiale mediante acidi e alcali, per poi analizzarne le componenti presenti; queste sono state la base su cui applicare quali delle quasi 4 milioni di formule chimiche memorizzate fosse utile per ottenere una sostanza chimica in grado di scomporre l’acqua. Un processo che ad un essere umano avrebbe richiesto 2 mila anni di verifiche sperimentali. L'analisi ha permesso di ottenere un catalizzatore utilizzabile per  ottenere ossigeno dall'acqua.
Video credit: Nature

Per ogni metro quadrato di materiale marziano, il sistema potrebbe produrre quasi 60 grammi di ossigeno all’ora, eliminando potenzialmente la necessità di rifornimenti di ossigeno e catalizzatori per gli astronauti.

In verità, come ha fatto notare un ricercatore del MIT, esiste un modo molto più semplice per produrre ossigeno su Marte partendo dall'aria marziana ricca di anidride carbonica. Il rover Perseverance (vedi precedente articolo sul tema), in missione su Marte dal 2020, ha già montato (pur se di piccole dimensioni) uno strumento utile all'uopo chiamato MOXIE dimostratosi in grado di produrre ossigeno anche se in bassa quantità a causa dei limiti nella potenza erogabile dal rover. In futuro, una versione grande di MOXIE (non ci sono reali limiti tecnici per produrlo) sarebbe in grado di produrre ossigeno più che sufficiente per il fabbisogno di un piccolo insediamento umano. MOXIE potrebbe inoltre essere usato per produrre una quantità sufficiente di gas utilizzabile come ossidante necessario per produrre carburante per lanciare un velivolo per un viaggio di ritorno sulla Terra (le stime attuali sono di poter produrre 2-3 chilogrammi all'ora).
Lo strumento MOXIE montato sul rover Perseverance
(Credit: NASA/JPL-Caltech via Nature)
La strumentazione montata su Perseverance
(credit: NASA/JPL) 

Usare l’intelligenza artificiale per sintetizzare materiali utili in questo modo è una nuova area di ricerca, afferma Cooper, che ha applicazioni oltre i viaggi spaziali.

Fonte
- Automated synthesis of oxygen-producing catalysts from Martian meteorites by a robotic AI chemist
Qing Zhu et al, (2023) Nature Synthesis



Per Nerd e aspiranti tali tre modellini di rover marziani, per tutti i gusti



Letture scientifico-divulgative su Marte e vivere sul pianeta rosso



Un "urlo" per riposizionare l'antenna della sonda Voyager 2

Riporto in prima pagina la missione Voyager, le cui sonde sono in viaggio da 45 anni.
Credit: NSSDC NASA
L’aggiornamento odierno riguarda Voyager 2 che qualche settimana fa era apparentemente ammutolita. Con ragione in effetti. Si scoprì quasi subito, che la la causa era un errore nella stringa di comando inviata il 21 luglio dalla Terra, che causò uno spostamento di due gradi dell’orientamento dell’antenna.
Due gradi può sembrare poco ma se il segnale arriva da una sonda distante 19,9 miliardi di chilometri equivalgono a … parlare al vuoto. 

In un primo momento si era stimato che l’errore non avrebbe potuto essere corretto prima del 15 ottobre, data in cui la Voyager 2 avrebbe dovuto effettuare una manovra di riallineamento automatizzata. Ma, come si dice, la necessità aguzza l’ingegno e il 1 agosto gli ingegneri della NASA hanno usato la rete di osservatori terrestri che formano il Deep Space Network (DSN) per rilevare l’onda portante proveniente dalla Voyager 2.
Nota. ricordo che il Deep Space Network equivale ad avere, come copertura e risoluzione (dopo interpolazione) un rilevatore del diametro del pianeta Terra.
La rete di telescopi che forma il DSN
Come la rete DSN viene usata per parlare con le varie sonde
Sebbene il segnale fosse ancora troppo debole per leggerne i dati trasmessi, l'averne intercettato la portante era la prova che si poteva inviare un messaggio alla sonda… purché “urlato” (sic!). 

Operazione eseguita il 4 agosto dal JPL (produttore e gestore di Voyager) mediante il DSN.
Ci sono volute 18,5 ore di viaggio alla velocità della luce perché il messaggio arrivasse a destinazione e 37 ore in totale perché i controllori della missione verificassero che il messaggio era stato ricevuto e, soprattutto, interpretato correttamente riposizionando l’antenna. Nella notte del 4 agosto Voyager 2 ha iniziato a restituire dati scientifici e di telemetria indicando che stava funzionando normalmente e che era nella traiettoria prevista.

Fonte
NASA Mission Update: Voyager 2 Communications Pause

***

PRECEDENTI ARTICOLI SUL TEMA VOYAGER

Quando scrissi l’articolo sulla uscita dei due Voyager dal sistema solare pensavo fosse il capitolo finale di una avventura durata (ad oggi) 45 anni. In fondo una volta usciti dalla eliosfera, con poca energia rimasta e “nessun incontro ravvicinato” previsto (fatto salvo qualche membro fuggito dalla nube di Oort o, per miracolo, il fantomatico pianeta 9) non ci sarebbe stato molto da aggiungere alla già raggiunta gloria.
Credit: NASA
Invece eccoci qui con una notizia arrivata qualche giorno dal JPL di un “miracolo” tecnico compiuto dagli ingegneri che hanno trovato il modo per usare l’energia rimasta per tenere attivi gli strumenti almeno fino al 2026.
In una rotta che porta sempre più lontano dal Sole si sapeva già in fase di progettazione che l’energia non avrebbe potuto essere ricavata da pannelli solari ma si doveva sfruttare una batteria "atomica” (più precisamente dei generatori termoelettrici a radioisotopi di plutonio) che non è eterna e il suo esaurimento avrebbe richiesto (per preservare almeno la capacità di inviare messaggi) lo spegnimento di uno strumento scientifico, in aggiunta ai vari sottosistemi spenti nel corso degli anni. 

La soluzione escogitata si è focalizzata sul sistema di backup per stabilizzare la tensione della corrente che alimenta i rilevatori così da proteggerli da sbalzi improvvisi. Si è optato per utilizzare questa potenza addizionale per alimentare gli strumenti scientifici anziché lo stabilizzatore.

Voyager 1 non ha per ora queste necessità (anche se in futuro potrebbe seguire la strada del fratello) in quanto perse uno dei suoi strumenti scientifici nelle prime fasi della missione, quindi meno energivoro.

Il miracolo di queste sonde è che furono progettate per una missione di quattro anni, il tempo sufficiente per avvicinare Giove e Saturno. Solo in seguito, dato l’allineamento dei pianeti che si ripete solo ogni 175 anni, si sfruttò questa finestra temporale per inviare Voyager 2 verso Urano e Nettuno. La sonda Voyager 1 avrebbe nei piani dovuto raggiungere Plutone ma si preferì inviarla su una rotta che intersecasse Titano, una delle lune di Saturno. Plutone ricevette infine la tanto attesa visita dalla sonda New Horizon nel 2015.



*** 04/05/2021 *** 

 La sonda Voyager 1, distante oramai 152 UA, ha registrato la vibrazione di fondo del gas interstellare



*** I dati inviati da Voyager 2 dopo avere attraversato il confine del sistema solare *** 
(04/11/2020)

Quando tutti davano per defunta Voyager 2 dopo la sua uscita "ufficiale" dal sistema solare (--> "Il viaggio di Voyager 2") ecco arrivare dallo spazio profondo un suo messaggio (del tipo "tutto ok"). 

Notevole se si pensa che è in viaggio da 43 anni (il lancio risale al 20 agosto 1977), con la missione di studiare la parte esterna del Sistema Solare. Il messaggio, risalente a fine ottobre, è stato captato dall'antenna radio terrestre Dss43 (Deep Space Station 43), sita in Australia. 

Credit: NASA 
Con i suoi 70 metri di diametro, le periodiche manutenzioni e i recentissimi aggiornamenti, la pur datata Dss43 continua a svolgere il suo lavoro, in concerto con altre antenne della rete NASA site in California e vicino a Madrid.

E' stato proprio al termine di uno di questi aggiornamenti che i tecnici hanno testato la funzionalità dell'antenna inviando una stringa di comandi a Voyager 2, che dopo qualche ora (ci vogliono 16 ore per raggiungerla) ha risposto di averli eseguiti correttamente. 

Chissà mai che uno dei prossimi messaggi che riceveremo da Voyager sia riferito al fantomatico Planet 9 (no, NON si tratta della storpiatura del titolo del film di Ed Wood "Plan 9 from outer space") che verosimilmente non esiste; una delle ipotesi alternative atte a spiegare l'effetto gravitazionale sui pianeti esterni è che sia dovuto ad una miriade di piccoli planetoidi nella zona nota come Nube di Oort. 


Per sapere dove si trova Voyager in tempo reale --> NASA/mission status



Quale è la fonte d'energia per comunicare e fare rilevazioni ad una tale distanza da qualunque sorgente luminosa?
Entrambe le sonde Voyager sono dotate di generatori  plutonio-238 MHW RTG (Multi-Hundred Watt Radioisotope Thermoelectric Generators) che forniscono tutta l'alimentazione necessaria.
Ciascuna sonda ha tre di questi generatori. Ogni RTG fornisce circa 157 watt (quando è nuovo di zecca) il che significa per i primi anni di viaggio poteva contare su circa 470 watt di potenza.
Il lancio è avvenuto nel 1975 e da allora il plutonio (con un tempo di dimezzamento di 88 anni si è consumato solo in minima parte).
Il fattore limitante non è quindi il plutonio ma le termocoppie di silicio-germanio che trasformano questa energia in corrente elettrica utilizzabile dalla sonda. Il loro problema è che essendo esposte direttamente al flusso di neutroni proveniente dal decadimento del plutonio si danneggiano e questo spiega come mai a soli 40 anni dal lancio la potenza residua sia scesa al 25% di quella originale. L'energia residua è appena sufficiente per mantenere accesi i riscaldatori della navicella e inviare ancora un segnale da 19 watt alla Terra e fare poche altre rilevazioni.


*** 8/11/2019 ***

È passato circa un anno da quando Voyager 2 ha varcato i confini del sistema solare nel suo moto senza fine all'interno della galassia. Un passaggio anticipato qualche anno prima da Voyager 1; sebbene lanciati a poche settimane di distanza l'una dall'altra nel 1977 le due sonde hanno seguito rotte diverse, da qui l'ampio sfasamento temporale.
Voyager 2 (credit: universetoday.com)
Articoli precedenti sull'uscita dal sistema solare di --> Voyage 1 (2013) e --> Voyager 2 (2018). La mappa delle rispettive traietttorie viste da Terra sono disponibili --> Voyager 1 e --> Voyager 2
E' di pochi giorni fa la pubblicazione di una serie di articoli sulla rivista Nature Astronomy in cui sono riportati i dati raccolti durante il passaggio in questo invisibile confine. I dati arrivano solo ora sia perché è stato necessario attendere il loro arrivo sulla Terra (19 ore circa) e soprattutto elaborarli ed analizzarli (mesi di lavoro). Inoltre lo strumento preposto, Plasma Science Experiment, ha funzionato correttamente solo su Voyager 2 (la versione montata su Voyager 1 ha smesso di funzionare ben prima del previsto)

La prima cosa che emerge è che l'uscita di Voyager 2 è stata molto più "pulita" rispetto alla gemella Voyager 1.
L'uscita di Voyager 2 è avvenuta "ufficialmente" il 5 novembre 2018 quando lo strumento registrò una improvvisa riduzione delle particelle del "vento solare" (provenienti quindi dall'interno, cioè dal Sole) e un aumento parallelo di quelle associate ai raggi cosmici (provenienti da fuori, dalla galassia) e del campo magnetico interstellare.
credit: NASA via space.com

Nel loro insieme, questi dati indicavano che la navicella spaziale era passata oltre la "sfera" d'influenza del nostro sole, un confine noto come eliopausa.
Nota. L'eliopausa ha una definizione vaga del tipo il punto di inizio dello spazio interstellare. E' anche definita come il limite esterno della eliosfera. 
Le due Voyager sono le prime e uniche, al momento, macchine costruite dall'uomo ad aver raggiunto lo spazio interstellare.
Sebbene in punti diversi (la distanza è di circa 165 UA), il traversamento dell'eliopausa è avvenuto a distanze dal Sole tutto sommato simili (su scala del sistema solare, ovviamente): 121,6 UA per Voyager 1 e 119 UA per Voyager 2 (ricordo che UA sta unità astronomica ed è la distanza media della Terra dal sole -->"Definito il valore esatto di 1UA" ). Grande differenza invece nel tempo necessario per traversare questo confine: 28 giorni per Voyager 1 meno di 1 giorno per Voyager 2.

La ragione non è ben compresa ma sembra che Voyager 1 sia stato l'unico ad avere incontrato una cosiddetta regione di stagnazione, ampia 8,6 UA, una zona cioè dove il movimento del plasma attorno al veicolo spaziale è quasi nullo (un dato ricavato da altri strumenti a bordo visto che, come detto, il Plasma explorer era rotto). Voyager 2 non ha incontrato nulla di simile ma una regione definita di transizione in cui il flusso di plasma (alias gas ionizzato) proveniente dal sole inizia a cambiare in forza e direzione fino a che incontra uno "strato limite" in cui i flussi provenienti dall'esterno aumentano fino al culmine dell'eliopausa. 
La ragione di questa differenza (nelle regioni incontrate) non è chiara. Potrebbe essere conseguenza di una riduzione dell'attività solare (il ciclo solare dura 11 anni) per cui quando Voyager 2 si avvicinava al confine l'eliopausa si stava muoveva verso l'interno.

Interessante il fatto che le distanze di uscita delle due sonde siano mappabili a distanze simili (nonostante la distanza tra esse), pur in presenza di livelli significativamente diversi di attività solare. Il che fa sorgere interrogativi sulla possibile struttura dell'eliosfera: una "bolla" sferica o qualcosa di più simile ad una cometa, con una coda che si estende all'indietro indietro a causa del movimento del sole attraverso la galassia? 
Interrogativi a cui si spera potranno contribuire le nostre due viaggiatrici, la cui attività è prevista durare ancora per un altro decennio.

***Aggiornamento giugno 2020***
Grazie all'utilizzo dei dati ottenuti dalla sonda IBEX della NASA durante un intero ciclo solare, si è potuto studiare come varia l'eliosfera nel tempo.
Il ciclo solare dura circa 11 anni, durante il quale il Sole alterna fasi di bassa ed alta attività. I ricercatori erano curiosi di capire come queste variazioni si ripercuotessero ai confini del sistema solare. I risultati mostrano in grande dettaglio le variazioni della parte esterna dell'eliosfera esterna.
I dati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Supplements il 10 giugno 2020.
Di seguito un video riassuntivo creato da NASA/Goddard

Link diretto al video su -->youtube


Articolo precedente sull'argomento --> Voyager.

Fonti


Voyager 2 funzionerà almeno fino al 2026

Quando scrissi l’articolo sulla uscita dei due Voyager dal sistema solare pensavo fosse il capitolo finale di una avventura durata (ad oggi) 45 anni. In fondo una volta usciti dalla eliosfera, con poca energia rimasta e “nessun incontro ravvicinato” previsto (fatto salvo qualche membro fuggito dalla nube di Oort o, per miracolo, il fantomatico pianeta 9) non ci sarebbe stato molto da aggiungere alla già raggiunta gloria.
Credit: NASA
Invece eccoci qui con una notizia arrivata qualche giorno dal JPL di un “miracolo” tecnico compiuto dagli ingegneri che hanno trovato il modo per usare l’energia rimasta per tenere attivi gli strumenti almeno fino al 2026.
In una rotta che porta sempre più lontano dal Sole si sapeva già in fase di progettazione che l’energia non avrebbe potuto essere ricavata da pannelli solari ma si doveva sfruttare una batteria "atomica” (più precisamente dei generatori termoelettrici a radioisotopi di plutonio) che non è eterna e il suo esaurimento avrebbe richiesto (per preservare almeno la capacità di inviare messaggi) lo spegnimento di uno strumento scientifico, in aggiunta ai vari sottosistemi spenti nel corso degli anni. 

La soluzione escogitata si è focalizzata sul sistema di backup per stabilizzare la tensione della corrente che alimenta i rilevatori così da proteggerli da sbalzi improvvisi. Si è optato per utilizzare questa potenza addizionale per alimentare gli strumenti scientifici anziché lo stabilizzatore.

Voyager 1 non ha per ora queste necessità (anche se in futuro potrebbe seguire la strada del fratello) in quanto perse uno dei suoi strumenti scientifici nelle prime fasi della missione, quindi meno energivoro.

Il miracolo di queste sonde è che furono progettate per una missione di quattro anni, il tempo sufficiente per avvicinare Giove e Saturno. Solo in seguito, dato l’allineamento dei pianeti che si ripete solo ogni 175 anni, si sfruttò questa finestra temporale per inviare Voyager 2 verso Urano e Nettuno. La sonda Voyager 1 avrebbe nei piani dovuto raggiungere Plutone ma si preferì inviarla su una rotta che intersecasse Titano, una delle lune di Saturno. Plutone ricevette infine la tanto attesa visita dalla sonda New Horizon nel 2015.



*** 04/05/2021 *** 

 La sonda Voyager 1, distante oramai 152 UA, ha registrato la vibrazione di fondo del gas interstellare



*** I dati inviati da Voyager 2 dopo avere attraversato il confine del sistema solare *** 
(04/11/2020)

Quando tutti davano per defunta Voyager 2 dopo la sua uscita "ufficiale" dal sistema solare (--> "Il viaggio di Voyager 2") ecco arrivare dallo spazio profondo un suo messaggio (del tipo "tutto ok"). 

Notevole se si pensa che è in viaggio da 43 anni (il lancio risale al 20 agosto 1977), con la missione di studiare la parte esterna del Sistema Solare. Il messaggio, risalente a fine ottobre, è stato captato dall'antenna radio terrestre Dss43 (Deep Space Station 43), sita in Australia. 

Credit: NASA 
Con i suoi 70 metri di diametro, le periodiche manutenzioni e i recentissimi aggiornamenti, la pur datata Dss43 continua a svolgere il suo lavoro, in concerto con altre antenne della rete NASA site in California e vicino a Madrid.

E' stato proprio al termine di uno di questi aggiornamenti che i tecnici hanno testato la funzionalità dell'antenna inviando una stringa di comandi a Voyager 2, che dopo qualche ora (ci vogliono 16 ore per raggiungerla) ha risposto di averli eseguiti correttamente. 

Chissà mai che uno dei prossimi messaggi che riceveremo da Voyager sia riferito al fantomatico Planet 9 (no, NON si tratta della storpiatura del titolo del film di Ed Wood "Plan 9 from outer space") che verosimilmente non esiste; una delle ipotesi alternative atte a spiegare l'effetto gravitazionale sui pianeti esterni è che sia dovuto ad una miriade di piccoli planetoidi nella zona nota come Nube di Oort. 


Per sapere dove si trova Voyager in tempo reale --> NASA/mission status



Quale è la fonte d'energia per comunicare e fare rilevazioni ad una tale distanza da qualunque sorgente luminosa?
Entrambe le sonde Voyager sono dotate di generatori  plutonio-238 MHW RTG (Multi-Hundred Watt Radioisotope Thermoelectric Generators) che forniscono tutta l'alimentazione necessaria.
Ciascuna sonda ha tre di questi generatori. Ogni RTG fornisce circa 157 watt (quando è nuovo di zecca) il che significa per i primi anni di viaggio poteva contare su circa 470 watt di potenza.
Il lancio è avvenuto nel 1975 e da allora il plutonio (con un tempo di dimezzamento di 88 anni si è consumato solo in minima parte).
Il fattore limitante non è quindi il plutonio ma le termocoppie di silicio-germanio che trasformano questa energia in corrente elettrica utilizzabile dalla sonda. Il loro problema è che essendo esposte direttamente al flusso di neutroni proveniente dal decadimento del plutonio si danneggiano e questo spiega come mai a soli 40 anni dal lancio la potenza residua sia scesa al 25% di quella originale. L'energia residua è appena sufficiente per mantenere accesi i riscaldatori della navicella e inviare ancora un segnale da 19 watt alla Terra e fare poche altre rilevazioni.


*** 8/11/2019 ***

È passato circa un anno da quando Voyager 2 ha varcato i confini del sistema solare nel suo moto senza fine all'interno della galassia. Un passaggio anticipato qualche anno prima da Voyager 1; sebbene lanciati a poche settimane di distanza l'una dall'altra nel 1977 le due sonde hanno seguito rotte diverse, da qui l'ampio sfasamento temporale.
Voyager 2 (credit: universetoday.com)
Articoli precedenti sull'uscita dal sistema solare di --> Voyage 1 (2013) e --> Voyager 2 (2018). La mappa delle rispettive traietttorie viste da Terra sono disponibili --> Voyager 1 e --> Voyager 2.
E' di pochi giorni fa la pubblicazione di una serie di articoli sulla rivista Nature Astronomy in cui sono riportati i dati raccolti durante il passaggio in questo invisibile confine. I dati arrivano solo ora sia perché è stato necessario attendere il loro arrivo sulla Terra (19 ore circa) e soprattutto elaborarli ed analizzarli (mesi di lavoro). Inoltre lo strumento preposto, Plasma Science Experiment, ha funzionato correttamente solo su Voyager 2 (la versione montata su Voyager 1 ha smesso di funzionare ben prima del previsto)

La prima cosa che emerge è che l'uscita di Voyager 2 è stata molto più "pulita" rispetto alla gemella Voyager 1.
L'uscita di Voyager 2 è avvenuta "ufficialmente" il 5 novembre 2018 quando lo strumento registrò una improvvisa riduzione delle particelle del "vento solare" (provenienti quindi dall'interno, cioè dal Sole) e un aumento parallelo di quelle associate ai raggi cosmici (provenienti da fuori, dalla galassia) e del campo magnetico interstellare.
credit: NASA via space.com

Nel loro insieme, questi dati indicavano che la navicella spaziale era passata oltre la "sfera" d'influenza del nostro sole, un confine noto come eliopausa.
Nota. L'eliopausa ha una definizione vaga del tipo il punto di inizio dello spazio interstellare. E' anche definita come il limite esterno della eliosfera.
Le due Voyager sono le prime e uniche, al momento, macchine costruite dall'uomo ad aver raggiunto lo spazio interstellare.
Sebbene in punti diversi (la distanza è di circa 165 UA), il traversamento dell'eliopausa è avvenuto a distanze dal Sole tutto sommato simili (su scala del sistema solare, ovviamente): 121,6 UA per Voyager 1 e 119 UA per Voyager 2 (ricordo che UA sta unità astronomica ed è la distanza media della Terra dal sole -->"Definito il valore esatto di 1UA" ). Grande differenza invece nel tempo necessario per traversare questo confine: 28 giorni per Voyager 1 meno di 1 giorno per Voyager 2.

La ragione non è ben compresa ma sembra che Voyager 1 sia stato l'unico ad avere incontrato una cosiddetta regione di stagnazione, ampia 8,6 UA, una zona cioè dove il movimento del plasma attorno al veicolo spaziale è quasi nullo (un dato ricavato da altri strumenti a bordo visto che, come detto, il Plasma explorer era rotto). Voyager 2 non ha incontrato nulla di simile ma una regione definita di transizione in cui il flusso di plasma (alias gas ionizzato) proveniente dal sole inizia a cambiare in forza e direzione fino a che incontra uno "strato limite" in cui i flussi provenienti dall'esterno aumentano fino al culmine dell'eliopausa.
La ragione di questa differenza (nelle regioni incontrate) non è chiara. Potrebbe essere conseguenza di una riduzione dell'attività solare (il ciclo solare dura 11 anni) per cui quando Voyager 2 si avvicinava al confine l'eliopausa si stava muoveva verso l'interno.

Interessante il fatto che le distanze di uscita delle due sonde siano mappabili a distanze simili (nonostante la distanza tra esse), pur in presenza di livelli significativamente diversi di attività solare. Il che fa sorgere interrogativi sulla possibile struttura dell'eliosfera: una "bolla" sferica o qualcosa di più simile ad una cometa, con una coda che si estende all'indietro indietro a causa del movimento del sole attraverso la galassia?
Interrogativi a cui si spera potranno contribuire le nostre due viaggiatrici, la cui attività è prevista durare ancora per un altro decennio.

***Aggiornamento giugno 2020***
Grazie all'utilizzo dei dati ottenuti dalla sonda IBEX della NASA durante un intero ciclo solare, si è potuto studiare come varia l'eliosfera nel tempo.
Il ciclo solare dura circa 11 anni, durante il quale il Sole alterna fasi di bassa ed alta attività. I ricercatori erano curiosi di capire come queste variazioni si ripercuotessero ai confini del sistema solare. I risultati mostrano in grande dettaglio le variazioni della parte esterna dell'eliosfera esterna.
I dati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Supplements il 10 giugno 2020.
Di seguito un video riassuntivo creato da NASA/Goddard

Link diretto al video su -->youtube


Articolo precedente sull'argomento --> Voyager.

Articolo successivo –> Un urlo a Voyager


Fonti

Orion è tornato e la missione Artemis continua

La fase 1 della missione Artemis (ad oggi divisa in 6 fasi) si è conclusa oggi con il rientro a splash nelle acque dell'oceano Pacifico

Credit: NASA

Scopo della missione era verificare che non ci fossero problemi nel ritorno sulla Luna, con test di raggiungimento dell'orbita lunare e rientro.

Credit: NASA

La prossima fase, nota come Artemis 2, è prevista per il 2024 e vedrà la presenza di equipaggio umano e un sorvolo lunare. 

Per vedere gli umani tornare fisicamente sulla Luna bisognerà attendere Artemis III


#Artemis 

Il telescopio spaziale James Webb è ufficialmente operativo

Aggiornamento Novembre 2022
Il JWST ha identificato due galassie incredibilmente antiche (in arancione nella foto) risalenti a soli 350 milioni di anni dopo il Big Bang

Fonti
- Castellano, M. et al. Astrophys. J. Lett. 938, L15 (2022)
- Naidu, R. P. et al. Astrophys. J. Lett. 940, L14 (2022)


Articolo successivo sul tema JWST: Le migliori foto (finora).

 
Aggiornamento luglio 2022
Ecco la prima foto che dà il via ufficiale all'operatività del telescopio
Ripresa all'infrarosso della "nursery" di stelle NGC 3324 nella nebulosa Carina.
Image credit: NASA

Aggiornamento gennaio 2022
Circa un mese dopo il lancio (25 dicembre) dalla Guyana francese, il telescopio è giunto a destinazione nel punto di Lagrange L2, attorno a cui orbiterà.
Credit: Arianespace, ESA, NASA, CSA, CNES (CC BY 2.0)

Per seguire in tempo reale la sua attività e il posizionamento vi rimando alla pagina dedicata della NASA --> wst.nasa.gov/... 

***
Il 2021 è l'anno del lancio dl telescopio spaziale James Webb, erede designato del glorioso Hubble e al top come strumentazione con il suo 10 miliardi di dollari di investimento
Il JW telescope prossimo (®CBS)
Un lavoro di preparazione che, memore dei difetti negli specchi di Hubble (riparati grazie a missioni dell'altrettanto glorioso Space Shuttle) procede con controlli pignoli e test ripetuti.
Nella foto ingegneri della NASA durante il collegamento delle due metà del telescopio, successivo all'espletamento di test sul supporto su cui verrà  poi montato lo specchio secondario.

Credit: NASA/Chris Gunn

 In 50" di clip un lavoro di ore
(video full-screen --> youtube) ®NASA

Per avere una idea della risoluzione di cui è capace il nuovo telescopio rispetto al glorioso Hubble, ecco un confronto:






Alla ricerca delle prime stelle dopo il Big Bang (credit: nature)


Altra grafica della missione (credit: nature)


I punti di Lagrange che corrispondono alle zone di equilibrio gravitazionale
Per dare una idea della distanza dalla Terra

Il telescopio andrà a posizionarsi nel punto di Lagrange 2, ideale come stabilità orbitale e minimo consumo carburante (credit: Nature). Altro vantaggio di tale posizione è il non avere alcun ostacolo (come ad esempio la Terra) nella sua osservazione dello spazio profondo. 


Il freddo dello spazio non è un problema per il telescopio Webb. La sua strumentazione è stata progettata per funzionare in modo ottimale ad una temperatura di -233°C, solo 40 gradi sopra lo zero assoluto. 




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Modellini per veri Nerd




Da Tenerife un raggio laser per mappare i detriti orbitali

Sulla vetta di una montagna delle Tenerife (Spagna) c'è l'osservatorio Izaña-1 (IZN-1) dell'ESA, che grazie a metodi di rilevamento laser servirà a mappare le migliaia di detriti in orbita.
Gli ultimi test di funzionamento sono da poco conclusi con una promozione a pieni voti e con questo si è avuto il passaggio ufficiale dalla azienda produttrice alla ESA.
Image credit: ESA


https://geoxc-apps2.bd.esri.com/Visualization/sat2/index.html

Il problema dei detriti spaziali non è nuovo ma in questi ultimi anni, complice il lancio di migliaia di nuovi satelliti, si è acuito. I metodi radar oggi disponibili per tracciarli ed evitare così il rischio di collisioni sono costosi e meno accurati. 
Screenshot dal sito che mappa tutti satelliti. Credit: esri.com

All'alba della era del turismo spaziale e con le attuali e nuove stazioni spaziali orbitali (oltre che per lanciare in sicurezza nuovi satelliti) il rilevamento laser dovrebbe facilitare il compito.
Credit: ESA
Il laser (come ben sanno le vittime dell'autovelox) fornisce una misurazione precisa e rapida di posizione e velocità anche a centinaia di km di distanza (l'orbita media dei detriti è intorno a 2 mila km dalla superficie terrestre)

I test con il laser sono partiti a luglio 2021 usando una lunghezza d'onda corrispondente al verde e una potenza di circa 150 mW. Ad oggi la capacità di "vedere" i satelliti è vincolata alla presenza su essi di catadiottri il che è un limite importante in quanto solo una parte dei satelliti li possiede.
Nell'immediato futuro si passerà a potenze superiori (circa 50 W) e con lunghezze d'onda agli infrarossi, capaci di rilevare sia satelliti "non cooperanti" (cioè mancanti dei catadiottri) che di veri e propri detriti.

Le stazioni localizzazione basati sul laser non sono in verità una novità sul suolo europeo (c'è ne sono decine). A fare la differenza è la possibilità di usare IZN-1 anche per le comunicazioni ottiche e la dotazione robotica all'avanguardia.
Una volta adattato allo scopo, il sistema di comunicazione ottica permetterà di scambiare le informazioni con i satelliti nella bassa orbita terrestre (a circa 400 km) con una velocità di trasmissione dati molto elevata di 10 gigabit.
Una delle domande più ovvie è se il laser possa causare rischi a qualsiasi altra cosa transiti attraverso essa (uccelli, aerei, astronauti). I numeri paiono rassicuranti sia perché utilizzerà una potenza inferiore a 100 W (pari grosso modo a quelle di un bollitore elettrico) che per l'emissione di impulsi intermittenti di breve durata. Quindi sebbene non siano in grado di tagliare o spostare gli oggetti intercettati, c'è sempre la possibilità di un danno ai delicati strumenti ottici montati sugli aerei; per questa ragione sono stati implementati sensori che scansionano il cielo alla ricerca di velivoli così da garantire che il laser non intersechi mai la loro traiettoria.

Il passaggio alle frequenze all'infrarosso eliminerà anche il rischio di disturbare la scansione del cielo notturno da parte di altri osservatori. 

L'idea è di implementare con il tempo nuove funzioni come quella di spostare i detriti intercettati (grazie al trasferimento della quantità di moto fornita dal laser), su nuove orbite, fuori da quelle più trafficate.


Di seguito un breve video riassuntivo
Credit: scitechdaily.com



E a proposito del rischio incidenti a causa dei detriti orbitali ...
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