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India. Dalla scienza dei Nobel alla pseudoscienza per fini politici il passo è breve

*** 31/5/2023 ***
Aggiorno un "vecchio" articolo su cosa accade quando la politica (e la religione) vogliono riscrivere la scienza.

È notizia di pochi giorni fa che si è deciso di rimuovere dai libri di testo scolastici delle scuole indiane teorie "pericolose" come l'evoluzione e financo .... la TAVOLA PERIODICA. Solo nelle scuole superiori questi concetti potranno essere presenti.

India cuts periodic table and evolution from school textbooks — experts are baffled


*** 13/2/2019 ***

L'India ha sfornato nell'ultimo secolo menti di assoluto rilievo che hanno contributo in modo sostanziale alla conoscenza in vari campi scientifici ed economici.

I vari Srinivasa Ramanujan (matematico), G.N. Ramachandran (fisico) e i Nobel Subrahmanyan Chandrasekhar (fisica), Amartya Sen (economia), H.G. Khorana (medicina) e C.V. Raman (fisica),  testimoniano l'eccellenza, sebbene, come accade anche da noi, la carriera di molti di questi scienziati si sia svolta all'estero o si sia sviluppata ai tempi del dominio britannico. Ancora oggi l'India sforna un alto numero di studenti preparati, specie in ambito informatico (che invero non reputo Scienza) e ingegneristico, capaci di competere per le posizioni di rilievo (vedi i CEO di Microsoft e Google).
Questo premesso, è innegabile che in una nazione di più di un miliardo di persone il bacino a cui attingere sia ovviamente alto; ma qui non si tratta solo di statistica ma di un sistema educativo mutuato su quello britannico e rinvigorito dalla "fame di emergere" di un popolo che investe sul futuro accettando "induisticamente" il presente.

Ma non è tutto oro quello che luccica sotto il sole educativo indiano. E i primi a scendere in piazza sono stati proprio i Nobel e i ricercatori "comuni" che negli ultimi anni hanno visto la politica entrare pesantemente nella sfera scientifica foraggiando la diffusione di dottrine "parascientifiche" (cioè pseudoscienza) il cui fine non è più la scienza ma l'asservimento della scienza al revanscismo induista.
La protesta di scienziati indiani di fronte alla affermazioni pseudo-scientifiche sponsorizzate dal governo Modi
(credit & original photo: Washington Post / Flipboard)
Non mi riferisco ai tanti rami collaterali della conoscenza "tradizionale" come la medicina ayurvedica, lo yoga o le mille altre declinazioni in cui la tradizione pre-scientifica (non necessariamente anti-scientifica) si innesta nel mondo moderno. Queste sono realtà che coesistono con la Scienza senza pretese di invasioni di campo. Il problema sorge quando ministri con deleghe per la scienza e congressi scientifici rinomati fungono da megafono per diffondere dottrine antiscientifiche o "verità" palesemente false il cui fine sotteso è quello, molto politico, dell'Indo-centrismo; affermare cioè che tutto quanto inventato nell'ultimo secolo era già scritto, millenni fa, sui Veda.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso si è avuta a fine 2018 durante la 106ma edizione della Indian Science Congress Association (ISCA). Istituita nel 1914 dai chimici britannici J.L. Simonsen e P.S. MacMahon, la ISCA è un evento cardine della diffusione del sapere scientifico nel subcontinente; ospita ogni anno circa 30 mila delegati (tra cui Nobel, politici e scienziati stranieri) e attrae decine di migliaia di visitatori tra cui scolaresche. Negli ultimi anni tuttavia molti scienziati hanno cominciato a disertare il convegno perché  non volevano che il loro nome figurasse accanto (e desse credito) a speaker o a contenuti che della negazione del dato scientifico erano portavoce.
Tra le affermazioni bizzarre offerte da alcuni speaker, quelle sulla fecondazione in vitro e sulle cellule staminali, definite tecnologie esistenti in India già migliaia di anni fa. Tesi questa fornita da Nageswara Rao, vice rettore dell'Università di Andhra e professore di chimica inorganica, che ha spiegato all'audience nella sessione dedicata agli studenti che secondo il Mahabharata, una madre single diede alla luce 100 figli attraverso una tecnologia in tutto simile alla moderna fecondazione in vitro
 "Il Mahabharata dice che 100 uova sono state fecondate e messe in 100 vasi di terracotta", 
una frase che insieme ad altre prove dimostrerebbe (così afferma il professor Rao) che la tecnologia delle cellule staminali fosse giù diffusa in India migliaia di anni fa.  A chiosa della sua brillante lectio magistralis ha anche affermato che la divinità Rama usava missili guidati che inseguivano i bersagli, li colpivano e quindi tornavano alla base. Ma non era l'unica divinità hi-tech visto che il rivale Ravana (altro re mitologico, liberatore dello Sri Lanka), avrebbe utilizzato all'epoca 24 diversi tipi di aerei da diversi aeroporti nel suo regno.
Un altro speaker, lo scienziato Kannan Krishnan del Tamil Nadu, ha contestato la teoria della relatività di Einstein e la legge della gravitazione universale di Isaac Newton sulla base del fatto che nessuno dei due scienziati avesse capito bene la fisica. Una esternazione subito condita con una affermazione fantozziana (per il servilismo sottostante) che la teoria delle onde gravitazionali sarebbe stata presto rinominata nel più corretto "Onde di Modi" in onore del primo ministro indiano Narendra Modi (il deus ex Machina della politica di revisionismo pan-induista degli ultimi anni).

Ora capite bene che se queste affermazioni stonerebbero perfino in una trasmissione di Maria De Filippi, immaginatele fatte durante un convegno scientifico o molto peggio di fronte ad una platea di meno che adolescenti privi di ogni anticorpo culturale a tali esternazioni, pronti così a propagare le nuove verità.
Gli organizzatori dell'ISCA hanno successivamente preso le distanze da tali affermazioni (ma va?!) auspicando una maggiore cautela nella scelta di chi invitare sul palco nei prossimi anni. Anche perché a differenza di quello che avviene in qualunque congresso la selezione dei delegati non era stata soggetta al vaglio preliminare dell'abstract (estratto  delle ricerche svolte, da fornire in fase di registrazione per valutarne l'interesse potenziale e fare una prima scrematura di contenuti).

Il vero problema è che non si tratta di un incidente di percorso ma di una tendenza in atto da alcuni anni, accentuatasi dopo il 2014 con la vittoria di Modi alle elezioni.
Nel 2015 in un articolo riguardante la tecnologia dell'aviazione indiana si affermava che Bhardwaja, un saggio del periodo vedico, avesse redatto dettagliati progetti per la costruzione di vari tipi di velivoli.
Nota. Non hanno senso le similitudini con i disegni del "Codice Atlantico" di Leonardo sia per la distanza temporale che per il fatto che, nonostante la precisione di alcuni studi, quelli leonardeschi erano ipotesi progettuali, geniali, ma spesso prive di ogni applicabilità, come dimostrato negli anni (si trattava di studi a cui mancavano troppi elementi teorici perché potessero divenire realtà come ben evidente nel caso del progetto di volo). Uno studio tecnico è, in ogni caso, cosa ben diversa da affermazioni presenti su testi sacri o racconti epici come l'apertura delle acque al passaggio di Mosé. Questo non toglie che alcune osservazioni presenti nei testi religiosi contengano "informazioni utili" nate dall'osservazione e trasferite al popolo nell'unico modo inappellabile, cioè la religione. Il caso più eclatante è presente nel Talmud dove si indicano i casi in cui esentare il bambino dalla circoncisione per il rischio sottostante di morte  (se nella famiglia materna sono avvenuti decessi tra i maschi in seguito all'intervento): primo esempio di diagnosi genetica della emofilia che come sappiamo oggi è associata a mutazioni del cromosoma X, quindi è dominante nei maschi ed è trasmessa (ai maschi) unicamente per via materna. Il che non vuol dire che il redattore del testo nel quarto secolo a.C. avesse la benché minima idea di cosa fosse il DNA o anche solo il concetto di "eredità mendeliana".
 L'anno prima lo stesso Modi disse di fronte ad un pubblico di medici e scienziati a Mumbai che la chirurgia plastica e la scienza genetica erano già note nell'antica India come ben evidente dal fatto che la venerata testa di elefante del dio indù Ganesha fosse posta su un corpo umano, e che il dio guerriero Karna fosse nato fuori dal grembo di sua madre.
"Noi adoriamo il Dio Ganesha (...) Una riprova che deve esserci stato all'epoca un chirurgo plastico capace di trapiantare  la testa di un elefante sul corpo di un essere umano dando così origine alla chirurgia plastica"
(Modi - 2014). Vale la pena sottolineare che non si trattava di una battuta per fare sorridere l'audience
A ruota vennero le dichiarazioni di altri membri del partito nazionalista indù che spiegavano i progressi fatti dall'India in campo tecnologico con il fatto che le automobili, i veicoli spaziali e persino Internet esistessero già nell'antichità.

Altre chicche esternate negli ultimi mesi?
  • Vasudev Devnani, ministro dell'Istruzione del Rajasthan, dichiarò che le mucche (animali sacri per un Indù) sono gli unici animali che emettono ossigeno (!?!?!) e che lo sterco di vacca può assorbire la radioattività.
  • Himanta Biswa Sharma, ministro dell'Assam per l'educazione, la salute e la finanza ha affermato che il cancro è la ovvia conseguenza dei peccati commessi nelle vite passate (e questo va a braccetto con il genio nostrano, vice-direttore del CNR, che affermò che i terremoti erano castighi divini --> "Terra rotonda vs. terrapiattisti e altre amenità"
  • Nel 2014 Modi affermò, in risposta ad una domanda sul cambiamento climatico,  che "il clima non è cambiato, le nostre abitudini sono cambiate" un fatto supportato dalla bassa tolleranza per il freddo che si osserva nella vecchiaia (sic!).
  • I ricercatori della Junagadh Agricultural University nel Gujarat, affermarono di avere trovato l'oro nell'urina delle mucche ... . Qualche tempo dopo (forse per prevenire la comparsa di novelli cercatori d'oro per le strade di Delhi, il primo autore dello studio disse che forse il dato era inquinato dalla contaminazione involontaria dei campioni.
Naturalmente non si tratta di una epidemia di demenza ma di una deliberata lettura errata della mitologia e della scienza, nel tentativo di sostenere le affermazioni di un passato indù glorioso e trascendente. Un fenomeno comparso più volte in molte nazioni e religioni allo scopo di creare una sorta di legittimazione divina (o pseudo razionale) a se stessi.
Gli esempi sono molti:
  • il nazismo che bollava la teoria della relatività come scienza ebrea a cui contrapponeva la "ariana" meccanica quantistica; 
  • la pretesa di tutte le religioni di trovare una spiegazione ai quesiti scientifici con la sola lettura dei testi sacri (Corano, Bibbia, Sutra, Veda, etc etc). Del resto la risposta che mi diede il mio colto (e non sono sarcastico) professore di religione alle medie alla mia domanda su come potessero coesistere evoluzionismo e teoria del big bang con la religione, fu che era sufficiente mettere Dio all'origine di tutto. Fatto questo, la scienza e le teorie che da essa emanavano erano degne di onori e da accettare perché indagando il perfetto dovevano esse stesse essere condotte in modo perfetto (un sillogismo ... quasi perfetto ... capace di spegnere anche nel giovane materialista ogni replica ... almeno finché non acquistai qualche conoscenza in più). Del resto i religiosi, anche dotati, sono spesso più portati ad asservire la conoscenza alle proprie incrollabili dottrine, come ben dimostrò il caso recente della studentessa tunisina di ingegneria che riuscì a produrre una tesi di dottorato (non un articolo su un blog o sul quotidiano locale) in cui "dimostrava" che la Terra era veramente piatta come scritto sul Corano (vedi l'articolo --> "terrapiattisti e dintorni")
Bene hanno fatto quindi le persone di scienza indiane a denunciare pubblicamente (sebbene in numeri esigui rispetto al "dovuto") il pericolo connesso alla assimilazione nella scienza di teorie strampalate imbevute di religione e dati falsi.
Sarebbe come se da noi, contestualizzandolo ad una realtà più secolarizzata, il partito di maggioranza  avvallasse la tesi sulle scie chimiche e sulla inutilità dei vaccini ... impossibile, vero?

Altri articoli sui nefasti effetti della politica e religione sulla scienza: il caso Nikolaj Ivanovič Vavilov; scienza e giudici; il ritorno del morbillo; vaccini e bufale; ragionare sugli OGM

Fonti
-  Indian scientists protest against unscientific claims made at conference
Nature / news
- Cows to planes: Indian ministers who rewrote scientific history
-  India had planes and test tube babies thousands of years ago, science conference told 
-Is Indian science based on fact or fiction? Indian Science Congress enrages scientists. Again


Alti livelli di caffeina ematica riducono il rischio di obesità e di diabete di tipo 2?

Alti livelli di caffeina nel sangue possono ridurre il peso corporeo e il rischio di diabete di tipo 2, questo almeno si deduce da una ricerca anglo-svedese che ha correlato il livello di caffeina nel sangue e il rischio di malattie metaboliche.
Lo studio, pubblicato a marzo sulla rivista BMJ Medicine, ha anche valutato se tali effetti protettivi si associassero (proprio a causa della caffeina) a malattie cardiovascolari, fibrillazione atriale inclusa.

Studi precedenti avevano, in effetti, già mostrato che bere 3-5 tazze di caffè al giorno (ogni tazza contiene 70-150 mg di caffeina)  diminuiva il rischio di diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. Tuttavia la maggior parte di tali studi era di tipo osservazionale, meno validi per stabilire un effetto causale a causa dell'imprecisato numero di fattori di confondimento e per la difficoltà di distinguere effetti specifici della caffeina da altri composti inclusi nelle bevande e negli alimenti.

I ricercatori hanno utilizzato una tecnica statistica chiamata randomizzazione mendeliana, che utilizza le varianti genetiche come strumento per indagare sulla relazione causale tra la presenza di uno (o più) varianti genetiche e la caratteristica da valutare.
I risultati dell'analisi hanno mostrato che una predisposizione genetica ad avere più alti livelli di caffeina ematica erano associati a un peso corporeo inferiore (BMI) e a un minor rischio di diabete di tipo 2.
Nello specifico sono state analizzate poco meno di 10 mila persone portatrici di varianti (comuni) dei geni CYP1A2 e AHR (già coinvolte in altri studi di lungo periodo), geni coinvolti nel metabolismo della caffeina.
Varianti associate a minor metabolismo della caffeina rallentano la velocità di rimozione della molecola dal sangue e questo spiega i livelli alti in assenza di una dieta appositamente arricchita di fonti di caffeina. Anzi, le persone portatrici di tali varianti genetiche bevono, in media, meno caffè, proprio perché hanno meno bisogno di "rimpolpare" la caffeina eliminata.
I ricercatori hanno anche tenuto conto di effetti protettivi indiretti sul rischio diabete della caffeina, ad esempio quelli (noti) legati alla concomitante perdita di peso tra chi fa fa più uso di caffeina. I risultati hanno mostrato che la perdita di peso è responsabile per il 43% dell'effetto della caffeina.
Dall'altra parte non sono emerse associazioni significative tra il livello di caffeina ematica (nei soggetti predisposti, NON in chi fa un uso smodato di caffè) e il rischio di una qualsiasi patologia cardiovascolare.


I risultati potrebbero (una volta validati e depurati di eventuali effetti legati alla popolazione studiata) dischiudere il potenziale di bevande contenenti caffeina ma senza calorie, come ausilio nella riduzione del rischio obesità e malattie metaboliche associate.


Fonte
- Appraisal of the causal effect of plasma caffeine on adiposity, type 2 diabetes, and cardiovascular disease: two sample mendelian randomisation study.
Susanna C Larsson et al. (2023) BMJ Medicine.

***

Vecchi antibiotici ma "nuove" armi nella lotta ai superbatteri.

Un antibiotico sviluppato 80 anni fa e oramai dimenticato da decenni fa potrebbe diventare il nuovo killer dei superbatteri, una minaccia di cui ho parlato in abbondanza su queste pagine (clicca sul tag "superbatteri" per la serie di articoli dedicati).
Nel 2017 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) aveva stilato la lista di 12 famiglie di batteri che, a causa della multi-resistenza agli antibiotici, erano da considerarsi una minaccia reale alla salute su scala globale.
La metà dei farmaci antibatterici (antibiotico è un termine ombrello utile per diverse tipologie di invasori) sono di fatto varianti di molecole identificate come principi attivi quasi un secolo fa, durante quella che venne definita "età dell'oro" degli antibiotici. Una ricerca che ha visto un netto calo produttivo, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, quando si credeva di averne trovati a sufficienza per ogni necessità e che quindi ogni ulteriore investimento nella ricerca sarebbe stato destinato a generare perdite (anche sostanziali) nel bilancio delle aziende farmaceutiche. Fu solo con il doppio fenomeno della comparsa di batteri resistenti a più classi di antibiotici e all'esaurimento dell'armamentario disponibile per curare malattie prima facilmente trattabili, che il problema si pose.
Una delle strategie più convenienti per cercare nuovi strumenti terapeutici è, quando possibile, il drug-repurposing di cui ho trattato in precedenza in attesa di sviluppare/scoprire nuovi principi attivi.

L'antibiotico in questione è la streptotricinaisolata nel 1943 da Streptomyces lavendulae, e poi accantonata a causa di studi preliminari che ne avevano rilevato un rischio di nefrotossicità.
Tornata oggi sotto i riflettori per la sua capacità di colpire i batteri Gram negativi, tipologia di batteri molto comune tra quelli responsabili di patologie e con molti esempi di multiresistenza agli antibiotici.
Nota. Senza entrare in troppi dettagli strutturali, la differenza tra i Gram positivi e i Gram negativi, basata sulla possibilità di essere colorati dalla colorazione di Gram, è che i secondi hanno una membrana esterna alla parete cellulare che è di minori dimensioni ma meno permeabile ai farmaci.
Non solo impermeabili ma insensibili ai tanti antibiotici che hanno come bersaglio proprio la parete cellulare, sia bloccandone la sintesi che agendo sulla sua struttura. 

In realtà i test condotti sulla streptotricina erano preliminari e il suo essere scartata dipese più che all'altro dall'abbondanza di alternative.

I nostri tempi grami hanno fatto sì che i ricercatori di Harvard la ripescassero valutando se fosse possibile modificarla per renderla più sicura.
Ed ecco quindi la scoperta della nourseotricina, un prodotto da batteri del suolo (in gran parte gran-positivi) che è di fatto una miscela di antibiotici, con nomi individuali come streptotricina F (S-F) e streptotricina D (S-D).
Nota. Gli antibiotici nascono in natura come arma per eliminare la concorrenza di altri microbi che occupano la stessa nicchia ecologica. Una battaglia che va avanti da sempre durante la quale i "bersagli" sviluppano contromisure che vengono poi superate dai produttori con sempre nuove versioni della molecola.
Il dato interessante è che mentre la nourseotricina (il mix) e la S-D mostrano effetti tossici sulle cellule renali in coltura, questo non è il caso dell'S-F pur mantenendo la capacità di uccidere i batteri gram-negativi anche quelli resistenti a varie classi di antibiotici. Osservazione confermata anche su modelli murini in cui l'azione antibiotica era presente a dosaggi che non causavano danni renali anche sul lungo periodo.

Non è ancora ben chiaro il meccanismo con cui la streptotricina colpisca i gram-negativi, salvo che agisce sulla sintesi proteica favorendo errori nel processo di traduzione del mRNA. Riuscire a penetrare i dettagli molecolari dell'inibizione potrebbe aprire la strada allo sviluppo di una nuova classe di antibiotici specifica per i ceppi resistenti.

Altra informazione da ottenere è la "facilità" con cui i gram-negativi possono evolvere delle contromisure a questa classe di farmaci. La "facilità" è funzione di quanto conservato sia il bersaglio delle streptotricine; tanto maggiore la conservazione, tanto minore la possibilità che questo possa essere cambiato così da generare la resistenza.


Fonte
- Streptothricin F is a bactericidal antibiotic effective against highly drug-resistant gram-negative bacteria that interacts with the 30S subunit of the 70S ribosome
Christopher E. Morgan et al, (2023) PLOS Biology









Padri anziani e tasso di mutazione nei loro gameti

Il sistema riproduttivo maschile è in un certo senso un hotspot di innovazione da cui (sul lunghissimo periodo) possono emergere anche nuovi geni. Le mutazioni di origine paterna (beninteso quelle che non alterano la funzionalità spermatica e che non diminuiscono la vitalità embrionale) sono infatti più frequenti di quelle materne.
Fatto noto, ma meccanicisticamente poco compreso, è che l’età avanzata del padre aumenta il rischio di trasmettere mutazioni alla progenie.

Un recente studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution da ricercatori della Rockefeller University ha indagato il suddetto fenomeno usando come modello animale la Drosophila (moscerino della frutta), modello classico per studi di genetica, con il quale si spera di ricavare informazioni sul rischio di malattie ereditarie negli esseri umani.
Altro vantaggio di usare Drosophila è il loro elevato (e rapido) tasso di riproduzione, che permette di analizzare l’effetto di ciascun mutante anche nella “vecchiaia” e su più generazioni.
Va da sé che il processo studiato è la spermatogenesi, la produzione di spermatozoi dalle cellule germinali. I ricercatori hanno scoperto che in realtà il tasso di mutazioni non cambia nei testicoli dei moscerini giovani e anziani ma le mutazioni fissate alla fine del processo sono maggiori in quelli anziani, come se queste fossero state identificate e rimosse durante lo sviluppo spermatico nei giovani.
La prima, ovvia, ipotesi fu che il sistema di rilevazione e/o di riparazione del DNA perdesse di efficienza con l’età o magari i progenitori germinali negli “anziani” avessero di partenza un maggior carico mutazionale.
Entrambe le ipotesi si rivelarono corrette dato che ci sono più mutazioni per ogni gene nelle mosche più vecchie che nelle mosche più giovani.

Tenere “in ordine” il genoma è già un compito complesso, e lo è ancora di più quando ad essere coinvolte sono le cellule germinali maschili che, per la loro funzione, sono ad altissimo ricambio. A questo si aggiunga che nei testicoli vi è un tasso di espressione genica (nel senso di numero di geni attivi) più alta che in qualunque altro distretto corporeo.
Per quanto apparentemente controintuitivo (in fondo il compito della spermatogenesi è formare gameti mediante il processo meiotico, e produrre il maggior numero di spermatozoi, non “costruire” o svolgere funzioni complesse) c’è una ragione per comprendere tale massiccia attività trascrizionale dei geni: una sorta di meccanismo di sorveglianza genomica che permette di rilevare subito le mutazioni problematiche (prodotto proteico non funzionante ad esempio). Un dato confermato dal fatto che i geni effettivamente espressi (quindi "valutati") durante la spermatogenesi hanno un tasso di mutazione alla fine del processo di maturazione, inferiore rispetto ai geni non trascritti.
Gli spermatozoi nei moscerini anziani (ricordo che la vita media della Drosophila è 70 giorni) hanno un calo di efficienza proprio nei geni attivi e questo fa pensare che la colpa sia in una ridotta efficienza del sistema di riparazione associato alla trascrizione.
Lo studio si è basato sul sequenziamento di RNA da singola cellula prelevate dai testicoli di circa 300 moscerini, metà dei quali giovani (48 ore) e il rimanente vecchi (25 giorni).
Nota. QUI maggior dettagli sulla tecnica di single cell sequencing. La scelta di usare RNA invece di RNA per ottenere informazioni genetiche permette di focalizzarsi sui geni attivi. Utilizzare le informazioni da una singola cellula permette inoltre di evitare il rischio concreto di diluizione dell’informazione sia perché le cellule mutate sono rare che per il fatto che nel processo di estrazione delle delle cellule dai testicoli si prendono vari tipi cellulari, ognuna con un proprio profilo di espressione; mettere tutto in un unico calderone annacquerebbe i dati.
Per capire se le mutazioni rilevate fossero somatiche (ereditate dai genitori) o de novo (comparse nella linea germinale) si è usato come riferimento il genoma (cioè il DNA) di ciascun moscerino.

Il passo successivo sarà espandere l’analisi a più gruppi di età e confermare che le anomalie siano causate dal meccanismo di riparazione associato alla trascrizione (e nel caso verificare le ragioni di questa perdita di efficienza). Rimane anche da capire se una linea germinale (maschile) più a rischio di mutazioni abbia un reale impatto sulla fertilità.
Un dato di estremo interesse negli umani per rispondere al quesito se i figli concepiti da padri anziani siano portatori di più mutazioni e se siano a maggior rischio (anche solo per ragioni di epigenetica, quindi in assenza di mutazioni) di sviluppare malattie (anche genetiche) e alcuni tipi di cancro.

In calce copio un precedente articolo su temi correlati cioè "I padri adolescenti hanno rischio maggiore di trasmettere mutazioni?"

Fonte
Transcriptional and mutational signatures of the Drosophila ageing germline.
Evan Witt et al, (2023) Nature Ecology & Evolution



***

I figli di padri adolescenti sono più a rischio mutazioni di quelli concepiti da (padri) adulti?

L'essenza del pensiero scientifico si manifesta anche nel valutare articoli (ovviamente pubblicati su riviste serie) che vanno contro le idee acquisite; un processo che incentiva a ripensare la tematica affrontata, spingendo a rivedere i dati precedenti.
Finora nessuno (dal genetista al semplice curioso di scienza) avrebbe mai avuto molto da ridire circa il fatto che le cellule germinali di un adolescente sono meno "alterate" rispetto a quelle di un adulto. E non mi riferisco soltanto alla migliore efficienza riproduttiva legata al migliore stato fisiologico di un giovane in piena salute rispetto al cinquantenne medio. Parlo di "alterazioni" in senso letterale, cioè dell'informazione genetica, quindi di mutazioni. 
Le cellule germinali aploidi derivano da una serie di divisioni cellulari a carico di cellule progenitrici diploidi che culminano nel processo meiotico da cui emergeranno le cellule mature (oociti o spermatozoi).
Il processo di maturazione degli spermatozoi
nei testicoli
1
 lamina basalespermatogonia, 3/4 spermatociti di 1° e
2° ordine, 5/6 spermatidi e spermatozoi maturi, 7 Cellule
del Sertoli,
 8 tight junction (barriera sangue-testicoli)
Maschi e femmine (limitiamoci per semplicità ai mammiferi) producono durante la loro vita riproduttiva, un numero di cellule molto diverso. Il numero di cellule germinali prodotte dai maschi ha dell'incredibile: tra 40 e 200 milioni di cellule al giorno per tutta la durata della vita adulta (alias sessualmente matura); le femmine sono più parsimoniose e nel caso della specie umana gli oociti che giungono a maturazione sono (in media) uno ogni mese (per chi volesse approfondire l'argomento --> spermatogenesi e oogenesi).

Limitiamoci qui al maschio, che è il tema centrale dell'articolo a cui faccio riferimento.
Da quanto scritto prima è chiaro che per mantenere costante il numero di spermatogoni e alimentare la linea differenziativa che attraverso gli spermatociti porterà agli spermatozoi (durante la quale non avvengono più divisioni mitotiche) è necessaria una continua divisione cellulare delle cellule "sorgente". Una divisione che deve al tempo stesso mantenere costante il numero di cellule indifferenziate e assicurare il costante rifornimento di cellule germinali mature.

Il lungo viaggio della gametogenesi maschile (credit: unsw.edu.au)
Tanto più sono le divisioni cellulari, tanto maggiore è il lavoro di duplicazione del DNA e di rimando la probabilità che vi sarà un errore di copiatura del DNA, cioè la mutazione.
Le mutazioni sono il risultato congiunto di errori di copiatura del DNA durante la divisione cellulare e di alterazioni chimiche causate sia da agenti ambientali standard (radiazioni, ossigeno, radicali liberi, etc) che dal normale metabolismo cellulare. La riparazione dei danni del DNA è un processo generalmente molto efficiente e ridondante (esistono cioè meccanismi diversi che si occupano di scoprire e correggere i danni in tutte le fasi del ciclo cellulare) ma la forza dei numeri (numero di cellule, numero di divisioni, entità dello stress ambientale, etc) fa si che ci sia sempre qualche alterazione che sfugge al controllo di qualità, fissandosi così nel genoma. Se la mutazione avviene in una cellula germinale il rischio associato alla mutazione può essere trasmessa alle generazioni successive.
Da questo concetto lineare deriva che le cellule germinali di un adolescente maschio dovrebbero essere meno alterate di quelle di un adulto. Ovvio, no? Un dato che trova riscontri nella realtà con il fatto che la prole di maschi anziani ha una maggiore incidenza di alcune patologie.
Eppure …
... una ricerca pubblicata su "Proceedings of the Royal Society B" rivela che gli spermatozoi degli adolescenti hanno un tasso di mutazione 6 volte superiore a quello delle ragazze (e fin qui ok, dato che il carico mitotico è diverso) ma anche superiore a quello dei ventenni e paragonabile a quello dei loro padri
Da questo semplice sillogismo deriva che la progenie di padri adolescenti è più a rischio mutazione di quella di padri adulti e questo potrebbe spiegare alcune frequenze anomale di malattie con base genetica (ma non necessariamente familiare, quindi alterazioni ex novo) come l'autismo, la schizofrenia e la spina bifida (in quest'ultimo caso l'acido folico è un fondamentale strumento preventivo - ma non assoluto - specifico per i deficit nutrizionali e non genetici). 
I ricercatori hanno dimostrato che all'inizio della fase puberale il carico replicativo delle cellule germinali maschili è maggiore di quanto finora stimato: 150 divisioni cellulari (invece delle 30 attese) contro le 22 di quelle nella femmina.
Anche qui la conclusione che emerge è ovvia, cioè il maschio adolescente è di per sé più a rischio  (per il numero di mutazioni potenzialmente trasmessibili allo zigote) di quanto lo sia la madre adolescente. Un rischio maggiore derivante dal maggior carico mitotico delle cellule progenitrici.

E' necessario tuttavia pesare l'impatto che una mutazione ha sulla fitness della cellula germinale alterata, diverso nei maschi e nelle femmine. Le cellule maschili sono sottoposte ad una maggiore pressione selettiva nelle fasi immediatamente precedenti la fecondazione di un oocita. Una vera e propria "corsa ad ostacoli" che di fatto screma gran parte delle mutazioni dannose per la fisiologia cellulare (o semplicemente che rendono la cellula meno performante).
Pur tenendo in considerazione questo aspetto, se si misura il tasso di mutazione nelle cellule maschili (6 volte superiore) e lo si somma al maggior numero di divisioni cellulari allora il fattore rischio torna a pendere verso il maschio.
Dato che non parliamo "solo" di numero complessivo di mutazioni ma di tasso di mutazione, la domanda chiave è per quale motivo  il tasso sia maggiore nei maschi adolescenti è ignoto. Al momento ci sono solo ipotesi, tra cui quella che forse il numero di divisioni cellulari maschili è maggiore di quanto stimato (e questo modifica la stima del tasso reale) oppure che i meccanismi di correzione degli di errori di copiatura sia per qualche motivo meno efficiente durante la pubertà.
Qualunque sia la ragione, il dato che emerge è che le cellule spermatiche degli adolescenti hanno frequenze di mutazione superiori del 30% a quelle dei ventenni, paragonabili a quelle di uomini intorno ai quarant'anni. 

Lo studio, condotto su oltre 24 mila soggetti tra genitori e figli (ovviamente biologici) di diversa origine geografica ed età, ha monitorato la comparsa di mutazioni in regioni del DNA note come microsatelliti, sequenze ripetitive di DNA che non essendo codificanti non sono soggette ad una selezione funzionale della cellula e quindi mostrano il dato grezzo del tasso di mutazione

E' importante sottolineare che l'aumentata frequenza di mutazioni NON si traduce linearmente in una aumentato fattore di rischio, dato che per essere potenzialmente rischiosa la mutazione deve colpire regioni importanti del gene (codificanti o regolatorie).

In conclusione la stima del rischio per la progenie di un padre adolescente è circa il 2% contro l'1,5% di un ventenne.

Come bonus dell'articolo un bel video (200 frame al secondo) che mostra il movimento di uno spermatozoo all'interno di un struttura che mima l'apparato genitale femminile. Solo le cellule spermatiche migliori riescono ad arrivare alla metà. Un esempio della selezione che elimina molte delle cellule mutate.

Credit: "Female reproductive tract assists swimming sperm" - Cornell University



Il campo di studio è tuttavia lungi dall'essere compreso nei dettagli a causa del numero di variabili coinvolte. Lo dimostra uno studio condotto dalla Georgetown University in cui vengono sottolineati i fattori di rischio associati ad un padre "maturo"; ne parlerò più dettaglio nel prossimo articolo.


Fonte
- Elevated germline mutation rate in teenage fathers
 Peter Forster et al, (2015) Proceedings of the Royal Society B

Fruttosio e Alzheimer. Nesso causale conseguenza dell'evoluzione o pura coincidenza?

Uno studio, pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition da un team dell'Università del Colorado, solleva il quesito se un eccesso di fruttosio cerebrale (sia endogeno che da dieta), noto per poter causare un locale stato infiammatorio, abbia un ruolo nell'insorgere del morbo di Alzheimer a causa dello spegnimento parziale di alcuni circuiti neurali, non utili in attività come accumulare cibo per l'inverno.

Il comportamento degli animali che vivono attraverso stagioni di abbondanza e scarsità, è volto (o meglio, si è evoluto per) ad assicurare cibo anche per gli imminenti periodi di scarsità del cibo. Lo stesso è avvenuto con i primi esemplari del genere Homo che, specie dopo essersi avventurati in aree con variazioni stagionali sia climatiche che di disponibilità del cibo, hanno dovuto evolvere comportamenti preventivi atti a creare scorte e a massimizzare lo sfruttamento delle risorse disponibili per un tempo limitato. Attività quali l'accumulo per tempi grami non è qualcosa di spontaneo ma necessita una ricalibrazione dei sistemi di controllo del comportamento tale per cui una attività spontanea come hic et nunc ("c'è cibo quindi lo mangio visto che ho un leggero languorino") viene "bloccata" in funzione di raccolta e stoccaggio" mentre consumo avidamente quello che non posso conservare (frutta, etc).

Attività come provvedere al foraggio (in senso generale) richiede attenzione (allo scopo), valutazione, comportamento esplorativo, assunzione di rischi e spegnimento di esigenze finalizzate alla soddisfazione immediata. Lo studio qui riportato dimostra che il metabolismo del fruttosio (sia esso  esogeno, cioè assunto con la dieta, che prodotto dall'organismo) e il suo principale metabolita (acido urico) aiuta a smorzare alcuni circuiti neurali che entrerebbero in conflitto con le esigenze di pianificazione, consentendo una maggiore concentrazione nelle attività di raccolta del cibo.

I ricercatori hanno notato che il fruttosio diminuisce il flusso sanguigno nella corteccia cerebrale (sede dell'autocontrollo) così come nell'ippocampo (memoria) e talamo (centrale di controllo), mentre aumenta nella corteccia visiva e nelle vie della "ricompensa" associata al cibo.

L'ipotesi è che la alterazione fruttosio-dipendente del metabolismo cerebrale sia inizialmente reversibile ma il suo persistere (come ad esempio una dieta moderna ricca tutto l'anno di fruttosio, grassi e altri zuccheri) possa portare alla progressiva atrofia cerebrale e alla perdita di neuroni, tipica della AD. 
Un adattamento (detto anche survival switch) che ha permesso a innumerevoli generazioni di Homo di prepararsi e superare periodi di scarsità, è diventato, ora che l'interruttore è sempre attivato, un fattore di  rischio.

Il fruttosio prodotto nel cervello può portare all'infiammazione (vedi articoli citati sotto) e, secondo lo studio, al morbo di Alzheimer. Studi classici hanno dimostrato come una dieta ricca di fruttosio ad animali di laboratorio induca vuoti di memoria, perdita della capacità di navigare in un labirinto e infiammazione cerebrale. Se si alimentano i ratti da laboratorio abbastanza a lungo con fruttosio, si osserva la comparsa di aggregati cerebrali costituiti da proteine tau e beta-amiloide, le stesse proteine osservate nell'AD. 
Meno convincente invero l'ipotesi dei ricercatori che la tendenza dei malati a vagare senza meta sia vestigiale della attività di ricerca del cibo. 
I prossimi studi dovranno indagare se la dieta o trattamenti farmacologici atti a bloccare il metabolismo del fruttosio possano avere una qualche funzione protettiva contro la malattia.

Fonte
- Could Alzheimer’s disease be a maladaptation of an evolutionary survival pathway mediated by intracerebral fructose and uric acid metabolism?
Richard J. Johnson et al. (2023) American Journal of Clinical Nutrition


Articoli sul tema FRUTTOSIO precedentemente pubblicati in questo blog, qui copiati per comodità. 


Anche il cervello produce fruttosio
(Luglio 2017)

A volte i nomi "amichevoli" traggono in inganno rinforzando l'associazione tra una molecola e un prodotto naturale "buono".
Fruttosio
Un esempio classico è quello del fruttosio, uno tra gli zuccheri più abbondanti nella frutta, e per questo motivo spesso preferito, insieme al miele, al posto del saccarosio, lo zucchero "comune".
Fin qui niente di male, purché (ma questo vale per tutto) il prodotto venga usato in modo quantitativamente "intelligente".

Il problema sorge con l'accoppiata "percezione di minor danno in quanto presente nella frutta" e l'intensivo uso che l'industria alimentare fa di questo zucchero (sotto forma di sciroppo di mais); il risultato netto è un incremento del suo consumo reale. Se a questo aggiungiamo il fatto che il fruttosio è da tempo indiziato di essere uno tra i responsabili dell'aumentata incidenza di obesità e diabete di tipo 2, allora le ragioni per considerarlo un "falso amico" ci sono tutte.

Come detto il fruttosio non è un prodotto cattivo di suo ma presenta caratteristiche che possono facilmente diventare negative in certe situazioni.
  • Ha un elevato potere dolcificante (tre volte superiore a quello del saccarosio) il che teoricamente dovrebbe spingere il consumatore ad usarne di meno. Vero però che una volta "cotto" (come avviene nelle preparazioni industriali) il suo potere dolcificante diminuisce, quindi il consumo reale aumenta e con esso il carico glicemico (soprattutto grazie al numero di prodotti che contengono fruttosio). 
  • Ha un basso indice glicemico (il che è buono) che si accompagna ad una sostanziale incapacità di attivare la produzione di insulina, al contrario del glucosio. D'altra parte, sebbene sia in grado di stimolare la sintesi dei lipidi (vedi sotto) non ha alcun effetto sulla produzione della leptina, l'ormone della sazietà, aumentando così il rischio di mangiare più del dovuto
  • Tra le ragioni del basso indice glicemico vi è il suo scarso assorbimento da parte dell'intestino, assorbimento dipendente da un trasportatore (GLUT5) diverso  da quello usato dalle cellule per il glucosio. Dato che il fruttosio viene assorbito lentamente e in modo variabile (alcuni individui hanno deficit di GLUT5), il suo accumulo intestinale favorisce il metabolismo batterico locale con disturbi facilmente immaginabili. 
  • A differenza del glucosio, metabolizzabile da ogni cellula, il fruttosio è usato principalmente dal fegato che lo stabilizza sotto forma di glicogeno, previa conversione in glucosio, pronto per essere mobilizzato in caso di bisogno. In condizioni normali il fruttosio viene convertito per la maggior parte in glucosio (54%), glicogeno (18%), lattato (15%) e meno dell'1% in trigliceridi. Di questi solo il glucosio e il lattato fungono da "combustibile" usato dalle altre cellule del corpo. Se c'è troppo fruttosio, la capacità trasformativa del fegato viene saturata e quello in eccesso viene trasformato in grasso, soprattutto nei soggetti con ipertrigliceridemia e diabete, innescando così problemi a cascata.
  • In condizioni normali la quantità di fruttosio assunta è ben al di sotto della soglia di rischio. Vale la pena ricordare però che se per assumere 50 grammi di fruttosio servono 5 mele (difficile che qualcuno ne mangi così tante in una volta sola... senza danni), la stessa quantità si ottiene bevendo qualche bicchiere di succo di frutta. Quindi i "limiti naturali" che ben funzionavano in passato sono oggi inefficaci, specialmente con la dieta estiva.

Nel 2013 un team di ricercatori della università di Yale notò che il fruttosio e il glucosio avevano un diverso effetto sul cervello; non solo il fruttosio appariva meno capace di stimolare la sazietà ma aveva l'effetto opposto. I test dell'epoca tuttavia non permisero di capire se l'effetto del fruttosio fosse diretto o mediato da derivati del suo metabolismo.

La risposta arriva oggi con un articolo pubblicato sulla rivista JCI Insight.
I test sono stati condotti su volontari sani a cui è stato somministrato glucosio per 4 ore, misurando poi la concentrazione dello zucchero nel sangue e nel cervello (mediante risonanza magnetica). La scoperta in un certo senso sorprendente fu che l'infusione di glucosio provocava un aumento di fruttosio nel cervello ma non nel sangue, ad indicare che il fruttosio cerebrale non era il prodotto della conversione epatica. L'ipotesi più probabile è che la conversione  avviene a livello cerebrale mediante la via dei poioli (anche nota come via del sorbitolo e aldosio reduttasi) che trasforma il glucosio in sorbitolo e poi in fruttosio.


Tra le considerazioni che questo studio innesca, quella che il livello di fruttosio (almeno nel cervello) non è semplicemente una conseguenza del fruttosio ingerito ma è (anche) il prodotto ultimo della conversione da altri zuccheri. Il problema in tutto questo è che mentre in presenza di glucosio viene attivato lo stimolo di sazietà, con il fruttosio questo non avviene. La scoperta potrebbe spiegare perché un aumento nella quantità di zuccheri ematici non solo non si traduce sempre in una diminuita voglia di cibo ma anzi possa avvenire il contrario.
Limitare l'assunzione di fruttosio servirebbe quindi a poco se si è soliti indulgere in altri zuccheri dato che questi verrebbero poi convertiti in fruttosio.
Il dato è utile prospettivamente per pensare a terapie mirate per contrastare, nei soggetti a rischio, l'aumento del fruttosio a livello cerebrale

Fonte
- Effects of fructose vs glucose on regional cerebral blood flow in brain regions involved with appetite and reward pathways.
Page KA et al. (2013) JAMA; 309(1):63-70

- The human brain produces fructose from glucose.
Hwang JJ et al, (2017) JCI Insight


***

Il fruttosio agisce sul cervello favorendo una alimentazione eccessiva
(Luglio 2013)

Ho trattato in passato il tema controverso del fruttosio. Controverso perchè se da una parte l'essere il fruttosio lo zucchero più abbondante della frutta e del miele lo ha di fatto semplicisticamente associato alle proprietà della frutta, dall'altro è da tempo sotto la lente d'ingrandimento dei ricercatori che lo additano a principale responsabile dell'obesità e delle malattie correlate.
Facciamo un passo indietro e riassumiamo alcuni concetti base.
  • Il fruttosio è insieme al glucosio il monosaccaride più "usato" dal nostro organismo.
  • Mentre il glucosio è spesso inglobato in molecole a diverso grado di complessità (ad esempio nel saccarosio, amido, glicogeno, etc) e quindi deve essere reso disponibile per scissione enzimatica, il fruttosio è pronto per essere usato.
  • Il fruttosio grazie al suo elevato potere dolcificante è ampiamente usato nella industria alimentare  (sotto forma di High Fructose Corn Syrup). E' inoltre uno zucchero "di moda" (lo potete vedere spesso sui banconi dei bar) visto il minore apporto calorico e il minore indice glicemico. 
L'insieme di questi fattori ha determinato una impennata dei consumi negli ultimi anni, soprattutto in USA, con conseguenze rilevanti sulla percentuale di obesi nella popolazione.
    Alcuni dati recenti aiutano a comprendere come e perchè l'organismo "percepisca" in modo diverso il glucosio e il fruttosio. Elementi questi che come vedremo hanno diretta influenza sull'aumento di peso.
    L'articolo a cui farò riferimento oggi è stato pubblicato sul Journal of American Medical Association da una equipe della Yale School of Medicine. Il dato centrale del lavoro è che mentre il glucosio inibisce l'attività cerebrale delle regioni coinvolte nel desiderio di cibo, il fruttosio è meno "bravo" in questo processo. In termini semplici il primo rende sazi più facilmente del secondo.

    Robert Sherwin, uno degli autori, ha analizzato mediante la tecnica non invasiva della risonanza magnetica funzionale, il cervello di volontari sani non obesi allo scopo di valutare i cambiamenti nel flusso sanguigno cerebrale in seguito all'ingestione di  glucosio o fruttosio. Da queste analisi è emerso che mentre il glucosio diminuiva il flusso sanguigno nelle regioni cerebrali deputate alla regolazione dell'appetito, il fruttosio non aveva effetti rilevanti. Stesso dicasi per la regolazione della sensazione di soddisfazione e di sazietà.
    Entrando un poco più nello specifico, il glucosio riduce l'attivazione dell'ipotalamo, della insula e dello striato, regioni queste coinvolte nella regolazione dell'appetito, della motivazione e nei meccanismi di reward (appagamento/ricompensa). L'aumento dei livelli di glucosio ematico attiva le connessioni ipotalamo-striatali, generando gli effetti prima citati.

    Una dieta ricca di fruttosio (soprattutto in forma "libera" cioè privo dei molteplici nutrienti presenti nella frutta) favorisce una maggiore ingestione di calorie a causa del ridotto senso di sazietà indotta. Un processo che in qualche sembra anche favorire il fenomeno della l'insulino-resistenza; una condizione tipica del diabete di tipo II.

    Fonti
    Study suggests effect of fructose on brain may promote overeating
      Yale University, news

    Effects of Fructose vs Glucose on Regional Cerebral Blood Flow in Brain Regions Involved With   Appetite and Reward Pathways
     K.A. Page et al, JAMA. 2013;309(1):63-70


    ***aggiornamento gennaio 2016***

    Uno studio condotto su ratti pubblicato da un team della UCLA evidenzia che una dieta ricca di fruttosio rende problematico il recupero cognitivo successivo a traumi cranici. 

    Fonte
    Dietary fructose aggravates the pathobiology of traumatic brain injury by influencing energy homeostasis and plasticity
    R. Agrawal et al, J Cereb Blood Flow Metab, (2015) 



    ***


     Troppo fruttosio e poco omega 3 fanno male alla memoria
    (Dicembre 2012)
    Un articolo pubblicato su Journal of Physiology da Fernando Gomez-Pinilla (David Geffen School of Medicine presso la UCLA) fornisce nuove prove sugli effetti non salutari del fruttosio.

    Il fruttosio uno degli zuccheri più presenti nella frutta e nel miele rappresenta il lato oscuro di una alimentazione apparentemente salutista quale quella di chi mangia molta frutta.
    Non solo. Oramai il fruttosio viene usato abbondantemente in molte preparazione alimentari e bibite grazie al suo alto potere dolcificante. Inoltre mentre l'azione negativa del fruttosio nella frutta viene, in parte, bilanciata dagli antiossidanti presenti in alcuni tipi di frutta, tale bilanciamento manca quando si parla del fruttosio usato come additivo alimentare. 
    Il suo uso tuttavia passa in secondo piano visto che la moda alimentare insegna a distinguere fra eccipienti naturali ed artificiali. Quante volte infatti troviamo al bar le bustine di fruttosio ("totalmente naturale") da accompagnare al caffè?
    Il fruttosio è certamente naturale ma ha anche una azione chiaramente più dannosa di altri edulcoranti artificiali viste le quantità relative associate.

    Perchè il fruttosio fa male?  
    Fino ad ora la spiegazione era che lo zucchero della frutta fosse la causa di diabete, obesità e del fegato grasso (steatosi epatica). Sebbene il fruttosio abbia un indice glicemico inferiore rispetto al saccarosio, viene facilmente convertito in glucosio, nel fegato e nell'intestino, e inoltre induce un innalzamento dei trigliceridi. Questo e altri meccanismi fanno si che l'assunzione protratta di fruttosio sia causa di ipertrigliceridemia e iperuricemia, obesità, stress ossidativo, danni microvascolari e ipertensione.
    Questi i danni acclarati. Finora. Ma, come dicevo, c'è dell'altro.
    Lo studio di Gomez-Pinilla mostra che una dieta costantemente ricca di fruttosio "rallenta" il funzionamento del cervello agendo sulla memoria e sull'apprendimento. Un danno che tuttavia può essere evitato grazie ad un "grasso": l'omega-3.
    Una sorta di ribaltamento: un grasso che protegge dagli effetti dannosi di un eccesso di frutta e di zuccheri derivati!!

    Riassumiamo dunque i risultati sperimentali. 
    A due gruppi di ratti viene data per 6 settimane acqua zuccherata con fruttosio. Ad un gruppo viene aggiunto alla soluzione anche omega-3, sotto forma di acido docosaesanoico (DHA) e olio di lino, che ha una rinomata azione neuroprotettiva.
    Alla fine del periodo i ratti sono stati analizzati in quanto a capacità mnemoniche attraverso il test del labirinto (T-Maze test). E' ben noto che i ratti messi in un ambiente nuovo inizieranno ad esplorarlo e ne memorizzeranno i punti chiave; una capacità che permette loro di imparare, attraverso un processo di errore e apprendimento, a trovare la strada per uscire da un labirinto semplificato. Il labirinto è contrassegnato di segnali visivi in modo da facilitare il roditore nel ricordare i punti già visitati.
    Bene. Si è scoperto che i ratti appartenenti al secondo gruppo erano in grado di attraversa il labirinto più velocemente dei roditori del primo gruppo.
    Analisi successive hanno evidenziato che i ratti che non avevano ricevuto il DHA erano più lenti ed il loro cervello mostrava una ridotta funzionalità sinaptica. Per essere più precisi le cellule cerebrali erano meno in grado di comunicare fra loro e questo si traduceva in una minore "lucidità" nella elaborazione dei dati visivi necessaria per ricordare la strada fatta precedentemente.
    Come se non bastasse i ratti del primo gruppo (che non avevano ricevuto DHA) mostravano sintomi di resistenza alla insulina, un ormone che oltre a favorire l'assorbimento di glucosio ematico da parte delle cellule regola anche la funzionalità sinaptica nel cervello.  
    Riassumendo, una dieta ricca di fruttosio può bloccare la capacità dell'insulina di regolare l'utilizzo corretto (immagazzinamento e produzione di energia) del glucosio ematico, e questo si ripercuote sui meccanismi cerebrali superiori (memoria e apprendimento).  

    Gomez-Pinilla, da bravo scienziato ha messo subito in pratica gli insegnamenti derivanti  dalle sue scoperte e suggerisce di fare come lui :
    • limitare al massimo il consumo di fruttosio (soprattutto nei suoi usi più nascosti come ecciente) 
    • sostituire gli spuntini classici con bacche e yogurt greco (di cui ha una scorta anche sul lavoro). 
    • Nel caso sia disponibile non disdegna una bella barretta di cioccolato fondente (dall'80% in su meglio se amaro).
    • Se poi proprio appartenete al gruppo di persone che non trattenersi da limitare l'uso sacrosanto di frutta (e via anche di un po di dolciumi) allora complementate la vostra dieta con alimenti ricchi di omega-3 come salmone, noci, alcuni oli vegetali (esempio di lino) oppure una pastiglia di DHA (1 grammo al giorno). 

    Fonti
    Does too much sugar make for lost memories? 
    (A. Stefanidis, M. J. Watt, Journal of Physiology, qui)
    Metabolic syndrome' in the brain: deficiency in omega-3 fatty acid exacerbates dysfunctions in insulin receptor signalling and cognition
    (Rahul Agrawal e Fernando Gomez-Pinilla, Journal of Physiology, qui)


    ***

    Il fruttosio è sotto inchiesta
    (Febbraio 2012)

    Il fruttosio, lo zucchero della frutta, potrebbe essere coinvolto nello sviluppo di patologie metaboliche quali l'obesità ed il diabete. Questo almeno è quanto emerge dal lavoro del gruppo di Kyriazis pubblicato sull'ultimo numero di PNAS.  
    Fino ad ora i dati indicavano il glucosio, uno dei due monosaccaridi derivati dalla scissione del saccarosio, come il principale attivatore delle cellule beta nel pancreas. Queste cellule stimolate rilasciano insulina, una proteina che ha come effetto principale quello di favorire l'assorbimento del glucosio da parte delle cellule. Quando il meccanismo di rilevazione e di segnalazione della presenza di glucosio ematico funziona male compare il diabete: di tipo I se il difetto è nella produzione dell'insulina; di tipo II se sono le cellule bersaglio a divenire insensibili all'insulina. 
    Bene.
    Consideriamo ora l'altro prodotto della scissione del saccarosio: il fruttosio. Fino ad oggi la vulgata comune lo considerava come "genuino e sano in quanto lo zucchero della frutta". 
    Vero. 
    Ma oggi dobbiamo aggiungere un tassello. Anche il fruttosio è in grado di attivare le cellule beta attraverso il recettore eterodimerico TIR2-TIR3, sinergizzando l'effetto del glucosio nello stimolare le cellule a rilasciare l'insulina.
    Tralasciando il meccanismo molecolare alla base di questo effetto rinforzante, il dato importante di questo studio è che una dieta ricca di frutta potrebbe favorire l'insorgernza di alcune malattie metaboliche.
    Quando si dice "il troppo fa male"

    Articolo di riferimento
    Sweet taste receptor signaling in beta cells mediates fructose-induced potentiation of glucose-stimulated insulin secretion
    GA Kyriazis et al.  Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 109, 10.1073 (2012)


    Voyager 2 funzionerà almeno fino al 2026

    Quando scrissi l’articolo sulla uscita dei due Voyager dal sistema solare pensavo fosse il capitolo finale di una avventura durata (ad oggi) 45 anni. In fondo una volta usciti dalla eliosfera, con poca energia rimasta e “nessun incontro ravvicinato” previsto (fatto salvo qualche membro fuggito dalla nube di Oort o, per miracolo, il fantomatico pianeta 9) non ci sarebbe stato molto da aggiungere alla già raggiunta gloria.
    Credit: NASA
    Invece eccoci qui con una notizia arrivata qualche giorno dal JPL di un “miracolo” tecnico compiuto dagli ingegneri che hanno trovato il modo per usare l’energia rimasta per tenere attivi gli strumenti almeno fino al 2026.
    In una rotta che porta sempre più lontano dal Sole si sapeva già in fase di progettazione che l’energia non avrebbe potuto essere ricavata da pannelli solari ma si doveva sfruttare una batteria "atomica” (più precisamente dei generatori termoelettrici a radioisotopi di plutonio) che non è eterna e il suo esaurimento avrebbe richiesto (per preservare almeno la capacità di inviare messaggi) lo spegnimento di uno strumento scientifico, in aggiunta ai vari sottosistemi spenti nel corso degli anni. 

    La soluzione escogitata si è focalizzata sul sistema di backup per stabilizzare la tensione della corrente che alimenta i rilevatori così da proteggerli da sbalzi improvvisi. Si è optato per utilizzare questa potenza addizionale per alimentare gli strumenti scientifici anziché lo stabilizzatore.

    Voyager 1 non ha per ora queste necessità (anche se in futuro potrebbe seguire la strada del fratello) in quanto perse uno dei suoi strumenti scientifici nelle prime fasi della missione, quindi meno energivoro.

    Il miracolo di queste sonde è che furono progettate per una missione di quattro anni, il tempo sufficiente per avvicinare Giove e Saturno. Solo in seguito, dato l’allineamento dei pianeti che si ripete solo ogni 175 anni, si sfruttò questa finestra temporale per inviare Voyager 2 verso Urano e Nettuno. La sonda Voyager 1 avrebbe nei piani dovuto raggiungere Plutone ma si preferì inviarla su una rotta che intersecasse Titano, una delle lune di Saturno. Plutone ricevette infine la tanto attesa visita dalla sonda New Horizon nel 2015.



    *** 04/05/2021 *** 

     La sonda Voyager 1, distante oramai 152 UA, ha registrato la vibrazione di fondo del gas interstellare



    *** I dati inviati da Voyager 2 dopo avere attraversato il confine del sistema solare *** 
    (04/11/2020)

    Quando tutti davano per defunta Voyager 2 dopo la sua uscita "ufficiale" dal sistema solare (--> "Il viaggio di Voyager 2") ecco arrivare dallo spazio profondo un suo messaggio (del tipo "tutto ok"). 

    Notevole se si pensa che è in viaggio da 43 anni (il lancio risale al 20 agosto 1977), con la missione di studiare la parte esterna del Sistema Solare. Il messaggio, risalente a fine ottobre, è stato captato dall'antenna radio terrestre Dss43 (Deep Space Station 43), sita in Australia. 

    Credit: NASA 
    Con i suoi 70 metri di diametro, le periodiche manutenzioni e i recentissimi aggiornamenti, la pur datata Dss43 continua a svolgere il suo lavoro, in concerto con altre antenne della rete NASA site in California e vicino a Madrid.

    E' stato proprio al termine di uno di questi aggiornamenti che i tecnici hanno testato la funzionalità dell'antenna inviando una stringa di comandi a Voyager 2, che dopo qualche ora (ci vogliono 16 ore per raggiungerla) ha risposto di averli eseguiti correttamente. 

    Chissà mai che uno dei prossimi messaggi che riceveremo da Voyager sia riferito al fantomatico Planet 9 (no, NON si tratta della storpiatura del titolo del film di Ed Wood "Plan 9 from outer space") che verosimilmente non esiste; una delle ipotesi alternative atte a spiegare l'effetto gravitazionale sui pianeti esterni è che sia dovuto ad una miriade di piccoli planetoidi nella zona nota come Nube di Oort. 


    Per sapere dove si trova Voyager in tempo reale --> NASA/mission status



    Quale è la fonte d'energia per comunicare e fare rilevazioni ad una tale distanza da qualunque sorgente luminosa?
    Entrambe le sonde Voyager sono dotate di generatori  plutonio-238 MHW RTG (Multi-Hundred Watt Radioisotope Thermoelectric Generators) che forniscono tutta l'alimentazione necessaria.
    Ciascuna sonda ha tre di questi generatori. Ogni RTG fornisce circa 157 watt (quando è nuovo di zecca) il che significa per i primi anni di viaggio poteva contare su circa 470 watt di potenza.
    Il lancio è avvenuto nel 1975 e da allora il plutonio (con un tempo di dimezzamento di 88 anni si è consumato solo in minima parte).
    Il fattore limitante non è quindi il plutonio ma le termocoppie di silicio-germanio che trasformano questa energia in corrente elettrica utilizzabile dalla sonda. Il loro problema è che essendo esposte direttamente al flusso di neutroni proveniente dal decadimento del plutonio si danneggiano e questo spiega come mai a soli 40 anni dal lancio la potenza residua sia scesa al 25% di quella originale. L'energia residua è appena sufficiente per mantenere accesi i riscaldatori della navicella e inviare ancora un segnale da 19 watt alla Terra e fare poche altre rilevazioni.


    *** 8/11/2019 ***

    È passato circa un anno da quando Voyager 2 ha varcato i confini del sistema solare nel suo moto senza fine all'interno della galassia. Un passaggio anticipato qualche anno prima da Voyager 1; sebbene lanciati a poche settimane di distanza l'una dall'altra nel 1977 le due sonde hanno seguito rotte diverse, da qui l'ampio sfasamento temporale.
    Voyager 2 (credit: universetoday.com)
    Articoli precedenti sull'uscita dal sistema solare di --> Voyage 1 (2013) e --> Voyager 2 (2018). La mappa delle rispettive traietttorie viste da Terra sono disponibili --> Voyager 1 e --> Voyager 2.
    E' di pochi giorni fa la pubblicazione di una serie di articoli sulla rivista Nature Astronomy in cui sono riportati i dati raccolti durante il passaggio in questo invisibile confine. I dati arrivano solo ora sia perché è stato necessario attendere il loro arrivo sulla Terra (19 ore circa) e soprattutto elaborarli ed analizzarli (mesi di lavoro). Inoltre lo strumento preposto, Plasma Science Experiment, ha funzionato correttamente solo su Voyager 2 (la versione montata su Voyager 1 ha smesso di funzionare ben prima del previsto)

    La prima cosa che emerge è che l'uscita di Voyager 2 è stata molto più "pulita" rispetto alla gemella Voyager 1.
    L'uscita di Voyager 2 è avvenuta "ufficialmente" il 5 novembre 2018 quando lo strumento registrò una improvvisa riduzione delle particelle del "vento solare" (provenienti quindi dall'interno, cioè dal Sole) e un aumento parallelo di quelle associate ai raggi cosmici (provenienti da fuori, dalla galassia) e del campo magnetico interstellare.
    credit: NASA via space.com

    Nel loro insieme, questi dati indicavano che la navicella spaziale era passata oltre la "sfera" d'influenza del nostro sole, un confine noto come eliopausa.
    Nota. L'eliopausa ha una definizione vaga del tipo il punto di inizio dello spazio interstellare. E' anche definita come il limite esterno della eliosfera.
    Le due Voyager sono le prime e uniche, al momento, macchine costruite dall'uomo ad aver raggiunto lo spazio interstellare.
    Sebbene in punti diversi (la distanza è di circa 165 UA), il traversamento dell'eliopausa è avvenuto a distanze dal Sole tutto sommato simili (su scala del sistema solare, ovviamente): 121,6 UA per Voyager 1 e 119 UA per Voyager 2 (ricordo che UA sta unità astronomica ed è la distanza media della Terra dal sole -->"Definito il valore esatto di 1UA" ). Grande differenza invece nel tempo necessario per traversare questo confine: 28 giorni per Voyager 1 meno di 1 giorno per Voyager 2.

    La ragione non è ben compresa ma sembra che Voyager 1 sia stato l'unico ad avere incontrato una cosiddetta regione di stagnazione, ampia 8,6 UA, una zona cioè dove il movimento del plasma attorno al veicolo spaziale è quasi nullo (un dato ricavato da altri strumenti a bordo visto che, come detto, il Plasma explorer era rotto). Voyager 2 non ha incontrato nulla di simile ma una regione definita di transizione in cui il flusso di plasma (alias gas ionizzato) proveniente dal sole inizia a cambiare in forza e direzione fino a che incontra uno "strato limite" in cui i flussi provenienti dall'esterno aumentano fino al culmine dell'eliopausa.
    La ragione di questa differenza (nelle regioni incontrate) non è chiara. Potrebbe essere conseguenza di una riduzione dell'attività solare (il ciclo solare dura 11 anni) per cui quando Voyager 2 si avvicinava al confine l'eliopausa si stava muoveva verso l'interno.

    Interessante il fatto che le distanze di uscita delle due sonde siano mappabili a distanze simili (nonostante la distanza tra esse), pur in presenza di livelli significativamente diversi di attività solare. Il che fa sorgere interrogativi sulla possibile struttura dell'eliosfera: una "bolla" sferica o qualcosa di più simile ad una cometa, con una coda che si estende all'indietro indietro a causa del movimento del sole attraverso la galassia?
    Interrogativi a cui si spera potranno contribuire le nostre due viaggiatrici, la cui attività è prevista durare ancora per un altro decennio.

    ***Aggiornamento giugno 2020***
    Grazie all'utilizzo dei dati ottenuti dalla sonda IBEX della NASA durante un intero ciclo solare, si è potuto studiare come varia l'eliosfera nel tempo.
    Il ciclo solare dura circa 11 anni, durante il quale il Sole alterna fasi di bassa ed alta attività. I ricercatori erano curiosi di capire come queste variazioni si ripercuotessero ai confini del sistema solare. I risultati mostrano in grande dettaglio le variazioni della parte esterna dell'eliosfera esterna.
    I dati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Supplements il 10 giugno 2020.
    Di seguito un video riassuntivo creato da NASA/Goddard

    Link diretto al video su -->youtube


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    Fonti

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    Clive S. Lewis

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