CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

La tecnologia che permette di mostrare in 3D cellule funzionalmente diverse in un tessuto

L'articolo odierno è un poco specialistico ma cercherò di semplificarlo al massimo in modo che arrivi a tutti la potenza intrinseca al metodo descritto.
Parlo di biologia molecolare e di una tecnica pubblicata poche settimane fa, nota come SLIDE-SEQ, con la quale è possibile ricostruire l'identità e la posizione di ogni singola cellula in un tessuto.
Nota. La SLIDE-SEQ è una variante della tecnica nota come RNA-SEQ.
I passaggi della RNA-SEQ (Malachi Griffith et al, via wikipedia)

Gli organi (i.e. il polmone) sono fatti da molti tipi di tessuto (epiteliale, connettivo, …) e ciascun tessuto da una molteplicità di cellule, la cui varietà differisce molto a seconda del tessuto preso in esame.
L'analisi al microscopio ottico, grazie all'utilizzo di opportune colorazioni e alla morfologia cellulare, permette un certo grado di riconoscibilità e qui entra in gioco l'esperienza dell'istopatologo capace di riconoscere la tipologia cellulare ed eventuali anomalie strutturali del tessuto.
Quando da un insieme tutto sommato "semplice" come quello del polmone si passa al cervello la complessità cresce in modo esponenziale sia per l'aumento sia della tipologia di cellule che della organizzazione 3D e della rete di connessioni, con variazioni importanti anche tra aree distanti meno di 1 cm. In questo ambito non è importante distinguere solo un neurone da un astrocita (tralasciando le pur importanti cellule che delimitano i vasi sanguigni) ma è fondamentale capire la tipologia del neurone, ad esempio un neurone dopaminergico da uno che libera GABA. Anche qui la morfologia aiuta (vedere i bellissimi neuroni cerebellari del Purkinje, tipicamente GABAergici, presenti nel cervelletto), altre volte la identificazione visiva è quantomeno improba.
Cellule del Purkinje (credit: BrainsRusDC via wikipedia)
Negli ultimi anni le tecniche si sono affinate a tal punto da permettere di identificare una cellula in base al tipo di espressione genica, riconducibile al tipo di RNA messaggeri prodotti. La identificazione quali-quantitativa del tipo di mRNA presenti si basa su tecniche come retrotrascrizione (RNA come stampo per generare DNA) e sequenziamento, il cui risultato è una "impronta digitale" di una cellula in un dato stadio di maturazione. 
Parliamo di "impronte" risultato della valutazione di migliaia di messaggeri diversi, che a volte possono differire in modo sostanziale per la presenza/assenza di una o poche specie. Un lavoro che oggi è gestito "facilmente" grazie alla capacità elaborativa dei computer che definiscono un pattern di espressione analizzando in parallelo migliaia di campioni diversi provenienti (idealmente) da cellule singole
E' possibile associare gli RNA prodotti da una particolare cellula (e solo da quella) etichettando tutte queste molecole con un barcode nel momento in cui la cellula viene rotta in prossima di un "sensore" di RNA.
Ottenuta l'impronta "funzionale", questa viene comparata con quelle presenti in database relative a cellule già "catalogate", ottenendo così l'identificazione di quale cellula si trova in una data posizione.

Vediamo a grandi linee quello che hanno fatto i ricercatori del team di Evan Macosko i cui laboratori si trovano al Broad Institute (Cambridge, USA).
Nota. Gli stessi autori che qualche hanno fa avevano sviluppato un'altra tecnica molto interessante nota come DROP-SEQ.
Su un vetrino opportunamente trattato vengono posizionate migliaia di "beads" (palline sintetiche) ricoperte di piccoli e molteplici frammenti di DNA necessari per "catturare", appaiandosi, con l'RNA con cui vengono a contatto. Ciascuna pallina è diversa in quanto i frammenti di DNA sulla sua superificie sono univocamente "taggati" con un barcode, diverso in ciascuna pallina.
Le palline, fissate al vetro, hanno un diametro di circa 10 uM, di poco inferiore alla dimensione media di una cellula. Dimensione non casuale: ciascuna pallina interagirà con molta probabilità con una singola cellula.
Prima di iniziare l'esperimento la posizione di ciascuna pallina sul vetrino viene mappata così da avere una indicazione univoca della posizione di un dato segnale alla fine dell'esperimento.
L'esperimento vero e proprio inizia prelevando una piccola porzione del tessuto in esame, che ovviamente è tridimensionale, per affettarla (come farebbe un salumiere ma con "fettine" ampie pochi mm e spesse qualche micron). Ciascuna fettina viene prelevata e posizionata su singoli vetrini fino ad esaurimento del campione. Una volta a contatto con il vetro la cellula viene lisata in modo che il suo contenuto fuoriesca ed entri in contatto con le palline immediatamente adiacenti.
Dopo una serie di lavaggi si procede ad amplificare il numero di copie di RNA associati alle palline: per prima cosa le si "retro-trascrive" a formare DNA (complementare al RNA di partenza) e infine si amplificare il numero di frammenti in modo che possano essere facilmente quantificati.
Ricordo che ciascuno di questi frammenti si porta dietro un barcode unico, riconducibile alla pallina di origine, mappata all'inizio.
Visualizzazione dei passaggi chiave della tecnica. Posizionamento delle beads sul vetrino,
mappaggio, aggiunta sezione del tessuto, processamento del campione.
(Credit: Makosko Lab / sciencemag.org (
crop from original pict --> here)
Compiuta l'analisi per ciascuna delle migliaia di palline e per tutte le sezioni, le informazioni ricavate permetteranno di ricostruire una mappa 3D del tessuto di partenza con falsi colori (falsi perché il colore è semplicemente un identificativo del tipo di cellula) ma che rende bene l'idea di quali cellule si trovano in una data posizione.
Gli autori hanno testato la procedura sull'ippocampo una particolare area del cervello fondamentale per la formazione della memoria. Il risultato finale è nella GIF sottostante.
Le informazioni raccolte su ciascuna fettina di tessuto permette di ottenere una sorta di "GPS" funzionale dell'ippocampo
(credit. Macosko labs)

Se vi chiedete dove sia localizzato l'ippocampo (anzi "gli", essendo 2, uno per emisfero), vi do un aiuto visivo
credit: Life Science Databases(LSDB)

Se avete trovato interessante la tematica vi rimando a due articoli di questo blog in cui ho sommariamente descritto tecniche visivamente spettacolari come --> CLARITY e --> BRAINBOW



Fonti
Evan Macosko lab
- Slide-seq: A scalable technology for measuring genome-wide expression at high spatial resolution
Samuel G. Rodriques et al,  (2019) Science, Vol. 363, Issue 6434, pp. 1463-1467
- A GPS-like System for Single-Cell Analysis
Francis Collins blog (director of NIH)


Il transito di Mercurio davanti al Sole, in 4k

La notizia (e le foto) le ho inviate nei giorni scorsi attraverso Twitter: parlo del passaggio di Mercurio "davanti" (alias tra noi e) al Sole. Evento durato circa 5 ore che non si ripeterà prima del 2032.

Se le foto scattate a Washington DC erano belle, la vera chicca è il video in 4k del transito, regalatoci dalla NASA grazie alle foto scattate dal Solar Dynamics Observatory, il telescopio spaziale NASA per l’osservazione diretta del Sole, in funzione da quasi dieci anni.
Le riprese sono state effettuate a varie lunghezze d’onda per ottenere il maggior numero di "visioni" di questo passaggio.

Credit video: NASA’s Goddard Space Flight Center; 
Credit musica: Frosted Lace by Matthew Charles Gilbert Davidson

Per approfondimenti 



***aggiornamento 04/2020***
Nel 2018 è stata lanciata la sonda BepiColombo con lo scopo di studiare in dettaglio Mercurio da un orbita stabilizzata nel 2025. Il percorso di avvicinamento sarà graduale e sfrutterà il campo gravitazionale terrestre e venusiano per riuscire a raggiungere l'obiettivo.
Questa la traiettoria che seguirà la sonda






Due lune di Nettuno che fanno di tutto per non avvicinarsi troppo

Nettuno ha 14 lune ma due di queste, Naiadi e Talassa, hanno un orbita singolare, fortemente intrecciata dovuta ad un effetto di risonanza.
Una interazione che la NASA ha soprannominato "la danza dell'elusione" (dance of avoidance)
Credit: NASA-JPL/Caltech

Naiadi ruota attorno al pianeta ogni 7 ore, mentre Talassa, appena più esterno, ne impiega 7,5. 
Le loro orbite distano solo 1850 km ma le lune non arrivano mai troppo vicine arrivando ad un minimo di 3540 km. Un "mantenimento delle distanze" che si spiega con l'orbita fortemente inclinata di Naiadi che sembra procedere a zig-zag. 
Immaginando di trovarci su Talassa vedremmo la luna Naiadi salire e scendere due volte dall'alto e altrettante volte venendo da sotto l'orizzonte.

L'ipotesi è che tutto sia iniziato quando Nettuno catturò Tritone, quella che oggi è la sua luna più grande, causando interferenze gravitazionali che portarono alla distruzione di una o più lune preesistenti. Le lune interne attuali (a cui appartengono Naiadi e Talassa) e l'anello (non solo Saturno lo possiede) sarebbero quindi il risultato dell'aggregazione dei detriti provenienti dalle lune distrutte. Naiadi si sarebbe stabilizzata nel corso degli eoni lungo un orbita che appare come una continua fuga e rincorsa su Talassa.

Video credit: NASA/JPS youtube

Lo studio, pubblicato in anteprima su arXiv, si basa sui dati ottenuti tra il 1981 e il 2016 dal telescopio Hubble e dal Voyager 2 (che ha appena abbandonato il sistema solare --> QUI ).
L'articolo finale sarà pubblicato sulla rivista Icarus ad inizio 2020

Per saperne di più sulle lune di Nettuno vi rimando al sito
e al precedente articolo tematico

Fonte
Orbits and resonances of the regular moons of Neptune
Marina Brozović et al, ICARUS, Volume 338, 1 March 2020, 113462


Luca Parmitano, comandante della missione sulla Stazione Spaziale Internazionale

Luca Parmitano
Qualche giorno fa Luca Parmitano, che in questa missione ha il ruolo di comandante, ci ha regalato un bel selfie mentre si trovava all'esterno della ISS. 
Non una foto classica fatta durante una passeggiata spaziale ma durante un complesso lavoro di riparazione e manutenzione dello spettrometro Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02), fondamentale per l'attività di cattura e analisi delle particelle cosmiche nell'ambito dello studio della materia oscura. Lavoro durato circa 6 ore durante il quale Parmitano e il collega Andrew Morgan, hanno eseguito per la prima volta in orbita il taglio ed il ricollegamento delle linee di raffreddamento della stazione spaziale.
Credit: ESA e canale Twitter di Parmitano (@astro_luca)
Credit: ESA

Il lavoro in esterni è stato trasmesso in diretta streaming sul canale della NASA
Se non vedi lo stream --> youtube

Di seguito un riassunto video del lavoro svolto
Se non vedi il video --> youtube

La riparazione non è frutto di un malfunzionamento inatteso ma di una attività tesa a prolungare al massimo il funzionamento dello spettrometro che era stato pensato per durare 3 anni: installato sulla ISS nel 2011, dopo 8 anni è ancora attivo e questo ha convinto i tecnici della NASA a investire tempo (e denaro) per sviluppare nuove procedure e più di 20 strumenti personalizzati da associarvi.

Ad oggi l' AMS-02 ha permesso di individuare oltre 140 miliardi di particelle.

Per saperne di più sugli scopi e funzionamento degli spettrometri e dell'AMS-02 vi rimando ai seguenti testi di approfondimento:


Articoli precedenti sugli astronauti italiani

Foto relativa alla precedente missione di Parmitano (2013)

Un chip biodegradabile capace di rilasciare antidolorifici a richiesta

Combattere il dolore, specie quello cronico refrattario ai trattamenti e quello acuto post-operatorio, è uno dei principali target della ricerca biomedica.
Un problema quello del dolore intenso ben noto ai pazienti sottoposti ad impianto di una protesi ortopedica. Nel tentativo di controllare il dolore, i chirurghi iniettano antidolorifici nel tessuto già durante l'intervento. Quando l'effetto svanisce, in genere entro il secondo giorno, si inizia il trattamento con morfina (o suoi derivati) attraverso un catetere che si innesta vicino alla colonna vertebrale. Ovviamente i cateteri non sono particolarmente comodi e inoltre poco efficienti perché il farmaco diffonde in tutto il corpo andando ad agire su più distretti con la conseguenza di effetti collaterali.
Una possibile soluzione viene dal lavoro dei ricercatori del Microsystems Laboratory della svizzera EPFL che hanno sviluppato un prototipo di impianto biodegradabile in grado di rilasciare anestetico solo localmente, su richiesta, e per diversi giorni. In caso di successo il vantaggio sarebbe doppio: diminuzione del disagio post-operatorio dei pazienti ed eliminazione dell'intervento chirurgico per la rimozione del catetere. 
image: EPFL.ch
Il rilascio del farmaco è controllato da un piccolo circuito elettronico a forma di spirale biodegradabile, realizzato in magnesio, che si attiverebbe, scaldandosi, per risonanza quando esposto ad un campo elettromagnetico alternato posizionato all'esterno del corpo.
Il circuito è miniaturizzato, con uno spessore di soli due micron e tre millimetri di diametro.
L'obiettivo finale è quello di accoppiare i risonatori con capsule piene di antidolorifici e quindi inserirli nel tessuto durante l'intervento chirurgico. Il contenuto delle capsule potrebbe così essere rilasciato on demand grazie al campo magnetico che riscaldando la membrana della capsula favorirebbe il rilascio del farmaco di una singola capsula.
Niente di particolarmente complicato dato che oggi è possibile fabbricare risonatori che funzionano solo a diverse lunghezze d'onda, per cui effettuando il trattamento ad una specifica lunghezza d'onda, solo una specifica capsula si scalderà liberando l'anestetico.


La ricerca è stata pubblicata su Advanced Functional Material.

Fonti
- Biodegradable Frequency‐Selective Magnesium Radio‐Frequency Microresonators for Transient Biomedical Implants
M. Rüegg et al, Advanced Functional Materials (2019)

- Tiny biodegradable circuits for releasing painkillers inside the body
EPFL / news


Igea. Un asteroide promosso a pianeta nano

Pianeta, planetoide o pianeta nano?
Questi i dubbi che deve affrontare il catalogatore di oggetti del sistema solare quando magari deve decidere dove collocare un corpo troppo grande per essere un "semplice" asteroide ma troppo piccolo o di forma anomala per essere un pianeta.
Un dilemma divenuto centrale con la retrocessione di Plutone da pianeta a pianeta nano. Declassazione meritata (al netto delle proteste pittoresche di chi pensa che la scienza sia un televoto) perché 4 sono i criteri che devono essere rispettati affinché un pianeta sia tale, e a Plutone ne mancava uno  (ne ho parlato in un precedente articolo --> missione New Horizons)

Più difficile è invece fare una netta separazione tra maxi asteroidi e planetoidi ma anche qui ci possono venire in aiuto i criteri di cui sopra per cui i planetoidi ne rispettano almeno 2 e i pianeti nani 3 (vedi nota a fondo pagina).

Il tema è tornato di attualità con le notizie sull'asteroide Igea (Hygiea il nome originale) grazie allo strumento SPHERE montato sul Very Large Telescope (VLT) che ha permesso di ottenere immagini ad alta risoluzione, altrimenti difficili data la superficie scura.

Hygiea
(Credit ESO/ MISTRAL algorithm
Hygiea è il quarto oggetto più grande nella fascia degli asteroidi, subito dopo Cerere, Vesta e PalladeE' il principale esponente di una delle più grandi famiglie di asteroidi, con circa 7000 membri, che si ritiene abbia avuto origine da uno stesso progenitore nel sistema solare primigenio. 
Nota. Fuori dalla fascia di asteroidi ci sono corpi più massicci come i pianeti nani Eris, Haumea e Makemake.
I nuovi dati hanno dimostrato che Hygiea ha forma sferica e questo fornisce il tassello finale (la massa) per raggiunge i requisiti di pianeta nano. In sintesi:

  • massa. La forma sferica è infatti indice di una massa sufficiente perché la gravità modelli il corpo in modo simmetrico, come è appunto una sfera. 


  • Deve orbitare attorno al Sole.
  • Non deve essere una luna 
  • Infine aggiungiamo un requisito "negativo" cioè NON aver ripulito la propria orbita dai detriti (se lo avesse fatto, avrebbe acquisito lo status di pianeta vero e proprio).

  • Le immagini hanno permesso anche di stabilire la dimensione di Hygiea, ponendo il suo diametro a poco più di 430 km. Plutone, il più famoso dei pianeti nani, ha un diametro vicino a 2400 km, mentre Cerere ha una dimensione di circa 950 km.


    Mediante simulazioni al computer gli astronomi hanno dedotto che la forma sferica di Hygiea e il complesso degli asteroidi nella fascia sono probabilmente il risultato di una grande collisione frontale con un corpo di diametro tra i 75 e 150 km. La collisione, avvenuta verosimilmente circa 2 miliardi di anni fa, avrebbe distrutto il corpo del planetoide (o chissà un pianeta vero e proprio) originale; parte dei frammenti si sarebbero poi riassemblati a formare Hygiea e le migliaia di asteroidi.

    Sorprendente l'assenza di crateri da impatto; solo due e troppo piccoli per essere un residuo della collisione originaria. L'assenza potrebbe indicare  un certo grado di rimodellamento superficiale (qualcosa di simile ad attività tettonica ma in piccolo) o una composizione rocciosa particolarmente malleabile.
    Nota. La terminologia è poco chiara tanto che spesso i media usano in modo intercambiabile il termine planetoide e pianeta nano. In realtà un pianeta nano è un gradino sopra a planetoide nella "scalata" al rango di pianeta; quando si hanno dubbi o poche informazioni sui parametri critici si preferisce catalogare l'oggetto come planetoide.
    Un termine poco usato ma esistente è anche quello di plutoide ad indicare un pianeta nano sito oltre Nettuno. Per tale ragione Sedna potrebbe essere ugualmente definita sia come pianeta nano che come plutoide.
    Dico "potrebbe" perché ufficialmente non rientra tra i 5 pianeti nani "ufficiali". La ragione è in un certo senso burocratica perché quando la IAU definì nel 2006 i parametri minimi che un pianeta nano doveva possedere inserì anche una magnitudine assoluta superiore a 1. Il che in realtà ha poco senso (e infatti venne poi trascurata ma mai ufficialmente abrogata) perché la luminosità ha poco a che fare con l'essere un pianeta nano ed è semmai una caratteristica della composizione superficiale dell'oggetto.
    Esistono inoltre corpi che potrebbero ben essere definiti pianeti nani, perché dotati di lune, e questo è indicazione del possedere una certa massa da cui è facile calcolare diametro e densità. Al di là di una certa dimensione inoltre qualsiasi cosa fatta anche di ghiaccio diventerà una sfera, e quindi un pianeta nano. Orcus, Quaoar, Salacia e 2007 OR10 rientrano in questa categoria. Sedna invece no perché (oltre alla distanza che la rende non facilmente osservabile) non si conoscono lune per cui è difficile avere una stima precisa della sua dimensione (il diametro stimato è circa 1000 km).
    In sintesi, Igea ha ottenuto un rango più che dignitoso ma evitiamo di parlare di nono pianeta, la cui ricerca, invero affascinante, è stata trattata in un precedente articolo --> Il pianeta 9 è un miraggio?.

    Fonte
    - A basin-free spherical shape as outcome of a giant impact on asteroid Hygiea
    P. Vernazza et al, Nature Astronomy (2019)



    Il mediatore robot che fa comunicare api e pesci

    Con una buona dose di fantasia sperimentale i ricercatori sono riusciti a fare interagire a distanza due specie animali molto diverse, e a fare prendere loro una decisione condivisa.

    A fare da mediatore tra i due "mondi" un terminale robotico.

    Le api e i pesci non hanno mai avuto occasione di incontrarsi e nemmeno avrebbero molto da "dirsi" se anche venissero posti in ambienti comunicanti. Tuttavia, i ricercatori della EPFL e dell'università di Graz decisero che un modo si poteva trovare per fare "comprendere" i segnali dell'altra specie, nonostante le due si trovassero una in Svizzera e l'altra in Austria.

    Per svolgere il lavoro il mediatore robotico doveva essere posto a diretto contatto con entrambe le specie, mimetizzandosi tra esse, influenzare il comportamento e trasferire via internet il segnale di feedback.

    Uno di questi "persuasori" venne posto in un acquario circolare e attivato per indurre i pesci a nuotare in una determinata direzione. Eseguito il primo compito bisognava tuttavia trasmettere l'informazione alle api, la cui colonia era sita su una piattaforma che ospitava due terminali attorno ai quali le api tendono spontaneamente a muoversi.

    Ciascun terminale robotico, quello in acqua e quello sulla piattaforma, sono stati ovviamente progettati  per emettere segnali specifici per la specie bersaglio:

    • Il robot-pesce emette sia segnali visivi (forma, colore, strisce,...) che comportamentali (accelerazioni, vibrazioni e movimenti della coda) "comprensibili" per i pesci. 
    • Il terminale sulla piattaforma emette segnali sotto forma di vibrazioni, variazioni di temperatura e movimenti dell'aria, tutti "messaggi" compresi dalle api. 
    In entrambi i casi gli animali hanno risposto al segnale veicolato dal terminale (che a sua volta rispondeva del segnale ricevuto dall'altro terminale): i pesci hanno iniziato a nuotare in una determinata direzione e le api hanno iniziato a sciamare attorno a uno solo dei terminali.
    Sono bastati 25 minuti perché i due gruppi di animali sincronizzassero i loro comportamenti acquistando qualcosa dell'altro: le api sono diventate un po' più indipendenti nei movimenti mentre i pesci hanno assunto una compattezza maggiore del solito.

    I terminali hanno di fatto agito come dei negoziatori o interpreti durante una incontro internazionale.

    I risultati dello studio aiuteranno gli ingegneri a migliorare le modalità con cui le macchine sono in grado di percepire segnali e trasmettere segnali all'interno di un ecosistema. Gli ambiti applicativi sono molti. Tra tutti due esempi: "convincere" gli uccelli a evitare gli aeroporti, o richiamare gli impollinatori verso le colture biologiche tenendoli lontani da quelli trattati con pesticidi



    Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Robotics.


    Articoli su tematiche simili

    Fonte
    - Robots mediating interactions between animals for interspecies collective behaviors
    F. Bonnet et al, Science Robotics (2019) v4, Issue 28



    Powered By Blogger
    "Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
    Clive S. Lewis

    "Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
    Bertrand Russel

    "La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
    Karl Popper
    Controllate le pagine delle offerte su questo blog




















    Zerbini fantastici