CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

L'epidemia (prevedibile) del morbillo è arrivata in Europa

Circa tre anni fa scrissi un articolo per mettere in allerta sulla recrudescenza dei casi di morbillo, una epidemia assolutamente evitabile dato che c'è un vaccino funzionante (vi invito a rileggere --> "Il ritorno del morbillo. La stupidità si paga").

L'occasione dell'articolo era stata la comparsa di focolai in USA, in aree dove il tasso di vaccinazione aveva subito un calo costante negli anni, ma serviva da monito anche per noi europei vista la tendenza in atto a fidarsi della contro-informazione diffusa ad arte da personaggi senza alcuna competenza in merito e alla diffusione di un sentimento antiscientifico
Non credo sia una coincidenza che il trend antiscientifico sia andato a braccetto con l'apparente tecnologizzazione della persona media; forse è una prova che informatizzazione e mentalità scientifica sono due cose molto diverse (conosco ingegneri più propensi al creazionismo che all'evoluzionismo ...).

Le facili profezie di allora si sono avverate con numeri di casi di morbillo in Europa mai così alti da anni.
Il trend italiano è peggiore di quello inglese. Peggio di noi solo i paesi dell'ex blocco sovietico (dove verosimilmente i tassi di vaccinazione sono crollati con la caduta dei regimi comunisti). Credit: BBC

Contro-corrente va la Cina grazie ad un sistema di controllo capillare dove non solo senza  vaccinazione non si va a scuola (anche in UK e US) ma disobbedire alle direttive del partito-governo non è la cosa più salutare da fare.

Tornando alla notizia lanciata dalla BBC, l'Europa ha visto più infezioni di morbillo quest'anno rispetto a qualsiasi altro anno in questo decennio. Più di 41 mila persone sono state infettate nel 2018, rispetto al minimo storico di 5273 nel 2016. La malattia ha causato 37 morti.
Perché il punto è proprio questo. Il morbillo non è un raffreddore ma una infezione dall'esito potenzialmente molto serio in quanto il virus è un ottimo immunosoppressore; vale a dire che la prima cosa che fa il virus è abbattere le difese dell'organismo spianando così la strada a microbi altri che normalmente sarebbero tenuti sotto controllo dalle pattuglie immunitarie.
Le complicazioni più comuni sono encefalite, meningite, convulsioni febbrili, polmonite ed epatite.
Una precisazione, forse ovvia, è che le persone colpite sono quasi esclusivamente bambini e adolescenti; gli adulti sono in grandissima parte vaccinati e quindi protetti, cosa che non si può dire per i nati nel "decennio della diffusione delle bufale".


Sembrerà cinico, anzi lo è, ma voglio reiterare il titolo dell'articolo di tre anni fa: la stupidità si paga. La cosa grave purtroppo è che viene fatta pagare ad altri, cioè ai bambini.


Articolo precedente sul tema --> QUI
Di interesse sul tema --> "L'importanza di informarsi sulle bufale antiscientifiche"

Fonti
- Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) / news





Titano come non lo abbiamo mai visto

Ecco come apparirebbe Titano, una delle molte (una sessantina) lune di Saturno, ad un astronauta in transito.
Credit: NASA
Nulla di memorabile in effetti. Più che una luna rocciosa sembrerebbe un modello in piccolo (molto più piccolo) di un Giove o Saturno, i pianeti giganti gassosi del sistema solare. Questo  suo sfuggire allo sguardo indagatore degli astronomi non poteva che accentuarne il mistero soprattutto se si considera che una luna con una atmosfera spessa è un unicum nel nostro sistema solare. Altro motivo di interesse erano le sue dimensioni, maggiori anche di quelle di un pianeta vero e proprio come Mercurio.
Si capisce quindi l'interesse degli astronomi che modificarono apposta la traiettoria della sonda Voyager 1 per farla passare vicino a Titano (posticipando così di decenni lo studio di Plutone). Fu necessario tuttavia aspettare la missione Cassini-Huygens del 2004 per ottenere dati significativi sulla luna grazie proprio al modulo Huygens fatto adagiare sulla superficie di Titano
Il suolo di Titano visto dal modulo Huygens
(credit: ESA/NASA/JPL/University of Arizona)
 Gli astronomi sono oggi concordi nel dire che il guscio esterno di Titano è rigido, con pochi crateri da impatto ad indicare che la superficie è sottoposta ad un certo rimaneggiamento causato da vulcani o dalle piogge di idrocarburi che compongono l'atmosfera. A completare il quadro non certo degno di un nostro Eden, i laghi di metano ed etano che supportano l'idea che vi sia un ciclo di idrocarburi analogo a quello dell'acqua sulla Terra (evaporazione, condensazione, piogge, erosioni, etc).
Per spiegare la sua gravità relativamente elevata è necessario ipotizzare un'alta densità sotterranea; alcuni suggeriscono che vi sia sotto la superficie un oceano di acqua mista a sali di zolfo, sodio e potassio, tali da generare una densità paragonabile a quella delle acque del Mar Morto.
A completare il quadro alcuni criovulcani che come dice il nome non emettono roccia fusa ma acqua, ammoniaca e metano, che una volta a contatto con le bassissime temperature dell'atmosfera congelano ricadendo al suolo.
L'atmosfera estremamente opaca è fatta nella quasi totalità da azoto con un 5% di metano. Le spesse nubi sono fatte da metano ed etano e questo conferisce alla luna l'aspetto opaco.

E' stato grazie al telescopio ad infrarossi (Visual and Infrared Mapping Spectrometer - VIMS) montato sulla sonda Cassini che si è finalmente riusciti a vedere al di là delle nubi e ricostruire l'aspetto della sua superficie.
Osservare la superficie di Titano nella regione visibile dello spettro è difficile, a causa della nebbia perenne che avvolge la luna; le piccole particelle (aerosol) presenti nella parte superiore dell'atmosfera causano lo scattering (diffusione ottica) specie alle lunghezze d'onda del visibile. Ci sono tuttavia alcune "finestre" ottiche in cui tale fenomeno è minimo e questo corrisponde ad alcune regioni dell'infrarosso. I colori dell'immagine successiva, sono stati ottenuti associando ciascuno dei canali cromatici del RGB al rapporto della luminosità a certe lunghezze d'onda (ad esempio il rosso deriva dal rapporto dei valori misurati a 1,59 e 1,27 micron). La tecnica usata è nota come band-ratio. E' stato così possibile visualizzare dettagli della superficie come le dune equatoriali rappresentate con il colore marrone mentre quelle dove è presente acqua ghiacciata appaiono come blu-viola.

Titano visto con luce visibile (centro) e dopo scansione agli infrarossi (credit: NASA)
A dispetto della "semplicità" della frase precedente, le immagini oggi disponibili sono il risultato di 13 anni di dati acquisiti e dello sforzo successivo mirato a combinare in modo fluido i dati provenienti dalla moltitudine di osservazioni diverse realizzate da VIMS in un'ampia varietà di condizioni di illuminazione.

Quello che emerge è una "fotografia" ad alta risoluzione della superficie di Titano senza nubi.
all credit to: NASA/JPL
Articolo precedente su Titano --> C'è acqua su Titano?


Fonte
NASA- JPL news (luglio 2018)

Giove ha altre 10 lune di cui non eravamo a conoscenza - e sono strane

Non è raro nella scienza scoprire qualcosa mentre si sta cercando altro. 
Possibile quando il ricercatore è una persona capace di intravvedere informazioni in quelli che a prima vista potrebbero sembrare "rumori di fondo" o anche solo dati non rilevanti per lo studio in atto. 
Credit: hubblesite.org
La scoperta di nuove 10 piccole lune in orbita attorno a Giove rientra proprio in questo ambito. Lo scopritore, Scott Sheppard, era impegnato a scrutare i confini del sistema solare alla ricerca di indizi sull'esistenza del Pianeta 9 (vedi articolo precedente --> QUI) quando si accorse che nelle fotografie scattate a tempi successivi c'erano segnali in movimento rispetto allo sfondo stellare. Dato che in quella regione di spazio stava transitando Giove, l'ipotesi ovvia era che fosse qualcuna della sue tante lune; una ipotesi confermata ma solo in parte, nel senso che il segnale non corrispondeva a nessuna delle lune conosciute. Il risultato è stata la identificazione di nuove lune (abbastanza piccole in verità, di diametro tra 1 e 3 km) che porta il totale di satelliti gioviani a 79 (Saturno segue con 62 lune note).
Una osservazione interessante quanto inattesa; le prime lune di Giove furono osservate da Galileo (satelliti medicei) e sonde recentemente inviate in loco (ad esempio Juno e Cassini) sembravano avere chiuso il tema. Ma ancora più inattesa è stata la scoperta che una di queste lune si muove in direzione contraria rispetto sia al pianeta che a tutte le altre lune.
L'immagine catturata dal telescopio Magellano
(credit: solarsystem.nasa.gov)

 Questa è forse l'informazione più utile in quanto permette di ipotizzare che almeno le lune più piccole siano recenti (su scala planetaria ovviamente) e il risultato di collisioni nello spazio. Il "risultato" di queste collisioni sarebbe poi stato catturato dall'imponente gravità di Giove molto dopo che il pianeta si era formato.
Se tutte queste piccole lune si fossero formate contemporaneamente a Giove, probabilmente sarebbero state catturate dal gas e dalla polvere che ancora turbinavano attorno al pianeta appena nato e sarebbero state da questo inghiottite.
Una delle caratteristiche che definiscono un pianeta da un planetoide a parte la massa e forma è l'avere "ripulito" la sua orbita dai detriti. Questa assenza di "pulizia" è una delle ragioni che hanno fatto retrocedere Plutone al rango di planetoide.
L'orbita retrograda e l'inclinazione rispetto all'asse di una di queste lune è un ulteriore indizio del fatto che si tratti di un evento recente. Un orbita che prima o poi incrocerà quella di un altra luna provocandone la polverizzazione e magari qualche effetto "flipper" con altri oggetti locali. Anzi, verosimilmente queste lune sono il risultato di una precedente collisione tra lune ora non più esistenti. Non che questo provocherà alcun effetto su Giove, la cui dimensione è tale da essere indifferente a questi eventi periferici.

 La luna retrograda è stata battezzata Valetudo, una dea del pantheon romano discendente da Giove (tutte le lune di Giove seguono questa nomenclatura).
In verde la luna in moto retrogrado (credit: carnegiescience.edu)


Video creato dal INAF
(se non vedete il video --> youtube)



Nel 2021 la NASA ha prodotto un video dell'avvicinamento della sonda Juno a Ganimede ottenuto dall'assemblaggio di centinaia di foto
Link originale a youtube


Articolo precedente sulla sonda Juno --> Juno è ora nell'orbita di Giove


Fonte
- Jupiter has 10 more moons we didn't know about — and they're weird
Nature / news (07/2018)

- Jupiter Moons
solarsystem.nasa.gov


A ottobre 2021 sono stati pubblicati vari articoli, basati sui dati raccolti da Juno, con preziose informazioni sull'atmosfera dei giganti gassosi.




Il Pianeta 9 esiste o è solo un "miraggio" dovuto a molti planetoidi?

E' molto probabile, anzi certo, che ci sia "qualcosa" ai confini del sistema solare ma forse quel qualcosa non è un pianeta ma una miriade di ammassi rocciosi di dimensioni variabili tra un asteroide e un planetoide, come Cerere o Sedna.

L'ipotetico Pianeta 9 (credit: wiki)
L'orbita di alcuni corpi rocciosi nella estrema periferia del sistema solare è da tempo fonte di perplessità tra gli studiosi in quanto si scosta dall'orbita teorica "facilmente" calcolabile data la massa e distanza dal Sole e dai pianeti appartenenti al nostro sistema. Il modo più semplice per spiegare questa discrepanza è che vi sia un qualche pianeta, di massa rilevante, non ancora identificato, sito tra Plutone (che non è più considerato un pianeta) e la nube di Oort
Questo fantomatico pianeta perso nell'oscurità dello spazio (quindi molto difficile da rilevare con i telescopi) è stato chiamato Pianeta 9 (vedi anche l'articolo precedente --> 1 e --> 2). In verità per spiegare le anomalie orbitali non è obbligatorio ipotizzare l'esistenza di un pianeta ma è sufficiente che vi siano una moltitudine di asteroidi di varie dimensioni (come la Fascia Principale, sita tra Marte e Giove) o perfino di piccole lune, per ottenere la massa complessiva necessaria per spiegare la perturbazione gravitazionale. Se questo fosse il caso si spiegherebbe il fallimento delle ricerche finora condotte e "l'invisibilità" della massa mancante.

L'ipotesi Pianeta 9 serve per spiegare le orbite anomale di altri planetoidi solari (credit: Quora)

Finora, gli astronomi hanno individuato con certezza solo una manciata di questi oggetti; se ce ne fossero altri, il mistero del Pianeta 9 potrebbe essere considerato risolto.
Tra i planetoidi scoperti (corpi non necessariamente sferici, di dimensioni paragonabili ad una piccola luna) un esempio interessante è Sedna. Di dimensioni pari a circa 2/3 quella di Plutone, Sedna è un "oggetto transnettuniano" che nella parte più interna dell'orbita dista dal Sole più del doppio della distanza Sole-Nettuno; potrebbe quindi essere anche definito l'oggetto a noi più prossimo della nube di Oort. Ben poco si sa sull'origine di questi corpi; l'ipotesi più accreditata è che si siano formati nella parte interna del disco di gas e detriti che avrebbe originato prima il Sole e poi i pianeti (da qui il loro essere fatti di roccia e non di gas come Giove) e siano poi stati sbalzati ai confini del sistema per ragioni ignote (probabile l'urto con altri corpi come in una sorta di flipper planetario).

L'ipotesi Pianeta 9 raggiunse il suo apice nel 2016 quando gli astronomi Michael Brown e Konstantin Batygin del CalTech dimostrarono come l'esistenza di una massa planetaria sita ad una distanza di circa 200 UA (1 UA= distanza Terra Sole) fosse sufficiente a spiegare il posizionamento di Sedna alla estrema periferia del sistema solare.
Le ultime ricerche fatte mediante simulazioni ai supercomputer di fatto non smentiscono l'ipotesi di Brown-Batygin ma dicono che si può ottenere lo stesso risultato ipotizzando una moltitudine di corpi rocciosi che vagano nell'area nota come fascia di Kuiper. I nuovi risultati potrebbero anche spiegare  altri misteri del sistema solare come l'oggetto 2015 BP519 dotato di un orbita quasi perpendicolare rispetto all'asse dei pianeti solari, spiegandolo come il risultato di una collisione tra vari corpi come in un immenso flipper le cui palline sono parte di un unico sistema eliocentrico.
L'orbita di 2015 BP519 rispetto a quella degli altri pianeti del sistema solare (credit: David Gerdes @dAArkEnergy)
Fonte
- Tiny, far-flung worlds could explain outer Solar System’s strange geometry
Nature (2018)


Un aspirinetta al giorno ... non fa bene a tutti

Circa un miliardo di persone in tutto il mondo assume quotidianamente l'aspirina nella sua versione light allo scopo di prevenire infarto e ictus.
Ci sono tre versioni di aspirina (Aspirina®, Cardioaspirina® e Aspirinetta®) la cui differenza NON è nel principio attivo (sempre lo stesso, cioè l'acido acetilsalicilico) ma nel dosaggio e nella presenza di gastroprotettori per prevenire il danno alle mucose gastriche. Mentre la dose classica di salicilato di una aspirina è 500 mg, questa scende a 100 mg nel caso di aspirinetta e cardioaspirina. In quest'ultima la pasticca è rivestita da un involucro gastroresistente proprio per evitare il contatto con le pareti dello stomaco.
Che si tratti di un farmaco multivalente è noto da anni e rimane per certi aspetti ancora ineguagliato nel senso che versioni più specifiche del farmaco (capaci di inibire solo una delle isoforme dell'enzima cicloossigenasi, così da eliminare gli effetti collaterali) si sono rivelate meno versatili.
4 sono le attività associabili all'aspirina: antipiretica; antiaggregante; antinfiammatoria; antidolorifica. A queste si sommano attività "di alto livello" (cioè risultante da un effetto a cascata a volte non diretto) come la sua azione protettiva sul sistema cardiovascolare (minore rischio trombi e maggiore fluidità ematica) e una riduzione aneddotica nell'incidenza di alcuni tipi di tumore (ad esempio colon).
Se l'effetto principale (le "4 anti-) è ben noto, l'azione "ad alto livello" è più indiziaria (vedi l'azione antitumorale) e sempre da  tarare per il rapporto beneficio/rischio di effetti collaterali (emorragie gastrointestinali). A questo si  aggiunge la variabilità numerica fornita dagli studi fatti per quantificare l'effettiva capacità di ridurre gli eventi combattuti (cancro e/o patologie cardiovascolari).
Una mancanza di chiarezza che non è però attribuibile alla scarsità di studi clinici ma alla complessità dell'azione prodotta dal farmaco.
L'analisi statistico-epidemiologica necessita non solo di controlli ma di controlli ben calibrati sul campione su cui il farmaco è testato. Il problema è che le variabili presenti all'interno di ciascuna popolazione sono molte e spesso non facilmente identificabili. Non solo due individui si differenziano tra loro per il background genetico (che determina rischi differenziali e diversa capacità di metabolizzare un farmaco) ma anche per fattori come età, sesso, patologie pregresse ... e tra le tante cose anche l'indice di massa. Tutte queste variabili sono "facilmente" gestibili quando il farmaco in esame ha una azione chiara e diretta contro la proteina X direttamente responsabile della patologia Y; sarà facile qui calcolare il dosaggio ideale che dovrà assumere affinché quella determinata quantità di principio attivo (dimostratasi funzionare nella sperimentazione) sia realmente resa disponibile al tessuto bersaglio. Quando invece l'effetto è indiretto iniziano i problemi in quanto aumentano le variabili in gioco.
Un articolo recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet indica proprio nel dosaggio non ottimizzato la causa della estrema variabilità nei risultati di efficacia delle decine di studi clinici finalizzati a validare (o confutare) l'aneddotica sulla reale capacità dell'aspirina di prevenire tumori ed eventi cardiovascolari. I dati ottenuti dimostrano che l'utilizzo dell'aspirina "a dose singola" per prevenire infarti, ictus o cancro, è inefficace o dannoso nella maggior parte delle persone e che è necessaria una strategia più personalizzata.

L'aspirina che viene assunta quotidianamente con il fine di prevenire alcune patologie cardiovascolari (attraverso la riduzione dei coaguli di sangue grazie all'inibizione delle piastrine) produce di fatto solo un modesto decremento sul lungo periodo di infarti e ictus, sebbene rimanga il farmaco antiaggregante più utilizzato nella pratica clinica di routine e di emergenza.
Il sospetto che ha mosso i ricercatori è che la disparità tra l'effetto dell'aspirina sulle piastrine negli studi di laboratorio e i benefici clinici nella pratica, fosse conseguenza dell'approccio "one size fits all" (una dose adatta a tutti gli adulti). Se la finestra terapeutica (la dose utile al di fuori della quale si ha sovradosaggio o nessun effetto) è ristretta e se questa finestra è direttamente correlata a specifiche fisiologiche (la massa) dell'individuo, allora si capisce per quale motivo la dose utilizzata finora abbia dato risultati ben al di sotto delle aspettative.
Una dose (quella "cardiaca") che tra l'altro varia a seconda del mercato di riferimento: 75-100 mg al giorno comune nel Regno Unito e in Europa contro i 325 mg al giorno utilizzati negli USA.
Ne deriva che la dose "europea" è di fatto bassa per le persone di corporatura massiccia (ad esempio nel nord) mentre la dosa USA è a rischio di essere eccessiva per quella fascia della popolazione "non anglosassone" (tipicamente di minore massa) sempre più importante numericamente negli ultimi decenni.
In pratica si è osservato che l'aspirina standard a basse dosi (75-100 mg al giorno) era effettivamente efficace nel prevenire infarti e ictus nelle persone di peso inferiore a 70 kg, mentre i benefici erano pressoché nulli nel 80% degli uomini e 50% delle donne di peso superiore. Dosi più elevate risultavano efficaci per individui di peso superiore a 70 kg ma presentavano un profilo di rischio nettamente superiore per i soggetti di peso inferiore. 
Risultati simili sono stati ottenuti anche per l'azione anti-neoplastica.

La conclusione è il risultato della meta-analisi (raccolta comparata e pesata di studi precedenti) per un totale di 130 mila soggetti.

Si dovranno sviluppare ora strategie per adattare la dose di aspirina alle caratteristiche del singolo paziente. 

Fonte
- Effects of aspirin on risks of vascular events and cancer according to bodyweight and dose: analysis of individual patient data from randomised trials
Peter M Rothwell et al, (2018) The Lancet, S0140-6736(18)31133-4

- One dose of aspirin doesn’t fit all
University of Oxford / news


Il lato "tossico" della Luna

Al ritorno dai vari allunaggi tutti gli astronauti delle missioni Apollo soffrirono per qualche tempo di irritazioni alla gola e agli occhi.
Non si trattava ovviamente di una reazione psicosomatica all'emozione della passeggiata sul suolo lunare ma molto più prosaicamente alla polvere che si era depositata sulle loro tute. Polvere che una volta rientrati a bordo della Apollo si era poi sparsa nell'aria dell'abitacolo a gravità zero, "irritando" anche coloro che non avevano messo piede sulla Luna.
La polvere presente sulla tuta di Eugene Cernan (Apollo 17) al rientro dalla "passeggiata" lunare.
(Image from ESA)
Cosa sarà mai un poco di polvere, per giunta sicuramente sterile, si potrebbe obbiettare. Il punto è che la polvere lunare non è proprio uguale a quella terrestre in quanto molto più abrasiva e quindi irritante.

Il fenomeno, a me sconosciuto fintanto che non ne ho letto in un'intervista ad Harrison Schmitt (Apollo 17) fu scherzosamente battezzato dagli astronauti come "la febbre da fieno lunare"
Immagine dalla missione Apollo 17. Harrison Schmitt mentre raccoglie campioni di rocce lunari
(credit: NASA via ESA)

I sintomi andavano dallo starnuto alla congestione nasale e in alcuni casi ci vollero giorni perché il fastidio svanisse. Curiosa poi la descrizione olfattiva della polvere lunare che gli astronauti definirono simile a quello della polvere da sparo bruciata.

La domanda che sorge (e sorse) spontanea riguarda l'eventuale tossicità post-inalazione. Una preoccupazione non peregrina dato che conosciamo fin troppo bene gli effetti negativi nel lungo periodo sulla salute dell'essere stati esposti lavorativamente a polveri o particelle equipollenti: le malattie polmonari dei minatori, di chi lavora il vetro o marmi e particelle come l'amianto sono un tragico memento della concretezza del rischio.
Sebbene a distanza di più di 40 anni dalle missioni, gli astronauti non abbiamo mostrato problematiche polmonari è anche vero che il tempo di esposizione fu limitato ai giorni della missione, ben inferiore agli anni di esposizione quasi continua di un minatore.

Per fugare ogni dubbio l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha attivato un programma di studi specifico; un modo per pianificare in sicurezza le future missioni di soggiorno a lungo termine sulla Luna o su altri "avamposti" rocciosi del sistema solare.

Cosa ha di particolare la polvere lunare?
Niente di speciale o di incredibilmente esotico, principalmente silicati, un materiale che si trova comunemente sui corpi planetari in cui in passato si sia avuta attività vulcanica. Sebbene non "esotici" i silicati sono la principale causa di infiammazione ai polmoni dei minatori, a causa della costante attività abrasiva delle particelle inalate a contatto con l'epitelio polmonare. I silicati lunari sono "peggiori" però in quanto molto più abrasivi; belli da vedere al microscopio ma taglienti come il vetro.
I silicati lunari (credit: NASA)
La maggiore abrasività è legata all'assenza sulla Luna dei fenomeni erosivi (acqua e vento) che sulla Terra rimodellano in continuo, da centinaia di milioni di anni, rocce e polveri (da esse derivate). Mentre i silicati presenti nella polvere terrestre hanno una forma tondeggiante, quelli lunari sono allungati e affilati. Inoltre l'assenza di atmosfera sulla Luna la espone di continuo alle radiazioni solari il che carica elettrostaticamente le polveri sul suolo. La carica può essere così forte che la polvere si solleva aleggiando invisibile sopra la superficie lunare, e li permane anche grazie alla ridotta gravità (1/6 di quella terrestre). Ne risulta che è molto più facile "impolverarsi" camminando sulla Luna che in una nostra spiaggia. Quando poi l'astronauta rientra nel modulo di allunaggio la polvere non precipiterà al suolo come sulla Terra ma rimarrà nell'aria aumentano il rischio di inalazione.
Le particelle, 50 volte più piccole di un capello umano, possono restare per mesi nei polmoni; più a lungo rimane maggiore è l'azione abrasiva e a cascata l'infiammazione indotta.

Alcuni esperimenti preliminari fatti esponendo colture di cellule polmonari e cerebrali alle polveri simil-lunari, hanno dimostrato la capacità di queste di uccidere le cellule se lasciate per un periodo sufficiente.

I progettisti dei moduli abitativi lunari sono avvisati; serviranno impianti di filtraggio delle polveri capaci di resistere all'azione abrasiva dei silicati, oltre a sistemi di "lavaggio" preventivo delle tute prima del rientro alla base.
Un problema sicuramente "affrontato" sia dai residenti di base Alpha (serie tv "Spazio 1999") che di base Luna (serie tv "UFO")
Immagine dalla serie tv "Spazio 1999"



Articoli correlati
- Assessing Toxicity and Nuclear and Mitochondrial DNA Damage Caused by Exposure of Mammalian Cells to Lunar Regolith Simulants 
Rachel Caston et al, (2018) GeoHealth, 2(4) 139-148




Acqua sotto la superficie di Marte e Encelado. Ci sono tracce organiche?

Nelle ultime settimane gli astronomi hanno diffuso due interessanti notizie su Marte e Encelado, una delle lune di Saturno, diverse per contesto ma accomunate dall'acqua come oggetto della notizia.
Quando si parla di acqua in ambito planetario si accende la spia dell'attenzione degli esobiologi cioè di coloro che studiano la fattibilità della vita al di fuori del nostro pianeta.
La vita, come noi la conosciamo, oltre ad essere centrata sul carbonio, necessita di acqua. Fatti salvi questi due punti di partenza, la vita è declinabile in molte varianti a seconda di come l'organismo ricavi l'energia per il suo metabolismo e come assembli i "mattoni" su cui la vita è costruita (in soldoni da dove prende il carbonio).
Cosa è la vita? Un virus è vivo? Sono alcune delle domande a cui gli scienziati hanno cercato di dare una risposta. Se non si sa definire esattamente la "vita" sarà anche impossibile cercare la vita al di fuori del nostro pianeta. Vi rimando ad un precedente articolo per approfondimenti sul tema --> "Virus come quasi-organismi"
Identificare l'acqua allo stato liquido su un pianeta non è di per sé indicativo della presenza della vita ma è la condizionre minima perché essa (per come la conosciamo) possa esistere; in assenza di acqua non sapremmo nemmeno cosa cercare (o immaginare) di "vivo".

Marte
Ricercatori italiani hanno identificato le tracce di qualcosa di paragonabile ad un lago a circa 1.5 km di profondità sotto la calotta del polo sud marziano.

I ghiacciai di CO2 nel polo sud marziano (credit: NASA)

E' bene sottolineare che la notizia non è la presenza di acqua sulla superficie di Marte ma di acqua liquida "permanente". Ad oggi, a parte i ghiacci delle calotte marziane (dove però date le temperature anche la CO2 diventa ghiaccio), la presenza di acqua sulla superficie ha sempre avuto la caratteristica di sporadicità, destinata a rapida scomparsa a causa della evaporazione/sublimazione favorita dalla tenue atmosfera marziana a sua volta conseguenza di una minore forza gravitazionale e dell'assenza di campo magnetico. 
Tale precarietà rende la superficie marziana inadatta alla vita anche se vi sono evidenze - confermate dall'analisi condotta dal rover Curiosity - che in un lontano passato (prima che il nucleo di Marte si raffreddasse) l'acqua fosse estremamente abbondante e in grado di formare oceani. Se vita c'è o c'è stata, l'unica possibilità di trovarne tracce è sotto la superficie, in aree protette dalle radiazioni cosmiche che passano indisturbate attraverso la mini atmosfera e dove l'acqua possa esistere e persistere allo stato liquido.

I dati sul lago sotterraneo, pubblicati sulla rivista Science, sono stati ottenuti grazie al radar Marsis montato a bordo dell'Orbiter Mars Express inviato dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA). L'analisi del tracciato radar della superficie e del sottosuolo ha mostrato che sotto lo strato di ghiaccio e roccia vi è acqua liquida distribuita lungo circa 20 km di ampiezza. Non si tratta di un "lago" profondo, essendo nell'ordine dei metri, ma è nettamente diverso da una semplice acqua di fusione risultato del riempimento dello spazio tra le rocce (fenomeno  evidente sotto molti ghiacciai terrestri).
Un lago, quasi sicuramente, ma di sicuro non un eden nascosto; una certezza questa che viene dalle condizioni locali. Perché l'acqua rimanga allo stato liquido a temperature stimate tra -10 e -30 gradi Celsius, la salinità deve essere elevata e sappiamo bene cosa succede nei laghi salati sulla Terra (ad esempio il mar Morto).
Nel caso del sodio cloruro, la temperatura di congelamento in condizioni di saturazione (23,3% sale) è intorno a -22°C. Condizioni queste, estreme ma non impossibili per la vita se consideriamo che ci sono batteri (alofili estremi) in grado di tollerare salinità fino al 30%.
Un caso simile sulla Terra è quello del lago Vostok, sito sotto i ghiacci dell'Antartide (articolo correlato --> Vita sotto i ghiacci dell'Antartide?). L'unica analisi condotta in loco di cui sono a conoscenza risale agli anni '90. All'epoca si parlò di tracce di vita ma si tratta di risultati poco affidabili, biologicamente, visto che il carotaggio non fu condotto in condizioni di sterilità. Un altro lago terrestre interessante per la ricerca di vita primordiale è quello posto sotto la superficie della regione dell'Ontario in Canada (--> articolo).

Se è stato difficile trivellare il suolo antartico per prelevare campioni di acqua, immaginate la complessità logistica di farlo su Marte. Difficile ma non impossibile se si pensa a quante soddisfazioni ci stanno dando le varie sonde e rover inviate sul suolo marziano. Trivellare 1,5 km di ghiaccio marziano non è impresa oggi possibile ma almeno sappiamo dove (forse) potrebbero esserci tracce di vita (o fossili) su Marte.

Fonte
Radar evidence of subglacial liquid water on Mars
 R. Orosei et al, Science  25 Jul 2018


*****

Encelado
La seconda notizia giunge da molto lontano cioè da Encelado, una delle lune di Saturno (--> QUI).
Credit: NASA/Cassini
A differenza di Giove e Saturno, pianeti giganti gassosi, affascinanti ma con zero possibilità che possano ospitare la vita, le loro lune si sono rivelate luoghi molto interessanti sia come potenziali "punti di atterraggio" per le sonde (e magari un giorno per basi umane) che come luoghi potenzialmente adatti ad ospitare vita microbica. Anche in questo caso non sulla superficie (prive di atmosfera ed esposti alle radiazioni) ma sotto; possibilità meno remota dopo che si è scoperta l'esistenza di oceani sotterranei (di acqua e non di idrocarburi). Su Encelado in particolare le prove dell'esistenza di acqua sotterranea viene dalle immagini catturate dalla sonda Cassini (--> QUI) in cui si scorgono geyser che fuoriescono dal suolo ghiacciato della superficie.
Ricercatori dell'università di Heidelberg hanno analizzato i dati sui geyser visti da Cassini rilevando la presenza di complessi macromolecolari di tipo organico.
I dati indicano molecole anche di un centinaio di atomi, insolubili, costituite da miscele di componenti aromatici (ad anello) e alifatici (lineari) dotati di gruppi funzionali con ossigeno e forse azoto.
Mentre una sostanza organica semplice (ad esempio il metano) è comune in ambito planetario, molecole organiche complesse implicano l'esistenza di processi chimici altrettanto complessi. Non necessariamente biologici è bene sottolinearlo ma è pur sempre una possibilità. Anche qui si rimarrà nel campo delle speculazioni almeno finché non si potrà analizzare un campione di acqua.

Attività idrotermica su Encelado (Credit: ESA)

Paradossalmente pur essendo Encelado ben più lontano da noi di Marte, è quello che offre meno problemi per una missione di trivellazione e di analisi delle acque sottostanti: quasi ogni punto di atterraggio va bene; l'acqua è poco sotto il ghiaccio (un centinaio di metri) a differenza del lago marziano, sito sotto 1 km di roccia.



Fonte
- Macromolecular organic compounds from the depths of Enceladus
Frank Postberg et al, (2018) Nature, 558(7711):564-568

Powered By Blogger
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper
Controllate le pagine delle offerte su questo blog




















Zerbini fantastici