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Cognitron, uno strumento basato sulla AI per testare le proprie abilità mentali

Cognitron è uno strumento di analisi basato sull'intelligenza artificiale (AI) creato all'Imperial College di Londra (ICL) da un team composto da psicologi, neuroscienziati e ingegneri.

Lo scopo dichiarato è quello di fare progredire gli algoritmi predittivi della AI attraverso l'analisi delle risposte fornite attraverso i test di abilità mentali "reali" cioè condotte su persone vere.
Il vantaggio è duplice, in quanto gli utenti potranno usufruire di test all'avanguardia per soddisfare la loro curiosità (e divertirsi nel risolvere quiz) e i ricercatori avranno accesso ai processi mentali umani da usare come fonte di dati per la AI, le cui capacità sono oggi il frutto della programmazione e non di un "abilità proprie".

Alla fine del test, la cui durata complessiva è di circa 30 minuti, le persone riceveranno un responso NON "su quanto siano intelligenti" (parametro stupido, oltre che non generalizzabile in quanto esistono diversi tipi di intelligenza) ma i risultati ottenuti in ciascuna prova. Tante più persone useranno lo strumento e maggiore sarà l'accuratezza della differenza tra le proprie capacità nella risoluzione di determinati problemi e quella della popolazione di riferimento.
I test cambiano con frequenza per cui uno potrà divertirsi a ripeterli ogni volta che vuole.

Ad oggi Cognitron è capace di analizzare in contemporanea i dati prodotti da 200 persone. Grazie ad un procedimento mutuato dalla inferenza bayesiana acquisirà sempre più informazioni sul modo di ragionare umano e questo avrà un impatto notevole in diversi campi.
Nota. In molti problemi nel campo dell'intelligenza artificiale, l'elemento critico è quello dell'analisi dell'incertezza. Molto utile a tale scopo l'analisi basata sui modelli probabilistici (e in particolare quelli bayesiani).
La logica bayesiana è una tecnica di analisi statistica che si occupa di inferenza della probabilità, il che può essere semplificato come un modo per quantificare una situazione con un risultato incerto, determinandone la probabilità. Sulla base della teoria della probabilità, il teorema di Bayes definisce una regola per raffinare un'ipotesi incamerando i dati derivanti da test o nuove informazioni; da questo flusso continuo di informazioni si definisce sempre più la probabilità che una data ipotesi sia vera. Un esempio semplice di come funziona il teorema è quello di immaginare di avere un cesto coperto contenente tre palline di un certo colore (non necessariamente diverso): nella prima prova la pallina estratta è rossa; si rimette la pallina nel cesto e si fa una nuova estrazione trovando ancora una pallina rossa. Si procede con una terza estrazione e si ottiene una pallina rossa. L'ipotesi che si va formulando è che tutte le palline siano rosse. La logica è utilizzabile in analisi con molte più variabili e ad alto grado di complessità.
"Acquisire informazioni sul modo di ragionare umano" è una frase di per sé inquietante in quanto prefigura un futuro in cui potrebbe scaturire senza preavviso una entità digitale malevola sulla falsa riga di Hal-9000, matrix, Skynet, … . 
Sebbene gli allarmi in tal senso (cioè sulla necessità di limitare gli studi sulla AI, lanciato da persone al di sopra di ogni sospetto come Stephen Hawking e Elon Musk), siano condivisibili, lo scopo del Cognitron è diverso e nasce da necessità pratiche in campo biomedico e per evitare di sviluppare macchine magari capaci di alta logica ma prive di "senso comune".
Uno degli utilizzi immediati pensati dai ricercatori della ICL è sviluppare test di intelligenza sempre più sofisticati utilizzabili per analisi delle associazioni genoma-cervello-capacità cognitive, la valutazione clinica dei pazienti con problemi cognitivi, e per sviluppare programmi in grado di analizzare enormi moli di dati (un problema comune oggi) ma con "occhio umano", inteso come capacità di analizzare un problema in modo creativo.
 
Programmi del genere sono anche pensati per eliminare i condizionamenti mentali che ciascun ricercatore si porta dietro (ad esempio il tempo dedicato, le sue ambizioni personali, il suo attaccamento ad un particolare argomento) e permettere l'analisi dei risultati progettuali in modo corretto, non ridondante e quindi più efficiente.

Il test è ovviamente in inglese.
Utile precisare che i quiz non sono basati sulla conoscenza approfondita della lingua ma sulla logica dei quiz, molto spesso visiva. 

Per accedere al test l'indirizzo è
https://www.cognitron.co.uk/

Credo che ne valga la pena, soprattutto se si considera che è un passatempo divertente, o almeno lo trovo personalmente più divertente che passare il tempo sui mezzi pubblici a giocare a Clash Royale



***
Se vi interessano giochi basati su scenari scientifici rileggete il precedente articolo sull'argomento
 --> Niche, il gioco per chi vuole giocare al biologo evoluzionista (e altro ancora)



La "top ten" degli imprevisti dell'evoluzione nel "progetto" Homo sapiens

L'evoluzione non è un percorso lineare ma è fatto di oscillazioni multidirezionali che non possono prescindere dal "materiale" di partenza. Il che implica che se l'organismo è troppo specializzato (o adattato) ad una particolare nicchia ecologica o se i cambiamenti ambientali sono troppo repentini e duraturi, allora è molto probabile che quella particolare specie scomparirà dando origine ad un"ramo a fondo cieco" nell'albero evolutivo.
Si tratta di un concetto molto importante in biologia, utile per capire che noi (intesi come specie vivente in un dato momento) siamo la summa degli aggiustamenti evolutivi avvenuti nel corso di centinaia di milioni di anni fa, da quando i vertebrati si affacciarono sulla terraferma, e perché sussistano in noi quelli che potrebbero essere definiti come errori progettuali, alla base sia di malattie che di funzionalità ridondanti o "non ottimali".
Se ci fosse stato un demiurgo capace di progettare un essere umano, di sicuro avrebbe apportato modifiche sostanziali al nostro prototipo. Dobbiamo invece convivere con un corpo che pur rimarchevole sotto molti di vista (la fisiologia di una singola cellula vale da sola anni di studio "stupefatto" - generalizzando una famosa frase di J.B.S. Haldane), presenta anomalie che, come detto, nascono dall'aver dovuto fare di necessità virtù nelle soluzioni evolutive. Il che non impedisce convergenze funzionali partendo da punti totalmente diversi come evidente nella capacità di volare di uccelli (alias i discendenti dei dinosauri e totalmente non correlati con gli estinti pterosauri), pipistrelli e gli insetti: stesso risultato ma diversa modalità di implementazione strutturale.
Nota. Evoluzione è in realtà un termine fuorviante nel suo senso letterale. Sebbene sia innegabile l'aumento di complessità tra un protozoo e un qualunque mammifero, la comparsa di una nuova specie non può essere semplificata immaginandola un gradino sopra a quella da cui è originata; meglio pensarla come meglio adatta ad una situazione contingente, scomparsa la quale potrebbe divenire svantaggiata rispetto alla "versione originale". Per ragioni simili è errato posizionare la specie umana in cima alla piramide evolutiva, se si ragiona in senso strettamente biologico. L'evento evolutivo è quello che assicura la maggiore fitness genetica, quindi la capacità di dare luogo a progenie più adatta in determinate condizioni. Se l'ambiente rimanesse identico nel tempo la comparsa di nuove specie si ridurrebbe drasticamente. Gli squali sono esseri perfetti e non a caso dominano i mari, pressoché immutati, da molte decine di milioni di anni, sopravvissuti perfino ad almeno due estinzioni di massa (l'ultima quella del Cretaceo). Questo non esclude però che essi potranno scomparire in poche decine di anni se i cambiamenti ambientali (di origine, ahime, umana) continueranno al ritmo attuale.
 Non si inventa nulla di nuovo dall'oggi al domani ma si opera su ciò che c'è. Le osservazioni di Darwin prima e l'analisi embriologica di Haeckel poi, portarono alla formulazione della «legge biogenetica fondamentale», secondo la quale l’ontogenesi, cioè lo sviluppo individuale degli embrioni, è una ricapitolazione abbreviata e incompleta della filogenesi, alias lo sviluppo evolutivo della specie.  Secondo Haeckel, le fasi cruciali nello sviluppo di un embrione, che portano alla formazione delle varie strutture anatomiche, avverrebbero secondo una sequenza analoga a quella con la quale le stesse strutture sarebbero comparse nel corso dell’evoluzione. Ad esempio, nell’embrione umano vi è uno stadio in cui si forma una sorta di appendice caudale, lunga fino ad 1/6 dell'embrione, che in seguito si riassorbe, mentre gli abbozzi degli arti continuano a svilupparsi. Un rimodellamento regolato da processi come l'apoptosi (suicidio programmato delle cellule) che "scolpisce" gli abbozzi per riplasmarli in strutture diverse da quelle "iniziali" il tutto codificato da istruzioni genetiche accumulatesi con il passare delle generazioni.
Se si osserva lo sviluppo di una mano nell'embrione umano si osserverà che in una certa fase apparirà palmata, salvo poi venire scolpita in dita separate grazie al "suicidio e riassorbimento" delle cellule che formavano la membrana interdigitale. Non a caso con una certa frequenza (1 su 3000 nati vivi) si manifestano difetti dello sviluppo embrionale intorno alla 8a settimana, che causano la sindattilia in cui una o più dita sono solo parzialmente o per nulla separate. Un problema oggi risolvibile chirurgicamente senza lasciare tracce ma che appunto va cercato in una errata attuazione del programma di sviluppo implementato a partire dai lontani progenitori tra i vertebrati terrestri.
Tale legge è ancora oggi considerata uno dei principi biologici fondamentali, anche se alcuni aspetti delle idee di Haeckel, considerati alla luce delle successive ricerche embriologiche, si sono rivelati non corretti, o quanto meno non generalizzabili.

Esserci evoluti da uno stadio protocellulare a quello di vertebrati bipedi, senza peli e difese strutturali da predatori e intemperie ma in grado di progettare la disponibilità alimentare ha certamente molti vantaggi ma non è esente da qualche svantaggio perché il passato è dentro di noi. In un certo senso sarebbe come costruire un palazzo usando le fondamenta e i muri portanti di un edificio preesistente; si possono fare miglioramenti, rinforzare i punti critici e modernizzare la classe energetica ma saremo sempre dipendenti dai limiti della struttura iniziale.

Volendo elencare alcuni dei difetti evolutivi che ci portiamo dietro avremmo ampia possibilità di scelta; dal singhiozzo alla appendice fino ai denti del giudizio, il percorso evolutivo che ha portato al Homo sapiens si è caricato di alcune imperfezioni evidenti ma forse proprio per questo umane. Mi limiterò alle prime 10 che mi vengono in mente.

1. Siamo delle chimere
Comincio con il prenderla molto alla lontana (in senso letterale su scala temporale) ricordando che in un periodo imprecisato  intorno a 2 miliardi di anni fa, dalla unione (o forse sarebbe meglio dire, un pasto non riuscito) tra un proto-eucariote ed un batterio in grado di usare l'ossigeno nacque l'antenato delle odierne cellule eucariote con l'evoluzione di un rapporto simbiontico tra mitocondrio (l'ex batterio) e la cellula predatrice. Per altre informazioni vedi articolo precedente --> QUI.
Un evento simile ha portato alla comparsa di eucarioti fotosintetici (le cellule vegetali). Ma questa è un'altra storia.
La "digestione" non riuscita di un batterio aerobico e di un cianobatterio è l'origine più probabile degli attuali mitocondri e cloroplasti, rispettivamente (--> Il batterio ispiratore di Star Wars)

Questo rapporto, senza il quale non sarebbero mai potuti comparire gli organismi pluricellulari complessi in quanto energicamente dispendiosi, si è evoluto a tal punto che alcuni geni del mitocondrio (perché ovviamente il batterio aveva un suo genoma indipendente) si sono trasferiti nella cellula ospitante, in un luogo ben più protetto (e controllabile) come il nucleo. Tuttavia il trasferimento è stato parziale e infatti il mitocondrio ha ancora oggi un proprio genoma e propri apparati trascrizionali e traduzionali. Questo fa si che sia sensibile a mutazioni nel DNA, cosa non rara in un ambiente ricco di radicali liberi. L'impatto delle mutazioni mitocondriali è "frenato" sia dal fatto che in un genoma così compatto come quello mitocondriale, le mutazioni sono quasi sempre "distruttive" (quindi si auto-estinguono insieme al mitocondrio alterato) che dall'alto numero di mitocondri presenti in una cellula (variabile e regolabile a seconda delle necessità cellulari) che diluisce l'eventuale anomalia funzionale. Ciò nondimeno quando una mutazione diventa dominante la cellula prima e l'organismo pluricellulare poi subiranno le conseguenze come ben dimostrano alcune patologie umane quali le miopatie mitocondriali (a carico dei muscoli) e la sindrome di Leigh (che colpisce il sistema nervoso centrale). Un demiurgo previdente avrebbe caricato in toto le istruzioni per fare funzionare la nostra centralina energetica nel nucleo, sia perché un luogo più al riparo dallo stress ossidativo che per la presenza di un apparato di riparazione del DNA più efficiente.

2. Singhiozzo
Un "cortocircuito" presente anche in altri mammiferi oltre a noi. Anche qui bisogna risalire l'albero evolutivo fino ad arrivare ai primi pesci capaci di catturare l'ossigeno dall'aria (quando necessario) senza bisogno di filtrarlo dall'acqua incanalata attraverso le branchie. Utilizzavano a tale scopo dei polmoni primitivi in cui l'aria veniva convogliata e poi espulsa. Poiché si trattava di necessità temporanee il pesce doveva avere un mezzo per chiudere la glottide (ingresso ai polmoni) quando tornava sott'acqua; il movimento muscolare di chiusura si accoppiava a quello che spingeva l'acqua attraverso le branchie il che preveniva "dimenticanze". Noi che di questi animali proto-terrestri siamo i discendenti, ci portiamo dietro le vestigia di questo meccanismo che, persa oramai di ogni funzionalità, può ogni tanto corto-circuitare nella comparsa del singhiozzo. Il singhiozzo infatti altro non è che l'attivazione di questi muscoli "antichi" che fanno chiudere rapidamente la glottide mentre aspiriamo (non più l'acqua oramai ma solo aria).
I muscoli che usiamo per respirare sono quelli intercostali, situati tra le costole e il diaframma - un foglietto di muscolo sotto i polmoni. Il singhiozzo non a caso compare dopo avere mangiato o bevuto, troppo o troppo rapidamente, una attività che induce l'estensione delle pareti dello stomaco, situato proprio sotto il diaframma. L'espansione provoca una risposta nel diaframma che induce la contrazione della glottide. Uno dei motivi per cui è così difficile smettere di singhiozzare è che l'intero processo è controllato da una parte del nostro cervello evolutasi ben prima della "coscienza" - o meglio del controllo "voluto" dei movimenti.

Seppur fastidioso il singhiozzo è temporaneo; quando invece assume i caratteri di eccessiva ricorrenza o cronicità, il problema va cercato nella "cablatura nervosa" a livello spinale o cerebrale.

3. Mal di schiena
L'impalcatura ossea del tronco dei vertebrati si è evoluta lungo un asse portante (la colonna vertebrale entro cui sono poi stati raccolti "i cavi" nervosi) da cui si sono dipartite delle appendici (le costole) necessarie per contenere gli organi interni. Mentre la struttura nelle sue molteplici variazioni si è rivelata in grado di assolvere al movimento dei tanti tipi di vertebrati terrestri, la sfida funzionale si è complicata con l'acquisizione da parte degli ominidi dell'andatura eretta (bipede). Il cambiamento ha imposto un rimodellamento dell'asse scheletrico facilmente osservabile dall'analisi comparativa dei reperti ossei di Australopitechus e Homo.
Il cambiamento posturale non è stato un evento di poco conto in quanto si è avuto un ribaltamento della distribuzione del peso, culminato con la l'acquisizione di una forma ad S della colonna vertebrale. Il peso di testa e spalle e dell'azione muscolare per tenere la posizione eretta si scarica in noi sulle vertebre, soggette quindi ad stress e alla comparsa di dolori spesso cronici. Se questo non dovesse bastare, il rimodellamento del bacino aggiuntosi all'aumento della dimensione cranica ha reso il parto un evento nettamente più traumatico di quanto osservabile in qualunque altro mammifero. Per compensare in parte il problema il periodo gestazionale si è accorciato in modo da permettere la nascita di "immaturi" (se comparato all'aspetto e capacità della progenie di altri mammiferi non primati).

4. Intestino "cedente"
Una volta indirizzati verso la posizione eretta, anche l'intestino si è trovato in una situazione "precaria" non più sostenuto dai muscoli addominali e soprattutto dallo stomaco come nei quadrupedi (vedi ad esempio --> qui). Il risultato di questa distribuzione verticale del peso (sulle cavità interne e negli uomini sullo scroto) è la comparsa di ernie inguinali.


5. Mangiare e soffocare
Tutti conoscono la manovra di Heimich o hanno visto in qualche film persone a cui era andato per traverso del cibo, salvate da questa tecnica. Un problema sconosciuto ai nostri amici a quattro zampe proprio perché è un "effetto collaterale" della posizione eretta.
Nella maggior parte degli animali la trachea (dove avviene il passaggio dell'aria) e l'esofago (dove transita il cibo) sono disposte in modo che l'esofago sia posizionato sotto la trachea. Nella gola di un gatto, ad esempio, i due canali corrono approssimativamente orizzontali e paralleli tra loro prima di dirigersi ai polmoni e allo stomaco, rispettivamente. In questa configurazione, la gravità tende a spingere il cibo verso il basso quindi verso l'esofago e i rischi di un errato percorso coinvolgono al più la sola aria inspirata e non il cibo. Negli esseri umani non è così, con i due canali pressoché verticali e esofago e trachea alla stessa altezza.
(@medicinaonline)
La combinazione di questi fattori fa si che la probabilità che il cibo "sbagli strada" è molto alta ma è fortunatamente prevenuta dalla chiusura della epiglottide. Se questa non si chiudesse in tempo il rischio di soffocare sarebbe molto alto. Le scimmie, dotate di posizione "quasi eretta" sono meno a rischio; ad attenuare il rischio la minore evoluzione dell'apparato vocale la cui funzionalità è strettamente correlata alla struttura della laringe, la sede delle corde vocali.

6. Sensibilità al freddo
La pelliccia è qualcosa di simile ad un caldo abbraccio in una fredda giornata d'inverno, una protezione quasi onnipresente tra i mammiferi. Gli umani insieme a poche altre specie (il ratto talpa ad esempio) l'anno persa durante l'evoluzione complice l'essersi evoluti in ambienti tropicali. Sulle cause che hanno portato alla sua perdita (esistono animali tropicali dotati di un rivestimento isolante - non traspirante) il consensus non è definitivo; una delle spiegazioni più plausibili è che con il crescere della dimensione del "branco"negli ominidi il rischio di trasmissione di malattie derivanti da zecche e pidocchi abbia facilitato la discendenza degli individui glabri (i capelli sono meno a rischio di veicolare parassiti pericolosi). Essere glabri in Africa non era di per sé svantaggioso ma lo divenne con la migrazione verso nord dei neandertal prima e dei sapiens poi.

In entrambi i casi la perdita di peli poté essere compensata solo con la parallela capacità di dotarsi di pellicce artificiali, un passaggio che ha permesso non solo di colonizzare i climi temperati ma anche quelli artici. Vero è tuttavia che da un punto di vista evolutivo la perdita dei peli sarebbe stato svantaggioso per la migrazione in climi più freddi, ostacolando di fatto il successo della specie. Questo ribadisce un concetto chiave, cioè che l'evoluzione NON è lungimirante ma è legata al momento in cui avviene, quindi non è di per sé un evento "di progresso".

7. La pelle d'oca
Rimaniamo sul tema "pelliccia" per ricordare che i nostri antenati pelosi erano dotati, come molte altre specie, di speciali muscoli nella pelle chiamati "erettori del pelo" che si contraevano sia per cause "emotive" (come lo stress) che per il freddo, utile in quest'ultimo caso per creare una "bolla d'aria" isolante trattenuta dall'aumentato spessore del rivestimento. Fenomeni simili si osservano nei cani e negli uccelli, ad indicare "l'atavicità" di questa scelta funzionale. Nel nostro caso la scomparsa di gran parte dei peli ha lasciato "solitarie" le fibre muscolari lisce che percorrono la nostra cute, la quale continua a contrarsi con il freddo dando così mostra del fenomeno della "pelle d'oca". Un fenomeno da non confondere con il classico raggrinzimento dei polpastrelli in acqua invece dovuta (con ogni probabilità) ad una "scelta evolutiva" facilitante la presa in acqua, grazie all'aumento della superficie di contatto. Anche qui ad essere coinvolte sono le fibre muscolari lisce ma non quelle associate ai peli.
Piloerezione (pelle d'oca) sul corpo di un essere umano
(Photo by Ildar Sagdejev)


8. Cervello e denti. Una coesistenza difficile
Come già scritto in un precedente articolo (--> Le dimensioni contano), l'equazione cervello grande-grande intelligenza non è corretto sebbene il quesito somigli molto al classico "se sia nato prima l'uovo o la gallina". 
Sta di fatto che un cervello sufficientemente esteso è condizione necessaria perché si possano evolvere aree specializzate e con esse quella che noi definiamo genericamente "intelligenza". Durante l'evoluzione degli ominidi si è assistito ad un progressivo aumento del volume cranico causato, ovviamente, da mutazioni genetiche (vedi ad esempio quella in LAMC3 descritta QUI). L'aumento del volume impone un aumento dimensionale del "contenitore", il che non è un processo senza conseguenze come ben sapeva il T. rex.
Il testone di questo dinosauro (dotato più che di grande cervello di mascelle possenti) ha imposto una redistribuzione del peso lungo tutto il corpo con la atrofizzazione delle braccia (che avrebbero spostato il baricentro troppo in avanti) e coda e gambe sufficientemente possenti da permettergli di "non cascare in avanti".
Nel caso degli ominidi l'aumento dello spazio cranico allocato al cervello ha sottratto materiale osseo alle mascelle rendendole meno possenti rispetto a quelle dei nostri cugini primati. La "perdita" ci avrebbe portato in un vicolo cieco evolutivo (incapaci di masticare carne e corteccia) se non fosse comparsa "l'inventiva" capace di farci scoprire gli utensili e l'uso del fuoco per la cottura del cibo (è noto che questo è il passaggio cruciale nella nostra evoluzione in quanto fornì un surplus calorico inusitato capace di sostenere la spesa energetica del cervello, che ricordo arriva fino al 20% del totale giornaliero).
Le mascelle ridimensionate non si sono accompagnate ad una parallela riduzione dei denti che quindi "non stanno più nella bocca". Questa è la ragione per cui ci troviamo con denti "fastidiosi / in eccesso" come i denti del giudizio che causano spesso problemi e devono essere rimossi.


9. Obesità
Uno degli aspetti a cui la nostra fisiologia non si è ancora adattata è "l'improvvisa" abbondanza di cibo. Se i nostri antenati arboricoli avevano tutto sommato un rapido accesso a frutta, vegetali e talvolta carne, nel momento stesso in cui i primi ominidi cominciarono la loro avventura in spazi aperti il problema costante divenne trovare il cibo. Un problema come sappiamo non limitato solo a noi ma a qualunque animale, specialmente i carnivori che il cibo devono cercarlo e che per tale motivo stanno spesso giorni senza mangiare.
Anche dopo il nostro "affrancamento" dalla mera ricerca di cibo (con l'invenzione di agricoltura e allevamento) la certezza di avere un importo calorico adeguato era tutto fuorché certo, legato a molteplici variabili ambientali e umane. Gli ultimi 30 mila anni hanno selezionato quindi individui in grado di sopportare una assunzione di cibo discontinua e soprattutto monotematica (a seconda del luogo in cui tali popolazioni si erano adattate). Nell'ultimo secolo la situazione si è rovesciata con una paradossale inversione di tendenza per cui il cibo ipercalorico ("cibo spazzatura") è diventato di più facile accesso agli individui più poveri. Risultato, una "epidemia" di obesità che è tracimata dai paesi più agiati (ma dove era più lecito attendersela) fino a popolazioni che fino a pochi anni fa (letteralmente) avevano una dieta di pura sussistenza. Esempi classici sono le percentuali di obesi in crescita esponenziale in Cina e perfino Africa; casi eclatanti sono quelli che riguardano i discendenti degli indios - la parola nativo americano è una idiozia semantica -del Sudamerica e negli abitanti della Polinesia (vi rimando all'articolo precedente --> Ingrassate d'inverno? Colpa della genetica) .
La ragione è semplice: non siamo programmati per una assunzione di cibo costante e tutta questa disponibilità, a qualunque ora, non può fare altro che mandare in corto circuito la nostra fisiologia.
La fame è uno stimolo fondamentale evolutasi come "coercizione" per andare alla ricerca del cibo. Le nostre papille gustative si sono evolute per spingerci a preferire gli alimenti più ricchi di molecole ipercaloriche (a bassa disponibilità in natura) come zuccheri, sali e grassi ed evitare invece quelli amari, generalmente associati a tossine. E' come se avessimo un GPS corporeo che ci spinge verso cibi che data l'attuale abbondanza si traducono in bombe ad orologeria metaboliche.


10 - .... l'elenco potrebbe continuare 
Potremmo andare avanti citando molti altri esempi di vestigia funzionali o di strutture "migliorabili, dai capezzoli maschili all'appendice, dai tumori della pelle nel fototipo chiaro a tutti gli inconvenienti dell'invecchiamento più evidenti negli umani che in altri animali (ma solo perché oggi viviamo più a lungo di quanto la selezione naturale ci abbia "plasmato" --> QUI o il tag "invecchiamento" ) oppure del punto cieco nei nostri occhi, dei muscoli vestigiali ancora presenti per muovere l'orecchio, del coccige da cui un tempo spuntava la coda, dei problemi per i maschietti del sedersi a lungo su sellini di biciclette, ... .
Come scritto sopra, il corpo è costruito su un vecchio modulo, costituito da parti aggiunte o migliorate di volta in volta quasi fossimo delle creature assemblate da un geniale dr. Frankestein in grado di usare i pezzi disponibili per fare l'upgrade al modello successivo.
Nondimeno si tratta di un mirabile esempio di come l'evoluzione sappia fare di necessità virtù e di come ciascuno di noi (ivi compresi gli altri animali, piante, protozoi, funghi e microbi) siamo il prodotto preziosissimo di 3,5 miliardi di anni di messa a punto.

(clicca per ingrandire)


Bollire l'acqua senza ... bolle

Un trucco noto a chiunque si diletti di cucina per verificare se la padella è sufficientemente calda è quello  di osservare il comportamento di gocce d'acqua spruzzate sulla sua superficie. Se la superficie è al di sopra del punto di ebollizione dell'acqua, le goccioline, sorrette da un cuscino di vapore, vagheranno per tutta la padella fino a che il vapore cederà, facendo cadere la goccia sulla superficie con il risultato di un furioso ribollimento locale.
Questo fenomeno noto come Effetto Leidenfrost è alla base della scoperta, pubblicata tempo fa sulla prestigiosa rivista Nature da Ivan Vakarelski in cui si dimostrava che l'acqua può bollire … senza bolle.
In che modo? Facendo in modo che il cuscino di vapore non si rompa.
Ok, direte voi , adesso ne sappiamo meno di prima.
 
La chiave di tutto è rendere idrorepellente la superficie calda a contatto con l'acqua, una tecnica usata da anni nel trattamento della superficie di navi o semplici battelli.
Quello che Vakarelski mostra è che scaldando delle sfere di metallo, precedentemente trattate in modo da essere ruvide e idrorepellenti, fino ad una temperatura di 400 °C (oltre la quale il rivestimento si deteriora), il comportamento delle molecole d'acqua che entreranno in contatto con esse cambierà.
In sintesi quando una sfera riscaldata viene messa a contatto con acqua a temperatura ambiente si forma uno strato di vapore acqueo tutto intorno alla sfera. A questo punto il comportamento cambia tra le sfere idrorepellenti e quelle idrofile; lo strato di vapore intorno alle sfere idrofile collassa velocemente originando delle "bolle" esplosive mentre le sfere trattate, pur scaldando il liquido circostante, non danno origine ad alcuna turbolenza.
Un risultato questo che potrebbe essere sfruttato per diminuire la resistenza in strumenti come i dispositivi microfluidici, sempre più diffusi nei laboratori di ricerca.
Neelesh A. Patankar, uno degli autori del lavoro, ipotizza a tal scopo una superficie piana che renda lo stato di vapore più stabile. Una soluzione del genere sarebbe utile anche in ambito navale rendendo non solo la superficie dello scafo meno soggetta all'attrito ma avrebbe un impatto positivo nel diminuire le incrostazioni biologiche (dovute ad alghe, mitili, ...), riducendo quindi i costi e tempi di bonifica periodica.

Esempio di una barca non pulita con regolarità


Di seguito un video esplicativo del fenomeno
Se non vedete il video --> QUI

Le prospettive offerte dai risultati di questo lavoro vanno quindi ben al di là di una (pur gradita) "bollitura" senza schizzi di acqua calda.

Fonte
-  Stabilization of Leidenfrost vapour layer by textured superhydrophobic surfaces
Ivan U. Vakarelski et al,  Nature, 489,  pp. 274–277



Usare i batteri come biosensori emettenti luce

Lo slogan "arte-tecnica-vita" ben potrebbe campeggiare all'entrata del laboratorio di Jeff Hasty alla università di San Diego. In questo laboratorio è stato infatti sviluppata quella che potremmo definire  come una insegna vivente al neon; una definizione giustificata dall'essere costituita da milioni di batteri che emettono luce periodicamente e all'unisono, come tante piccolissime lampadine scintillanti.
Migliaia di batteri luminosi
(®Hasty Lab, UC San Diego)
Il risultato pubblicato tempo fa sulla prestigiosa rivista Nature, è stato ottenuto attaccando prima una proteina fluorescente all'effettore dell'orologio biologico nei batteri, quindi sincronizzando gli "orologi" di tutti i batteri appartenenti alla stessa colonia ed infine sincronizzando tutte le colonie.
Un risultato non banale e tanto meno futile.

Il punto fondante della strategia è l'esistenza in molte specie di batteri di una capacità comunicativa, quasi da meta-organismo, che consente loro di rispondere in modo univoco alle variazioni ambientali. Il nome di questo meccanismo è quorum sensing.
La comprensione di come avvenga la comunicazione all'interno di queste colonie è stata possibile grazie allo studio di batteri "competitori", in grado di alterare le vie comunicative degli avversari mediante la degradazione selettiva delle molecole responsabili della comunicazione.
Una volta noto il meccanismo di interferenza, identificare i "vettori della comunicazione" è stato semplice; vettori individuati in molecole volatili, dotate quindi di una elevata alta capacità di diffusione all'interno della colonia batterica.
Maggiore la velocità di diffusione, maggiore è la capacità di trasmettere il messaggio "di riprogrammazione" del comportamento dei singoli membri della colonia.
(®Hasty Lab, UC San Diego)
Compreso il meccanismo, i ricercatori hanno pensato a come sfruttare questi sensori naturali, ad esempio come sistemi di rilevazione di contaminanti ambientali.
Tra i sensori sviluppati dal laboratorio alla UCSD vi è un chip su cui sono stati posizionati circa 2,5 milioni di batteri organizzati in colonie; in termini funzionali si tratta di biopixel, cioè punti di luce in tutto simili ad i pixel dei monitor. Su ciascun chip sono presenti fino a 13 mila biopixels.

Lo scopo? Quando il chip viene posizionato in un ambiente in cui siano presenti quantità minime di un dato inquinante (ad esempio arsenico), la risposta batterica è programmata in modo tale che si produca una variazione proporzionale nella frequenza di emissione della luce (ricordo che i batteri sono stati ingegnerizzati per produrre una proteina fluorescente).

Dato il costo di sviluppo minimo non è difficile immaginare l'utilizzo di questi biosensori in sistemi di monitoraggio ambientale su vasta scala.

Video riassuntivo del progetto di ricerca:
Se non vedete il video, usate il link diretto --> Youtube

(Articolo correlato --> Piante fluorescenti)

Fonte
- A sensing array of radically coupled genetic ‘biopixels’
Arthur Prindle et al,  Nature,  481, pp 39–44


Il tumore contagioso nei cani. Origini e genetica

Il cancro è la conseguenza della perdita di una serie di meccanismi di controllo proliferativo e differenziativo in una cellula e nella sua discendenza. Sottolineo che l'esito non è "solo" la proliferazione incontrollata delle cellule alterate ma soprattutto l'alterazione di equilibri tissutali e sistemici.
Per comprendere l'impatto distruttivo del cancro pensiamo ad un organo il cui funzionamento viene meno perché l'organizzazione interna è alterata dallo sbilanciamento nella tipologia di cellule presenti (in genere con l'accumulo di cellule non differenziate) e dalla invasione delle stesse nelle aree adiacenti "normali" con conseguente alterazione delle proprietà funzionali di tutto l'organo.
L'effetto "distruttivo" del tumore può inoltre essere trasmesso alle cellule sane in modo indipendente dall'invasione tissutale, grazie alla produzione di segnali chimici che ne modificano il comportamento. Nei tumori solidi il percorso è in genere un susseguirsi di displasia (variazione forma), iperplasia (aumento numero cellule ma senza fuoriuscita dalla membrana basale nel caso di tessuti epiteliali), neoplasia, neovascolarizzazione ed eventualmente disseminazione. Un processo multi-step che in organi delicati e autolimitati spazialmente come il cervello ha un quasi immediato impatto disfunzionale. Nelle leucemie invece molti dei problemi sono la conseguenza di uno sbilanciamento nella tipologia di cellule prodotte, conseguenza di mutazioni nel bacino di cellule midollari non differenziate che favorisce un percorso differenziativo (spesso incompleto) a discapito di altri. In altre parole alcuni tipi di cellule del sangue si riducono di numero e altri sono in eccesso e/o solo parzialmente funzionanti. Da qui problemi che possono andare da anemia, problemi nella coagulazione alla depressione immunitaria (e quindi sensibilità a infezioni).
All'interno della variabilità nei meccanismi che possono provocare il cancro, il punto fermo è che NON si tratta di una malattia contagiosa (vedi sotto quando e perché invece un "contagio" è teoricamente possibile). Il motivo è semplice e non ammette deroghe: ogni cellula estranea che penetra nel nostro organismo viene considerata un nemico e come tale distrutta immediatamente. Nessuna sorpresa dato che questa è la ragione del rigetto dei trapianti o di trasfusioni di sangue non compatibile. La differenza tra un tumore ed una malattia causata da un "agente estraneo" è proprio nel fatto che le cellule tumorali sono cellule "nostre" (la definizione corretta è self) e come tali il nostro sistema immunitario è programmato ad ignorarle (grazie ad un processo noto come "selezione negativa"); quando questo meccanismo funziona male ecco comparire le patologie autoimmuni, in cui il "self" è scambiato per estraneo ("non-self") e quindi attaccato. 
Le cellule tumorali che per definizione proprio normali non sono (e quindi con marcatori che potrebbero farle identificare come non-self) dovrebbero quindi essere eliminate in quanto "diverse dal sé". Un processo che in effetti avviene durante tutta la vita e che spiega per quale motivo un tumore conclamato sia una possibilità e non una certezza nell'arco di una vita media di 75 anni e con innumerevoli divisioni cellulari avvenute. Tuttavia sappiamo altrettanto bene che sviluppare un tumore è una possibilità reale che deve essere spiegata con la sua capacità di eludere in qualche modo i meccanismi di controllo. Le modalità sono varie ma riassumibili in "mascherandosi" da cellule normali (mediante la riduzione dei marcatori di superficie anomali) oppure "istruendo" il sistema immunitario ad ignorare queste cellule reclutando in loco i linfociti T regolatori.
Non si tratta, come potrebbe apparire, di una regolazione "stupida" in quanto pro-tumorale ma di un processo normale (e fondamentale) con il quale si evita che permangano stati infiammatori di lungo periodo che sono di per sé causa di danni tissutali.
In pratica il trucchetto usato dalle cellule tumorali equivale a dire alle pattuglie del sistema immunitario "guarda che siamo self! Non vedi che abbiamo questi segnali che ci identificano come tali?". Se il messaggio è ben modulato, i linfociti Treg bloccano il reclutamento nel sito delle cellule deputate alla eliminazione dell'invasore, fungendo quindi da "complici inconsapevoli" del mantenimento prima e dell'accrescimento poi del tumore.
Tali escamotages non sono possibili con le cellule esogene in quanto immunologicamente diverse dal self. Anche qui l'evoluzione ha selezionato strategie elusive con le quali alcuni patogeni sfuggono al riconoscimento nascondendosi dentro le cellule dell'ospite o mimetizzandosi con marcatori self.
Questa è la ragione per cui NON si può contrarre un tumore come se fosse un agente infettivo anche qualora si ricevesse una trasfusione contenente cellule tumorali. Salvo una eccezione, cioè che il ricevente ed il donatore siano geneticamente omogenei; questo è il motivo per cui quando si studia la propagazione di un tumore in animali di laboratorio si usano animali singènici e/o con sistema immunitario deficitario. In assenza di queste condizioni il tumore non "attecchisce" una volta trasferito in un animale diverso da quello di partenza.

Eziologicamente il tumore è la conseguenza di un certo numero di mutazioni in geni chiave in grado di conferire un vantaggio proliferativo rispetto alle cellule normali. In alcuni casi l'input disregolatorio arriva, oltre che da agenti mutageni esterni quali sostanze chimiche o radiazioni,  anche da virus, noti non a caso come oncovirus. I virus sono per loro natura capaci di modificare il comportamento di una cellula reindirizzando il suo "macchinario" per creare copie di se stessi  a scapito della funzionalità cellulare. Alcuni virus non si limitano a sfruttare questo macchinario come farebbe un "banale" virus dell'influenza, ma riprogrammano la cellula in modo tale che da uno stato quiescente (poco utile per alcuni di loro) passi a quello proliferante. Mentre in alcuni animali sono noti virus "francamente" oncogenici (--> virus del sarcoma di Rous) negli esseri umani solo pochi virus (HTLV e alcuni papilloma virus) hanno tale capacità e in genere "solo" come aumentato rischio; alcuni di questi mostrano tale effetto solo in presenza di condizioni facilitanti come uno stato immunitario e/o nutrizionale precario. Il virus di Epstein Barr (EBV) è un esempio classico in tal senso.
L'EBV nei paesi occidentali causa una "banalissima" e spesso asintomatica mononucleosi mentre altrove è stato correlato con il carcinoma nasofaringeo (Sud-Est asiatico) o con il linfoma di Burkitt (Africa equatoriale e Maghreb), tumori altrimenti rarissimi. Si ritiene che le concause che determinano esiti così diversi siano da ricercarsi nello stato di salute generale (quindi anche l'alimentazione), genetica predisponente e nella presenza di infezioni concomitanti (malaria ma non solo) che "sovraccaricano" il sistema immunitario rendendolo meno capace di montare una risposta efficace contro il virus. Per capirci il 90% delle persone occidentali sopra i 14 anni ha anticorpi contro EBV ad indicare l'avvenuto contatto con il virus (e successiva eradicazione); non a caso la mononucleosi è chiamata la malattia del bacio ad indicare la modalità di trasmissione e la banalità dei sintomi che in genere non vanno al di là di qualcosa di simile ad una lievissima influenza.
Ho scritto prima che i tumori non sono trasmissibili tra individui diversi della stessa specie purché sussistano certe condizioni. Ripetiamole:
  • il sistema immunitario deve essere funzionante. In caso di malfunzionamenti il sistema di monitoraggio viene meno e questo spiega perché nei soggetti immunodepressi come i malati di AIDS la frequenza di tumori altrimenti rarissimi come il sarcoma di Kaposi sia alta.
  • Il pool genetico della popolazione deve essere ampio. Non parliamo qui di differenze elevate (come quelle tra specie diverse anche se simili) ma è sufficiente quel decimale di differenza genetica che esiste all'interno della popolazione umana perché compaia una incompatibilità de facto (i trapianti che non necessitano di immunosoppressione sono possibili solo tra gemelli o fratelli "compatibili"). Una variabilità che viene meno nelle popolazioni rimaste isolate per generazioni o in cui per qualunque ragione vi sia stata una elevata frequenza di incroci tra consanguinei; l'immediata conseguenza è che il tasso di omozigosi è maggiore del "normale", il che a cascata comporta sia un aumento della frequenza di alleli deleteri che una minore variabilità genetica.
Ed è proprio il secondo punto che spiega l'esistenza di tumori "contagiosi" descritti in animali come i cani e il diavolo della Tasmania. Le cause sono diverse ma l'esito identico.
Nel caso del cane è il concetto stesso di "razza" che spiega l'uniformità genetica; molte razze canine sono relativamente recenti e sono state create dall'uomo mediante incroci selettivi per fare emergere un dato carattere. Se la popolazione di partenza non è ampia, oltre a selezionare il carattere voluto si accumulano alleli deleteri, un fenomeno ben evidente nella sensibilità di alcune razze di cani a malattie anche molto serie.

Il tumore nel diavolo della Tasmania
Credit: R. Hamende/Nature
Nel caso del diavolo della Tasmania il problema (di cui ho parlato in precedenza --> "Una minaccia mortale per il Diavolo della Tasmania") deriva dal suo vivere in un'area geograficamente ristretta e con un numero di individui non sufficiente per mantenere una variabilità genetica adeguata. Un collo di bottiglia genetico che riduce drasticamente le differenze genetiche tra un individuo e l'altro (e che le rende meno capaci di "adattarsi" alle variazioni ambientali).

Il tumore contagioso nel cane
Cosa succede se all'interno di popolazioni geneticamente povere compare (come è "normale" che avvenga essendo il tumore un "accidente" fisiologico) un tumore che colpisce aree esposte dell'animale che entrano spesso in contatto con quelle dei consimili? 
Può comparire e diffondersi il tumore venereo trasmissibile (CTVT), erroneamente attribuito all'inizio ad un oncovirus, una ipotesi oggi esclusa.
Si tratta invece di un tipico esempio di trasmissione tumorale mediata da cellule, tra individui geneticamente compatibili. Il trasferimento di cellule tumorali dall'epitelio dell'apparato urogenitale di un cane malato al ricevente può avvenire sia durante l'accoppiamento che per il quotidiano processo di identificazione olfattiva ravvicinata, in cui il muso va a contatto con l'area genitale. Non è un caso che il tumore si localizzi principalmente sul muso e sui genitali.

Un fenomeno questo possibile solo tra individui geneticamente omogenei o (ma per ragioni complementari) con un sistema immunitario deficitario.

Un cane con tumore localizzato
nell'area genitale
(credit: BMC)
La comparazione del DNA ottenuto da diverse biopsie tumorali, ha permesso inoltre di determinare l'età di questo tumore. Un concetto associato a quando detto prima, cioè che il CTVT non è un tumore che compare ex-novo ma è uno stesso tumore che si propaga da innumerevoli generazioni e che è diventato capace di farlo (passare da un cane all'altro) in quanto ha accumulato le caratteristiche funzionali per farlo.
L'analisi genetica fa risalire il tumore originale a 11 mila anni fa, un caso incredibile di un tumore sopravvissuto al suo "soggetto zero" e trasmesso in modo orizzontale (da un cane all'altro e NON in modo ereditario) grazie ad una serie di concause, tra cui il processo di domesticazione del cane che ha ridotto la variabilità genetica della popolazione
Per quanto diversi possano sembrare un alano da uno yorkshire, sono di gran lunga più simili tra loro rispetto a due umani originati da aree geografiche diverse (il che ha senso in quanto le razze canine sono molto recenti - spesso meno di 200 anni - mentre alcune popolazioni umane non hanno avuto più contatti tra loro negli ultimi 30 mila anni (vedi --> QUI). Il "paziente zero" dell'epidemia canina si ritiene assomigliasse, confrontandolo con le razze attuali, ad un Alaskan Malamute.
In tutto questo tempo il tumore si è mantenuto ed adattato (si stimano in 2 milioni il numero di mutazioni acquisite) solo mediante il trasferimento orizzontale, cioè il passaggio da un cane all'altro.
Molto interessante a tal proposito lo studio "genealogico" pubblicato sulla rivista eLife da un team internazionale guidato da ricercatori della  università di Cambridge, si è concentrato sul DNA mitocondriale prelevati da 449 tumori CTVT da cani in 39 paesi nei sei continenti.
Il mitocondrio
I mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, sono  organelli di origine batterica (risultato di una simbiosi spinta al massimo avvenuta circa 1,5-2 miliardi di anni fa) che mantengono ancora un proprio DNA distinto da quello nucleare. Lo studio delle variazioni del DNA mitocondriale è particolarmente utile nella ricostruzione di alberi filogenetici che si spingono molto lontano nel tempo.
 Studi precedenti avevano mostrano che durante "la storia evolutiva di questo tumore" si erano verificati trasferimenti di mitocondri dalle cellule dell'animale "infettato" alle cellule tumorali, poi tramandate alla discendenza delle cellule tumorali attraverso i secoli. Un trasferimento che probabilmente ha fornito al tumore gli strumenti per sopravvivere
Nel nuovo studio i ricercatori hanno potuto quantificare in cinque il numero di volte in cui questo "passaggio" è avvenuto dalla comparsa del tumore nel "cane zero". Un dato che ha permesso, oltre che di ricostruire in modo dettagliato la storia del tumore, di provare che il trasferimento dei mitocondri da una cellula è l'altra è possibile (un evento mai osservato prima nei tumori).

 All'interno di questo albero genealogico del tumore, i cinque eventi indipendenti sono stati assimilati a cladi, rami rappresentanti un punto della storia in cui i mitocondri sono passati dal cane al tumore. Mappando i tumori all'interno di questi cladi e rapportandoli alla localizzazione geografica, i ricercatori hanno mappato la via di diffusione con il risultati di osservare una sovrapposizione con i flussi migratori (o commerciali) dell'essere umano nella sua storia.
Uno di questi rami sembra essersi originato dalla Russia o dalla Cina circa 1000 anni fa mentre un altro, verosimilmente associato ai coloni europei, compare nelle americhe circa 500 anni fa. L'arrivo in Australia è invece molto più recente (fine del ventesimo secolo) data l'assenza del cane in queste aree (ricordo che il dingo NON è un cane).
La distribuzione attuale dei 5 cladi (courtesy of the Cambridge University)


Di seguito un video riassuntivo dei risultati dello studio.
Se non vedete il video, cliccate --> YouTube

I dati sono molto importanti sia per la conoscenza dei tumori contagiosi, che tanti danni hanno provocato nei cani ma soprattutto nel Diavolo della Tasmania spinto sull'orlo dell'estinzione, che per la biologia del cancro. La scoperta della capacità delle cellule tumorali di "catturare i mitocondri" per guadagnare vantaggi selettivi, potrebbe tradursi nello sviluppo di nuove terapie.


Fonte
- Mitochondrial genetic diversity, selection and recombination in a canine transmissible cancer
Strakova, A et al. (2016) eLife, DOI:10.7554/eLife.14552

- How a contagious dog tumour went global
Nature (2014) 

- Canine infectious cancer has spread to all corners of the world
BioMed Central (2014)




Come dormivano i veri Flintstones

La scoperta della cura con cui i nostri antenati preparavano i loro giacigli è di qualche tempo fa; l'avevo letta e "immagazzinata" nella soffitta della mia memoria dove è poi rimasta "a prendere polvere".
Questo fino a quando una delle tipiche domande "da 1 milione di euro" fattami da un giovane durante una ritrovo di famiglia mi fece tornare in mente che qualcosa avevo letto a riguardo. La discussione inizialmente centrata sull'evoluzione dei sapiens era poi approdata alla saga immaginifica e chiaramente  poco reale dei Flintstones, con la domanda su dove dormissero e in che condizioni.

 Già dalla preistoria l'essere umano ha cercato di creare un ambiente dove dormire in modo sicuro e confortevole. E fin qui in realtà nulla di nuovo dato che moltissime altre specie animali lavorano alacremente per costruire il nido e/o consolidare il proprio rifugio, specialmente in funzione di un luogo protetto per l'allevamento della prole.
Lo stile "Flintstones" (cartoonbrew.com)
Gli esseri umani (e qui il discorso comprende anche i cugini dei sapiens, ad esempio i neandertal) sono andati oltre creando delle zone attrezzate per un riposo soddisfacente in funzione generale e non solo come "nido" temporaneo.
Come i loro discendenti, cioè noi, i "Flintstones" hanno lasciato molte tracce dei luoghi in cui vissero, spesso sotto forma di spazzatura. Dall'analisi di queste aree è emersa la loro crescente attenzione a quello che oggi chiameremmo design d'interni funzionale.
A volte ci hanno perfino lasciato dei disegni sulle pareti anche se più spesso di queste abitazioni abbiamo solo i resti derivanti dall'averci vissuto per secoli, generazione dopo generazione, accumulando così uno sopra l'altro sedimenti e i manufatti.
Questa sedimentazione ha lasciato tracce sufficienti affinché gli antropologi riuscissero a ricostruire con buona precisione la tipologia dei giacigli usati. Uno studio come quello compiuto da Lyn Wadley e descritto sulla rivista Science, che ha permesso di ricostruire i "letti e lenzuola" del "filintstoniano" che abitava presso i rifugi rocciosi siti a Sibudu, Sud Africa.
Ma attenzione, sebbene io abbia usato un virgolettato, si tratta di vere e proprie lenzuola e materassi, sebbene primitivi, risalenti ad un periodo compreso fra 77 mila e 38 mila anni fa (tardo pleistocene), costituiti da piante e foglie scelte (questo termine è l'elemento chiave) in modo non casuale.
L'area dei ritrovamenti
Le piante selezionate, appartenenti al del genere Carice e oggi note per le loro proprietà terapeutiche, erano poi coperte con altre piante aromatiche naturalmente ricche di sostanze ad azione insetticida e larvicida. Il tutto assemblato per formare una struttura passabilmente confortevole e calda, ma soprattutto "autopulente".
Non solo. Si è anche scoperto che i materassini venivano periodicamente bruciati, almeno a partire da 73 mila anni, fa ad indicare una manutenzione costante dei letti. Inoltre il numero di tali strutture mostra una crescita sostanziale a partire da 58 mila anni fa:  evento questo facilmente associabile ad un aumento costante della popolazione locale, indice a sua volta di aggregazioni sociali stabili.
I nostri antenati sapevano che dormire bene in un posto comodo e pulito era necessario tanto quanto sapere cacciare stare in gruppi coesi.
--> Homo denisova, un nuovo membro nell'album di famiglia
e in generale gli articoli presenti nel tag --> Antropologia Evolutiva


Fonte
- Middle Stone Age Bedding Construction and Settlement Patterns at Sibudu, South Africa
Lyn Wadley et al, Science Vol. 334 no. 6061 pp. 1388-1391 

Mai avrebbe immaginato Fred che oggi vendono perfino i suoi vestiti
per Carnevale! Fred Flinstone Costume

Cosa c'è di vero nei decantati benefici del melograno?

Amo la melagrana per quel suo sapore asprognolo e per il piacere di sgranocchiarne i semi.
Non mi dispiace ovviamente l'idea che essendo ricco di antiossidanti e a basso indice glicemico (pur essendo un frutto) sia anche un prodotto salutare sul cui consumo non ci sono particolari limitazioni.

Ma si tratta di benefici reali o di una delle tante leggende alimentari che condizionano i consumi alimentari in un epoca come la nostra dove le informazioni sono troppo spesso fake news?
 Notare che ho scritto melagrana e non 
melograno. Il primo è il frutto mentre
il secondo è la pianta.
Premesso che non ho interessi reconditi (non ho, purtroppo, alcuna tenuta agricola con piante di agrumi) è un dato scientificamente acclarato che la melagrana concentri in sé proprietà interessanti come quella antinfiammatoria, ipoglicemizzante e perfino ipocolesterolemizzante.

Quindi diciamo che male non fa se uno usa il buonsenso come guida al consumo. Cosa dire però di una delle sue più decantate virtù come quella antinvecchiamento (per quanto ciò sia biologicamente sensato dato che, ricordo a tutti, invecchiare è un fenomeno naturale)?

Finora le prove scientifiche a riguardo erano molto deboli e ogni pretesa in tal senso è stata più il frutto di un marketing estremamente abile innestato nella recente moda salutista che il risultato di studi comparativi.

Un team di scienziati della EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne) ha indagato a fondo il reale effetto di questo frutto paffuto e rossastro scoprendo che l'effetto benefico della melagrana è dipendente da un nostro alleato troppo spesso trascurato, cioè il microbiota ('insieme di microorganismi simbionti che convivono con l'organismo umano senza danneggiarlo). 
Urolithin A (credit: NotWith)
I risultati dello studio, pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine, mostrano che oltre alle proprietà suddette ve ne è in effetti una protettiva contro l'invecchiamento delle cellule muscolari, che è il risultato della conversione metabolica di una molecola presente nel frutto operata dai microbi intestinali. La molecola "finale" è la urolithin A.
I test condotti su animali diversi come nematodi e roditori hanno mostrato effetti protettivi a dir poco sorprendenti.

Con l'avanzare dell'età una delle disfunzioni più comuni a cui vanno incontro le nostre cellule è quella che coinvolge i mitocondri, organelli che possiamo a ragione definire le "centrali elettriche" della cellula. Come tutti i "motori" anche i mitocondri producono prodotti di scarto tossici derivati dalla respirazione cellulare (i famigerati radicali liberi) che la cellula neutralizza mediante appositi enzimi. Con l'invecchiamento cellulare la summa dell'accumulo di prodotti di scarto non trattati e la diminuita efficienza dello smaltimento causano un aumento dei danni con effetti negativi sulla funzionalità cellulare. Quando il numero di cellule danneggiate supera le capacità di sostituzione gestita dalle cellule staminali tissutali (a loro volta meno attive con il passare degli anni), allora tutto il tessuto perderà di "freschezza funzionale" e a cascata cominceranno a diventare evidenti nell'organismo i "segni dell'età". 
Alcune cellule come quelle muscolari sono particolarmente ricche di mitocondri in quanto sono cellule ad alto fabbisogno energetico. Si tratta quindi di cellule in cui i danni ossidativi associati a disfunzioni mitocondriali da invecchiamento diventano facilmente evidenti. Ci sono evidenze che legano l'accumulo di mitocondri disfunzionali a malattie più comuni con l'avanzare dell'età come il morbo di Parkinson.

Ed è qui che entra in gioco la urolithin A, rivelatasi capace di ripristinare in modo unico, potente e riproducibile, il processo cellulare noto come mitofogia, vale a dire il riciclo cellulare dei mitocondri difettosi,

I primi test furono fatti sull'animale per eccellenza nello studio dell'invecchiamento, il nematode Caenorhabditis elegans, ideale in quanto già "anziani" dopo 8 giorni di vita. I vermi esposti alla urolithin risultavano più attivi da anziani del 45% rispetto al controllo non trattato. I risultati dovevamo ovviamente essere confermati su animali più simili a noi ma con vita media sufficientemente corta da permettere studi statisticamente consistenti (tradotto vuol dire su numeri alti e in tempi ragionevoli); la scelta ovvia ricadde sui topi. I topi trattati, oltre a mostrare da anziani (circa 2 anni di età) miglioramenti nella funzionalità cellulare con un aumento del riciclo mitocondriale, mostravano una resistenza maggiore del 42 % ad attività fisiche, come la corsa sulla ruota.

Prima che a qualcuno salti in mente di mangiare solo melagrane, bisogna sottolineare che la "molecola miracolosa" non è presente nel frutto ma solo il suo precursore (ellagitannino, della famiglia dei polifenoli) che viene poi trasformato in urolithin A dai microbi che popolano l'intestino. I precursori della urolithin A si trovano oltre che nella melagrana, nelle noci e in alcune bacche, sebbene in quantità inferiore.
Quindi la quantità di "molecola utile" prodotta nell'intestino dipende da molteplici variabili che vanno dalla quantità di precursore nel frutto al tipo di microbiota da noi ospitato.
Nota. La tipologia e abbondanza relativa dei microbi presenti nella flora intestinale varia da individuo ad individuo ed è dipendente da fattori come alimentazione, genetica, stato di salute, farmaci assunti, età, sesso, .... .
Ne risulta che per le persone prive o carenti delle specie microbiche utili, assumere anche succo di melagrana concentrata non produrrà alcun effetto se non quello antiossidante o quello, pure importante, di puro piacere gustativo.
Nessun timore però, i ricercatori stanno lavorando ad una soluzione. Hanno dato vita a tal proposito ad una start-up, la Amazentis, in cui concentrare gli sforzi per sviluppare un metodo per produrre dosi preconfezionate di urolithin A superando così i limiti intrinseci alla variabilità interindividuale del microbiota.
Gli studi clinici per verificare sicurezza ed efficacia negli esseri umani di questo trattamento sono iniziati da alcuni mesi in alcuni ospedali europei.

Se non vedete il video riassuntivo della EPFL --> YouTube


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Fonte
-Urolithin A induces mitophagy and prolongs lifespan in  C. elegans  and increases muscle function in rodents
D. Ryu et al, Nature Medicine, 22 (2016) pp. 879–888


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