CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

Visualizzazione post con etichetta serpenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta serpenti. Mostra tutti i post

La genetica di come i serpenti hanno perso le zampe

Come i serpenti siano diventati tali (a partire da un vertebrato con zampe) è ancora frutto di ipotesi. Non tanto riguardo all'effettiva realtà di questa evoluzione (reperti fossili sono noti) ma sulle mutazioni che hanno reso possibile la regressione degli arti fino a farli scomparire del tutto o all'essere evidenti solo dopo accurata analisi (boa e pitoni hanno arti vestigiali

A fare luce sulla questione arriva ora un ampio studio con l'analisi genetica (e comparativa) tra 14 specie di serpenti (appartenenti a 12 famiglie) confrontati poi con i dati di altre 11 specie precedentemente analizzate. Un campione scelto accuratamente in modo da abbracciare 150 milioni di anni della loro evoluzione
Lo studio è stato pubblicato lo scorso anno su Cell.

L'analisi ha evidenziato una alterazione comune a tutte le specie del gene PTCH1, coinvolto nello sviluppo degli arti. La prova del nove è stata quella di introdurre lo stesso tipo di mutazioni nell’equivalente murino di quel gene. Il risultato sono stati topi cone le ossa delle zampe molto più corte.
Tra i dati emersi anche le possibili (con)cause della bassa capacità visiva e la riprogrammazione degli organi uditivi dei serpenti innescata verosimilmente dalla vita sotterranea dei serpenti primitivi (in un modo dominato dai dinosauri). In questo caso si è tratto di mutazioni che hanno diminuito (o spento) l'attività di alcuni geni. Ad esempio la diminuita attività dei geni associati alla capacità di sentire le alte frequenze potrebbe aver portato alla riconfigurazione delle ossa dell’orecchio dei rettili, rendendoli molto più sensibili alle vibrazioni. 

Ultima (si fa per dire data la mole del lavoro svolto) scoperta riguarda le mutazioni dei geni DNAH11 e FOXJ1, coinvolti nello sviluppo simmetrico dell'embrione, che spiegano la netta riduzione volumetrica (o anche scomparsa) del loro polmone sinistro

Il lavoro rappresenta un passo avanti non solo verso l’identificazione dei geni chiave nello sviluppo dei serpenti, ma anche verso l’individuazione di come lo sviluppo modella altri vertebrati, compresi gli esseri umani, e quindi l’identificazione di ciò che potrebbe andare storto e causare malattie o malformazioni.
In calce un articolo pubblicato nel 2015 sull'antenato "zampato" del serpente

Fonte
- Large-scale snake genome analyses provide insights into vertebrate development
Changjun Peng et al, (2023) Cell 



***

L'antenato a quattro zampe del serpente
Spesso ci si dimentica che anche i serpenti sono tetrapodi come noi e quindi hanno un antenato a quattro zampe.

 Trovare però l'anello di congiunzione tra la linea principale dei rettili (con arti visibili) e il sottordine dei Serpentes (in cui gli arti sono visibili come vestigia ossee) è tutt'altro che banale.
Hemiergis quadrilineatum, un rettile australiano in cui sono ancora evidenti
arti oramai "inutili". Nei serpenti il processo di riduzione si è spinto fino alla
presenza di sole vestigia ossee (credit: reptilesofaustralia)
Oltre a fossili viventi come la lucertola mostrata nella figura a fianco, l'unico indizio fossile del percorso evolutivo che ha portato ai serpenti attuali è la Najash rionegrina, un estinto rettile scavatore in cui era evidente l'osso sacro, l'elemento chiave dei tetrapodi.
Mancava però il fossile di transizione tra animali come le moderne lucertole e la Najash.
Nota. Due sono le teorie attuali, in contrasto tra loro, riguardo l'evoluzione dei serpenti. La prima ipotizza che derivino da animali marini spostatisi sulla terraferma, quindi già "quasi" privi di arti se non come vestigia ossee. La seconda teoria ipotizza invece che si siano evoluti da lucertole scavatrici adattatesi talmente bene alla vita nei cunicoli da avere perso ogni necessità degli arti. 
Si comprende meglio allora l'entusiasmo che la scoperta di un fossile vecchio di 113 milioni di anni di aspetto serpentiforme ma dotato di quattro zampe ha scatenato nel mondo dei paleobiologi; il ritrovamento ha infatti nel campo la stessa valenza che la scoperta dell'Australopithecus afarensis (noto ai più come Lucy) scatenò tra gli antropologi.
Ad essere onesti il fossile era stato portato alla luce alcuni decenni fa, ma nessuno allora si accorse dell'esistenza delle minuscole zampette, finendo così come reperto semi-dimenticato in una collezione privata. Questo fino al casuale riesame compiuto da David Martill, un paleobiologo dell'università di Portsmouth che dopo averne scoperto i mini arti lo ribattezzò Tetrapodophis amplectus, vale a dire "serpente a quattro zampe in grado di afferrare".
Dave Martill/University of Portsmouth cited in wired.uk

Il proto-serpente mostrato nella foto misura 20 centimetri ed è dotato di due arti anteriori di circa 1 cm, completi di gomito, polso e dita. Le zampe posteriori sono leggermente più grosse e lunghe. Il fossile ha un chiaro aspetto serpentiforme con un tronco allungato, coda corta e scaglie ventrali a supporto di una locomozione serpentina. Il cranio e le proporzioni del corpo, così come la riduzione delle vertebre sono anch'esse a supporto di un adattamento scavatore, tutti dati a sostegno dell'ipotesi di un antenato terrestre.
Anche il cranio del Tetrapodophis mostra che si tratta di un animale terrestre adatto a scavare privo degli adattamenti necessari per una vita acquatica. La presenza di denti orientati verso l'interno suggerisce anche che fosse un feroce predatore; a riprova delle sue abitudini carnivore la presenza nelle viscere del fossile di ossa derivanti dal suo ultimo pasto. Le sue tecniche predatorie sono incerte ma la struttura corporea rende possibile che avesse già al tempo capacità di catturare la preda avvolgendosi intorno e magari fermandola con i mini arti.

Secondo l'autore il fossile dimostra che quando, durante l'evoluzione, il proto-serpente "smise di camminare" (ovviamente una frase sintetica che riassume milioni di anni di processi adattativi), i suoi arti non divennero inutili vestigia ma furono probabilmente utilizzati oltre che per afferrare la preda anche per trattenere il partner durante l'accoppiamento

Il luogo del ritrovamento (Brasile) e l'età del fossile (Cretaceo inferiore) indicano nel supercontinente del Gondwana l'area in cui è avvenuta la transizione.

(articolo precedente sul tema --> "Reperti ossei dell'antenato dei serpenti")

Fonte
- A four-legged snake from the Early Cretaceous of Gondwana
David M. Martill et al, Science (2015) Vol. 349 no. 6246 pp. 416-419

Abbiamo la vista agli infrarossi e non lo sappiamo?

E' indubbio che noi umani siamo, a differenza di Superman, alquanto limitati essendo privi della vista a raggi X.
Tuttavia si è recentemente scoperto che possediamo senza saperlo, una sorta di visione agli infrarossi, che invece manca al supereroe.
Ovviamente nulla di paragonabile alla visione possibile con i visori notturni, siano essi termocamere o strumenti in grado di captare la radiazione infrarossa residua (capacità tipica di molti animali notturni).

Più modestamente si tratta invece di una visione indiretta dovuta alla simultanea interazione di coppie di fotoni "infrarossi" con la stessa proteina presente nei fotorecettori delle cellule della retina. Se l'energia complessiva trasmessa supera la soglia di attivazione, allora inizierà la catena di eventi culminante con i segnale elettrico attraverso il nervo ottico.
La scoperta viene da test condotti con la luce laser, che mostravano come soggetti esposti ad una luce invisibile ai nostri occhi (l'infrarosso) dichiaravano non solo di avere percepito una luce, ma cosa ancora più il colore percepito variava tra un test e l'altro. Il che è doppiamente strano in quanto prima di tutto non ci dovrebbe essere alcun colore percepito essendo l'infrarosso al di fuori dello spettro cromatico (il visibile e infine la percezione variabile è difficile da spiegare (ad esempio se io osservo un giallo all'interno dello stesso contesto questo mi apparirà giallo adesso, tra cinque minuti o tra un anno).
Prima di proseguire nell'analisi del fenomeno facciamo un ripasso veloce della percezione dei colori.
Il concetto standard di luce visibile usa come assunto implicito, lo spettro "percepito" da un occhio (e cervello) "sani".  Percezione, appunto, di colori (che in quanto tali non esistono) la cui "attribuzione" è conseguenza in primis della integrità dei sensori e a cascata dei circuiti neurali di elaborazione: mentre il deficit cromatico nei daltonici è in genere parziale (entità e caratteristiche dipendono da quale tra i 58 geni coinvolti è mutato), nelle persone affette da acromatopsia il deficit cromatico è totale (vedono in "bianco e nero").
Nota. Una buona lettura a riguardo è "L'isola dei senza colore" del compianto Oliver Sacks.
Questo è quanto il nostro occhio è attrezzato per vedere (© wikipedia) Se volete avere maggiori dettagli sulla fisiologia base della visione, questo pdf fa per voi
La distribuzione sull'epitelio retinico delle cellule note come bastoncelli (rod, necessari per condizioni di scarsa luminosità) e coni (cone, tre tipi diversi - L, M, S - responsabili della percezione del colore) non è uniforme. I coni sono concentrati nell'area della macula/fovea, dove peraltro sono assenti i bastoncelli. I bastoncelli sono invece preponderanti nelle zone esterne alla fovea, il che vuol dire sulla quasi totalità dell'epitelio retinico. Gli animali notturni sono dotati di un numero molto maggiore di bastoncelli e pochi coni. Il motivo per cui i primati (quindi anche noi) vediamo "a colori " su base tricromatica è una conseguenza della pressione selettiva sugli animali la cui dieta era principalmente basata sulla frutta; la gamma cromatica resa possibile dai tre tipi di coni consentì ai proto-primati di distinguere i frutti maturi da quelli acerbi. Non stupirà quindi scoprire che la stessa pressione selettiva ha fatto si che alcuni tipi di uccelli possiedano 4 tipi di coni, il che fornisce loro una gamma cromatica ben superiore alla nostra.
La ricchezza visiva della realtà da noi percepita (colori, sfumature, profondità e dettagli) deriva dalla cattura prima e dalla elaborazione cerebrale poi di una banda molto limitata dello spettro elettromagnetico. Lo spettro del "visibile" comprende solo 300 nanometri di banda (dai 400 nanometri - blu - ai 720 nanometri - rosso), lasciando fuori non solo ultravioletti e infrarossi ma anche onde radio e sul lato opposto, le onde ad alta energia. Il mondo che vediamo è un riflesso di come i fotoni "visibili" (dotati di lunghezza d'onda del visibile) interagiscono con la materia, della capacità del nostro occhio di intercettare i fotoni riflessi e, ovviamente, della elaborazione fatta dal nostro cervello. 
A proposito degli "scherzi" legati alla percezione vi rimando a --> "C'è chi vede Gesù in un toast".
Se in qualche modo ci fosse data la possibilità di vedere "altro" oltre alla radiazione visibile, il mondo circostante ci apparirebbe ben al di là dell'immaginario più spinto. Pensate alla possibilità di vedere un telefonino non solo attraverso la luce visibile ma mediante le onde a 2,4 GHz, che da questo entrano ed escono.
Se siete curiosi di scoprire come vedono gli altri animali e la teoria alla base dei visori notturni, questi due siti fanno per voi ---> "Visione in animali" e "Visore a infrarossi".

Fatta questo ripasso teorico possiamo tornare ai test condotti dai ricercatori americani. Gli esperimenti con la luce laser (luce coerente e monocromatica) evidenziarono un fatto inatteso, cioè che le persone non solo vedevano luce "invisibile" (superiore a 1000 nm) ma che questa veniva percepita diversamente (come bianco, verde o altri colori) sia da individui diversi che dopo la ripetizione del test sullo stesso soggetto.
Nota. Gli esperimenti sono stati fatti solo con luce di lunghezze d'onda maggiore dello spettro del visibile per ovvi motivi legati alla dannosità dei fotoni più energetici (vedi in proposito l'effetto dei raggi ultravioletti).
Il primo a sottoporsi al test fu Krzysztof Palczewski, uno dei ricercatori della Case Western Reserve University di Cleveland, che oltre a quanto sopra detto si accorse che mentre riusciva a percepire una luce quando usava il laser a 1050 nm, non percepiva più nulla quando il laser era tarato per lunghezze d'onda tra l'infrarosso vicino e i 1050 nm del test.
Un risultato riassumibile nel fatto che l'infrarosso era visibile ... purché non troppo vicino allo spettro del visibile.

Il dato fu confermato mediante test condotti su 30 volontari sani, le cui retine vennero illuminate con un fascio di luce a bassa energia e a varia lunghezza d'onda partendo dagli infrarossi.
Due le ipotesi "in gara" che Palczewski decise di testare:
  • nella prima si ipotizzò che quando la luce con lunghezza d'onda maggiore rispetto al visibile colpisce il collagene nel tessuto connettivo nell'occhio, una piccola quantità di questa energia produceva fotoni di lunghezza d'onda pari a circa la metà della luce incidente (fenomeno noto come second-harmonic generation - SHG). Questo spiegherebbe come mai la retina sia in grado di percepire un infrarosso con specifica lunghezza d'onda e perché il colore percepito non sia univoco. Una sorta di inganno della retina che fa credere al cervello di avere visto una luce quando in realtà questa è secondaria e nasce al suo interno.
  • L'altra ipotesi era che la visione all'infrarosso fosse il risultato di un fenomeno noto come isomerizzazione a due fotoni. Per farla semplice, i fotorecettori posti su apposite cellule della retina sono in grado di catturare l'energia associata a fotoni con particolare lunghezza d'onda. Una volta assorbita, i fotorecettori cambiano forma e si innesca una serie di eventi che culminano nella generazione di un segnale elettrico nel nervo ottico. L'elaborazione e la "comprensione" del segnale avviene successivamente quando il segnale arriva in specifiche aree cerebrali (non di interesse per il fenomeno qui descritto).
    I fotoni "infrarosso" hanno di loro troppo poca energia (per la fisiologia dell'occhio umano) per attivare un segnale. Tuttavia, teoricamente, se due fotoni ciascuno dotato della metà dell'energia necessaria (quindi con lunghezza d'onda doppia) colpissero lo stesso fotorecettore insieme, la somma della loro insufficiente energia potrebbe essere tale da innescare la isomerizzazione del recettore come farebbe un singolo fotone "visibile".
La prima ipotesi venne testata rimuovendo il collagene dalla retina di un topo, e testando la loro risposta a luce visibile e infrarossa. Dato che i topi continuavano a vedere oltre la luce normale (e questo era atteso) anche la luce infrarossa a 1000 nm, ne derivò che la prima ipotesi poteva essere eliminata. A supporto di questa esclusione, il dato che i cristalli della rodopsina (il fotorecettore) se illuminati con infrarosso cambiano colore (in modo variabile) a indicare parziale assorbimento della luce. Quindi la SHG non è alla base della visione degli infrarossi.

Riguardo alla seconda ipotesi, mancano veri dati sperimentali e ci si deve al momento basare su una logica ad esclusione e alle simulazioni fatte al computer. Le elaborazioni indicano non solo che la rodopsina può in effetti assorbire due fotoni a bassa energia ed esserne eccitata ma che il picco di tale eccitazione nell'infrarosso lo si ottiene usando lunghezze d'onda tra 1000 e 1100 nm, un dato che spiega perfettamente perché l'infrarosso tra 800 e 1000 nm fosse solo debolmente percepito nei test.
La spiegazione è ancora indiziaria e, a onor del vero, alcuni ricercatori non sono totalmente convinti che l'ipotesi SHG debba essere scartata almeno fino a che si otterranno risposte da retine di primati, che come si sa hanno un campo visivo diverso da quello dei roditori.
Nei serpenti (ad esempio i viperidi) la visione ad infrarossi, o meglio la eccellente capacità di vedere al buio animali a sangue caldo, è legata al connubio tra alta densità bastoncellare nell'occhio e le fossette termosensoriali (pit organs) poste tra narice e occhi dotate di membrane termosensibili. Il meccanismo è quindi ben diverso da quello sopra descritto.

(Articoli precedente sul tema --> "visione")

Fonte
- Human infrared vision is triggered by two-photon chromophore isomerization
Palczewska, K. et al. Proc. Natl. Acad. Sci. USA,


Il robot che copia il movimento dai serpenti

Gli ingegneri della Carnegie Mellon University sono da anni impegnati nello sviluppo di robot in grado di muoversi negli ambienti più complessi. Pensiamo ad esempio alle analisi sottomarine, alla ispezione di miniere a rischio o ancora la penetrazione in edifici crollati alla ricerca di sopravvissuti. La natura è, ancora una volta, la migliore fonte da cui prendere ispirazione per disegnare la struttura e il tipo di movimento adatto per ciascuno di questi fini. Non stupirà allora sapere che i robot umanoidi sono ben poco utili (oltre che estremamente complessi da sviluppare) per scopi pratici e che altre forme come il robot serpente siano ben più idonee agli scopi esplorativi.
Il robot serpente (credit: Carnegie Mellon University)

Costruire in laboratorio un robot versatile nei movimenti come un serpente non è stato ovviamente banale; ma chi se non un vero serpente (in questo caso il serpente a sonagli Sidewinder) poteva fornire le dritte giuste su come muoversi, fare giri veloci e all'occorrenza avvolgersi attorno ad un supporto?
Grazie alla collaborazione con gli scienziati del Georgia Institute of Technology è stato così possibile analizzare nel dettaglio i movimenti dei crotali scoprendo che il complesso movimento di un sidewinder può essere descritto in termini di due moti ondosi - verticali e orizzontali. E' proprio agendo sulla fase e l'ampiezza di queste onde che i serpenti riescono a manovrare agilmente e rapidamente.
Il robot sulla sabbia
Credit: N. Zevallos and C. Gong
"La costruzione (e programmazione) del movimento di questi robot è un lavoro che va avanti da alcuni anni" afferma Howie Choset, responsabile del progetto. "E' stato però solo grazie allo studio dei sidewinders che abbiamo imparato come rendere queste manovre efficienti e 'semplici'. Questo ha reso i nostri robot modulari degli strumenti molto preziosi per le attività di ricerca urbana e soccorso, controllo delle centrali nucleari a rischio e persino in archeologia".
Il lavoro, pubblicato poche settimane fa sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), mostra le potenzialità raggiunte da questo robot (inclusa quella di salire avvolgendosi sul supporto) e completa idealmente i dati presentati su Science lo scorso anno centrati sul movimento "a serpente" sulle dune sabbiose (che in natura richiede l'attivazione di centinaia di muscoli mentre qui è semplificato in una combinazione di onde verticali e orizzontali).


Lo studio del movimento del serpente sulla sabbia

In modo analogo è stato possibile comandare il robot affinché si arrampicasse su oggetti verticali ... come la gamba di questo ricercatore.


Video della presentazione del robot serpente


Alcuni dati sul robot: 5 centimetri di diametro per 40 centimetri di lunghezza; il corpo è costituito da 16 giunti ciascuno dei quali posto perpendicolarmente al precedente, una struttura che consente di assumere diverse configurazioni e di emulare lo spostamento, ben più complesso, del serpente naturale.

Infine, un video riassuntivo delle capacità di questo robot



(Articolo precedente sul tema --> "Le frontiere della robotica")


Prossimo  articolo --> "L'insetto robot capace di passare dal volo al nuoto"

Fonti e link utili
- Sidewinding with minimal slip: Snake and robot ascent of sandy slopes
Hamidreza Marvi et al, Science 10 October 2014: Vol. 346 no. 6206 pp. 224-229

-  Snake robot uncovers secrets to sidewinders' maneuverability
Stamper SA et al, Proc Natl Acad Sci U S A. 2015 May 12;112(19):5870-1
-  Snake Robots! Slithering Machines Could Aid Search-and-Rescue Efforts
livescience.com
- Biorobotics Lab (indice video e foto)
http://biorobotics.ri.cmu.edu/media/index.html

L'antenato a quattro zampe del serpente


Spesso ci si dimentica che anche i serpenti sono tetrapodi come noi e quindi hanno un antenato a quattro zampe.

 Trovare però l'anello di congiunzione tra la linea principale dei rettili (con arti visibili) e il sottordine dei Serpentes (in cui gli arti sono visibili come vestigia ossee) è tutt'altro che banale.
Hemiergis quadrilineatum, un rettile australiano in cui sono ancora evidenti
arti oramai "inutili". Nei serpenti il processo di riduzione si è spinto fino alla
presenza di sole vestigia ossee (credit: reptilesofaustralia)
Oltre a fossili viventi come la lucertola mostrata nella figura a fianco, l'unico indizio fossile del percorso evolutivo che ha portato ai serpenti attuali è la Najash rionegrina, un estinto rettile scavatore in cui era evidente l'osso sacro, l'elemento chiave dei tetrapodi.
Mancava però il fossile di transizione tra animali come le moderne lucertole e la Najash.
Nota. Due sono le teorie attuali, in contrasto tra loro, riguardo l'evoluzione dei serpenti. La prima ipotizza che derivino da animali marini spostatisi sulla terraferma, quindi già "quasi" privi di arti se non come vestigia ossee. La seconda teoria ipotizza invece che si siano evoluti da lucertole scavatrici adattatesi talmente bene alla vita nei cunicoli da avere perso ogni necessità degli arti.
Si comprende meglio allora l'entusiasmo che la scoperta di un fossile vecchio di 113 milioni di anni di aspetto serpentiforme ma dotato di quattro zampe ha scatenato nel mondo dei paleobiologi; il ritrovamento ha infatti nel campo la stessa valenza che la scoperta dell'Australopithecus afarensis (noto ai più come Lucy) scatenò tra gli antropologi.
Ad essere onesti il fossile era stato portato alla luce alcuni decenni fa, ma nessuno allora si accorse dell'esistenza delle minuscole zampette, finendo così come reperto semi-dimenticato in una collezione privata. Questo fino al casuale riesame compiuto da David Martill, un paleobiologo dell'università di Portsmouth che dopo averne scoperto i mini arti lo ribattezzò Tetrapodophis amplectus, vale a dire "serpente a quattro zampe in grado di afferrare".
Dave Martill/University of Portsmouth cited in wired.uk

Il proto-serpente mostrato nella foto misura 20 centimetri ed è dotato di due arti anteriori di circa 1 cm, completi di gomito, polso e dita. Le zampe posteriori sono leggermente più grosse e lunghe. Il fossile ha un chiaro aspetto serpentiforme con un tronco allungato, coda corta e scaglie ventrali a supporto di una locomozione serpentina. Il cranio e le proporzioni del corpo, così come la riduzione delle vertebre sono anch'esse a supporto di un adattamento scavatore, tutti dati a sostegno dell'ipotesi di un antenato terrestre.
Anche il cranio del Tetrapodophis mostra che si tratta di un animale terrestre adatto a scavare privo degli adattamenti necessari per una vita acquatica. La presenza di denti orientati verso l'interno suggerisce anche che fosse un feroce predatore; a riprova delle sue abitudini carnivore la presenza nelle viscere del fossile di ossa derivanti dal suo ultimo pasto. Le sue tecniche predatorie sono incerte ma la struttura corporea rende possibile che avesse già al tempo capacità di catturare la preda avvolgendosi intorno e magari fermandola con i mini arti.

Secondo l'autore il fossile dimostra che quando, durante l'evoluzione, il proto-serpente "smise di camminare" (ovviamente una frase sintetica che riassume milioni di anni di processi adattativi), i suoi arti non divennero inutili vestigia ma furono probabilmente utilizzati oltre che per afferrare la preda anche per trattenere il partner durante l'accoppiamento

Il luogo del ritrovamento (Brasile) e l'età del fossile (Cretaceo inferiore) indicano nel supercontinente del Gondwana l'area in cui è avvenuta la transizione.

(articolo precedente sul tema --> "Reperti ossei dell'antenato dei serpenti")

Fonte
- A four-legged snake from the Early Cretaceous of Gondwana
David M. Martill et al, Science (2015) Vol. 349 no. 6246 pp. 416-419

Il serpente che si mangia la Florida

Il serpente che si mangia la Florida.
Mai titolo è stato più azzeccato di quello apparso sul New York Times di domenica scorsa, per descrivere il disastro ecologico in atto in Florida, causato da un solo animale, il pitone.

Credit: Mike Rochford (University of Florida) / "Daily Mail"
Un problema noto da tempo ma le cui conseguenze assumono ora i connotati di una catastrofe, ancora più grave se si considera che la causa di questo fenomeno è non solo umana, e di questo oramai non ci stupiamo più, ma è figlia di una sconsiderata attitudine di molti nel definire "di affezione" animali che di domestico nulla hanno a che vedere. Non perché siano degli orribili mostri ma perché, semplicemente, non sono animali domestici.
Fanno parte della amena categoria di pseudo-amanti della natura non solo coloro che si circondano di animali esotici ma anche chi si pone come obiettivo quello di "educare" gli animali a comportarsi secondo scuole di pensiero umane basate su "etico e non etico" (la cui definizione peraltro varia in  base al momento storico e alla cultura locale). Se pensate che io stia esagerando provate a parlare con alcuni possessori di gatti che cercano di forzare il proprio animale, fisiologicamente carnivoro, ad una dieta "cruelty-free" (che non vuol dire non mangiare i topi ma non mangiare proprio carne) che poi inevitabilmente causa disfunzioni anche gravi tali da necessitare l'intervento del veterinario (evento molto comune a sentire i miei amici veterinari). Un atteggiamento questo tra i meno rispettosi dell'identità e delle caratteristiche di un animale; non solo da un punto di vista "filosofico" ma fisiologico dato l'impatto negativo sulla salute dell'animale.
Un atteggiamento che ha inevitabilmente conseguenze che trascendono la sfera privata ricadendo sul pubblico fino a colpire, come nel caso oggi descritto, l'intero ecosistema locale.

Cosa è successo di così grave da imporre al NYT di occuparsene? 
I discendenti dei serpenti appartenenti alla tipologia dei costrittori, importati dai collezionisti come animali "da compagnia", hanno trovato nelle paludi dello stato della Florida un terreno favorevole alla proliferazione, complice la decisione di alcuni proprietari di sbarazzarsi di animali ingombranti e le ottimali condizioni locali (abbondanza di cibo e competizione pressoché nulla per i serpenti adulti).
Risultato? Un disastro ecologico con numerose specie animali locali praticamente scomparse.
Prima di entrare nel merito del fenomeno vale la pena ricordare che di disastri simili, causati da politiche umane sconsiderate, è piena la storia recente. Solo prendendo in considerazione le azioni legate all'importazione volontaria di specie non autoctone (quindi tralascio le specie inavvertitamente importate) cito tra tutte i casi più eclatanti:
  • importazione dei conigli in Australia nel diciannovesimo secolo. L'assenza di predatori naturali fu alla base dell'esplosione demografica di questi animaletti con un impatto gravissimo e duraturo sulla economia agricola locale. Ancora oggi citare il coniglio come piatto preferito (come lo è in molte parti del nord Italia) induce una smorfia di disgusto in un australiano. che associa il roditore a niente più che alla summa di calamità e ratto.
  • Nel ventennio fascista alcuni imprenditori del nord Italia pensarono bene di iniziare un allevamento finalizzato ad ottenere pellicce nostrane importando dal sud America le nutrie (Myocastor coypus). Data la scarsa economicità dell'operazione, gli allevamenti ebbero vita breve e gli animali liberati. Gli animali sopravvissuti rappresentano oggi una delle specie più invasive qui al nord responsabili del cedimento degli argini, di danni all'agricoltura e fonte di pericolo costante per i mezzi motorizzati che transitano sulle strade a ridosso dei fossati (come testimoniano ogni mattina 365 giorni all'anno le carcasse di roditori lungo la statale che collega Milano a Pavia). Se consideriamo che alcune di queste bestie superano tranquillamente i 20 chilogrammi si può ben immaginare le conseguenze dell'impatto notturno per un motociclista.
  • Lo scoiattolo grigio americano ha messo a dura prova l'esistenza dell'autoctono scoiattolo rosso con l'Italia come epicentro diffusivo e fonte di tensioni con Svizzera e Francia (--> la Stampa). Anche qui il responsabile è un privato cittadino, anzi una sciura ligure, che ne importò una coppia a Genova negli anni '70. 

  • e altri esempi ancora (--> QUI per un approfondimento sulle specie invasive in Italia). Il fenomeno in è ancora più preoccupante se consideriamo che il progressivo diffondersi del politicamente corretto anche in ecologia con, udite udite, il negazionismo della minaccia ecologica rappresentata dalle specie "aliene", un problema affrontato in un articolo dello University College di Londra (--> qui). Purtroppo come ben diceva Umberto Eco, internet ha aperto le porte a chi altrimenti avrebbe limitato le proprie esternazioni (su temi per cui sono impreparati) all'osteria sotto casa ... .

Torniamo ora al caso Florida
Il sud della Florida è da sempre, per le condizioni climatiche e strutturali, un'oasi che ospita un ecosistema ricco e complesso date le decine di migliaia di specie che la popolano. Visitare le Everglades è una esperienza memorabile che ti proietta in un ambiente selvaggio acquitrinoso.
Everglades National Park by SPOT Satellite (by wikipedia)
Il problema è che tale fascinazione sembra avere catturato un ospite indesiderato e ingombrante come il pitone birmano, che come dice il nome, ben poco ha a che fare con la Florida (vedi anche l'articolo sul --> National Geographic). Il rettile raggiunge tranquillamente alla piena maturità i 4 metri di lunghezza, ed i 6 metri per 100 kg di peso non sono una eccezione. I pitoni sono procreatori efficienti ed hanno un appetito vorace da saziare. Il risultato di questi connubio è che alcuni mammiferi nativi delle paludi, come volpi e conigli, sembrano essere scomparsi. E di sicuro non sono migrati altrove. Stesso problema con procioni, cervi, opossum e linci, il cui numero è drasticamente calato, complice il loro non riconoscere i pitoni come predatori pericolosi (le specie di serpenti locali possono al massimo cacciare piccoli conigli) rispetto ai temibili alligatori e coccodrilli americani.
Everglades National Park (wikimedia commons)
Dalle Everglades i pitoni hanno cominciato a spostarsi verso l'arcipelago delle Florida Keys a sud, dove alcuni roditori hanno cominciato improvvisamente a scomparire. Verso nord la diffusione è limitata (ma non impossibile) a causa della diversa natura del territorio.
Questo avviene in un paese come gli Stati Uniti che pure ha mantenuto negli anni una discreta politica restrittiva sugli animali da importazione. Ma come spesso accade il colpo è venuto dai trafficanti di specie esotiche complice la domanda costante di alcune persone verso specie animali che tutto possono essere considerate tranne animali domestici. Quando, come è naturale, l'animale diventa difficile (o troppo costoso) da gestire, la soluzione è quella di scaricarlo nelle paludi.
Oltre ai serpenti, altri animali di importazione per uso "domestico" sono entrati alla ribalta per i problemi causati negli USA: i tego argentini, grandi lucertole che hanno falcidiato le uova di tartaruga di mare; lo pterois (pesce leone) un pesce velenoso che apprezza particolarmente la varietà di pesce autoctona; i varani del Nilo che si nutrono di rane e uova di coccodrillo; la cozza zebra dalla Russia, il cui impatto è particolarmente grave per i corsi d'acqua e gli impianti di trattamento delle acque; la carpa asiatica, che minaccia l'equilibrio ambientale nella zona dei Grandi Laghi.
La Florida è in effetti uno splendido rifugio per tutti i tipi di creature "aliene" cioè non locali. Alcuni ricercatori definiscono la regione come una sorta di Ellis Island biologica in cui transitano "obbligatoriamente" tutte le specie straniere prima di decidere in che territorio stabilirsi.

Tra gli indesiderati serpenti costrittori che hanno trovato casa in USA, il pitone birmano è solo uno dei tanti (si stima siano due milioni) tra boa, anaconda e pitoni, importati a partire dal 1970, nell'ambito di un mercato lucrativo per le specie esotiche. Miami è un hub importante per questa tratta e non a caso le Everglades sono poco più a ovest della città. Le stime recenti da parte del National Park Service ipotizzano in 100 mila la popolazione di rettili costrittori libera nel parco.

Una delle scuse spesso addotte dagli amanti di animali del genere è che non sono un problema per gli esseri umani e usano come prova il tenerli tranquillamente sulle spalle. Curiosamente con il tempo (e le dimensioni) questi animaletti diventano scomodi e si preferisce comprarne di nuovi.
Se il pitone rappresenta di fatto più una minaccia diretta per gli uccelli e alcuni roditori, gli attacchi contro gli esseri umani non sono sconosciuti. Uno dei casi più orribili si è verificato nel nord della Florida nel 2009, quando una bambina di 2 anni venne strangolata da un pitone birmano che apparteneva al fidanzato di sua madre (--> ABCnews). Il serpente di due metri di lunghezza, che si scoprì poi essere gravemente malnutrito, dopo essere fuggito dal suo spazio si avvolse sulla bimba stritolandola a morte. Sia la madre che il fidanzato sono stati ritenuti responsabili di omicidio colposo e condannati a 12 anni di carcere.
Nota. Come tutti gli animali "a sangue freddo" i serpenti sono molto resistenti alla mancanza di cibo prolungata. Parliamo anche di mesi come testimoniano i serpenti che abitano un isola del mar della Cina il cui cibo "arriva" solo quando atterrano gli uccelli migratori una/due volte all'anno. Non avendo la necessità, come noi mammiferi, di mantenere il metabolismo a livelli tali da tenere costante la temperatura interna al variare delle condizioni esterne, questi animali possono permettersi il lusso di "spegnere" molte funzioni e risparmiare così il carburante di riserva.
Ancora più preoccupante un evento avvenuto nel 2013 addirittura in Canada (luogo che di tropicale ha ben poco) quando due bambini vennero strangolati da un pitone fuggito da un negozio posto a fianco della loro casa (--> The Guardian).

Le autorità della Florida, tardivamente, hanno cercato di correre ai ripari ma con scarsi risultati. Un paio di anni fa, hanno anche inaugurato la Python Challenge, una sorta di caccia autorizzata al pitone su base annuale da tenersi nel Parco Nazionale delle Everglades. L'impatto sulla popolazione dei pitoni è stata irrilevante, sia a causa del numero di animali presenti che alla loro proverbiale abilità di mimetizzazione nei territori acquitrinosi. 
L'aspetto imbarazzante è che subito si sollevarono le grida di ipotetici difensori degli animali, assolutamente indifferenti però alla strage di tutte le altre specie animali sul territorio... .
Gli esperti dello United States Fish and Wildlife Service hanno ammesso, in un comunicato del mese scorso, di non avere a disposizione mezzi specifici (e idonei) in grado di agire su questi serpenti. L'unico evento in grado di ridurne considerevolmente il numero sarebbe un cambiamento climatico radicale con un abbassamento della temperatura sostanziale per molti mesi. Improbabile tuttavia che si verifichino delle nevicate nelle Everglades … .

Tra le altre misure prese in esame da menzionare quella decisa tre anni fa dall'amministrazione Obama che ha di fatto vietato l'import di quasi tutte le specie di serpenti costrittori. Tardi, sebbene sarebbe illogico attribuire le colpe al governo quando il tutto nasce da pratiche domestiche fuori da ogni senso logico.
Una soluzione potrebbe arrivare dalla scoperta che alcuni farmaci di uso comune come il paracetamolo sono letali per alcuni serpenti. La soluzione è oggi in fase di sperimentazione nell'isola di Guam (letteralmente invasa oggi dai discendenti da una coppia di serpenti arrivati "clandestinamente" in un container negli anni '50 e da allora piaga assoluta) in cui sono stati utilizzati con discreto successo cadaveri di roditori contenenti paracetamolo come esche per i serpenti (--> Wired).

Se pensate, come purtroppo troppo spesso avviene da noi e al netto degli esempi fatti in apertura, che questo non sia un problema che ci riguarda, è sufficiente citare i numerosi recuperi (non semplici avvistamenti) da parte delle autorità di pitoni nelle campagne del nord Italia, spesso nelle adiacenze dei centri abitati.
Video disponibile su Retro Report dal titolo "Pets gone wild".

Aggiornamento 2017
La Florida ha dato il via ad un programma di caccia autorizzata (e remunerata) sotto il nome di Python Elimination Program (--> qui). I risultati sono stati imponenti quanto modesti; l'apparente contraddizione deriva dal fatto che sebbene il numero e la dimensione delle prede sia ragguardevole, si ha l'impressione che l'effetto sia simile a quello di svuotare l'acqua da una barca con un bicchiere, data la prolificità e il numero dei pitoni. Molto più efficace sembra essere stata la decisione di "importare" dall'India membri della etnia Irula, noti per la loro efficienza nella individuazione e neutralizzazione di serpenti pericolosi (cobra compresi) --> BBC.



Fonte
- The Snake That’s Eating Florida
New York Times, 5 aprile 2015




Serpenti mangiatori di uomini Vs. uomini mangiatori di serpenti

Serpenti mangiatori di uomini Vs. uomini mangiatori di serpenti
Una lotta lunga milioni di anni quella tra primati e serpenti, animali evolutisi in nicchie ambientali sovrapposte e quindi con prede in comune. Proprio questo lungo confronto sarebbe alla base della naturale avversione (che non ha molti eguali in quanto a diffusione in culture diverse) dell'uomo per questo rettile.
Come afferma l'erpetologo Harry Greene "da secoli gli uomini sentono di avere una "storia" in comune con i serpenti". Una opinione sostanziata dalle molteplici tradizioni che vedono i serpenti non come figuranti ma come attori principali, siano essi visti come divinità (ad esempio i Naga indiani o i serpenti-piumati dei Maya) o come simbolo del male.
Agta Negritos in una foto
d'epoca (®asiafinest.com)
Primati e serpenti, dicevo, si conoscono e si scontrano da milioni di anni; con gli antenati dei serpenti già presenti sul finire dell'era dei dinosauri (70 milioni di anni fa) ma già ben differenziati quando, 20 milioni di anni fa, la superfamiglia degli Ominidi (Homo, oranghi, gorilla, scimpanzè e gibboni) si differenziò dagli altri primati.

Un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) analizza questo confronto millenario attingendo alla vasta documentazione disponibile sulle complesse relazioni ecologiche esistenti tra primati antropomorfi e serpenti.
In ambito umano sono gli studi etnografici iniziati già alla fine dell'ottocento a fornire indicazioni sul rapporto Homo-serpente. Particolarmente importanti sono stati gli appunti redatti dai viaggiatori-studiosi al contatto con le popolazioni il cui stile di vita ancestrale (e l'ambiente colonizzato) rendevano quotidiano l'incontro/scontro con i serpenti.
 
Tra queste la popolazione filippina nota come Agta Negritos, una etnia scura di pelle e di bassa statura interessante da un punto di vista evolutivo (vedi nel blog qui), distinta dall'etnia filippina dominante e che vive nelle foreste tropicali dell'antica attività di cacciatori-raccoglitori. Più di un quarto degli appartenenti a questa popolazione ha avuto la non invidiabile esperienza di essere stati attaccati da pitoni giganti. Un dato che ci ricorda, anche drammaticamente, come le storie dei serpenti mangiatori di uomini non siano solo leggende tramandate da qualche esploratore europeo troppo suggestionabile. 

Un Agta Negrito in compagnia...
®periodistadigital
I racconti di chi ha vissuto queste esperienze e ne tramanda i ricordi sono la prova più importante di tali incontri, a causa della impossibilità di trovare le prove (se non in flagranza) dell'avvenuto pasto a base di esseri umani.
®J. Headland, B. Maritz, PNAS
Gli Agta Negritos sono una popolazione ideale per questi studi, sia per lo stile di vita che per la bassa statura che li rende prede "accessibili" per il pitone reticolato la cui dimensione può tranquillamente raggiungere gli 8 metri. Tra le testimonianze documentate già a partire negli anni '60, il 26 per cento degli uomini (15 su 58) e 1 su 62 delle donne (differenza percentuale spiegabile con il diverso tempo trascorso nella boscaglia) affermarono di essere state attaccate (o essere state testimoni) da pitoni. Di questi attacchi, 6 casi ebbero esito fatale, tutti registrati tra il 1934 e il 1973. Pochi? Dato l'esiguo numero di indigeni presenti, la loro attitudine al combattimento e la mancanza di prove riguardo le persone scomparse improssivamente, il numero è tutt'altro che esiguo. In uno dei casi documentati, alquanto sconvolgente, un uomo si accorse entrando nella capanna che il pitone aveva ucciso due dei suoi figli e si stava apprestando ad ingoiare uno di essi a partire dalla testa. Dopo avere ucciso il serpente con il suo coltello e averlo aperto scoprì al suo interno il terzo figlio (una bambina di 6 mesi) ancora viva.
"Immaginate come sarebbe per voi vivere in un ambiente sotto costante rischio di essere afferrati da un serpente mentre camminate" afferma ancora Greene.

Ma il confronto è fatto di difesa e attacco. Gli Agta infatti si nutrono di pitoni così come di cervi, maiali selvaggi e scimmie. Animali che guarda caso sono le stesse prede naturali dei pitoni. Ovvio quindi che la condivisione di una nicchia alimentare abbia portato ad un inevitabile scontro tra i due "cacciatori"; un confronto dagli esiti sempre incerti soprattutto ai tempi in cui gli Agta non disponevano di armi efficaci come coltelli di metallo o armi da fuoco (entrambi successivi al contatto con europei e asiatici).
Insomma una storia in comune di prede/predatori o, nella migliore delle ipotesi, di competitori che spiega molto della nostra avversione atavica per i serpenti.

Fonte
- Hunter–gatherers and other primates as prey, predators, and competitors of snakes
TN Headland, HW Greene. PNAS (2011), 108 (52) pp. 20865

- Four Decades Among the Agta: Trials and Advantages of Long-Term Fieldwork With Philippine Hunter-Gatherers
di Thomas e Janet Headland (link)

- Agta. La tribu que compite con la serpiente pitón para ver quien se come a quien Negritos
periodistadigital.com (link)

L'antenato del serpente. Reperti ossei

Non che l'argomento serpenti mi affascini particolarmente ma da un punto di vista evolutivo è sempre interessante tracciare i passaggi che hanno portato alle specie attuali. Che il serpente sia imparentato con i dinosauri è abbastanza ovvio, così come il fatto che gli uccelli derivano dai rettili. Quello che interessa è trovare, se possibile, il punto in cui tale divergenza diventa evidente. Volendo usare similitudini umane, si tratta di trovare la Lucy dei serpenti, l'antenato comune che cominciava già a distinguersi da tutti gli altri rettili.
Lucertola Gila Monster (alto), Coniophis e Anilus
(®Nicholas Longrich)

Di particolare interesse a tal proposito uno studio della Università di Yale, in cui dall'analisi di reperti ossei i ricercatori descrivono una creatura strisciante vissuta al tempo del Tyrannosaurus rex (circa 65 milioni di anni fa) e nelle stesse regioni.
Nell'articolo, il cui primo autore è Nicholas Longrich, si ipotizza che l'antenato dei serpenti, terrestre e non acquatico come invece proposto da altri, fosse una creatura tipo lucertola priva di arti e con il corpo lungo e flessuoso, adatto per rintanarsi e/o sotterrarsi sotto la sabbia. Il protoserpente identificato nel Coniophis precedens rappresenta un esempio importante di una creatura di transizione evolutiva in quanto dotata di caratteristiche comuni ad entrambi. Una creatura in grado di muoversi come un serpente ma che si nutriva come una lucertola. Fino a poco tempo gli unici resti del Coniophis erano limitati ad una singola vertebra, utile grazie alle competenze di anatomia comparata per predire alcune caratteristiche animali (e se si è fortunati genetiche) ma ovviamente troppo poco per costruire modelli accettabili. Il grosso del lavoro di Longrich è consistito nell'utilizzare dei piccoli reperti ossei associati al precedente ma mai studiati. Grazie a questi nuovi reperti è ora possibile avere un quadro un poco più definito.
Se l'analisi vertebrale del fossile mostra infatti le caratteristiche adatte per lo "strisciare", la presenza di una mandibola fissa indica chiaramente che le prede dovessero per forza di cose essere più piccole della apertura mascellare. Una caratteristica ben diversa da quella dei serpenti.
Si ritiene tuttavia che il Coniophis non fosse il vero antenato dei moderni serpenti (forse più imparentato con quelli del genere Anilus) ma una sorta di fossile vivente già all'epoca, nel senso che riproduceva le fattezze del vero antenato comune. Un po' come le scimmie moderne e l'essere umano. Quando si dice che l'Uomo deriva dalla scimmia si intende un antenato le cui fattezze erano molto più simili a quelle delle scimmie antropomorfe che al Homo sapiens.
Esistono infatti fossili che provano l'esistenza di serpenti "moderni" già all'epoca dei dinosauri (vedi un articolo su Wired del 2010).
Trovare altri fossili sarebbe ideale, ma per il momento accontentiamoci di avere dati sul Coniophis

Articolo successivo sul tema --> "Scoperto il fossile dell'antenato del serpente"
__________________
From a few bones, the most primitive snake emerges

A transitional snake from the Late Cretaceous of North America
N. Longrich et al.   Nature 488, 205–208 (2012)

La cura del dolore viene dal ... mamba nero

Forse è il caso di precisare che non si intende qui propagandare rimedi drastici per la cura "definitiva" ad i dolori dell'esistenza, tipo quelli usati da Cleopatra su se stessa. Una precisazione d'obbligo visto che il mamba nero (Dendroaspis polylepis) è uno dei serpenti più letali in circolazione, simpaticamente noto agli indigeni sia come "la morte che corre" (arriva fino a 20km/h) o "20 minuti" (il tempo massimo che ti resta dopo un morso).
Dopo questa introduzione da brividi entriamo nel merito del titolo. Il veleno del mamba, composto da un complesso cocktail di tossine, contiene due proteine che hanno la stessa efficacia antidolorifica della morfina e molti meno effetti collaterali. Una miniera d'oro farmaceutica quindi, almeno secondo l'articolo pubblicato su Nature da Diochot e collaboratori (link).
Le proteine, ovviamente chiamate mambalgine, sono state scoperte nell'ambito di uno studio sistematico su diversi veleni animali (50 analizzati) volto a trovare sostituti meno pericolosi degli oppiacei. I derivati dell'oppio presentano problemi noti che ne rendono l'utilizzo problematico. La tolleranza e la dipendenza sono i più evidenti. Molti pazienti infatti diventando tolleranti alla morfina richiedono dosi via via crescenti per essere efficaci e questo si associa alla dipendenza e ad effetti collaterali quali nausea e costipazione.
Il team coordinato da Eric Lingueglia ha testato le mambalgine sui topi e ha dimostrato non solo una chiara attenuazione della sensazione del dolore nelle zone trattate con calore ma anche una ridotta sensitibilità al dolore infiammatorio. Sebbene il trattamento continuato per 5 giorni con la mambalgina provochi, similmente agli oppiacei, fenomeni di tolleranza questa si presenta con modalità nettamente meno pronunciate. Cosa ancora più importante l'azione depressiva sul ritmo respiratorio, uno degli effetti collaterali più pericoli degli oppiacei, è totalmente assente.
Le mambalgine non agiscono sui recettori degli oppioidi, come la morfina, ma su canali ionici (noti come ASIC) localizzati sui neuroni coinvolti nella trasmissione del dolore.
Il punto cruciale è ora dimostrare se le mambalgine sono efficaci anche su umani.

 Le mambalgine sono l'ultimo esempio di molecole con potenziale terapeutico estratte da veleni. Fra queste abbiamo il Prialt (ziconotide) ottenuto dal veleno di un gasteropode marino. Altre sostanze di uso medico sono ricavate dai veleni di anemoni marini, ragni e scorpioni.

Insomma, riprendendo un vecchio adagio quel che non ti uccide ti cura.

articolo sull'argomento
Analgesics: Deadly snake venom for pain relief? (Nature Reviews Drug Discovery)
Powered By Blogger
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper