CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

Ultimi giorni per osservare la cometa NEOWISE. Se la perdete tornate tra 6 mila anni

L’ultima volta che la cometa NEOWISE è transitata dalle nostre parti era “da poco” finito il neolitico con i nostri antenati che vedevano nell’incongruo fenomeno di una stella “cadente” un sicuro presagio divino di eventi da interpretare.
credit: M. Berti via wikipedia
 La prossima volta che passerà potrebbe anche essere, sulla falsa riga del libro di H.G. Wells, che noi si sia ripiombati in una nuova era primitiva o magari avremo già abbandonato la Terra in direzione di colonie marziane.
Chissà.
Fatto è che abbiamo tempo fino al 23 luglio per vedere ad occhio nudo, e magari immortalare in una foto ricordo, il passaggio della cometa C/2020 F3 NEOWISE che tornerà tra da queste parti tra 6000 anni.
Il maiuscolo NEOWISE deriva dal suo essere un acronimo per Near-Earth Object Wide-field Infrared Survey Explorer, mutuato dal nome del telescopio spaziale che ne ha scoperto l’esistenza, a sorpresa, lo scorso 27 marzo (in effetti non potevano esistere dati pregressi sulla sua esistenza riportata  dai pur occhiuti babilonesi, cinesi o egizi le cui civiltà erano ancora agli albori).
Il 3 luglio la cometa NEOWISE è transitata all'interno dell'orbita di Mercurio iniziando il suo percorso di allontamento dal Sole. Pochi giorni dopo, il 15 luglio, è divenuta visibile nel nostro emisfero, rilevabile appena dopo il tramonto anche grazie al suo essere la più brillante tra le comete passate da qui dal passaggio di Hale-Bopp 23 anni fa.
Per individuarla bisogna guardare in direzione nord-ovest nelle ore serali; la vedremo ogni sera più alta rispetto all’orizzonte fino all'ultima sera del 23 luglio. Ci può aiutare a mo' di bussola della volta celeste (magari aiutandoci con una delle app di riconoscimento tipo Sky Guide o Star Walk) il  cercare l'Orsa Maggiore, una delle costellazioni più riconoscibili del nostro emisfero; appena sotto il “carro” troveremo la cometa.
credit:NASA
Come detto è visibile ad occhio nudo, ma un piccolo telescopio e/o stare lontani dalle aree a forte inquinamento luminoso permetterà di godere al meglio la sua vista.



Potete trovare una buona simulazione in 3D della posizione attuale della cometa sul sito spacein3d
screenshot dal sito spacein3d.com/neowise
Tra l’altro in questi giorni (fino al 25 luglio) si ha anche l’opportunità di osservare Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, tutti visibili ad occhio nudo. Simultaneamente.
Altri suggerimenti su cosa guardare nel cielo di luglio --> skywatching 




Altri approfondimenti sul tema sul sito --> startswithabang dell'astrofisico Ethan Siegel.


L'aspetto dell'Homo denisova ricostruito grazie all'analisi dello stato di metilazione del DNA fossile

Tra le molte domande ancora aperte sull'Homo denisova, "cugini" estinti scoperti una decina di anni fa, una delle più intriganti riguarda il loro aspetto. Un quesito a cui le recenti analisi del DNA cominciano a dare una risposta.
Ricostruzione artistica di una giovane denisoviana in base alle caratteristiche craniche ricostruite grazie al DNA fossile.
Credit: Maayan Harel
Un problema non di semplice soluzione fin dalla identificazione dei reperti ossei, all'interno di una grotta siberiana ricca di resti di Neanderthal. Fu l'occhio esperto degli antropologi ha notare che alcuni mini residui ossei dovevano appartenere ad un Homo diverso dai ben studiati Neanderthal, intuizione poi confermata dalle analisi genetiche condotte in laboratorio.
La domanda non è di poco conto perché non si tratta semplicemente di un ramo parallelo dell'evoluzione umana ma di un progenitore, almeno per quanto riguarda alcune popolazioni umane attuali.
Non a caso ho sopra virgolettato la parola specie. Da un punto di vista biologico la speciazione presuppone un processo di isolamento riproduttivo tra due popolazioni, in altre parole due specie NON possono riprodursi tra loro e nella migliore delle ipotesi NON generano progenie fertile. L'esempio classico è quello del cavallo e dell'asino. Per cui dato che è oramai provato che le unioni sapiens-neanderthal e sapiens-denisova hanno dato origine ad una ampia (nel primo caso) discendenza, il processo di speciazione  del genere Homo non era ancora stato completato al momento in cui avvenne l'incrocio. Il periodo può essere solo inferito in modo approssimativo confrontando la datazione dei resti denisoviani nella grotta (50-180 mila anni fa) e le prime migrazioni che dall'eurasia portarono verso sud-est in direzione Indonesia-Australia (tra un minimo di 50 e 100 mila anni fa).
Il genoma conserva tracce indiscutibili di questa unione in tutti i membri delle popolazioni sapiens non-africane (nel caso dei neanderthal-sapiens, vedi per dettagli -->"Una unione non priva di problemi") e in alcune ristrette popolazioni asiatiche (rimaste isolate per millenni) nel caso dei sapiens-denisova (ne ho scritto in passato in articoli dedicati --> "Un nuovo membro della famiglia Homo").
In questo senso possiamo identificare una differenza di parentela sostanziale tra i due cugini e noi europei. Mentre l'eredità neanderthaliana in noi sapiens non africani è certa, la componente denisova è assente, limitata unicamente ai discendenti dei sapiens che dopo l'approdo in Eurasia (dove avevano incontrato i Neanderthal) si era poi diretta verso l'estremo oriente. Una parte di questi migratori avrebbe incontrato i Denisova portandone traccia nel loro genoma nelle popolazioni tibetane e in alcune ristrette popolazioni aborigene di Filippine (l'etnia dei Negritos), Nuova Guinea ed Australia (con valori di DNA denisoviano fino al 6%).
Una eredità quantitativamente inferiore quella denisoviana, retaggio di incroci molto limitati, forse dovuti alla minore diffusione geografica o minor numero residuo di Homo denisova al momento dell'incontro con i sapiens diretti verso l'Asia sud orientale.
Nondimeno, una eredità interessante perché, come nel caso dell'incrocio europeo con i Neanderthal, avrebbe fornito geni utili per la sopravvivenza in particolari condizioni ambientali. Nel caso denisoviano sembra che l'adattamento dei tibetani all'alta quota debba molto a questi antenati (-->"Tibetani e geni denisoviani").
Se nel caso dei Neanderthal la mole di reperti ossei disponibili, da molti dei quali è stato possibile ricavare DNA ben conservato, ha permesso da anni di ricavare informazioni molto dettagliate su aspetto e caratteristiche genetiche, nel caso dei denisoviani il lavoro si è presentato da subito arduo se non ai limiti del fattibile.
Una simpatica immagine di una statua rappresentante un Neanderthal a confronto con una "discendente" reale. Foto tratta dal bellissimo Neanderthal Museum in Germania.

Il primo reperto, quello da cui è nato tutto, era un piccolo osso della falange a cui solo in seguito se ne sono aggiunti altri, tra cui denti e, dall'altopiano tibetano, una mandibola. Quest'ultima sufficiente per estrarre nuovo DNA ma di sicuro non sufficiente per ricostruire i dettagli anatomici.
Ricostruzione virtuale della mandibola trovata in Tibet dopo avere rimosso una incrostazione che la ricopriva.
Credit:Jean-Jacques Hublin, MPI-EVA, Lipsia

Parziale soluzione a questo limite oggettivo è venuto dall'affinamento delle tecniche di analisi genetica mirante a rilevare le alterazioni epigenetiche (modificazioni chimiche reversibili della sequenza nucleotidica) che sommata alla potenza di calcolo usata dai biologi computazionali e infine incrociata con le informazioni genetiche degli umani moderni, in primis di quelle popolazioni in cui maggiore è l'eredità denisoviana, ha permesso di ricostruire i tratti anatomici essenziali di un Homo Denisova.

Le modifiche epigenetiche al DNA hanno una profonda influenza sulla maggior parte dei tratti biologici. Da un punto di vista analitico possono anche permettere di identificare la cellula o tessuto di origine da cui è stato prelevato il campione. Uno dei cambiamenti epigenetici meglio studiati è l'aggiunta a una base nucleotidica di un gruppo metilico, una modifica che può alterare l'espressione genica. Tuttavia, poiché il gruppo metilico si degrada dopo la morte, quando si analizza un DNA "fossile" o datato questa informazione viene persa.
I ricercatori della Hebrew University di Gerusalemme, hanno però trovato il modo per identificare parti del DNA fossile che erano metilate, usando come approccio metodologico la rilevazione dei danni chimici che si accumulano nel DNA con il passare del tempo.
Un metodo da loro già usato nel 2014 per mappare e comparare lo stato di metilazione tra i genomi di Neanderthal e Denisova e da questo inferire l'espressione di un gene coinvolto nello sviluppo degli arti, trovando così differenze rispetto ai Sapiens attuali.
Il nuovo studio pubblicato sulla rivista Cell ha ampliato, nell'ordine di migliaia, le regioni analizzate, confrontando poi i risultati con quanto si conosce sullo stato epigenetico di regioni equivalenti negli umani moderni. Il passo finale, necessario per inferire i tratti anatomici dei denisovani, si è ottenuto usando come riferimento un altro database in cui è catalogato l'effetto fisico di mutazioni genetiche in persone affette da rare  anomalie.
Il procedimento analitico usato. Per maggiori dettagli e immagine HD vi rimando all'articolo su Cell (D. Gokhman et al)

Il test di affidabilità dell'approccio (proof of concept) è stato usare questi dati per prevedere le caratteristiche di un Neanderthal, per poi confrontarle con le ricostruzioni anatomiche e morfologiche disponibili da anni. Test, è bene precisare, di tipo qualitativo e e comparativo nel senso che i dati ottenuti permettono, ad esempio, di prevedere dita più lunghe rispetto ad un sapiens, non la lunghezza assoluta al millimetro.
Al termine della validazione, 33 sono stati i tratti Neanderthal risultati prevedibili dallo stato di metilazione, 29 dei quali in modo abbastanza accurato. Tra questi la presenza di facce più ampie o teste più piatte rispetto ad un umano moderno.
Su altri parametri l'affidabilità si è rivelata insufficiente, come ad esempio la previsione dei punti di fusione delle ossa del cranio, note come suture.
Fatta la validazione i ricercatori hanno applicato la tecnica sul DNA denisoviano.
Il risultato in estrema sintesi suggerisce che questi possedessero molti tratti in comune con i Neanderthal, come la fronte bassa e l'ampia gabbia toracica, ma anche alcune differenze, tra cui mascelle e teschi più larghi.
Per maggiori dettagli e immagine HD vi rimando all'articolo originale su Cell (David Gokhman et al)

L'assenza di reperti completi, tipo uno scheletro conservato, rende impossibile dire quanto l'immagine ottenuta sia precisa, ma al momento questo è sia il massimo, ed è già moltissimo, ottenibile.

A conferma della bontà dell'analisi il confronto con l'osso mandibolare vecchio di 160 mila anni proveniente dal Plateau tibetano, coincide con le previsioni per 3 tratti su 4. Altra conferma da un pezzo di cranio trovato nella grotta di Denisova che suggerisce che questi Homo possedessero effettivamente teste larghe, come previsto dalla ricostruzione epigenetica.

In futuro, gli scienziati potrebbero usare l'epigenetica per ricostruire l'anatomia degli ominidi noti da fossili frammentari o forse perfino anche da DNA degli sterchi fossili. Un approccio che potrebbe anche permettere di prevedere aspetti comportamentali, cosa impossibile anche in un reperto scheletrico perfettamente conservato.

Articolo successivo sui denisovani --> DNA denisovano in una grotta tibetana

Altri articoli su questo argomento --> Antropologia Evolutiva

Fonte
- Reconstructing Denisovan Anatomy Using DNA Methylation Maps
David Gokhman et al,  Cell. 2019, 179(1):180-192

- First portrait of mysterious Denisovans drawn from DNA
Nature / news 

- Denisovan Jawbone Discovered in a Cave in Tibet

Powered By Blogger
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper
Controllate le pagine delle offerte su questo blog




















Zerbini fantastici