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Vita di un farmaco. Da prodotto usato come accentuatore sapore salse soia a Ebola e Coronavirus

Torno oggi sul tema serendipità della scoperta terapeutica di alcuni farmaci, progettati inizialmente con un certo fine e poi, vuoi perché inferiori ai preesistenti, vuoi perché manifestavano effetti collaterali inattesi e non trascurabili, sono finiti nel cassetto salvo poi essere "riscoperti" come ideali per altri fini terapeutici (vedi Viagra, Talidomide, etc).
Drug discovery in a nutshell
Il caso odierno è un poco diverso in quanto il farmaco anti-influenzale generico, poi approvato come terapia di emergenza per Ebola e pochi mesi fa (giugno) anche per il covid19, nasce come accentuatore di sapore usato usato nelle salse di soia in Giappone, quindi nulla a che fare, e nemmeno lontanamente prevedibile, con il suo utilizzo farmaceutico.
Nota. La molecola originaria appartiene alla famiglia dei nucleosidi di cui sono note da decenni le proprietà aromatizzanti. Ulteriori informazioni nei link associati che portano ad un articolo seminale del 1969 e ad un lavoro più recente.
Tutto nasce quando, con il fine di scovare il nucleoside ideale da usare per nuove preparazioni a base di soia,  una industria giapponese si è creata nel corso degli anni una vera e propria libreria di migliaia di molecole varianti da tenere in house per i propri test 
Le librerie di molecole sono uno degli strumenti principali nella ricerca farmacologica siano essere ready-to-go che basate sulla modularità, che ne permette l'assemblaggio sfruttando vari metodi di "evoluzione funzionale", grazie alla quale è sufficiente una libreria di molecole semplici alle quali, come fosse un Lego, vengono aggiunti pezzi nuovi fino ad ottenere la migliore molecola come attività in vitro.
Ad un certo punto, consapevoli del tesoretto a disposizione, l'azienda decise di testare questa libreria in ambiti diversi da quello alimentare, per vedere se una di queste fosse in grado di interagire con una proteina bersaglio o nell'ambito di modelli cellulari, tale da produrre l'effetto ricercato (inibizione, attivazione, neutralizzazione, etc).
C'è qui da notare che l'azienda in questione, la Toyama Kagaku Kōgyō è solo un "piccolo" ramo di una vasta holding che in questo caso va sotto il nome di Fujifilm (molto comune in Asia che una sola mega azienda si occupi di produrre tutto dalle macchine alle penne a sfera fino ai farmaci)

Ed è così che si arriva al farmaco anti-influenzale Favipiravir (Avigan il nome commerciale) il cui meccanismo di azione principale (come il caso aspirina insegna, non sempre il bersaglio molecolare principale rende conto della complessità dell'azione) è l'inibizione selettiva della RNA polimerasi RNA-dipendente codificata dal virus.
Avigan fa parte della categoria funzionale di profarmaci, cioé molecole che per raggiungere la forma farmacologicamente attiva devono essere prima metabolizzate (in questo caso a favipiravir-ribofuranosil-5'-trifosfato).
Favipiravir
Come farmaco anti-influenzale si sperava potesse sostituire il Tamiflu ma, sebbene dotato di un ottimo profilo di sicurezza, Avigan era privo di sufficiente efficacia (in primis per la scarsa capacità di penetrare le cellule dell'apparato respiratorio superiore).

Nettamente più significativi i risultati mostrati nel caso di Ebola (vuoi anche per l'assenza di valide alternative) che ne hanno permesso l'impiego ufficiale sul campo (vedi PLoS Med. 2018 e su healio.com).
Particolarmente promettenti anche i risultati nella battaglia contro il covid 19 (anche questa causata da un virus a RNA) tanto da ricevere il semaforo verde in India e Cina, e (tra gli altri paesi occidentali) l'autorizzazione in Italia nell'ambito di studi di fase 3.

Il farmaco ha ricevuto il nulla osta in India date la situazione di emergenza. In occidente è utilizzato solo in clinica nell'ambito di studi controllati su pazienti gravi. 

Aggiornamento 23 settembre
Dopo i risultati positivi della sperimentazione clinica di fase 3, la Fujiifilm sta preparando la documentazione per richiedere l'approvazione ufficiale di Avigan nell'ambito covid19 (--> notizia
  
Per articoli correlati su questo blog:







FingerTrak. Un braccialetto per leggere il movimento della mano

Il suo nome è FingerTrak, ideato da un team della Cornell, e può essere descritto come un braccialetto che rileva tutte le posizioni assunte in 3D dalla mano, articolazioni delle dita incluse.
The FingerTrak bracelet (image credit: Cornell.edu)
 La rilevazione sfrutta 4 mini telecamere termiche in SD, sufficienti per "disegnare" i contorni del polso; basta questa informazione perché il braccialetto (o meglio la rete neurale che funge da cervello) stabilisca con precisione la posizione delle dita.

Ciascuna delle immagini catturate in continuo dalle fotocamere viene elaborata in tempo reale restituendo l'mmagine 3D della mano.
Bello, ma vi chiederete a cosa possa servire.
Molti gli utilizzi potenziali, che vanno dalla sempre più utilizzata realtà virtuale alla diagnosi precoce fino al monitoraggio delle anomalie motorie che caratterizzano malattie come il Parkinson. Ma si può andare oltre con l'immaginazione pensando anche alla traduzione della lingua dei segni bidirezionale (mediante guanti o videocamere di "lettura").
In un certo senso potremmo definirlo la versione "utile" di un prodotto top come il controller di Oculus Quest. Siamo chiaramente su livelli ben diversi ma ma questo non toglie che molto spesso sono gli investimenti in aree apparentemente "light" come quelli del gaming che generano i "mattoni" conoscitivi ed esperienziali per applicazioni importanti.
Di seguito un video riassuntivo prodotto dalla Cornell University
 
FingerTrak – a wrist-mounted device that continuously tracks the entire human hand in 3D from Information Science Cornell on Vimeo.


Fonti
-  Researchers Develop 3D Hand-sensing Wristband  
cornell.edu & Cornell Chronicle





La base molecolare del cattivo odore ascellare è in un enzima presente nel batterio Staphylococcus hominis

Uno tra gli articoli più letti su questo blog è quello della  cattiva nomea, in termine di odorato, che gli asiatici hanno dei gaijin, nel senso generale del termine (bianco, nero o ogni altra variante non dell'estremo oriente).
(Vedi --> Perchè i giapponesi pensano che ...) 
Una stigmatizzazione che abbiamo visto avere fondamenti reali di tipo fisiologico (quindi ineludibili) e non comportamentali (igiene personale), con buona pace di chi sui media si adopera per negare scandalizzato il concetto di diversità all'interno della nostra specie.

E' di poche settimane fa uno studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, che aggiunge alcuni dettagli sul tema, nello specifico sul cattivo odore del sudore.
 Image credit: Rudden et al,
Ho già scritto che una parte importante della "odorosità" viene dalla frequenza delle ghiandole apocrine  che a differenza delle sudoripare "pure", eccrine, fungono anche da veicolo di messaggi ormonali. Un essudato fatto di acqua e sale non genera odore (se non quello classico salino). L'odore anche pungente che noi percepiamo viene dalla digestione di molecole relativamente complesse presenti nel fluido, operato dalla flora batterica sulla cute. Oltre al sebo il liquido secrete contiene glucidi, lipidi e proteine (tra questi feromoni, etc).
Nota. Non è un caso che un bambino (pre-pubere) che abbia passato il pomeriggio estivo a giocare a pallone nel parco difficilmente avrà altro odore che quello del sudore "base" mentre abbiamo tutti l'esperienza di adulti che emanano "aromi" in palestra, dopo un meeting di lavoro ansiogeno, anche solo di pochi minuti, o di primissimo mattino sui mezzi pubblici (pur appena docciati).
Le variabili interindividuali risiedono quindi nelle molecole rese disponibili alla flora (presenti anche in chi si fa una doccia ogni 12 ore) e per presenza nella comunità microbica che ospitiamo di batteri più o meno predisposti a produrre metaboliti di scarto odoriferi.
Ed eccoci arrivare allo studio pubblicato dai ricercatori dell‘Università di York che hanno identificano uno dei principali colpevoli in un enzima, dal nome funzionale Bo (nome derivato dall'acronimo di body odour), presente in un batterio che vive sotto le nostre ascelle.
Ovviamente lo studio prescinde dalle  differenze etniche ed è indirizzato al microbioma ascellare, che è solo una delle zone odorifere. Lo stesso batterio non ha problemi a vivere sotto le ascelle asiatiche piuttosto che quelle gajin, la differenza è semmai nel "cibo" (molecole) che ha a disposizione. Precisazione doverosa è che la flora batterica e la composizione dell'essudato in varie aree a rischio odore (ascelle, piedi, genitali, etc) è diversa per cui lo studio va preso come esemplificativo ma non generale.
Credit: Rudden et al, Per l'immagine in HQ vi rimando all'articolo originale in PDF,
Già in studi precedenti gli stessi ricercatori avevano rilevato l'origine del cattivo odore del sudore nella presenza di batteri del genere Staphylococcus presenti sotto le ascelle e responsabili della produzione di tioalcoli, da cui l'odore pungente. Tra questi lo Staphylococcus hominis spiccava come uno dei principali responsabili dell’odore, conseguente al processamento della molecola Cys-Gly-3M3SH da parte di una C-S liasi (l'enzima "Bo" ora caratterizzato). 
Credit: D. Bawdon et al 
Dalla digestione della molecola il batterio ricava i fondamentali carbonio e azoto sotto forma di glicina, ammonio e piruvato con la liberazione del volatile 3-methyl-3-sulfanylhexan-1-ol (alias 3M3SH) che diffonde dalla cellula batterica ed è il responsabile dell'odore percepito.
L'odore è il sottoprodotto del processamento enzimatico di una molecola di per sé inodore. 
Dall'analisi filogenetica è stato infine possibile datare la comparsa di questo gene a circa 60 milioni di anni fa, ben prima che comparissero i primati. L'odore è chiaramente un "effetto collaterale" irrilevante nella selezione (fatto salvo il messaggio feromonale). a cui tra l'altro a cui i nostri antenati, anche solo pochi decenni facevano molto poco caso prima che si entrasse nell'era dei deodoranti come "obbligo" sociale.

Per altri articoli su tematiche legate all'olfatto cliccate sul tag  --> "olfatto"

Fonti
- The molecular basis of thioalcohol production in human body odour
Michelle Rudden et al,  Scientific Reports,(2020) v.10, Article number: 12500


La sonda Osiris Rex è pronta ad attraccare (e campionare) l'asteroide Bennu

La navicella Osiris Rex è sulla dirittura d'arrivo del viaggio che dalla Terra l'ha portata sull'asteroide Bennu, dove preleverà campioni che riporterà "a casa" nel 2023.
Credit: NASA/Goddard/University of Arizona
Nel momento in cui scrivo, la sonda si trova a 40 metri dall'asteroide, in prossimità di un cratere.
Lo stato della missione è disponibile sul sito della NASA -->QUI
Credit: NASA  (--> original video)

In breve 4 ore dopo aver lasciato la sua orbita a un chilometro di altezza, Osiris Rex ha acceso il motore (manovra detta di Checkpoint) quando si trovava a 125 metri dall'asteroide, dopo di che è scesa per altri 8 minuti prima di attivare la seconda manovra che l'ha portata a 40 m dal suolo di un corpo celeste che si trova a circa 300 milioni di chilometri dalla Terra.
Gran parte delle attuali e future manovre di raccolta campioni sono pre-programmate nei software della missione. Condizione questa necessaria per evitare il lag di 16' tra l'invio del comando e la ricezione dalla sonda.
La grande distanza da noi non la rende immune ai problemi legati al Covid19 sulla Terra. La fase finale della missione avrebbe potuto essere attivata già mesi fa quando la sonda aveva raggiunto l'asteroide; la fase operativa era stata congelata (lasciando la navetta "agganciata" all'orbita dell'asteroide) essendo operativamente bloccati i controllori terrestri.

Bennu è stato selezionato tra oltre 500 mila asteroidi conosciuti in base ad alcuni criteri tra cui la prossimità alla Terra, orbita con bassa eccentricità ed inclinazione e un raggio orbitale di 0,8-1,6 UA. Il candidato ideale doveva inoltre avere (per ragioni legate al ritorno a casa) regolite polverizzata sulla sua superficie, il che a sua volta determina un diametro del corpo asteroidale superiore ai 200 metri; asteroidi più piccoli ruotano infatti troppo velocemente per potere trattenere il particolato. Ultima condizione, quella della presenza di carbonio, che potrebbe includere molecole volatili e composti organici vari, verosimilmente incontaminato dall'epoca della formazione del Sistema Solare.
Alla fine erano 5 i candidati idonei. La scelta di Bennu (avente diametro di 500 m) è legata alla sua orbita potenzialmente pericolosa visto che incrocerà la Terra da vicino (ad una distanza quasi doppia rispetto la Luna) nel 2060 e che alcuni modelli ipotizzano un impatto tra il 2169 e 2199 (0.071% probabilità). Comprenderne la composizione è quindi critico per predire l'effetto potenziale dell'impatto (l'asteroide che colpì la Siberia nel 1908 era roccioso ed aveva un diametro stimato di 100 m (vedi --> Tunguska_event). 

 Non si tratta della prima missione del genere (invio di una sonda su un asteroide) ma della prima in cui è prevista la raccolta di campioni da riportare sulla Terra. Per missioni similari vi rimando all'articolo scritto sulla missione Rosetta, finalizzata all'attracco della sonda Philae sulla cometa 67P/Churyumov- Gerasimenko. Missione conclusasi ufficialmente nel 2016 ("La fine della Missione Rosetta").
 Se volete sapere dove si trova la Osiris Rex in questo momento, vi rimando al sito -->Where is the spacecraft?


Aggiornamento ottobre 2020
Il video della toccata, raccolta campioni e fuga della sonda sull'asteroide
Credit: NASA





Risvegliati i batteri rimasti intrappolati nei sedimenti abissali dall'epoca dei dinosauri

Nei sedimenti di argille abissali sono stati rinvenuti microbi rimasti lì inglobati da decine di milioni di anni. 
Ricercatori giapponesi hanno dimostrato che non si tratta di spore o di "fossili" microbici (quindi defunti) ma di batteri rimasti in condizioni di minimo metabolismo, quasi dormienti (a causa della scarsità di fonti di energia chimica), che è possibile "rianimare" fornendo nutrienti.
Le cellule redivive dopo l'aggiunta di nutrienti, visualizzati grazie a traccianti radioattiivi (credit: JAMSTEC)
Lo studio, pubblicato la scorsa settimana su Nature Communications, è interessante sia per l'approccio sperimentale usato che per il risultato che permette di ampliare i confini "ambientali" permissivi per la vita, dato non trascurabile questo per i futuri studi di esobiologia su pianeti apparentemente deserti (ma un tempo probabilmente adatti alla vita) come Marte.

L'idea alla base del progetto era indagare i limiti della ben nota tolleranza dei batteri (o almeno di alcune specie) a condizioni estreme presenti sulla Terra, fatali per gran parte degli altri organismi.
Non una domanda peregrina considerando l'esistenza di quel variegato gruppo microbico definito genericamente come estremofili (per la maggior  parte archeobatteri) capaci non solo di sopravvivere ma di prosperare in ambienti quali i laghi salati, le sorgenti idrotermali di acqua bollente, ambienti ricchi di metalli (mercurio, arsenico, ...), laghi di catrame in ebollizione e perfino nel permafrost.
I fondali oceani sono ambienti in genere inospitali ma in cui esiste la vita, perfino in corrispondenza delle fosse oceaniche dove la pressione dell'acqua sarebbe capace di accartocciare un sottomarino. Una eccezione sono i (nemmeno tanto profondi) fondali al largo della costa orientale dell'Australia, il South Pacific Gyre, nota per la caratteristica di essere un deserto di acqua pressoché privo di vita, in quanto incapace di sostentare anche il solo plancton, che come sappiamo é alla base della piramide alimentare oceanica. Conseguenza immediate di questo deserto biotico, pochissima materia organica cade sul fondale, posto circa 5 mila metri più in basso.
credit: sciencemag.org

Per dare l'idea, mentre in un classico fondale marino ossigenato si trovano in media 100 mila cellule per centimetro cubo di fango, il numero di batteri (o di tracce fossili visibili al microscopio) in questa zona è almeno 100 volte inferiore rispetto a campioni prelevati da fondali alla stessa profondità siti ai margini oceanici o in aree di upwelling
Insieme all'idea progettuale (esiste vita microbica su questi fondali poveri?) c'era l'opportunità pratica, grazie a campioni ottenuti dal carotaggio delle argille sedimentarie fatto nel 2010 nell'ambito del programma di esplorazione dei fondali oceanici, IODP.
Campioni derivati dal carotaggio oceanico catalogati per tipologia. Sedimenti presi da queste "carote" sono stati usati per verificare la vitalità potenziale dei microbi in essi identificati (credit: IODP/JRSO)

I campioni di argilla pelagica sono datati, a seconda del luogo di prelievo, in un arco temporale tra 13 e 102 milioni di anni. Sommando questo dato alle informazioni chimico-fisiche (bassa porosità e coefficiente di diffusione, ...) il quadro "ambientale" che ne risulta è quello di un sistema rimasto di fatto chiuso per decine di milioni di anni .
Tradotto, vuol dire che la datazione dei sedimenti coincide con il momento della "cattura" della forme microbiche, da allora lì imprigionate senza possibilità di "nuovi arrivi" (biotici o di nutrienti).
L'analisi chimica dei campioni mostrava presenza di ossigeno molecolare, fosfato e carbonio inorganico disciolto in tutta la roccia sedimentaria del fondale, quindi elementi fondamentali utilizzabili come accettori di elettroni e nutrienti inorganici, ma scarso "combustibile" (fonte di energia chimica). L'analisi stechiometrica molecolare dei sedimenti mostra una riduzione netta di O2 disciolto e aumento di nitrati, il che indica un metabolismo microbico basato sull'ossigeno (quindi non di tipo anaerobico) accoppiato all'ossidazione della materia organica marina, sebbene molto lento.
Un basso metabolismo ha effetti importanti sulla potenzialità proliferativa, visto che una cellula deve metabolizzare una certa quantità di carbonio rispetto alla propria biomassa prima di poter raddoppiare le sue dimensioni e dividersi o anche solo mantenere uno stato metabolicamente attivo. Un dato che spiega il basso titolo microbico.
Nota. Si è qui sottolineata la presenza di tracce di ossigeno disciolto nell'argilla ma vale la pena ricordare che la sua presenza non è condizione necessaria per la vita microbica in generale, come ben insegnano le specie anaerobe, ad esempio gli appartenenti al genere Clostridium, Bacteroides e al gruppo dei metanogeni (questi ultimi in realtà archèobatteri). Questi microbi ricavano energia mediante una delle varie forme di fermentazione e, quelli capaci di respirazione anaerobica, usando molecole inorganiche diverse dall'ossigeno (solfato, mercurio, ...) come accettore finale dell'elettrone. Gli anaerobi possono essere facoltativi o obbligati, questi ultimi sono i microbi piu simili a quelli che popolavano la Terra prima della "Grande Ossigenazione", incapaci di neutralizzare il tossico ossigeno (trasformandolo in acqua), per cui oggi relegati alle zone più "nascoste" del pianeta, tipo i camini idrotermali nelle dorsali oceaniche
Il quesito biologico ancora aperto riguardo ai microbi presenti in questi sedimenti era se e quanto fossero ancora vitali.
Per comprenderlo i ricercatori hanno condotto esperimenti di incubazione microaerobica sui campioni fornendo substrati marcati con isotopi radioattivi, utili per tracciare e quantificare la comparsa di attività anaboliche o per dirla semplice il "risveglio del batterio dopo avere ricevuto la colazione" (solo le cellule metabolicamente attive incorporano il tracciante).

I risultati sperimentali, nettamente positivi, sorpresero gli stessi ricercatori che all'inizio temettero una contaminazione ambientale avvenuta durante la procedura di carotaggio. Eventualità poi esclusa grazie ai controlli sperimentali e alla caratterizzazione microbica.
Per rendere l'idea, in soli 68 giorni dall'inizio dell'incubazione il tasso di incorporazione del tracciante è aumentato di 4 ordini di grandezza, con una netta maggioranza di microbi aerobici (comprensibile viste le condizioni sperimentali e la tipologia ossica del sedimento). Espermenti analoghi condotti in condizioni anossiche non hanno dato uguali risultati ad indicare che i microbi anaerobi qui presenti si erano meno preservati nel tempo.
I risultati suggeriscono che le comunità microbiche presenti nei sedimenti abissali poveri di materiale organico sono costituiti principalmente da aerobi che mantengono il loro potenziale metabolico in condizioni di energia estremamente bassa per tempi fino a 101,5 milioni di anni (il campione piu vecchio tra quelli testati).
L'analisi genetica ha mostrato una discreta eterogeneità dei batteri presenti, appartenenti a 10 gruppi abbastanza frequenti ancora oggi, capaci di sopravvivere in condizioni di estrema o assoluta carenza di fonti energetiche. Tra questi i batteri capaci di formare spore sono una percentuale del tutto trascurabile, un dato che supporta l'idea che i microbi "riattivati" fossero semplicemente in condizione di basso metabolismo, ma del tutto vitali, e non spore congelate nel tempo.

Curiosità. Si ipotizza che il fattore chiave che ha permesso a questi batteri di sopravvivere per tutto questo tempo è conseguenza del ridotto accumulo di sedimenti tipico di quella particolare area oceanica. Infatti quando i sedimenti si accumulano rapidamente, la pressione da essi esercitata cumulativamente, provoca l'espulsione dai microgranuli anche di quelle poche molecole di ossigeno presenti, fondamentali per la vita di questi batteri, praticamente tutti aerobi.
A tal proposito gli autori stimano che il tasso di sedimentazione massimo accettabile per garantire la sopravvivenza di questi microbi sia 1 metro per milione di anni.

Questo per dire che anche se non uno non trovasse prove di vita sulla superficie di un pianeta, in cui un tempo vi era acqua, se scavi abbastanza e nel posto giusto, potresti riportarle le cellule in piena attività anche dopo milioni di anni. Il che, sulla base di film di fantascienza oggi cult (ad esempio Fantasmi su Marte) non è necessariamente una buona cosa.



Fonti
- Scientists revive 100 million-year-old microbes from deep under seafloor
Reuters
- Aerobic microbial life persists in oxic marine sediment as old as 101.5 million years
Y. Morono et al. Nature Communications 11, 3626 (2020)

Articoli precedenti su tematiche simili (ricerca forme di vita "sepolte dal tempo")
--> "La ricerca della vita nei laghi subglaciali dell'Antartide"

Zolgensma, il farmaco più costoso di sempre ma anche l'unico per la SMA (pur con effetti limitati)

E' di poche settimane fa la notizia che la Germania sarà il primo stato europeo a rendere disponibile Zolgensma, la terapia più costosa di sempre. Non secondario il fatto che si tratta di una terapia genica, caratteristica che come vedremo poi spiega il suo prezzo.
image: AP via The Guardian

L'entrata in commercio segue la fase di valutazione con la quale gli enti preposti accertano la sicurezza e di efficacia dei farmaci sotto esame. 
L'approvazione formale risale infatti a maggio 2019 quando Zolgensma ricevette il semaforo verde dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense come terapia genica per bambini, fino a due anni, affetti da atrofia muscolare spinale (SMA). Decisione simile in Europa, pochi giorni dopo, da parte della European Medicines Agency (EMA) che però ne aveva rimarcato la approvazione condizionale, a causa del basso numero di soggetti testati; una scelta inevitabile in molte procedure definite "accelerate" che riguardano terapie per malattie rare, prive di altri trattamenti e dall'esito invariabilmente fatale.
Nota. Ricordo che l'approvazione dell'ente regolatorio è solo il primo passaggio, essenziale, per arrivare alla messa in commercio. Nel caso europeo l'azienda detentrice dovrà poi contrattare con i singoli stati il prezzo effettivo, basato su una serie di variabili come il bacino di utenza e, ma non è questo il caso, la presenza di farmaci analoghi già presenti sul mercato. Qualora il farmaco proposto fosse ritenuto privo di interesse da parte degli organi nazionali, anche se approvato a livello europeo non entrerebbe a fare parte del prontuario farmaceutico del paese.
Un trend proseguito dopo qualche settimana con l'approvazione da parte dell'EMA di Zynteglo, anche questa una terapia genica, da usarsi per la relativamente meno rara beta talassemia trasfusione dipendente su pazienti di età ai 12 anni.
Senza appesantire troppo la trattazione con dettagli tecnici, diciamo che Zolgensma è un'iniezione endovenosa, da fare un'unica volta, di un virus del tipo AAV9 modificato per veicolare il gene SMN1, difettoso nei pazienti affetti da SMA.
Zynteglo, anche questo pensato come singolo trattamento, si basa sull'iniezione di cellule emopoietiche CD34+ autologhe (prelevate dal paziente), modificate in laboratorio inserendo il gene globinico normale, grazie al virus VSV.
In entrambi i casi i virus sono innocui per il paziente (sia per la tipologia che, nel caso di Zynteglo, per essere un trattamento in vitro), e rappresentano il veicolo per introdurre il gene umano normale nelle cellule bersaglio.

Altra cosa in comune, meno piacevole, il prezzo di listino del trattamento rispettivamente pari a 2,1 e 1,8 milioni $, un valore che li cataloga come i due farmaci più costosi al mondo.

Per chi conosce le dinamiche che determinano il prezzo di un farmaco, tali valori non stupiscono più di tanto perché sono il risultato "micidiale" della peggior combinazione possibile in ambito industriale: costi di sviluppo molto alti che non possono essere spalmati (fortunatamente) su un ampio bacino di utenti potenziali (sono malattie rare o rarissime) con il più il fatto che queste terapie sono pensate per essere usate UNA SOLA VOLTA per raggiungere l'obiettivo terapeutico prefissato (che varia dal sintomatico al terapeutico a seconda del tipo di farmaco).
Non serve una laurea in economia per comprendere che il prezzo del cartellino non potrà che essere massimo anche ipotizzando un target di recuperare SOLO il costo sostenuto per sviluppare il farmaco. E sappiamo bene che le Pharma non sono enti che investono miliardi di euro solo per tornare in pari.
Su come si formano i prezzi dei farmaci ne ho parlato in una serie di articoli dedicati --> "Nuovi farmaci e costi connessi".
Una volta che il farmaco è stato approvato (con costi di sviluppo, produzione e verifica clinica, in tutto a carico delle aziende), e ancora di più in questo caso dove si tratta di qualcosa di assolutamente nuovo e senza alternative, l'onere di se e come fruirne spetta ai payers, i pagatori, identificabili come i SSN e/o le assicurazioni.
Loro scopo è fare una analisi dei costi-benefici e valutare come ottenerne l'utilizzo senza distruggere le risorse economiche disponibili, per definizione limitate.

Per dare una idea dei problemi sottesi, Glybera, la prima terapia genica approvata in assoluto (2012), sviluppata per contrastare il deficit della lipoprotein lipasi (malattia rara, la forma familiare ha prevalenza di 1 ogni 100 mila) aveva un prezzo di cartellino di 1,2 milioni $. Non ebbe molto successo e venne ritirata dal mercato dopo soli 3 anni avendo trattato solo un paziente.
Un costo chiaramente insostenibile per l'azienda che infatti ne cedette il brevetto in cambio di royalties future.

Un caso limite quello di Glybera ma che rientra nel possibile per trattamenti che riassumono tutte queste caratteristiche:
  • malattie rare (<200 mila pazienti) o ultra-rare (<10 mila), numeri riferiti alla popolazione USA;
  • prodotti progettati per essere one-shot, sia che il fine sia sintomatico (miglioramento qualità di vita) che, non sempre possibile, terapeutico;
  • infinitamente più efficaci degli altri tratttamenti disponibili, quando pure esistono;
  • costi di sviluppo e, almeno inizialmente, costi generali di produzione, molto elevati.
Per cercare di contenere i costi e velocizzare lo sviluppo di questi farmaci/terapie (catalogati come farmaci orfani), gli enti regolatori hanno predisposto delle corsie preferenziali per lo svolgimento degli studi clinici necessari per la verifica di efficacia e sicurezza. Tra i punti salienti l'utilizzo di un numero nettamente inferiore di individui nella sperimentazione clinica.
Siamo nell'ordine di alcune decine (o meno) contro le migliaia (anche decine di migliaia in alcuni casi) di persone analizzate negli studi classici.
Una corsia preferenziale che se da una parte aiuta dall'altra è foriera di perdita di potenza statistica, per cui risultati che appaiono convincenti nello studio potrebbero, una volta entrati nella pratica comune, mettere in evidenza punti di debolezza nell'efficacia terapeutica o nella sicurezza. Problema presente anche nei rari casi di risultati positivi "bulgari" (su tutti i pazienti testati); nella realtà sperimentale, lo vedremo poi, i risultati sono molto più sfumati.

Un limite, quello della ridotta potenza statistica, comune a tutte e 7 le terapie geniche approvate  finora*, con un numero di pazienti dell'ordine 15-50, a volte raggiunti con fatica per quanto rare sono le malattie studiate.
Se a questo aggiungiamo che spesso i risultati ottenuti sono catalogabili come "risposta moderata e di entità varia", diventa difficile per un payer autorizzarne l'acquisto.
E' opportuno sottolineare che le milestones cliniche, da dichiarare prima dell'inizio dello studio, di almeno alcuni di queste terapie non comprendono la guarigione (né potrebbero visti i danni già avvenuti) ma miglioramenti su uno o più aspetti critici per la qualità della vita del paziente.
Nel caso di Zolgensma, a distanza di 20 mesi dal trattamento, i miglioramenti sono stati parziali**, da leggersi come mantenimento di capacità basilari, che vanno SEMPRE confrontati con i soggetti non trattati, invariabilmente con un quadro clinico peggiore. Una terapia quindi che al più rallenta il decorso ma che NON elimina gran parte dell'assistenza clinica complementare di cui un paziente con SMA necessita.
Alla fine è probabile che il costo della sola assistenza sostenuto dal SSN sarà ancora più alto del normale, visto che i pazienti vivranno un poco più a lungo. Non ci sono alternative e, per quanto possa sembrare un trattamento di efficacia limitata, è il meglio, anzi direi l'unico, disponibile, ragione per cui ha ottenuto semaforo verde da EMA e  FDA.
In altri campi fuori dalla sanità prodotti di questo tipo sarebbero al più catalogati come prototipi su cui lavorare ancora molto prima di arrivare sul mercato. Ma qui siamo, lo ripeto, in una situazione in cui non esiste nessuna terapia anche solo sintomatica per cui miglioramenti (o rallentamento del declino) anche esiziali non possono che essere i benvenuti.
Tuttavia questo pone il problema ai payers su come usare saggiamente i fondi disponibili minimizzando il rischio intrinseco che possa risultare molto meno utile del previsto una volta entrato nella pratica clinica corrente.

Una via è quella scelta dalla Germania con un accordo che le permette di usare il trattamento per 1 anno a costo zero in modo da valutarne efficacia su altri pazienti.
Non è l'unica strada. Alcuni governi stanno pensando a contratti sulla falsariga dell'abbonamento a Netflix: si paga una somma forfettaria all'azienda in cambio di accesso illimitato (nel periodo di copertura) al trattamento.
Strategia usata dall'Australia nel caso di Solvadi, un trattamento per l'epatite C. Si tratta in effetti di un caso ben diverso avendo il farmaco una comprovata efficacia e con un ampio bacino di utenti potenziali ampio.
Rimanendo nell'alveo di esperienze similari (terapia genica) una soluzione possibile è quella di contratti pay-per-performance, con cui si condivide il rischio economico. In sostanza è una sorta di garanzia di rimborso con cui i payers monitorano i risultati sui pazienti e premiano l'azienda in modo scalare se il trattamento mantiene lo stato di salute del pazienti per un periodo definito, tempo che varia a seconda del tipo di malattia e delle caratteristiche del farmacA
Approccio questo usato con Luxturna, terapia approvata per una rara malattia ereditaria che porta inevitabilmente alla perdita della vista. In base all'accordo, il payer paga il prezzo di listino, ma ottiene sconti progressivi consistenti se il trattamento non riesce a raggiungere i risultati concordati.
Nel caso di Zolgensma le milestones terapeutiche sono limitate e su queste si dovrà trovare un accordo centrato sul suo costo beneficio.


Note
(*) I 7 trattamenti approvati sono Glybera, Strimvelis, Kymriah, Yescarta, Luxturna, Zolgensma e Zynteglo.
(**) Su 15 pazienti (bambini) 11 mantenevano la capacità di parlare, 10 potevano muovere la testa, 10 potevano stare seduti da soli (senza cadere) per 10" e 2 camminavano.



Fonti
- Germany first in EU to get Novartis’ SMA gene therapy, costing almost 2m euros
pharmaphorum

- Gene therapy’s next installment
Nature Biotechnology 37(697) 2019

- AveXis receives EC approval and activates “Day One” access program for Zolgensma®, the only gene therapy for spinal muscular atrophy (SMA)
Novartis / news

- SMA Europe
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