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Dopo la vernice "più nera di sempre" ecco il "super-bianco"

Poco più di un anno fa avevo segnalato lo sviluppo del prodotto più nero di sempre, che spruzzato su un oggetto era capace di assorbire il 99,995% dei fotoni incidenti, surclassando così il precedente primato del Vantablack®. Al lavoro portato avanti dai soliti geniacci del MIT hanno risposto, in modo complementare, i ricercatori della Purdue University con una vernice acrilica definita come il "bianco più bianco mai prodotto"  capace di riflettere il 95,5% della luce incidente.
La ricerca è stata pubblicata  qualche settimana fa sulla rivista Cell Reports Physical Science.
Nota. Per comodità del lettore riporto in calce alla presente il precedente articolo sul "super-nero". 
Non si tratta, come ovvio, della solita ricerca accademica utile per soddisfare l'interesse nerd degli scienziati, ma di prodotti che hanno importanti applicazioni pratiche. Nel caso del "super-bianco" il suo utilizzo aiuterebbe anche a combattere il riscaldamento globale.
X. Ruan & J. Peoples testano la capacità schermante
(credit: J. Pike/Purdue Un.)
 


Alcuni dettagli dei test condotti, usando il prodotto e verificando sia la riflessione che il calore assorbito
Credit: ScienceDirect


Obiettivo dichiarato dei ricercatori quello di ottenere una vernice utilizzabile per mantenere gli edifici più freschi e, con questo, minimizzare lo sforzo degli impianti di raffreddamento.
Per inciso ricordo che l'impianto di condizionamento non è (sempre) un vezzo degli umani contemporanei ma lo strumento che ha permesso di abitare tutto l'anno territori altrimenti proibitivi; uno su tutti l'ovest degli USA (vedi il bell'articolo su The Atlantic per gli USA o a livello globale l'articolo e mappa del The Guardian). 
Senza entrare troppo in dettagli chimici, si tratta di un materiale a base di carbonato di calcio, essenziale per le caratteristiche di riflettività, e a cascata di minor assorbimento di calore, assente nelle altre vernici bianche isolanti.
I dati parlano chiaro: le superfici verniciate con il "super-bianco" erano fino a 18 °C più fresche rispetto alle aree circostanti, il che rende perfino ipotizzabile fare a meno dell'area condizionata. La zona più ovvia in cui utilizzarlo sarebbero i tetti, con un risparmio nel consumo di energia stimato in 1 dollaro al giorno (molto di più da noi visto il costo dell'energia), massimizzando così i guadagni dell'utilizzo dei pannelli fotovoltaici, diffusi oramai nelle area ad alta insolazione nonostante la scarsa efficienza energetica.
Confronto tra la temperatura dell'area verniciata con il super-white (sinistra) e la classica vernice bianca
(Image credit: Purdue University image/Joseph Peoples)

L'utilizzo del carbonato di calcio presenta molteplici vantaggi: molecola di facile produzione; molto più economico del biossido di titanio usato nelle vernici in uso oggi (oltre che come additivo alimentare e nelle creme solari).

I ricercatori stanno ora cercando di sfruttare la capacità di "abbattimento del calore assorbito" utilizzando la stessa miscela con altri pigmenti (secondo i tecnici è fattibile anche diminuendo la "bianchezza") per soddisfare le preferenze estetiche di tutti, facilitandone la diffusione e massimizzando così l'impatto positivo sui consumi.

Video riassuntivo 
Se avete problemi di visualizzazione --> youtube



Fonte
- Full Daytime Sub-ambient Radiative Cooling in Commercial-like Paints with High Figure of Merit
X. Ruan & J. Peoples Volume 1, Issue 10, 21 October 2020, 100221
This white paint could reduce the need for air conditioning by keeping surfaces cooler than surroundings  
Purdue University /news

Nota. In natura il record di "bianchezza" va alla scaglie ultrasottili del coleottero Cyphochilus (foto C e D nell'immagine sotto) capaci di riflettere poco meno del 70% della luce incidente
All Credit to the Authors



**

Realizzato in laboratorio il materiale più nero del nero mai visto in natura (buchi neri esclusi).
** copia dell'articolo scritto il 19/09/19)**

Ricordo di avere letto per la prima volta del nero assoluto in un breve racconto di Jack London "L'ombra e il baleno", dove questo pigmento, capace di assorbire ogni radiazione nel visibile, permetteva di ottenere l'invisibilità dell'oggetto o corpo su cui fosse stato spruzzato.

Una teoria alquanto curiosa perché invece dell'invisibilità (per cui serve o il passaggio indisturbato dei fotoni o la loro curvatura attorno all'oggetto) il nero assoluto sarebbe semmai utile per mimetizzarsi in condizioni di scarsa luminosità e non in piena luce dove si apparirebbe come ... buchi neri ambulanti. A proposito di invisibilità potrebbe interessarvi l'articolo "la realtà del mantello dell'invisibilità di Harry Potter".
 Nota. Il buco nero è tale perché ogni cosa, luce compresa, che vi entra scompare nella singolarità. Nella vita quotidiana il colore di un oggetto è funzione della quantità (percentuale) e qualità (lunghezza d'onda) della luce incidente che viene riflessa (per approfondimenti vi rimando all'ottima sezione sul colore della Stanford University).
Ma possiamo perdonare al grande Jack London questo errore scientifico a fini narrativi.
La ricerca del nero assoluto è tuttavia una realtà, per fini che vedremo poi, con miglioramenti continui che sono culminati con quello che si riteneva il top cioè il Vantablack ®.
Non è photoshop ma l'effetto di spruzzare sulla statua il Vantablack. Se non vi basta, la BMW ha un modello, VBX6, con carrozzeria "nero assoluto". (image credit: Surrey NanoSystems via focus.it)

Verbo declinato al passato perché poco tempo fa i ricercatori del MIT hanno annunciato un nuovo materiale, ancora senza nome, che (parodiando il claim di Tim Cook) è "il più scuro di sempre" grazie alla sua capacità di assorbimento della luce superiore al 99,995 per cento contro il 99,96 per cento di Vantablack. Può sembrare un miglioramento esiziale visto che si parla di decimali ma traducendo in linguaggio semplice il nuovo materiale riflette 10 volte meno luce del Vantablack.

La composizione di questo nuovo materiale è, a grandi linee simile a quella del Vantablack (nanotubi di carbonio o CNT) con una particolare struttura e geometria (allineati verticalmente) che appaiono come microscopiche stringhe che svettano dalla superficie come una piccola foresta.
Come spesso avviene nella scienza, la scoperta è frutto del caso nel senso che la si è ottenuta mentre si cercava altro. Proprio qui sta la differenza tra uno scienziato ed uno che "si occupa di cose scientifiche"  cioè nella capacità di vedere oltre un risultato inatteso e comprenderne potenzialità al di fuori della ricerca in corso. Nello specifico i ricercatori stavano testando nuovi approcci per produrre CNT su materiali elettricamente conduttivi come l'alluminio; durante uno di questi esperimenti si resero conto che sul supporto di alluminio pretrattato per la reazione di sintesi (e già scuro di suo) il nero diventava via via "più nero". La conferma a questa sensazione visiva venne da test che mostrarono una assorbanza quasi assoluta.

Non è ben chiaro perché i CNT organizzati in tal modo siano così foto-assorbenti ma il risultato rimane.

Il nuovo nero da record è stato anche oggetto a New York di una installazione artistica, intitolata The Redemption of Vanity,  dell'artista del MIT Diemut Strebe. Un'opera invero già preziosa di suo se si pensa che l'oggetto è un diamante giallo naturale da 16,78 carati (valore 2 milioni di dollari) rivestito con il nuovo materiale: invece di apparire come una gemma brillante, scintillante e altamente riflettente appare come un vuoto senza luce.
Una spruzzata del nuovo materiale e la lucentezza del diamante scompare (immagino dato il costo dello stesso che sia facile da rimuovere ...). Credit: Diemut Strebe via MIT news

Quali applicazioni per il nero assoluto? Ad esempio nella strumentazione ottica (fotocamere, telescopi e perfino nei telescopi spaziali) in cui la rimozione di luce e bagliore ha un valore fondamentale.

La ricerca è stata pubblicata su ACS Applied Materials & Interfaces.

Nota di "colore" La gara per ottenere il prodotto più di nero è uscita dall'alveo accademico coinvolgendo gli artisti. L'artista Anish Kapoor possiede la licenza esclusiva per l'utilizzo di Vantablack; questo ha provocato la "risposta" di un altro artista, Stuart Semple, che ha sviluppato la sua linea di pigmenti e sta cercando di surclassare il collega rivale con una versione beta di Whiteest White che dichiara di riflettere il 99,6% della luce.

Fonti
-  MIT engineers develop “blackest black” material to date
MIT news

- Breakdown of Native Oxide Enables Multifunctional, Free-Form Carbon Nanotube–Metal Hierarchical Architectures
Kehang Cui & Brian L. Wardle, (2019) ACS Applied Materials & Interfaces.





L'evaporazione dell'acqua marziana (+ il selfie di Curiosity) e l'origine dei geysers su Europa

Articolo odierno solo per segnalare l'aggiornamento di due articoli (a cui vi rimando mediante il link) con notizie uscite nei giorni scorsi.

Europa (Articolo  --> La luna Europa)
Nulla di nuovo quando si segnala l'interesse crescente per le lune dei due giganti gassosi del sistema solare (Giove e Saturno) più ancora che per i pianeti stessi. Vuoi perché (almeno alcune di esse) sono obiettivi di future missioni (umane o robotiche che siano), vuoi perché sono continua fonte di sorprese.

In particolare le lune Encelado ed Europa, con i loro oceani di acqua (una precisazione non banale nel sistema solare esterno) sotto la superficie, fanno venire l'acquolina in bocca a qualunque esobiologo. In attesa delle missioni che campioneranno, perforandolo dove possibile, il ghiaccio superficiale, bisogna accontentarsi delle analisi da remoto.

Un recente articolo ipotizza nel caso della luna Europa che i pennacchi (plumes) di vapore acqueo, frutto del criovulcanismo, possano avere origine non uniforme; alcuni di questi originati dall'oceano sottostante, altri da sacche d'acqua pressurizzata nelle cavità del ghiaccio


Marte (Articolo --> Le foto di Curiosity)
Mancano pochi mesi all'arrivo del rover Perseverance sul pianeta rosso. Nel frattempo l'indomito Curiosity continua la sua opera di campionamento mandandoci anche il suo selfie.

Approfitto di questo per segnalare un articolo che analizza in dettaglio le cause della perdita di acqua dalla superficie marziana. Sappiamo bene come la perdita dell'atmosfera (vedi sotto) sia stata una delle cause che hanno facilitato l'evaporazione dell'acqua che giunta nelle parti più alte dell'atmosfera viena definitivamente distrutta nei componenti atomici base (ossigeno e idrogeno) per essere poi persa nello spazio. Ora i ricercatori, grazie ai dati della sonda Mars Atmosphere and Volatile Evolution hanno sviluppato un modello per comprendere come l'acqua venga "pompata" verso l'alto dalle tempeste di polvere globali o regionali.

Postilla 
Mentre scrivevo quest'ultimo paragrafo mi è sorto il dubbio di non avere mai dettagliato negli articoli precedenti la ragione per cui pianeti come Marte (a differenza del "fratello" Venere) sono nati con la condanna di non potere trattenere una atmosfera "terrestre" sul lungo periodo. La ragione è (anche) nella massa non sufficiente a trattenere gas chiave. 
Il calcolo che permette di trarre queste conclusioni non è banalissimo (anche se comprensibile perfino per non astronomi come me) ed è dettagliato nei corsi base (quelli che in USA chiamano 101) di Astrofisica o di Scienze Planetarie. Lo schematizzo di seguito usando come riferimento quanto scritto nel capitolo 14 (Planetary Atmospheres) di International Geophysics .

Il primo passo verte sul calcolo della velocità di fuga nei diversi pianeti. Come già postulato da Galileo (sul pendolo) e poi Newton (teoria gravitazionale), l'unica massa che entra in gioco è quella del pianeta non dell'oggetto "in fuga". Altra variabile importante è il raggio planetario che può essere semplificato  omettendo lo spessore dell'atmosfera (trascurabile). Da qui si ottiene

Per i pigri c'è il sito omnicalculator.com con cui calcolare la velocità di fuga

Nessuna molecola con una velocità inferiore alla velocità di fuga può sfuggire all'attrazione gravitazionale del pianeta.
Passaggio successivo è l'utilizzo della equazione di stato per un gas ideale utilizzando la distribuzione delle velocità che è proporzionale alla temperatura e inversamente proporzionale alla massa.

I valori che emergono indicano che questi atomi non hanno velocità di fuga sufficiente perché nel medio periodo siano persi nello spazio

Con l'aggiunta di alcune variabili si riesce ad ottenere il grafico che relaziona temperatura, velocità di fuga e massa del pianeta, introducendo poi la velocità media del gas componenti l'atmosfera.

Credit: uoregon.edu

Quanto sopra conferma il dato che i pianeti gassosi sono in grado di trattenere anche i gas più leggeri (H e He), persi invece dalla Terra. Marte non ha la capacità teorica di trattenere il vapore acqueo mentre non sarebbe nemmeno messa malissimo nel trattenere ossigeno e azoto. Ma è evidente che Marte e Venere sono molto diversi. La vera differenza con Venere (che ha una atmosfera densa e un effetto serra micidiale) è che Marte ha perso da tempo il suo campo magnetico (causa massa insufficiente) per cui ha subito l'azione "dissipativa" del vento solare. Il risultato è che, con una pressione atmosferica attuale pari a circa 1% di quella terrestre, ogni operazione di terraforming è destinata a fallire (--> NASA), con buona pace di alcuni film.

Per approfondimenti vi rimando alla pagina dedicata --> università dell'Oregon, la discussione su space.stackexchange.com, l'articolo su cosmosmagazine (interessante perché postula una ragione per cui anche il terreno abbia facilitato la perdita, assorbendo, gli oceani primordiali) e "How did Mars die".



Se preferite una guida passo passo a questi calcoli vi invito a visitare la pagina Planetary Atmosphere Leakage del bel sito mathscinotes. Fatto molto bene.


I risultati (provvisori) della sperimentazione clinica dei vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna Therapeutics

La nuova versione di questo articolo è disponibile 
e sostituisce la presente


***

Aggiunta la sezione riguardante il vaccino Moderna (seconda parte dell'articolo) e una parte introduttiva qui sotto. Per evitare eccessivi stravolgimenti del testo ho lasciato la parte descrittiva sui vaccini a RNA nella sezione del vaccino di Pfizer il cui contenuto va esteso anche al vaccino Moderna (e agli altri in fase di sviluppo)

La premessa indispensabile è che la piena approvazione e disponibilità di un vaccino Covid-19 potrebbe richiedere ancora mesi. Se tutto va bene i soggetti a rischio potrebbero riceverlo prima del nuovo anno mentre per tutti gli altri se ne parlerà a primavera.
Ottenere un vaccino attraverso studi clinici e passare dalle forche caudine di FDA o EMA è un processo complesso, costoso e che richiede tempo (vedi in proposito la serie di articoli "Nuovi farmaci e costi connessi" che ne analizza i punti chiave). Inoltre la "mera" approvazione da parte delle autorità regolatorie è solo un passaggio per fare realmente arrivare un farmaco sul mercato (alcuni non ci arriveranno mai anche se formalmente approvati). Ancora di più nel caso di un vaccino come l'attuale con un problema di logistica legato al dovere essere disponibile in tempi brevi. Il piano allo studio da mesi dal governo federale americano, noto come Operazione Warp Speed, prevede uno sforzo finanziario di 10 miliardi di dollari, mirante ad assicurare 300 milioni di dosi di vaccino entro gennaio 2021 (anche se è probabile che i tempi possano essere posticipati di 1-3 mesi) e parlo solo del mercato USA.

Vale la pena ricordare che l'avere utilizzato, in entrambi i casi, la corsia accelerata (analisi ad interim) per la valutazione dei dati clinici, ha come conseguenza intrinseca il potere valutare oggi SOLO la risposta immunitaria primaria, quella che genera la barriera anticorpale che dovrebbe minimizzare il rischio che il virus attecchisca. Questo tipo di risposta fornisce in genere una protezione temporanea che può durare anche solo due mesi (non c'è nemmeno bisogno che il virus muti perché questa risposta si attenui, spesso basta un calo dello "stimolo" virale). La maggior parte dei vaccini oggi in uso si basa invece sulla attivazione della memoria immunitaria a lungo termine, quella che permette di fare si che tu debba essere vaccinato una sola volta (eventualmente con richiamo) per darti la protezione (sempre che il virus ovviamente non muti, come nel caso del virus influenzale). Per verificare se il vaccino è stato in grado di evocare una risposta immunitaria a lungo termine sono necessari almeno 6 mesi di follow-up, quindi nella migliore delle ipotesi si avranno questi risultati in tarda primavera.

Poi c'è la questione della sicurezza da considerare. Moderna, come Pfizer, afferma che il suo vaccino è stato generalmente ben tollerato durante i test clinici. Nel caso di Moderna, gli effetti collaterali riportati dal vaccino includevano dolori muscolari, affaticamento e mal di testa subito dopo la vaccinazione. Anche in questo caso la procedura accelerata impedisce di valutare con certezza eventuali problemi sul medio periodo. Una preoccupazione, quest'ultima, in verità più formale che reale dato lo storico dei vaccini testati in questi anni (in genere se danno problemi lo danno subito); non a caso la FDA richiede solo due mesi di dati sulla sicurezza prima di rilasciare l'approvazione all'utilizzo per le situazioni di emergenza.


***
Vaccino BioNTech / Pfizer
La notizia dei giorni scorsi è che il loro vaccino anti Covid19 ha fornito una protezione del 90% tra i partecipanti allo studio clinico. 
Nota. 1 settimana dopo il primo comunicato (e pochi giorni dopo che la notizia che Moderna aveva ottenuto il 94,6% con il suo vaccino) ecco arrivare i dati "definitivi" di BioNTech/Pfizer con un curioso 95% di protezione sui soggetti over-65.
Notizia che è ovviamente rimbalzata (specie sui media generalisti italiani) in modalità copia e incolla senza spesso capirne (o preoccuparsi di capire) il senso dei numeri, di loro molto importanti.
Credit: CDC/ A. Eckert, D. Higgins

Faccio qui una analisi semplificata basata sui dati disponibili. I dati completi sono accessibili oggi solo alle autorità regolatorie che dovranno decidere se la decisione della azienda di passare direttamente alla richiesta di approvazione (prima della fine di fase 3 e senza un follow up sulla mid-term protection) siano motivate. 
Nota. Il procedimento è comune quando durante una analisi ad interim dei risultati di uno studio, la statistica indica un chiaro risultato in favore della efficacia del prodotto. Questa "scorciatoia" riguarda in genere farmaci progettati per malattie prive di un trattamento efficace, gravi o che colpiscono un numero elevato di persone
Il vaccino è basato su mRNA (messenger RNA), il che è già di per sé interessante. Mentre i vaccini convenzionali sono virus inattivati ​​(un tempo si usavano versioni poco virulente del virus) o le sue proteine, nel caso di un vaccino a RNA è quest'ultima molecola che contiene le informazioni per la/e proteina/e virali. 
Tra gli aspetti positivi di questo approccio, l'essere intrinsecamente meno a rischio di indurre  effetti collaterali (sebbene trascurabili con i vaccini in uso oggi e sempre da ponderare con i decessi evitati grazie al suo utilizzo). Un altro vantaggio dei vaccini a mRNA è che sono più veloci da sviluppare e più facili da produrre rispetto ad altre tecnologie. Non è quindi strano che anche gli altri vaccini "in sviluppo" (cito a memoria quelli di Moderna e di CureVac) siano basati sul mRNA.

Per contro questo tipo di vaccini sono in genere sensibili alla temperatura di stoccaggio. I frammenti di DNA e RNA sono delicati e possono degradarsi rapidamente, anche a temperature refrigerate. Ecco perché congelarli alla temperatura appropriata è così importante (vedi sotto la differenza con Moderna).


Nel caso del vaccino Pfizer, l'RNA codifica per la proteina S (spike), parte del rivestimento esterno della particella virale. Perche proprio la proteina S e non, ad esempio, quella nucleocapsidica (N)? Vedi nota2 a fondo pagina.
Image Credit:Orpheus FX via news-medical.net

L'mRNA è veicolato da nanoparticelle lipidiche, facilmente assorbite e scarsamente immunogeniche dopo l'iniezione. Non si vuole infatti una risposta immunitaria contro il "veicolo" ma contro l'antigene.
Ogni dose comprende 30 microgrammi del vaccino incorporato nelle nanoparticelle lipidiche (fornite da Acuitas Therapeutics e assemblate nelle strutture dedicate che Pfizer e BioNTech hanno predisposto negli Stati Uniti e in Europa). La versione di mRNA selezionata per la fase finale dello studio clinico (fase 2 e 3) è la BNT162b2, codificante per la proteina S nella forma nota come prefusion spike glycoprotein.
Una volta che il "cargo genetico" è stato consegnato alla cellula bersaglio (la nanoparticella si fonde con la membrana e rilascia il suo contenuto all'interno), la cellula decodifica la stringa di informazioni del mRNA producendo la proteina, che alla fine va a posizionarsi nella parte esterna della membrana cellulare, proprio come farebbe una cellula infettata da un virus quando si prepara ad emettere la "progenie" virale. Le cellule immunitarie nella loro incessante attività di pattugliamento, rileveranno la proteina aliena (cioè non self) che spicca dalla cellula, montando una risposta contro di essa. In assenza di dati posso ipotizzare che sia mediata da linfociti T helper e nello specifico da Th2 (risposta umorale) più che Th1 (risposta cellulare anticorpo mediata). La risposta mediata da Th2, grazie alla produzione di citochine (IL-4, IL-5, IL-6, IL-9, IL-10 e IL-13), garantisce la risposta di tipo umorale favorendo la produzione degli anticorpi. Al contrario le cellule Th1 stimolano macrofagi, NK e linfociti T CD8+ attraverso la produzione di IFN-γ e TNF-α.
Una ipotesi la mia guidata dalla nozione che se è vero che nei pazienti affetti da covid19 si ha una diminuzione dei linfociti B, delle cellule NK e della conta dei linfociti totali, sono le cellule CD4+ (rispetto alle CD8+) a subire il calo maggiore. Un calo che ha valore prognostico in quanto un basso livello di CD4+ predice sia la maggiore conta virale che una maggiore probabilità di ricovero nei reparti di terapia intensiva; i pazienti più gravi hanno livelli più elevati di cellule Th1 CD4+ rispetto ai pazienti con malattia moderata. Da questo deduco che se si vuole predisporre il sistema immunitario ad affrontare il virus in modo da non causare risposte deleterie (vedi sotto), si dovrà agire limitando la risposta mediata da Th1. Possibile in quanto l'espressione della sola proteina "aliena" nelle cellule trasfettate (che hanno catturato il nanosoma) non si associa alla emissione di segnali di pericolo (vedi danger model) con i quali la cellula segnala di essere danneggiata o infettata. Tra essi cito il recettore B7 che è fondamentale nel processo di attivazione della risposta Th1 mediata; in sintesi se il TCR su una cellula Th si imbatte in un MHC-I che porta l'antigene riconosciuto da quel TCR ma manca l'interazione tra il B7 sulla cellula APC e il CD28 sul Th, quest'ultima diviene energica, smette di partecipare alla risposta immunitaria.
L'attivazione delle cellule Th2 attiva a sua volta la proliferazione dei linfociti B che riconoscono quel particolare antigene virale e a cascata inizia la produzione di anticorpi la cui presenza serve per neutralizzare il virus, ricoprendolo, nel momento stesso in cui entra nell'organismo (nota. Processo diverso dalla opsonizzazione, che si riferisce alla eliminazione dei batteri ricoperti da anticorpi, principalmente IgG1 e IgG3, grazie al richiamo del sistema del complemento e dei macrofagi).
Nota. Il vaccino a mRNA fu pensato all'inizio come terapia contro il cancro basandosi sul principio che se si fosse "convinto" il sistema immunitario a riconoscere come "alieno" il pattern proteico tumorale (in questo caso attivando una risposta Th1) le cellule tumorali sarebbero state attaccate come estranee, quindi distrutte (ne ho accennato in un precedente articolo). Successivamente si cominciò a lavorare per applicare questo tipo di vaccinazione anche contro i virus (in primis influenza, citomegalovirus, HIV, rabbia e Zika) ma è stato l'arrivo dell'uragano Covid-19 a dare la spinta al processo grazie alle ingenti risorse, finanziare e strutturali, messe in campo.
Vediamo ora, a grandi linee, come è stato condotto lo studio clinico. 
I circa 64 mila volontari sono stati divisi in 2 gruppi (gruppo di controllo a cui veniva dato un placebo e gruppo test che ricevevano il vaccino) con la procedura del doppio cieco, il che significa che né i partecipanti né i medici sapevano se il trattamento somministrato fosse il placebo o il vaccino.
Ciascun partecipante ha ricevuto due dosi di trattamento e a partire dal settimo giorno dalla seconda dose si è monitorata la comparsa di malati. 
Ricordo che le persone reclutate sono state scelte in modo da essere rappresentative della popolazione di provenienza, con la quale condividono il rischio contagio. Il razionale dello studio era verificare se le persone che avevano ricevuto il vaccino, una volta rientrate nella loro routine quotidiana, mostrassero un rischio malattia diverso (sperabilmente inferiore) da quelli trattati con il placebo (il cui rischio era per definizione identico a chiunque non avesse partecipato allo studio)
I dati trapelati indicano che a partire dal settimo giorno si sono avuti 94 positivi tra i partecipanti, il 90% dei quali apparteneva al gruppo di controllo; il che spannometricamente vuol dire 86 positivi nel gruppo di controllo contro 8 del gruppo vaccinato. Da quanto emerge dal protocollo il follow up è stata fatto monitorando la comparsa di sintomi e non l'eventuale positivizzazione di soggetti altrimenti asintomatici. Comprensibile da un punto di vista operativo ma è un piccolo vulnus.
Detto in parole semplici se il vaccino non avesse funzionato, dei 94 positivi, 47 (con un delta di variabilità) avrebbero dovuto appartenere al gruppo test.
Tabella riassuntiva sulla capacità protettiva dei vaccini disponibili

I dati trapelati da coloro che hanno accesso ai dati completi post analisi (quindi unblinded) confermano che i positivi appartenevano per la quasi totalità al gruppo di controllo. 

I numeri sono molto buoni ma rimangono nella mia mente alcune domande, ancora senza risposta. Alcune di queste sono tali per assenza di informazioni complete (solo chi sta analizzando il dossier le possiede), altre per la durata ancora breve dello studio clinico:
  • l'endpoint è lo stato di positività che qui viene fatto coincidere con la sintomaticità e non la presenza del virus in soggetti altrimenti asintomatici. Una scelta (obbligata per ragioni pratiche) che fa perdere gli asintomatici il che a determina un certo bias nell'analisi. Se perdi i positivi non sintomatici c'è il rischio teorico di avere in giro super-diffusori vaccinati il cui rischio ricadrebbe sulla popolazione non vaccinata e  sul 10% di vaccinati destinati ad ammalarsi (Nota, il punto 8.1 del protocollo pare indicare che si procede alla sola conta dei sintomatici). Anche Moderna ha seguito la stessa via, per cui i due risultati sono tra loro comparibili.
  • La non positività implica anche non trasmissibilità (vuoi per titolo virale ridotto, vuoi per non "attecchimento" del virus bloccato sul nascere dagli anticorpi di pattuglia)? Parte della risposta viene anche dalla conta del numero di soggetti che sono diventati positivi poco tempo prima di ricevere la seconda dose e che (per protocollo) sono stati esclusi dallo studio.
  • Dal momento della seconda dose al settimo giorno in cui sono comparsi i sintomi, quale è la finestra di protezione?
  • Quanto dura la protezione? Domanda non peregrina se si pensa che il raffreddore da coronavirus (responsabili nell'adulto del 7-26% delle affezioni del tratto superiore dell'apparato respiratorio) non si associano ad una efficace protezione immunitaria post evento. A memoria ricordo un dato per cui nei bambini sono stati verificati fino a 3 episodi successivi nelle stesso mese di raffreddore causato dallo stesso virus (o forse da serotipi diversi dello stesso virus?). Altro esempio quello del vaccino influenzale che fornisce una copertura di circa 4 mesi. Questa è la ragione per cui se (come tanti poco furbamente avevano proposto) si fosse deciso di anticipare a settembre la vaccinazione, si sarebbe creata una finestra di sensibilità già a fine gennaio/inizio febbraio (vedi in proposito uno studio del 2017). Un recente articolo di ricercatori di Oxford (fatto monitorando migliaia di operatori sanitari) sembra andare contro alcuni precedenti report mostrando che gli anticorpi anti-SARSCoV2 (indice di precedente esposizione al virus) rimangono in circolo per almeno 6 mesi.

Veniamo infine ad una preoccupazione teorica ma che NON può essere accantonata.
Rischio intrinseco di qualsiasi vaccino contro un nuovo virus è il fenomeno chiamato potenziamento dipendente da anticorpi (ADE) che è correlato (in modo ancora non del tutto chiarito) ad una eccessiva risposta infiammatoria. Sia chiaro, questo non è un fenomeno associato alla vaccinazione  ma avviene anche in natura con alcuni virus (vedi sotto) quando un individuo viene infettato nuovamente dopo essere guarito.
L'esempio meglio noto è quello del virus Dengue responsabile della omonima febbre. La prima volta che vieni infettato il decorso è tutto sommato lieve, in alcuni casi quasi asintomatico. Dopo il recupero, la persona è protetta dall'infezione dai restanti 3 sierotipi di dengue per 2-3 mesi. Passato questo breve periodo, la persona è nuovamente sensibile all'infezione da uno qualsiasi di questi sierotipi e questa seconda infezione ha un decorso peggiore a causa della suddetta ADE. Qualcuno ha ipotizzato che uno dei motivi per cui alcune persone, a parità di patologie pregresse, sperimentano una forma di covid19 molto più aggressiva è l'essere stati esposti in precedenza ad un coronavirus "simile che ha "settato" il sistema immunitario verso un attacco massiccio (e deleterio) per il successivo incontro con il virus (per semplicità, ma sto estremizzando, possiamo pensare alla sensibilizzazione da puntura di ape che può indurre, in alcuni soggetti, uno shock anafilattico alla successiva puntura).
Ricordo che nei pazienti con sintomatologia covid19 più grave, questo stato NON è da attribuire (solo) all'essersi imbattuti in un ceppo molto virulento, ma alla eccessiva risposta immunitaria che provoca, in primis, il collasso della funzionalità polmonare, e in seguito un deterioramento sistemico.
Tornando al vaccino mRNA, ad oggi non si ha alcuna evidenza di problematiche correlate all'ADE, tra le migliaia di volontari che hanno partecipato agli studi di fase 3 sul vaccino. 
 
Nota 1. Gli stabilimenti produttivi di Pfizer e BioNTech in USA e Europa saranno in grado di preparare 1,35 miliardi di dosi entro la fine del 2021 (ovviamente se il vaccino verrà approvato) con un costo di circa 19 $ a dose. In questi casi non reputo corretto indignarsi per un prezzo intrinseco accusando Pharma di speculare. Sia perché la stessa cifra viene spesa per il gadget inutile di turno (e dove non possibile paga lo stato) che per una ragione ovvia: se una azienda perde oggi i soldi immessi nel processo di R&D, domani non parteciperà più allo sviluppo di farmaci che la mandano in perdita. 
Nota 2. La scelta di usare come induttore immunitario la proteina S invece della N viene dalla maggiore specificità della S in quanto meno simile alla analoga proteina del virus SARS: 90% omologia nel caso della N, 77% nel caso della S (valore che scende al 66% nel caso della subunità S1). Gli anticorpi "naturali" con maggiore efficacia neutralizzante sono quelli contro la proteina S e sono sufficienti ad impedire l'aggancio del virus alla cellula.

Nota 3 (11/4/2021)Dati in arrivo da Israele sembrano indicare che il vaccino Pfizer sia meno efficace su questa variante. Il dato emerge dall'incremento di 8x della prevalenza di questa VOC tra i vaccinati infettati e i non vaccinati infettati (5,4% vs 0,7%) 


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Vaccino Moderna
A distanza di pochi giorni dai dati di Pfizer, ecco arrivare lunedì (dopo l'analisi ad interim del COVE STUDY da parte del data and safety monitoring board, costituito da analisti indipendenti) i risultati di Moderna Therapeutics
Se i dati saranno ritenuti statisticamente validi dalla autorità regolatorie, le vaccinazioni potrebbero iniziare nella seconda metà di dicembre, con la precedenza data ai gruppi ad alto rischio (operatori sanitari, anziani e persone con patologie pregresse) mentre il resto della popolazione dovrebbe riceverlo entro la primavera.
I risultati molto positivi, con una efficacia stimata intorno al 94,5%.
 
Tipologia di vaccino (a RNA), di bersaglio (stabilized prefusion SARS-CoV-2 spike protein, il cui mRNA è da loro designato mRNA-1273) e protocollo clinico (studio in doppio cieco, endopoints, numero di dosi, ...) sovrapponibili allo studio di Pfizer .
 
I partecipanti allo studio di Moderna sono stati divisi in due gruppi, 15 mila ciascuno, uno trattato con il placebo e  l'altro con il vaccino, due dosi a 28 giorni di distanza. Il monitoraggio della comparsa dei sintomatici è iniziato dopo la somministrazione della seconda dose.
Nel gruppo placebo 90 hanno sviluppato Covid-19 (11 di questi nella forma grave) una volta tornate nella loro vita quotidiana (ovvero, esposti al virus come ogni individuo della popolazione di appartenenza).
Il gruppo vaccinato ha visto invece solo 5 casi, nessuno dei quali nella forma grave.
Nessuno dei partecipanti ha riportato effetti collaterali gravi (ricordo che grave negli studi clinici si riferisce a "necessità di essere ricoverato"). Una piccola percentuale di coloro che hanno ricevuto il vaccino ha manifestato sintomi come dolori muscolari e mal di testa.
Da Moderna si fa sapere che inizierà la procedura per ottenere l'approvazione entro la fine del mese quando saranno disponibili tutti i dati relativi alla sicurezza del trattamento.

La sperimentazione in fase avanzata del vaccino Covid-19 di Moderna Therapeutics è iniziata alla fine di luglio, un traguardo notevole se si pensa che la fase 1 era iniziata a marzo.
Dato non secondario, Moderna ha ottenuto fonti federali per 955 milioni di dollari di impegni all'acquisto da parte della Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA). 
Un finanziamento che i contribuenti americani, diversi da quelli europei abituati a vedere i soldi statali scomparire sotto voci di bilancio tra le più fantasiose, tengono sotto attento monitoraggio, per il quale si aspettano un "dividendo" (vaccino pronto all'uso) o in subordine la totale restituzione dei fondi allocati. 
Come quello di Pfizer (e tanti altri sul Covid) il vaccino Moderna si basa sulla tecnologia mRNA ma rimangono punti oscuri (per quanto ne so) sul veicolo anche se è praticamente certo che sia basato su nanoparticelle lipidiche - LNP (Moderna ha provato, senza successo, a contestare un brevetto di proprietà della canadese Arbutus Biopharma - ABUS 0,0% - correlato alla tecnologia delle nanoparticelle lipidiche ... e alle coincidenze nessuno qui crede).

Moderna non è una novellina nel campo. Per un decennio l'azienda (sotto la guida di Stephane Bancel, il CEO) ha lavorato per sviluppare la tecnologia mRNA con il fine di riuscire a rendere le cellule stesse dell'organismo da curare le produttrici del farmaco. Affinché l'approccio funzioni, il carrier deve trasportare in modo sicuro l'mRNA alle cellule del corpo senza che il carico utile si liberi inutilmente nel flusso sanguigno.

A giugno, i ricercatori del NIH e di Moderna hanno depositato sulla piattaforma bioRxiv un manoscritto con i dati preclinici ottenuti dai test con mRNA-1273. Nel preprint viene descritto il vaccino anti-covid19 in cui si sfrutta come veicolo la tecnologia nanosomica di proprietà del brevetto Arbutus (ma secondo Moderna il claim del brevetto non copre questo particolare utilizzo). Ovviamente quanto scritto nell'articolo e quanto poi usato nello studio clinico potrebbero essere molto diversi (vedi sotto).

In verità il precedente non è l'unico articolo da loro pubblicato sul tema. Già nel 2019 si trova uno studio simile (pubblicato sulla prestigiosa rivista NEJM) finalizzato al trattamento della SARS, il cui virus è strettamente imparentato con l'attuale responsabile del covid19. Già allora si parlava di un veicolo di tipo LNP.

Se andiamo poi a controllare la descrizione dello studio di fase 1 sul vaccino contro il coronavirus di Moderna disponibile nei database clinici USA, si troverà l'informazione che l'LNP per mRNA-1273 è composto da: lipide cationico ionizzabile; colesterolo; fosfolipide e un lipide anti-aggregazione coniugato basato sul PEG. Non vengono però rivelati (o meglio non in chiaro perché ovviamente l'informazione deve essere presente) i rapporti molari tra le varie componenti. 
Le dichiarazioni ufficiali della società farmaceutica affermano che sono andati oltre la tecnologia sviluppata da Arbutus, già a partire dal 2016, in quanto "ok ma non ottimale".

Perché questo dato dovrebbe interessare? 
Per motivi pratici. Le condizioni di conservazione dei 2 vaccini sono piuttosto diverse:
  • Il vaccino di Moderna richiede una conservazione a lungo termine a -20 °C ed è stabile per 30 giorni tra 2-8 °C.
  • Il vaccino di Pfizer/BioNTech necessita -70 °C.
Una volta che un vaccino si è riscaldato, rimane utilizzabile solo per pochi giorni.

-20 °C vs -70 °C non è un dettaglio. Fa un'enorme differenza quando devi occuparti della spedizione e dello stoccaggio. Pfizer ha affermato in tale ambito di avere la soluzione grazie allo sviluppo di contenitori termici progettati appositamente, basati sul ghiaccio secco, in grado di mantenere le condizioni di temperatura raccomandate per un massimo di 10 giorni. Ciascun contenitore è in grado di trasportare fino a 5 mila dosi.


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Per prepararsi all'enorme sforzo logistico, la produzione del vaccino Covid-19 è già in corso. L'idea è che una volta ottenuto (sempre che avvenga) il via libera, le dosi devono essere pronte alla distribuzione. Sebbene lo stoccaggio nelle strutture principali (cioè i magazzini regionali prima e i grandi ospedali poi) non sia un grosso problema, se si vuole che questo venga gestito anche in strutture periferiche (ad esempio le strutture periferiche) le due temperature di stoccaggio fanno la differenza.

Ogni volta che il vaccino si muove dai magazzini centrali viene introdotto un fattore di rischio intrinseco allo spostamento: il maltempo può ritardare i voli; i congelatori sui camion refrigerati possono guastarsi; i camion possono trovarsi bloccati in ingorghi imprevisti; i contenitori possono non essere perfetti; ... . Anche solo aprire ripetutamente i congelatori per spostare i prodotti in arrivo e in uscita può danneggiare i vaccini. Ogni violazione del controllo della temperatura degrada il vaccino e ogni volta che il vaccino si sposta, le possibilità che ciò accada aumentano, quindi i funzionari sanitari devono pianificare il tutto in modo preventivo e tenere traccia di ogni anomalia.
Nota. Questo non e' un optional ma un obbligo (prevenire i problemi attraverso analisi dei punti critici) che ogni azienda deve pianificare in anticipo e per cui vieni valutato. Lo spazio di "non era prevedibile" è difficilmente accettato come scusa sia dalle autorità di vigilanza che dal tuo stesso board.


Ulteriore complicazione è che entrambi i vaccini richiedono due dosi, distanziate di alcune settimane tra loro. Tradotto, vuol dire raddoppiare la capacità gestionale.


Fonti
- An mRNA Vaccine against SARS-CoV-2 — Preliminary Report
Lisa A. Jackson et al, N Engl J Med 2020; 383:1920-1931
- Forbes 
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Quale dei due è il migliore? Difficile fare previsioni con i pochi dati a disposizione ma un aiuto viene dal confronto tra i due titoli azionari il cui trend rivela le opinioni degli analisti.
Moderna (mRNA) vs Pfizer (PFE). Ricordo che il valore "in questo momento"(12/20) non rispecchia o predice il trend futuro. Per cui è sempre sconsigliato "seguire il gregge" comprando azioni sulle performance passate. Per avere le quotazioni aggiornate vi rimando alla pagina su finance.yahoo 


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Non solo Pfizer/BioNTech e Moderna. Ci sono altri vaccini, alternativi/complementari, in fase di sviluppo contro il Sars-CoV-2. Di seguito un grafico riassuntivo di tutti gli studi in corso
L'articolo da cui ho tratto la figura fornisce un ottimo compendio di quanti e quali vaccini sono in fase di sviluppo (image credit & original article --> news.sky.com). Dalla figura si nota che quello di Pfizer non e' il primo vaccino approvato per l'uso, primato che va ad un prodotto russo (nota. Approvato in Russia, non altrove, lo scorso agosto saltando a pie pari la fase 2)











Vi piace giocare al computer? Provate questi e farete del bene alla scienza

Se siete appassionati di gaming e a volte vi sentite dire che perdete il vostro tempo, fateli ricredere mostrando loro i risultati che avete contribuito ad ottenere partecipando a giochi scientifici.
Image credit: NASA

Non si tratta invero di prodotti nuovi (ho già scritto di Foldit nel 2012 e del simulatore evoluzionistico NICHE nel 2016 - cliccate sul nome per andare all'articolo) ma di un trend consolidato le cui ambizioni crescono con l'aumentata potenza dei processori e della platea di utenti potenziali.

La ricerca (biomedica o astronomica che sia) è sempre più dispendiosa in termini di tempo e risorse umane coinvolte e le domande che attendono una risposta sono più delle risorse disponibili. Uno dei vantaggi del connubio gaming e ricerca è che i "giocatori" accelerano, coadiuvando la IA, il processo di analisi (senza la necessità di avere un background scientifico specifico) e nello stesso tempo liberano parte della potenza computazionale disponibile in ambito accademico per affrontare altri temi.
Nota. Si tratta di attività e risorse diverse da quelle sfruttate dal Progetto SETI, che per analizzare una mole di dati altrimenti ingestibile, chiede in prestito la potenza di calcolo di PC in remoto da usarsi quando questi erano in standby (ad esempio di notte) e sempre nei limiti di non "stressare" la macchina in queste fasi (per capirci non come avviene nel caso del cryptomining dove l'utente scopre suo malgrado che le ventole partono al massimo anche solo aprendo una finestra nel browser). Del resto l'affidabilità ed eticità dell'approccio SETI è garantita da un ente, parte della prestigiosa università di Berkeley (per ulteriori informazioni -->"SETI@home, BOINC, and volunteer distributed computing" oppure la pagina ufficiale per chi volesse aderire).
Le attività di cui mi occupo oggi sono invece più simili al gaming con l'utente impegnato a risolvere (ad esempio) puzzle di immagini partendo da dati grezzi, una attività grazie alla quale oltre a "risolvere quesiti", istruisce la IA che impara in tempo reale. 
Lo si è visto sia in ambito astronomico con l'analisi delle immagini e la ricerca di dettagli specifici da immagini catturate dai telescopi, oppure in ambito biologico con il sopra menzionato Foldit, grazie al quale è stato possibile ricostruire la struttura 3D di varie proteine.

Tra i maggiori promotori (in tempi recenti) dello sviluppo di questi giochi bisogna menzionare Carla L. Brown (una microbiologa che ha fondato GAME DOCTOR LTD) e due ricercatori di Stanford (Rhiju Das e Ingmar Riedel-Kruse), persone che amano il gaming oltre la scienza, e si sono posti l'obiettivo di progettare giochi che siano accessibili anche a coloro che non ha mai fatto scienza, ma che possa, giocando, contribuire a risolvere quesiti scientifici.
  • R. Das, professore associato di biochimica, ha sviluppato Eterna, un gioco di puzzle online in cui i giocatori progettano molecole a base di RNA per scopi terapeutici. Eterna ha avuto un ottimo seguito, coinvolgendo più di 200 mila giocatori grazie al cui contributo il laboratorio di Das ha potuto iniziare a testare sperimentalmente, in modo mirato, le molecole "selezionate" dal gioco. Una soluzione win-win perché se da un lato i ricercatori hanno potuto portare avanti le loro ricerche, dall'altro i giocatori hanno ricevuto premi e la soddisfazione di avere fatto scienza giocando.
  • I. Riedel-Krus (oggi alla università dell'Arizona) si è invece concentrato su giochi educativi, tra i quali vanno segnalati i giochi biotici, nome derivato dal fatto che gli utenti possono interagire con le cellule, ad esempio facendole muovere (da o verso) una fonte di luce. Può sembrare "inutile" ma l'optogenetica si basa, anche, su questi test. 

In chiusura segnalo, a memoria alcuni di questi giochi, certo di dimenticarne molti.
  • Eterna: un gioco online in cui i giocatori progettano molecole di RNA ad uso medico, le "vincitrici" sono poi effettivamente testate sperimentalmente nei laboratori di Stanford.
  • Foldit: il pionieristico gioco desktop per modellare le strutture 3D delle proteine. La maggior parte degli esperti considera Foldit il primo gioco di scoperta scientifica. Questo puzzle game online, sviluppato dai ricercatori dell'Università di Washington nel 2008, sfida i giocatori a piegare le proteine ​​nel modo più perfetto possibile, date regole e strumenti specifici. Come spesso avviene in questi giochi, i giocatori lavorano fianco a fianco ad un supercomputer che esegue più puzzle contemporaneamente, ma impara dal giocatore le capacità di ragionamento sfumato e l'adattabilità degli umani. I ricercatori dietro Foldit analizzano poi le soluzioni con il punteggio più alto per vedere se i giocatori hanno prodotto strutture proteiche valide. Nel 2011, i giocatori hanno risolto per la prima volta la struttura di un enzima coinvolto nella riproduzione di un retrovirus simile all'HIV.
  • Zooniverse: una raccolta di progetti scientifici nell'ambito del cosiddetto Citizen Science, tra cui cito Galaxy Zoo (classificazione delle galassie) e Whale FM (usato per classificare i vari tipi di richiami delle orche e delle balene pilota).
  • NOVA Labs: SDG online didattici gestiti da spin off del Politecnico di Milano.
  • Phylo: puzzle di riconoscimento di schemi, utili nella ricerca sulle malattie genetiche.
  • EyeWire: un gioco di puzzle 3D per mappare i neuroni.
  • Project Discovery: un mini-gioco inserito dentro l'immenso gioco multiplayer per computer EVE online, che supporta diversi progetti di ricerca. 

Degli enormi vantaggi associati all'approccio gaming-science se ne è occupata anche la NASA, di cui vi allego il --> PDF






Il "messaggio" di Philae dalla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko

Sono passati anni da quando scrissi della sonda Philae (Missione Rosetta) lasciata, con batterie oramai esauste, a vagabondare nel sistema solare "a bordo" della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko.
Il lander Philae (Credit: ESA)

Era il 15 novembre 2014. Dopo "l'addio" alcuni messaggi sporadici a fine 2015, poi nulla. Il 30 settembre 2016 anche la sonda madre Rosetta venne fatta adagiare (pardon, schiantare, letteralmente) sulla cometa, chiudendo di fatto la missione. 
Per una panoramica dettagliata dei vari eventi e successi intermedi che hanno contrassegnato la missione tra la partenza e l’arrivo sulla cometa 10 anni dopo, vi rimando all’articolo precedente --> "La fine della missione Rosetta".
A sorpresa qualche giorno fa è arrivato via Twitter un messaggio "di Philae" che preannunciava per il giorno successivo alcune rivelazioni. Un messaggio certamente inatteso dato lo stato presunto di morte per assenza di energia.

l’arrivo di dati, subito rilanciato come tweet dalla ESA, la responsabile della missione. 

Facendo un passo indietro, l'accometaggio fu alquanto rude a causa di problemi al razzo posteriore e alle “ancore” di aggancio che finirono (vedi sotto) per lasciare Philae sbilenca tra un masso e una fessura. Nonostante tutto riuscì, prima di esaurire l'energia (non potè ricaricare le batterie perché era finita in una zona d'ombra) a fare alcune analisi che evidenziarono, nella tenuissima atmosfera della cometa, la presenza di molecole contenenti carbonio e idrogeno, e nel suolo di composti organici tra cui propionaldeide, acetamide, acetone e isocianato di metile.

Il giorno successivo al "primo contatto" ecco finalmente il nuovo tweet che (tradotto letteralmente) suona come  “c'è ghiaccio di acqua pura e la superficie è più soffice della schiuma del cappuccino"
E' ovvio che il tweet è il frutto dell’ufficio stampa della ESA, l'organizzatrice della missione, che ha pensato di creare un hype sui media, per notizie che altrimenti avrebbero interessato solo gli addetti ai lavori e pochi nerd in giro per il mondo. Philae non ha più energia forse nemmeno per accendere un led e tutte le sue comunicazioni con la Terra erano mediate dalla sonda Rosetta in orbita intorno alla cometa ... prima che venisse fatta schiantare sulla sua superficie. Uno schianto non inutile ma che ha fornito, negli ultimi istanti, nuove informazioni sulle caratteristiche del terreno su cui andava ad impattare.

Torniamo ora al capitombolo quasi letale sperimentato da Philae nel suo tentativo di ancorarsi alla cometa. E' stato lo studio di questo che ha permesso di ricavare informazioni sulla cometa, finalizzate nel precedente tweet (e più seriamente in un articolo appena pubblicato su Nature).
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La ricostruzione del "capitombolo" sulla superficie della cometa (se non vedete il video --> QUI)

La mancata accensione del razzo posteriore provocò il mancato controllo delle fasi finali dell'attracco che ha sua volta resero meno efficace il tentativo di aggancio da parte degli arpioni. Risultato, dopo avere toccato rudemente la superficie, Philae rimbalzò verso lo spazio fino ad 1 km di quota prima di ricadere una seconda e una terza volta, definitiva, quando rimase incastrata a ridosso di un masso in zona d’ombra. Dal punto di osservazione di Rosetta i ricercatori riuscirono a mappare il primo impatto e  quello finale. L'interesse era però soprattutto per il secondo punto di impatto perché l'analisi dei solchi lasciati dal trascinamento avrebbero potuto fornire informazioni sul terreno.
L'area venne identificata solo dopo un lavoro certosino delle immagini e, se vogliamo, anche grazie alla curiosa presenza di scie a forma di teschio 
(Sull'interessante fenomeno della pareidolia, che spiega perché spesso noi vediamo immagini "evocative" dove in realtà ci sono solo forme casuali ne ho scritto in un lontano passato in un articolo dal titolo emblematico "C'è chi vede Elvis in una patatina").
Il teschio che si intravede è il risultato della pareidolia, un "effetto collaterale" di come il nostro cervello elabora il mondo esterno per dargli un senso. (image credit: ESA)


Identificata l'area si procedette al recupero, dall'enorme quantità di dati catturata, dagli strumenti montati su Rosetta (la fotocamera OSIRIS e lo spettrometro VIRTIS) e da lì è stato solo un gioco di ricostruzione. 
Gli strumenti confermarono che la causa della luminosità che "emanava" dai solchi scavati da Philae, era la presenza di ghiaccio d'acqua pura. La superficie della cometa risulta essere fatta da  una miscela di ghiaccio e polvere, vecchi quanto il sistema solare (4,5 miliardi di anni assemblati a formare una struttura più soffice della schiuma (di un cappuccino, della schiuma da bagno o di quella delle onde nella risacca).
Credit: ESA


In aggiunta alle informazioni ricavate dal rotolamento, altre informazioni sono venute dall'impatto con le rocce di cui sono state comprese le caratteristiche di base. Il 75% del loro interno è formato di "vuoti"; hanno quindi la consistenza del polistirolo, come fossero le rocce di scena posizionate in un set cinematografico.
Lo sfortunato accometaggio di Philae non è stato dunque invano e ha fornito risultati utili 

Fonti
- ‘Like froth on a cappuccino’: spacecraft’s chaotic landing reveals comet’s softness
Nature (10/2020)
- The Philae lander reveals low-strength primitive ice inside cometary boulders
Laurence O’Rourke et al, Nature, 586, 697–701, (2020)



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