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Diagnosi precoce della demenza con un esame del sangue

Diagnosi precoce della demenza: le proteine del sangue rivelano le persone a rischio

Lo studio di fattibilità è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature Aging.
Non si tratta, beninteso, di un risultato definitivo ma a suo favore una analisi condotta su un ampio campione di individui e su un migliaio di proteine ematiche alla ricerca di molecole candidate ad essere fattore prognostici.
L'indagine ha una importanza doppia in quanto cerca di trovare rimedio ad un doppio problema, cioè l'assenza di esami che possano prevedere l'insorgenza della malattia (prima che i sintomi compaiano) e un limite intrinseco allo sviluppo di farmaci efficaci.
Quando compaiono i sintomi i danni cerebrali sono già molto estesi (per capirci, nel caso del Parkinson i sintomi compaiono quando più dell'80% dei neuroni dopaminergici sono morti) il che rende impossibile testare farmaci preventivi essendo il danno irreversibile.
Scopo dello studio era identificare biomarcatori ematici rilevabili in soggetti sani che poi, a distanza di anni, avrebbero sviluppato demenza.
Nello specifico l'analisi è stata fatta su 1463 proteine ematiche da 52645 adulti i cui campioni erano già disponibili nella biobanca del Regno Unito, valutando poi quei soggetti (1417) che nei successivi 14 anni mostrarono i sintomi della malattia.
In particolare, si trovò che l'elevato livello ematico di quattro proteine – GFAP, NEFL, GDF15 e LTBP2 – era più elevato già dieci anni prima della comparsa dei sintomi.
La GFAP, una proteina che fornisce supporto strutturale ad una classe di cellule nervose chiamate astrociti, era già stata proposta come marcatore diagnostico per la malattia di Alzheimer. Discorso simile per la GDF15.
I dati indicano che le persone con alti livelli di GFAP nel sangue hanno più del doppio delle probabilità di sviluppare demenza rispetto alle persone con livelli normali e hanno quasi tre volte più probabilità di sviluppare l'Alzheimer.

Importante è stato l'utilizzo di modelli di apprendimento automatico per progettare algoritmi predittivi, combinando i livelli dei quattro biomarcatori proteici con fattori demografici quali età, sesso, livello di istruzione e storia familiare. Il modello ha previsto l’incidenza di tre sottotipi di demenza, compreso il morbo di Alzheimer, con una precisione di circa il 90%.

Fonte
Plasma proteomic profiles predict future dementia in healthy adults
Guo, Y. et al. Nature Aging (2024)


La genetica di come i serpenti hanno perso le zampe

Come i serpenti siano diventati tali (a partire da un vertebrato con zampe) è ancora frutto di ipotesi. Non tanto riguardo all'effettiva realtà di questa evoluzione (reperti fossili sono noti) ma sulle mutazioni che hanno reso possibile la regressione degli arti fino a farli scomparire del tutto o all'essere evidenti solo dopo accurata analisi (boa e pitoni hanno arti vestigiali

A fare luce sulla questione arriva ora un ampio studio con l'analisi genetica (e comparativa) tra 14 specie di serpenti (appartenenti a 12 famiglie) confrontati poi con i dati di altre 11 specie precedentemente analizzate. Un campione scelto accuratamente in modo da abbracciare 150 milioni di anni della loro evoluzione
Lo studio è stato pubblicato lo scorso anno su Cell.

L'analisi ha evidenziato una alterazione comune a tutte le specie del gene PTCH1, coinvolto nello sviluppo degli arti. La prova del nove è stata quella di introdurre lo stesso tipo di mutazioni nell’equivalente murino di quel gene. Il risultato sono stati topi cone le ossa delle zampe molto più corte.
Tra i dati emersi anche le possibili (con)cause della bassa capacità visiva e la riprogrammazione degli organi uditivi dei serpenti innescata verosimilmente dalla vita sotterranea dei serpenti primitivi (in un modo dominato dai dinosauri). In questo caso si è tratto di mutazioni che hanno diminuito (o spento) l'attività di alcuni geni. Ad esempio la diminuita attività dei geni associati alla capacità di sentire le alte frequenze potrebbe aver portato alla riconfigurazione delle ossa dell’orecchio dei rettili, rendendoli molto più sensibili alle vibrazioni. 

Ultima (si fa per dire data la mole del lavoro svolto) scoperta riguarda le mutazioni dei geni DNAH11 e FOXJ1, coinvolti nello sviluppo simmetrico dell'embrione, che spiegano la netta riduzione volumetrica (o anche scomparsa) del loro polmone sinistro

Il lavoro rappresenta un passo avanti non solo verso l’identificazione dei geni chiave nello sviluppo dei serpenti, ma anche verso l’individuazione di come lo sviluppo modella altri vertebrati, compresi gli esseri umani, e quindi l’identificazione di ciò che potrebbe andare storto e causare malattie o malformazioni.
In calce un articolo pubblicato nel 2015 sull'antenato "zampato" del serpente

Fonte
- Large-scale snake genome analyses provide insights into vertebrate development
Changjun Peng et al, (2023) Cell 



***

L'antenato a quattro zampe del serpente
Spesso ci si dimentica che anche i serpenti sono tetrapodi come noi e quindi hanno un antenato a quattro zampe.

 Trovare però l'anello di congiunzione tra la linea principale dei rettili (con arti visibili) e il sottordine dei Serpentes (in cui gli arti sono visibili come vestigia ossee) è tutt'altro che banale.
Hemiergis quadrilineatum, un rettile australiano in cui sono ancora evidenti
arti oramai "inutili". Nei serpenti il processo di riduzione si è spinto fino alla
presenza di sole vestigia ossee (credit: reptilesofaustralia)
Oltre a fossili viventi come la lucertola mostrata nella figura a fianco, l'unico indizio fossile del percorso evolutivo che ha portato ai serpenti attuali è la Najash rionegrina, un estinto rettile scavatore in cui era evidente l'osso sacro, l'elemento chiave dei tetrapodi.
Mancava però il fossile di transizione tra animali come le moderne lucertole e la Najash.
Nota. Due sono le teorie attuali, in contrasto tra loro, riguardo l'evoluzione dei serpenti. La prima ipotizza che derivino da animali marini spostatisi sulla terraferma, quindi già "quasi" privi di arti se non come vestigia ossee. La seconda teoria ipotizza invece che si siano evoluti da lucertole scavatrici adattatesi talmente bene alla vita nei cunicoli da avere perso ogni necessità degli arti. 
Si comprende meglio allora l'entusiasmo che la scoperta di un fossile vecchio di 113 milioni di anni di aspetto serpentiforme ma dotato di quattro zampe ha scatenato nel mondo dei paleobiologi; il ritrovamento ha infatti nel campo la stessa valenza che la scoperta dell'Australopithecus afarensis (noto ai più come Lucy) scatenò tra gli antropologi.
Ad essere onesti il fossile era stato portato alla luce alcuni decenni fa, ma nessuno allora si accorse dell'esistenza delle minuscole zampette, finendo così come reperto semi-dimenticato in una collezione privata. Questo fino al casuale riesame compiuto da David Martill, un paleobiologo dell'università di Portsmouth che dopo averne scoperto i mini arti lo ribattezzò Tetrapodophis amplectus, vale a dire "serpente a quattro zampe in grado di afferrare".
Dave Martill/University of Portsmouth cited in wired.uk

Il proto-serpente mostrato nella foto misura 20 centimetri ed è dotato di due arti anteriori di circa 1 cm, completi di gomito, polso e dita. Le zampe posteriori sono leggermente più grosse e lunghe. Il fossile ha un chiaro aspetto serpentiforme con un tronco allungato, coda corta e scaglie ventrali a supporto di una locomozione serpentina. Il cranio e le proporzioni del corpo, così come la riduzione delle vertebre sono anch'esse a supporto di un adattamento scavatore, tutti dati a sostegno dell'ipotesi di un antenato terrestre.
Anche il cranio del Tetrapodophis mostra che si tratta di un animale terrestre adatto a scavare privo degli adattamenti necessari per una vita acquatica. La presenza di denti orientati verso l'interno suggerisce anche che fosse un feroce predatore; a riprova delle sue abitudini carnivore la presenza nelle viscere del fossile di ossa derivanti dal suo ultimo pasto. Le sue tecniche predatorie sono incerte ma la struttura corporea rende possibile che avesse già al tempo capacità di catturare la preda avvolgendosi intorno e magari fermandola con i mini arti.

Secondo l'autore il fossile dimostra che quando, durante l'evoluzione, il proto-serpente "smise di camminare" (ovviamente una frase sintetica che riassume milioni di anni di processi adattativi), i suoi arti non divennero inutili vestigia ma furono probabilmente utilizzati oltre che per afferrare la preda anche per trattenere il partner durante l'accoppiamento

Il luogo del ritrovamento (Brasile) e l'età del fossile (Cretaceo inferiore) indicano nel supercontinente del Gondwana l'area in cui è avvenuta la transizione.

(articolo precedente sul tema --> "Reperti ossei dell'antenato dei serpenti")

Fonte
- A four-legged snake from the Early Cretaceous of Gondwana
David M. Martill et al, Science (2015) Vol. 349 no. 6246 pp. 416-419

Arrivato il vaccino contro il cancro che ha decimato il diavolo della Tasmania

In occasione dell'approvazione del vaccino contro il cancro contagioso che affligge il "diavolo della Tasmania" ripropongo in calce un articolo scritto nel lontano 2014.

I diavoli della Tasmania affetti da cancro riceveranno vaccini ispirati al COVID mentre il vaccino è stato approvato per i test
Tre decenni fa, la malattia del tumore facciale del diavolo (DFTD) emerse in Tasmania uccidendo da allora circa l’80% di questi marsupiali facendo temere che la stessa specie fosse sull'orlo dell'estinzione. Come descritto nell'articolo in calce, si tratta di un rarissimo esempio di cancro non solo mortale ma contagioso dovuto all'alta omogeneità genetica degli animali (evidente a livello del MHC-1); in soldoni se una cellula tumorale "aliena" entra in altro animale questi non la riconoscerà come estranea (distruggendola) ma come "self" lasciandole così tutto il tempo di proliferare e diffondersi.
Il vaccino funziona sulla falsariga di quello sviluppato da AstraZeneca e Johnson & Johnson, cioè basato sull'adenovirus (geneticamente modificato per impedirgli di moltiplicarsi) come vettore.
Dopo essere penetrato nelle cellule del diavolo della Tasmania, il vaccino DFTD induce la produzione di proteine presenti solo nelle cellule tumorali che diventano così utili "sparring partner" con cui il sistema immunitario impara a riconoscere e a distruggere (le cellule tumorali sono riconosciute come corpi estranei, quindi da distruggere).
L'autorizzazione all'inizio del test risale alla scorsa estate e prevede di usare 22 animali sani e in cattività: solo quelli che mostreranno di essere resistenti alla malattia e privi di residui virali del vaccino verranno rimessi in libertà aprendo la strada al trattamento di massa di quelli rimanenti.

Anche nei casi esiste un problema di tumori contagiosi. Vedi QUI il precedente articolo sul tema.

Fonte
Tasmanian devil cancer vaccine approved for testing
Nature (2023)



*** 02/'5/2014 ***
Un tumore infettivo minaccia il diavolo della Tasmania. Salvarlo si può

Obiettivo: salvare il diavolo della Tasmania.

Il piccolo mammifero australe fotografato a lato è sull'orlo dell'estinzione a causa di una malattia tumorale infettiva. Non spaventatevi dopo avere sentito la parola infettiva dato che l'infettività è estremamente specifica per questo animale ed è strettamente legata come vedremo alla ridottissima variabilità genetica delle popolazioni autoctone.
Cercherò di spiegarlo in modo abbastanza semplice. Un tumore altro non è che una la crescita sregolata (leggasi non più regolata dai sensori interni e da quelli tissutali) di cellule, perché mutate o riprogrammate da agenti esterni come virus o agenti chimici. In entrambi i casi non solo i segnali regolatori intrinseci e locali che segnalano quando e quanto dividersi o differenziarsi non verranno più "ascoltati" ma viene persa la capacità delle cellule danneggiate di "suicidarsi" (meccanismo noto come apoptosi). Risultato? L'accumulo di cellule sempre più mutate e non responsive che generano tessuti disorganizzati e invasivi, i tumori.

Salviamo il diavoletto (link)
La meravigliosa efficienza dei sistemi biologici fa si che queste anomalie siano rare in quanto gran parte di esse viene eliminata dai sistemi di controllo. Tuttavia ogni organismo multicellulare complesso (come i vertebrati) producono nel corso dell'esistenza un numero incredibilmente alto di cellule; quindi per quanto rari siano i fenomeni questi possono apparire. 
Ogni giorno in ognuno di noi compaiono cellule mutate che cominciano a comportarsi in modo anomalo ma di cui non ci accorgiamo dato che vengono prontamente identificate e distrutte, anche, dal nostro sistema immunitario; non tutti sanno infatti che le cellule immunitarie svolgono non solo compiti di pattugliamento contro invasioni esterne ma anche di verifica di anomalie nei codici identificativi di ciascuna cellula. In pratica è come se le cellule immunitarie controllassero in continuo i pass di tutte le cellule con cui vengono in contatto. Quando la cellula mutata appare normale ai controllori essa è ovviamente invisibile per cui sfugge alla cernita; analogamente quando il numero di cellule anomale eccede la capacità del sistema di controllo un certo numero di queste sfuggirà alla eliminazione. 
In modo non molto diverso negli individui affetti da AIDS (che come è noto sviluppano tumori come il sarcoma di Kaposi estremamente rari nella popolazione sana) la costante diminuzione del numero di linfociti, oltre ad esporre a infezioni opportuniste, rende il controllo interno sempre meno efficace.

In tutti i casi sopra descritti un tumore anche se invisibile al sistema immunitario del portatore non potrà mai essere trasmesso ad un'altra persona (o animale) immunitariamente integra dato che la cellula verrebbe immediatamente identificata come estranea (non self) e distrutta. Su quanto sia efficace questo controllo pensate alle reazioni di rigetto successive ad una trasfusione errata o dopo un trapianto eterologo in assenza di immunosoppressivi.
Questo discorso è valido fino a che organismo donatore e ricevente sono geneticamente distanti. In una popolazione geneticamente omogenea le reazioni di rigetto diventerebbero tanto più deboli tanto maggiore è l'omogeneità. Come potrebbe del resto il sistema immunitario capire in queste condizioni se una cellula è self o non-self?
Una elevata omogeneità genetica è quindi un pre-requisito per l'esistenza stessa dei tumori infettivi; non è un caso se i tumori infettivi (ma NON quelli secondari legati ad infezioni di virus come HTLV e HIV) sono stati descritti solo in razze canine altamente auto-incrociate e, appunto, nel diavolo della Tasmania.
Nei cani l'esempio classico è quello del Canine transmissible venereal tumour (CTVT), il tumore più vecchio in assoluto dato che non compare spontaneamente (se non a bassissima frequenza) ma viene trasmesso da millenni da un animale all'altro (si stima che tale tumore abbia di fatto 2500 anni --> Murchison et al, Science (2014)). Nel caso del diavolo della Tasmania è più difficile, essendo meno studiato, stabilire con certezza l'età di questo tumore ma le cause e la modalità di trasmissione sono identici (accoppiamenti o preliminari).
Se nel caso del cane l'alta omogeneità genetica è stata in larga parte causata dall'uomo, nel caso del diavolo della Tasmania le cause sono duplici: una popolazione non sufficientemente ampia da permettere la presenza di una ampia variabilità e una localizzazione geografica limitata che accentua il problema della scarsa popolazione. Ma se si trattasse di tumori interni (ad esempio fegato o pancreas) i problemi sarebbero relativi, al più si avrebbe un aumento dell'incidenza tumorale senza le problematiche legate alla trasmissione reciproca. Purtroppo il tumore che sta dilagando nei diavoli della Tasmania è localizzato su mucose e zone esterne (Devil facial tumour disease - DFTD) come volto e genitali, aree di frequente contatto sia nell'identificazione reciproca che nell'accoppiamento. Non stupisce quindi la vera e propria epidemia che ha decimato l'85 per cento della popolazione di questi mammiferi dal momento della comparsa del tumore nel 1996. Il semplice contatto favorisce il passaggio di un numero anche limitatissimo di cellule che se in grado di entrare nei tessuti sottostanti (ad esempio a causa di abrasioni) non incontrerà più alcuna restrizione alla sua proliferazione.

Esempio di tumore su questi poveri animali
(©wikipedia)
Uno zoo americano in collaborazione con una università australiana si è messo in moto per cercare di salvare il diavolo della Tasmania attraverso la reintroduzione locale di individui sani tra quelli presenti all'estero. Un'impegno urgente dato che si prevede l'estinzione della specie allo stato selvatico entro 25 anni.
Il progetto diviso in diverse fasi vedrà dapprima la reintroduzione di 50 animali su Maria Island, un isola al largo della costa orientale della Tasmania. Il gruppo sarà seguito con attenzione (anche con gps e chip), tanto quanto lo sarebbe in uno zoo, in modo da favorire i sani stimolare la diversità genetica.



Forza diavoletto, facciamo il tifo per te!
Il simpatico diavolo della Tasmania rivisitato dalla ®Warner Bros (all credit to: giphy.com)
***
Aggiornamento (agosto 2015)
  • L'analisi genomica dei tumori ha confermato l'origine clonale dei tumori.
  • Il profilo trascrizionale (cioè i geni attivi) mostra che il tumore è originato da una cellula di Schwann.



Fonti e link
-  America and Australia in partnership to save the Tassie devil
University of Sidney, news
- Pagina facebook del programma Save the Tasmanian Devil
- Diavoli della Tasmania su wikipedia.


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