"Too much information is even worse than no information at all," mi disse un saggio. Io voglio correggere questo detto cercando di recuperare dalla "nuvola" scientifica (life sciences & astronomia in primis) alcune fra le notizie più interessanti ma sconosciute ai più, a causa dell'appiattimento dei media generalisti sulle stesse identiche notizie di agenzia.
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Come spesso avviene è la Natura a fornire suggerimenti per innovazioni tecnologiche. La conferma odierna viene dai ricercatori dell'università del Queensland che seguendo i molti esempi forniti dagli animali ha dotato droni e robot di "baffi" con funzione di sensori per massimizzare la percezione ambientale.
I "baffi" del drone (credit: uq.edu.au)
Lo scopo era sviluppare sensori per aiutare i robot ad interagire in quello che potremmo definire come "spazio peripersonale", cioè la regione immediatamente intorno ad una persona senza però toccarla.
In animali come i gatti, i baffi (noti come vibrisse) sono strumenti altamente sensibili dotati di propriocettori che aiutano il gatto a determinare sia la distanza di un oggetto che la consistenza di una superficie. In pratica quasi come il tricorder usato in Star Trek. Tra le altre cose sono in grado di rilevare il respiro umano da mezzo metro di distanza.
Quest'ultima è una funzione particolarmente utile se associata ad un drone perché consente ai droni più piccoli di navigare e stabilizzare il volo attraverso spazi bui, polverosi, fumosi, angusti e in presenza di turbolenze senza dovere ricorrere a rilevatori più pesanti.
I "baffi" montati sui droni sono lunghi "capelli" sottili in fibra realizzati con lo stesso materiale plastico utilizzato dagli estrusori per stampanti 3D. Sono attaccati a piccole piastre che rilevano la forza esercitata (incollate su un treppiede di mini sensori di pressione) capaci di rilevare carichi di punta anche di 0,33 milligrammi, meno del peso di una pulce.
Il costo totale della dotazione? Circa 30$.
Tra le altre applicazioni possibili la misurazione della velocità di un liquido o la rilevazione a prua dello spostamento d'aria generato da un oggetto in avvicinamento.
In sintesi questi baffi potrebbero essere usati in tutte le situazioni in cui si voglia misurare la forza, come nelle applicazioni di lavorazione meccanica, nella fabbricazione industriale, in medicina, nei sistemi marini e in ambito aerospaziale.
Una delle prima applicazioni pratiche è stata su un topo robotico (iRat) sviluppato per studiare la psicologia e la neurologia nei roditori.
iRat (credit: uq.edu.au)
Fonte
- Drones sensing by a whisker
University of Queensland / news
Articoli precedenti sul tema robot ispirati a modelli animali --> Robobee
In un precedente articolo (--> "Sviluppare mini droni studiando le api") ho raccontato del sempre maggiore interesse da parte degli ingegneri per le soluzioni sviluppata dalla natura alle "necessità" di volo automatico negli insetti; lo scopo è ovviamente quello di implementare tali soluzioni nei mini droni per renderli capaci di volare in ambienti complessi.
credit: Graule et al.
Si tratta di un tassello fondamentale quello del volo autonomo, per massimizzare le potenzialità insite in questi "velivoli", di cui la componente ludica è solo la punta dell'iceberg delle sue possibilità (ma importante in quanto fornisce il ritorno economico per pagare la ricerca & sviluppo). Pensiamo in prospettiva a utilizzi come le missioni di monitoraggio in ambito militare o di polizia oppure alla pletora di utilizzi in campo ecologico o di sicurezza ambientale (fughe di gas, monitoraggio remoto delle condizioni atmosferiche, ricerca di superstiti dopo crolli; ... ).
Se nell'articolo precedente il focus era "copiare" dalle api i meccanismi di feedback sensoriale per un volo "plastico", si affronta oggi un altro tema centrale (la miniaturizzazione della componentistica non è oggi un vero ostacolo), cioè la gestione del consumo di energia, vero vulnus per i dispositivi odierni. Dato che gran parte di queste missioni richiederebbe al drone di rimanere in aria per
lunghi periodi, l'energia disponibile è a tutti gli effetti il vero fattore limitante soprattutto perché un drone piccolo può alloggiare una batteria proporzionalmente meno capiente.
Esempio classico è quello di un'auto elettrica che per raggiungere autonomie nell'ordine di un centinaio di chilometri deve essere equipaggiata con pesanti batterie. La maggior parte dei mini droni in commercio hanno autonomie di volo risibili rispetto alle potenzialità del loro utilizzo.
L'aiuto potrebbe venire ancora una volta dallo studio del mondo animale sfruttando la nota capacità degli insetti di aderire alle superfici più varie grazie all'interazione elettrostatica. Un "insetto-robot" con tali capacità potrebbe rimanere nell'ambiente in standby (magari ricaricandosi grazie a mini pannelli fotovoltaici) pronto per essere richiamato in volo quando necessario.
L'interazione elettrostatica è tra l'altro tecnicamente più semplice da implementare rispetto ad altre modalità usate nel mondo animale come quella "adesiva" o "ad artiglio" (usate da pipistrelli, alcuni pesci, lucertole e, su tutti, i gechi).
Studi in tal senso sono in corso presso l'Harvard Microrobotics Lab.
Gli ultimi risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista Science, mostrano mini droni capaci di aderire a materiali come vetro, legno o anche una semplice foglia, consumando fino a 1000 volte meno energia di quella usata durante il volo.
Per interagire con il supporto il RoboBee (la robo-ape) utilizza una sorta di mini elettrodo accoppiato ad un gel a base di schiuma per assorbire gli urti. Il peso aggiuntivo per questo "upgrade" è di 13,4 mg sul totale di 100 mg, simile a quello di una vera ape. Durante la fase di "decollo" è sufficiente interrompere il circuito dell'elettrodo, il che consente una rapida e "facile" operatività su gran parte delle superfici naturali.
I risultati sono notevoli ma come dicono i ricercatori, il lavoro da fare è ancora molto.
Per volare il robot sfrutta oggi una serie di telecamere esterne i cui dati sono poi elaborati da un computer; il vero volo autonomo si avrà solo quando si riuscirà ad implementare nel RoboBee sensori e i processori capaci di un feedback immediato esattamente come avviene nelle api capaci di volare in modo "plastico" attraverso un fitto fogliamo e di individuare siti di atterraggio idonei senza "processamento" cerebrale. Questo permetterebbe al mini drone sia di entrare in modalità di risparmio energetico che di seguire autonomamente, ad esempio, tracce di un gas come il metano fino ad individuare la sorgente e a guidare le procedure di intervento.
Il volo degli insetti è uno dei campi di studio più stimolanti per gli ingegneri che si occupano di robotica, in particolare per coloro che sono impegnati nello sviluppo di mini droni in grado di svolgere volo autonomo in ambienti complicati.
I droni capaci di volo autonomo non sono certo una novità e lo stesso si può dire per quelli modellati sulle caratteristiche degli insetti (--> QUI). Far volare un drone in uno spazio aperto non è oggi cosa tecnologicamente complicata, come dimostra la disponibilità nei negozi di elettronica di droni tascabili. Più complicato è invece progettare qualcosa che sia in grado di muoversiautonomamente e ad una velocità accettabile in ambienti complessi come ad esempio una fitta vegetazione. Capacità questa molto ben sviluppata negli insetti volanti che essendo inoltre piccoli e dotati di un sistema nervoso minimale (rispetto a quello di un qualsiasi vertebrato) e ben studiato, forniscono il modello ideale a cui ispirarsi per creare nuovi sistemi di navigazione nei droni.
Le api sono il modello ideale a cui ispirarsi per un insieme di fattori che vanno dalla loro capacità di orientamento al volo di precisione; sono inoltre tra gli insetti volanti più studiati, secondi solo al moscerino della frutta (alias Drosophila melanogaster e consimili).
Non sorprende quindi che le api robotiche ("robobee") siano "di moda" tra gli studiosi di microrobotica, come quelli che lavorano al prestigioso Harvard Microrobotics Lab. Oggi però i riflettori li puntiamo sulla università svedese di Lund dove si sta lavorando ad un prototipo capace di destreggiarsi autonomamente in ambienti complicati come quelli ricchi di vegetazione. Siamo ancora solo a livello di prototipi ma è interessante vedere il razionale alla base di questo approccio.
Tutto nasce dalla capacità delle api di volare agevolmente attraverso un fitto fogliame, cosa non semplice dati i fattori di confondimento dovuti sia alla presenza di ostacoli che al ben più problematico variare della intensità di luce da punto a punto, causato dall'azione filtrante delle foglie. Una gamma di luminosità che potrebbe mandare nel pallone molti sensori (provate a fare una foto nel sottobosco...) ma che non rappresenta un problema per le api che si spostano da un punto all'altro con deviazioni "plastiche", senza esitazioni e soprattutto senza andare a sbattere.
Il tutto, è bene ricordarlo, è gestito da un sistema nervoso semplificato e da occhi a bassa risoluzione, una dotazione non molto distante (come hardware) da quella implementabile nei moderni droni.
Nota. Nemmeno la risoluzione teorica degli occhi umani è così alta come si potrebbe pensare. Siamo al livello di 1 Mpx anche se noi crediamo di vedere in HD. L'impressione della ricchezza visiva deriva da una serie di caratteristiche funzionali e strutturali che agiscono come una sorta di post-produzione:
in primis abbiamo i movimenti saccadici dell'occhio che portano in continuo le diverse porzioni del campo visivo sulla fovea, una minuscola zona della retina dove più alta è la densità di fotorecettori;
in secondo luogo (ma solo come ordine temporale) vi è l'elaborazione corticale del "segnale visivo" che inizia nella corteccia primaria (V1) e da lì lungo le vie dorsali o ventrali e ci permette di ricostruire i dettagli dell'immagine.
La nostra capacità di evitare ostacoli anche quando non ne siamo consci sfrutta invece una via diretta e più antica (attraverso il cosiddetto cervello rettiliano) in cui il segnale visivo transita per talamo e amigdala (che urla "allarme, allarme") e attiva la risposta motoria nel tronco encefalico. Una volta attivato questo segnale di allarme, l'occhio viene "comandato" a fissare la minaccia e a fuggire o ad affrontarla (questo è il momento in cui si diventa coscienti del "pericolo" scampato, come ad esempio un serpente). Per altri dettagli --> "Il cervello vede in 13 millisecondi".
Euglossa viridissima
(credit: wikimedia commons)
Il segreto del volo fluido delle api non può ovviamente risiedere in una elaborazione corticale di "minacce" ambientali ma deve per forza di cose essere "automatica" e rapida.
Il punto centrale sembra risiedere nella loro capacità di elaborare la differenza di luminosità punto per punto permettendo così la rilevazione dei buchi nella vegetazione attraverso cui potere passare senza sfiorarne i bordi.
Se nell'ape comune che predilige prati e fiori questa è una abilità importante, diventa fondamentale nelle api delle orchidee (Euglossa viridissima) che vivono nelle foreste pluviali di Panama.
L'elemento utile per neuroscienziati e progettisti di droni sta proprio nella diversa modalità di elaborazione dei dati visivi tra il cervello di un essere umano e quella di un'ape. Mentre il cervello umano assorbe molte più informazioni di quelle di cui siamo consci, questa la ragione per cui si sono mantenute le vie "subcoscienti di risposta automatica", le api e altri insetti risolvono il problema dell'eccesso di informazioni facendo arrivare al cervello solo una minima parte degli input ambientali, girando tutto il resto nei circuiti periferici dove hanno sede le risposte automatiche. Il risultato è che gli insetti vedono l'ambiente ma non i dettagli e questo è esattamente quello che serve per evitare di andare a sbattere pur mantenendo una velocità adeguata al volo o per sfuggire ai predatori.
In parole semplici le api regolano velocità e l'altezza dal suolo registrando la velocità di avvicinamento dell'ambiente. Quando si trovano in un ambiente complesso la variazione di input si tradurrà in una automatica variazione di velocità e direzione del volo, così da rendere il volo "senza pensieri".
La grande sfida del prossimo futuro sarà sviluppare un sistema di rilevazione e controllo continuo sulla falsariga di quello delle api.
(Su temi analoghi vedi anche --> "Dalle api un sistema di atterraggio per gli aerei").
Di seguito un video sugli studi in atto dall'altra parte dell'oceano, ad Harvard
***
Di fronte al rischio concreto della scomparsa delle api (e a cascata dei problemi catastrofici per l'agricoltura), l'organizzazione Greenpeace ipotizza che uno degli utilizzi pratici di questi minidroni sarà quello di fungere da "impollinatori surrogati".
Forse non è il primo nel suo genere ma l'insetto robot sviluppato da Harvard Microrobotics Lab ha la indubbia capacità sia di volare che di nuotare.
Credit: Harvard Univ. (from Wikipedia)
Non si tratta di una trovata pubblicitaria che fa presagire l'uscita dell'ennesimo film di James Bond e dei suoi mirabolanti gadget ma della realizzazione di una vecchia idea risalente al 1939; all'epoca un ingegnere russo propose la realizzazione di un velivolo in grado di funzionare all'occorrenza anche come sottomarino. Non si sa se tale idea fosse il frutto della volontà di compiacere un irascibile (e pericoloso quando arrabbiato) Stalin, me non stupirà scoprire che tutti progetti sviluppati da allora su tale ipotesi abbiano fallito; troppa la complessità connaturata a tale sfida ingegneristica che dovrebbe coniugare la forma necessaria per spostarsi nell'aria (grandi profili alari per assicurarne la portanza) e nell'acqua (superficie ridotta al minimo per ridurre la resistenza).
Dopo quasi 80 anni di prove, oggi gli ingegneri di Harvard hanno cambiato prospettiva (e ridotto le dimensioni del velivolo), prendendo spunto dalla natura e in particolare dalla soluzione usata dalla pulcinella di mare. Questi graziosi uccelli (genere Fratercula appartenenti alla famiglia Alcidae) dai becchi sgargianti rappresentano uno tra i migliori esempi di "veicoli ibridi" naturali, in grado di sfruttare il movimento della ali sia in aria che in acqua. La modalità di propulsione nei due mezzi è simile, mentre quello che varia è la velocità dello sbattere le ali.
RoboBee (ape robot), è un microrobot frutto di tali studi. Grande poco più di una monetina è in grado di librarsi in aria come un
insetto, sbattendo le piccole ali 120 volte al secondo ma capace di muoversi anche in acqua. Il passaggio in
acqua è il vero momento critico in quanto, date le piccole
dimensioni e peso, non sarebbe in grado di rompere la tensione
superficiale dell'acqua e rimbalzerebbe come un sasso quando viene lanciato sulla superficie di uno stagno. Per superare l'ostacolo, RoboBee si avvicina
alla superficie tenendo un certo angolo e abbassa repentinamente la
velocità a 9 battiti al secondo, con il risultato di schiantarsi senza
tante cerimonie in acqua e affondare.
Lo spegnimento del movimento alare è
necessario a causa delle conseguenze che l'impatto con l'acqua, la cui
densità è mille volte maggiore di quella dell'aria, avrebbe
sulle piccole ali. Una volta sommerso il mini-robot può riavviarsi e continuare così a
muoversi.
Si tratta chiaramente ancora di un test dato che il prototipo, proprio a causa delle sue piccole dimensioni, necessita di una alimentazione elettrica esterna e che il mezzo in cui viene fatto muovere è acqua deionizzata, per evitare problemi elettrici. Altro limite importante è che non si è ancora stati in grado di fare muovere RoboBee in direzione inversa, cioè dall'acqua verso l'aria proprio per problemi legati alla spinta in uscita cosa che implicherebbe un movimento delle ali eccessivo (e quindi il loro repentino distacco).
Il percorso è ancora lungo ma i primi passi concreti nello sviluppo di questi veicoli è iniziato.
(Articolo successivo sul tema che apparirà in questo blog tra pochi giorni --> "Dallo studio delle api idee per il volo dei mini-droni")
(nel prossimo articolo sul tema si vedrà come sfruttare il sistema di elaborazione visivo delle api per volare in ambienti complessi --> QUI)
Articoli precedenti e correlati su questo blog --> "mini robot volanti" oppure clicca sul tag --> "robotica"
Fonte
- Dive of the RoboBee
Harvard School of Engineering and Applied Sciences / news
(...) Fra i tanti esempi abbiamo robot a forma di pesce o di
serpente (a scopo ambientale, sorveglianza o soccorso) oppure piccoli droni ispirati alle api (vedi in prossimo i prossimi articoli).
Le robo-api (robobees in inglese) hanno obiettivi ambiziosi:
impollinazione
ricerca e soccorso (come strumento di monitoraggio dopo disastri naturali)
esplorazione di ambienti pericolosi e/o difficili da raggiungere.
sorveglianza militare
mappaggio meteorologico e climatico ad alta risoluzione
monitoraggio del traffico
Il bello è che non si tratta di progetti ambiziosi orientati ad un lontano futuro, ma sono in fase avanzata di sviluppo o di collaudo.
L'immagine sopra mostra un dettaglio della parte progettuale di una roboape (nome originale RoboBee) i cui primi voli risalgono al 2007, ed il cui progetto è largamente basato sugli sforzi del laboratorio di microrobotica, coordinato dal Robert Wood, ad Harvard
Viene da se che la parte più complessa è quella
quella "neurale" per il controllo dei diversi sensori di cui il
robo-insetto è dotato.
Non basta. Il
progetto è ancora più ambizioso. L'obiettivo finale è quello di emulare il comportamento
sofisticato dei veri insetti attraverso l'interazione a scopo comunicativo fra le
diverse macchine volanti. Tutto questo mediante l'utilizzo di algoritmi
specificamente creati.
Per un tale lavoro ci vogliono le menti migliori e fondi
idonei. Non illimitati. Semplicemente disponibili, meritocratici ed ovviamente
privati.
Il posto in cui questo progetto sta divenendo realtà è la Harvard’s School of Engineering and
Applied Sciences (nel ruolo di coordinatore) in collaborazione con il Department of Organismic
and Evolutionary Biology Harvard, la Northeastern University, la Centeye (azienda di microelettronica a Washington, D.C.
specializzata in sensori) e per finire ricercatori del Wyss Institute
for Biologically Inspired Engineering (già il nome è una garanzia ...).
Link al sito del laboratorio --> qui.
(nei prossimi giorni seguiranno altri articoli sul tema. Stay tuned!)
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50" Clive S. Lewis
"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato" Bertrand Russel
"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita" Karl Popper