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Dalla "Pompei" dei trilobiti immagini dettagliate di fossili vecchi 500 milioni di anni

Tra i fossili non “dinosaureschi” più iconici, impossibile non citare i trilobili, alias artropodi marini vissuti nel Paleozoico ed estintisi una decina di milioni di anni prima che i dinosauri (nel Triassico) iniziassero la loro conquista del mondo. 
Nello specifico i trilobiti prosperano in un arco di tempo tra il Cambriano inferiore (530 milioni anni fa) fino al tardo Permiano (250 M anni fa), passando quasi indenni attraverso due estinzioni di massa (Ordoviciano-Siluriano e tardo-Devoniano) per sparire durante la transizione Permiano-Triassico.
Walliserops trifurcatus, una delle tante specie di trilobiti fossili trovati in Marocco
(Jebel Oufatene / Kevin Walsh )
Il nome trilobita indica la ripartizione del corpo “a tre lobi”, uno dei tratti comuni di artropodi peraltro con buon grado di diversificazione, verosimilmente conseguenza dell'occupazione di specifiche nicchie ecologiche. La ragione della loro abbondanza tra i reperti fossili dell’epoca è conseguenza certo della loro ampia diffusione (seppur sempre acquatica) ma soprattutto del loro esoscheletro mineralizzato costituito da materiale chitinoso, un ottimo viatico nel processo di fossilizzazione.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Science descrive in modo estremamente dettagliato la struttura di questi antichi organismi grazie all’analisi di alcuni resti sepolti dalla cenere di un'eruzione vulcanica datata circa 515 M anni fa nella regione che oggi corrisponde al Marocco, all’epoca parte del Gondwana, nota per essere ricca di fossili di Trilobiti.

I paleobiologi descrivono l’eccezionale stato di conservazione di questi fossili (che a tutti gli effetti paiono come la “Pompei dei trilobi” per i resti pietrificati dalla cenere) proprio a causa della cenere vulcanica, fine come talco, riuscita a penetrare fino alla parti anatomiche più microscopiche. Perfino il tratto digestivo di alcuni di questi fossili è pieno di questi sedimenti, ingeriti prima della morte. Con il tempo la cenere si è indurita generando calchi 3D giunti intatti fino ad oggi.
Varie le posizioni congelate dalla morte, alcuni raggomitolati a palla, altri in posizione normale e perfino uno ricorperto di bivalvi che usavano i trilobiti per farsi scarrozzare. 

I fossili sono stati analizzati mediante radiografie e versioni miniaturizzate della TAC così da ottenere immagini ad alta risoluzione anche di strutture minuscole e delicate come le antenne e le setole che ne ricoprivano le zampe.

Disponibile anche sul sito CNN


Fonte
Rapid volcanic ash entombment reveals the 3D anatomy of Cambrian trilobites
Abderrazak El Albani et al, (2024) Science, 384(6703) pp. 1429-1435

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L'eruzione al largo delle Tonga

L'eruzione vista dal satellite

Ogni tanto uno dei vulcani che forma il cosiddetto anello del fuoco che circonda il Pacifico, torna a farsi sentire.
I vulcani (solo alcuni attivi) che delimitano l'anello di fuoco.
I vulcani attivi ... prima che si risvegliasse quello delle Tonga

Non sorprendente data la dinamica di scorrimento della placca tettonica pacifica che impatta le adiacenti creando zone di subduzione (ad esempio quella al largo delle Filippine in corrispondenza della fossa delle Marianne), di scorrimento o divergenti.
In rosso le zone di subduzione della placca pacifica 

La zona di divergenza che poi provoca la subduzione nel pacifico nord-orientale

La recente eruzione è avvenuta in una zona molto più a sud, al largo dell'arcipelago delle Tonga, in prossimità di un'altra zona di subduzione. Il vulcano è noto come Hunga Tonga–Hunga Haʻapai e coincide con una caldera (vulcano un tempo attivo, poi collassato su se stesso). L’eruzione è considerata paragonabile a quella del Pinatubo del 1991 ma "solo" il 2% come potenza rispetto alla famosa esplosione del vulcano Krakatoa (non lontano da Jakarta in Indonesia) nel 1885.




La zona di subduzione passa proprio sotto le Tonga.
Come spesso accade con eruzioni sottomarine, il risultato è stata la comparsa di una nuova isola nata sulle spoglie della caldera.

Il rilevamento satellitare (vedi gif in apertura) ben riassume la potenza del fenomeno, i cui effetti (onde, fortunatamente non enormi) sono arrivate in Nuova Zelanda e in California. Il suono dell’esplosione è stato invece percepito fino in Alaska. Per comparazione l'esplosione del Krakatoa produsse un'onda sonora che fece 7 volte (udibile) il giro del pianeta

Di seguito il video ripreso da una isola vicina all’evento, poi evacuata, che mostra le onde e sullo sfondo l’eruzione

(se non vedete il video --> youtube.com/...)




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