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I polpi sognano?

A compendio di quanto scritto nell'articolo aggiungo un libro letto durante queste vacanze natalizie dal titolo "Altre menti: Il polpo, il mare e le remote origini della coscienza


***

I polpi sognano?  La domanda non è peregrina data l’indubbia capacità cognitiva di questo animale in grado di risolvere problemi che i nostri amici pelosi da appartamento si sognano (gioco di parole adatto in questo contesto); tra questi svitare il coperchio da un barattolo per accedere alla ricompensa o la loro abilità mimetica che si adatta ad ambienti sempre nuovi. 

I risultati di uno studio pubblicato su iScience non hanno ancora disvelato il mistero ma forniscono importanti indizi a supporto dell’esistenza di una attività onirica con la conferma che il loro sonno consiste sia di fasi “tranquille” che attive. 

Poiché umani e polpi sono separati da oltre 500 milioni di anni di evoluzione, la scoperta indica che il modello bifasico del sonno è comparso in modo indipendente almeno 2 volte (nei rispettivi antenati).

Nello studio i ricercatori hanno filmato quattro polpi di una specie brasiliana (Octopus insularis) mentre dormivano nelle loro vasche in laboratorio. Per accertarsi che fossero realmente addormentati hanno mostrato loro video di granchi su uno schermo adiacente alla vasca (visione che da svegli evoca una risposta immediata) o colpendo delicatamente la parete della vasca con un martello di gomma.

Video credit: Science
Dall’analisi dei filmati sono stati rilevati due stati di sonno: 
  • Fase tranquilla. Pelle dei polpi pallida, pupille strette a fessura, per lo più immobili con le punte delle braccia che si muovono lentamente.
  • Fase attiva, in cui la pelle diventava più scura e si irrigidiva, gli occhi si muovono e le contrazioni muscolari si diramano sul corpo fino alle ventose.
Il sonno attivo, della durata media di 40 secondi, compare dopo un lungo sonno tranquillo, con cicli che si ripetono ogni 30-40 minuti.

I due stati sono simili alle fasi principali del sonno dei mammiferi: il sonno non-REM (onde lente in cui l'attività elettrica diffonde e sincronizza le varie aree del cervello.) e il sonno REM, la fase onirica. 

Il consensus attuale è che questo ciclo alternato, presente anche negli uccelli e forse nei rettili, sia importante per consolidare i ricordi e eliminare i rifiuti metabolici dal cervello e con questo una manutenzione fondamentale per il benessere cerebrale (la deprivazione da sonno porta a morte).

Purtroppo non possiamo chiedere loro se stanno davvero sognando. I ricercatori ipotizzano come strategia  alternativa quella di confrontare i cambiamenti di colore della pelle mentre il polpo è sveglio ed è intento in qualche attività di apprendimento con la successiva fase di sonno in modo da capire se i cambiamenti della pelle siano indicativi di cosa sta sognando.

Bene precisare che  polpi e mammiferi hanno un'architettura cerebrale molto diversa, quindi estrapolare i risultati potrebbe essere totalmente fuorviante. Quello che è certo è che i dati indicano che qualcosa avviene durante il loro sonno e che questo è caratterizzato da diverse fasi.

L'esperimento ideale sarebbe misurare la loro attività cerebrale mediante elettrodi (esattamente come viene fatto negli umani). Un approccio complicato nei polpi sia perché vivono in acqua che per la loro immediata rilevazione, mediata dai tentacoli, di qualunque cosa sia attaccata al loro corpo.

Fonte
- Cyclic alternation of quiet and active sleep states in the octopus




La resistenza alla peste in cambio di un aumentato rischio del morbo di Crohn

In un precedente articolo (a cui rimando) avevo trattato della peste bubbonica da un punto di vista storico e la presenza odierna del batterio in alcune aree dell'Asia centrale. In calce avevo citato alcuni studi su come tali epidemie abbiano plasmato geneticamente la popolazione europea attraverso la selezione di individui meno sensibili all'infezione del patogeno.
Yersinia pestis
Torniamo sul tema grazie alla pubblicazione sulla rivista Nature di un nuovo studio in cui non solo vengono meglio caratterizzate le varianti genetiche "protettive" ma le si correla ad alcune malattie attuali secondo il vecchio dogma che "la protezione non è mai a costo zero".

Il succo dell'articolo in una frase? L'epidemia nota come Morte Nera ha selezionato gli individui con varianti geniche a carico dei geni ERAP2 e TICAM2, ma le stesse varianti oggi mettono i portatori più a rischio di sviluppare una malattia autoimmune come il morbo di Crohn.

La pressione selettiva a vantaggio di queste varianti era importante se si pensa che aumento del 40% la probabilità di sopravvivenza durante l'epidemia. Un tale evento selettivo non è un caso isolato, essendo un dato scientificamente validato che le malattie infettive sono tra i più forti selettori evolutivi
Gli esempi a riguardo sono innumerevoli. Si va dalla migrazione dei Sapiens in Europa quando l'incrocio con i Neanderthal conferì loro i tratti di resistenza necessari alla sopravvivenza in un ambiente nuovo (più freddo e con patogeni "mai incontrati" in Africa) alla (maggiore) resistenza a malaria e al colera con l'effetto collaterale di talassemia e fibrosi cistica, rispettivamente.
La peste nera, altrimenti nota come peste bubbonica e causata dal batterio Yersinia pestis, rappresentò un potente selettore se si pensa che uccise tra il 30 e il 50 % della popolazione europea nell'arco di soli 4 anni (1346-1350). 

Allo scopo di identificare le differenze genetiche emerse tra i sopravvissuti i ricercatori hanno analizzato il DNA prelevato da resti umani dell'epoca (reperiti a Londra e in Danimarca) di individui morti poco prima, durante o qualche anno dopo che l'epidemia era terminata. Il focus dell'analisi genetica si è concentrato sui geni coinvolti nelle difese immunitarie, non tanto quelli propriamente immunitari (le immunoglobuline o i recettori delle cellule T) in quanto per definizione altamente variabili durante la vita di un individuo, ma quelli che permettono associati al riconoscimento e alla cattura (e successivo processamento) degli antigeni non self che le pattuglie immunitarie raccolgono durante i loro giri di perlustrazione.
L'ipotesi sperimentale da verificare era che se la variante genica trovata avesse effettivamente svolto un ruolo cruciale (positivo o negativo) nella resistenza al patogeno, la frequenza allelica nella popolazione doveva essere cambiata durante gli anni a cavallo dell'epidemia.
Delle 245 varianti trovate nel campione inglese, 4 sono state trovate anche nel campione danese. Di questi 4 quelle riferite ai geni ERAP2 e TICAM2 (in verità non geniche ma prossimali ai geni e capaci di alterarne quantitativamente l'espressione) sono quelle qui di interesse in quanto associate ad una aumentata sensibilità (odierna) al morbo di Crohn.
L'essenziale sui due geni le cui varianti conferirono maggior probabilità di sopravvivenza ai portatori:
  • ERAP2 è attivo nelle cellule che presentano l'antigene, come i macrofagi, deputati a mangiare e scomporre gli agenti patogeni nelle parti costituenti così da presentare un identikit molecolare di alcune sue parti (antigeni) che verranno riconosciuti dalle cellule immunitarie effettrici come i linfociti.
  • TICAM2 codifica una proteina adattatrice per una proteina di superficie dei macrofagi chiamata TLR4, che rileva i batteri gram-negativi estranei nel corpo.
Per testare l'effetto di tali varianti i ricercatori hanno prelevato i monociti dal sangue di individui portatori di queste e altri varianti, esponendoli poi al batterio della peste. I macrofagi con le varianti che aumentavano l'espressione di ERAP2 erano più efficienti nell'eliminare il batterio.

Da un punto di vista meccanicistico, quando il batterio si trova a 37°C (quindi all'interno del corpo) attiva un processo che porta a rimuovere dalla sua superficie il lipopolisaccaride (LPS) uno dei marcatori ricercati attivamente dalle cellule immunitarie (grazie al recettore TLR4) come identificativo di "nemico batterico", rendendosi così invisibili.
Per dirla semplice, dal momento in cui lo Yersinia pestis entra nel corpo inizia il conto alla rovescia perché il processo di occultamento si compia e con esso ogni possibilità da parte dell'organismo di evitare la comparsa della malattia.
Il batterio "invisibile" infetta principalmente i macrofagi trasformandoli in una sorta di trasportatori zombi che usano (costringendoli) per raggiungere i linfonodi dove il batterio inizia a moltiplicarsi (da qui i bubboni caratteristici della Peste Nera).


Le varianti geniche in ERAP2 e TICAM2 presenti nei sopravvissuti facilitano il rilevamento del batterio e con esso la resistenza. Non si tratta invero di una vantaggio limitato a questa infezione ma è utile anche contro altri patogeni, sebbene la spinta selettiva sia venuta dalla Peste Nera dato l'impatto sulla popolazione.
Il lato oscuro di questo vantaggio è che la maggiore espressione (principalmente) di ERAP2 rende più probabili disturbi autoimmuni come il morbo di Crohn, una malattia che per quanto penalizzante nella qualità di vita di chi ne soffre non è paragonabile al rischio associato al batterio della peste, e quindi non è mai stata controselezionata. Da qui la presenza di questo allele in oltre il 50% della popolazione geneticamente europea.

Ci si trova in una situazione simile a quella che ha innescato la comparsa di malattie come l'anemia mediterranea (talassemia) e la fibrosi cistica. Nel primo caso l'allele anormale che provoca la malattia nei soggetti che hanno ereditato l'allele da entrambi i genitori (omozigoti) conferisce negli eterozigoti resistenza alla malaria, una malattia endemica per secoli in molte aree e che ha selezionato i soggetti più resistenti (scomparsa la malaria è rimasto l'allele). Nel secondo caso la variante del canale del cloro permetteva una maggiore resistenza a patogeni come il batterio del colera.


Fonte
- Evolution of immune genes is associated with the Black Death.
Jennifer Klunk et al, Nature volume 611, pages 312–319 (2022)



La missione Perseverance su Marte

Sulla falsariga di quanto fatto con Curiosity, questa pagina viene aggiornata periodicamente con le immagini più significative della missione. Il tutto

Dicembre 2022

Al centro i due fori residui dalla trivella di Perseverance
Parte dei detriti prelevati (potenzialmente contenenti tracce di vita marziana) sono stati depositati nell'area nota come Three Forks, da cui future missioni marziane li preleveranno
Credit: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS


*** 

18/02/21Landing effettuato con successo. Ecco la prima foto 

Image credit: JPL/NASA

  

Il primo selfie di Perseverance sul suolo marziano.
Potete esaminare i dettagli strutturali del rover e in 3D sulla pagina dedicata 
(credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)

Questo il percorso previsto nei primi due anni della missione.

Per altre informazioni vi rimando alla pagina dedicata della NASA.



Dopo qualche ora dalla "pancia" di Perseverance viene liberato l'elicotterino Ingenuity che comincia a prendere confidenza con il nuovo ambiente

Ingenuity si stacca dal rover Perseverance
(Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)
Da sinistra a destra Ingenuity e Perseverance
(credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)

  
Il primo volo giusto per provare (su alcuni browser è necessario usare il full screen) ...

... e il terzo volo più convinto

Perseverance visto da Ingenuity
(Image credit: NASA/JPL-Caltech via space.com)



Con il 5° volo siamo già alla missioni di "sola andata" 


Le riprese da Ingenuity usando la camera a 4k
Questi ultimi due video sono stati montati egregiamente da iGadgetPro


La NASA ha reso disponibile anche il suono catturato da Ingenuity mentre vola. Questa è veramente una prima assoluta delle missioni spaziali (anche perché ad oggi Marte è l'unico con una atmosfera sufficiente a veicolare il suono)

Aggiornamento. Il prelievo di rocce dal suolo marziano, dopo molti passi falsi e fallimenti, è infine riuscito (nature.com/...). 
Credit: NASA/JPL

01/22
I momenti salienti di Perseverance nel 2021


Tutto ha inizio il 18 febbraio 2021 con l'ammartaggio del rover Perseverance nel cratere marziano Jezero.





Fonti


Svapare fa male alla funzionalità polmonare

Qualche anno fa scrissi questo articolo (riproposto in calce alla presente premessa) sui rischi della moda "vaping" in quanto non associati a riduzione della dipendenza da nicotina (per quello bisogna volere smettere) e al rischio di creare nuovi fumatori veri tra i giovani che, per moda o emulazione, decidessero di svapare senza avere mai fumato prima.

Uno studio pubblicato recentemente (novembre 2022) sul PLOS ONE riporta gli effetti negativi sulla funzionalità polmonare tra chi abusa del vaping. Per i dettagli vi rimando all'articolo "E-cigarette aerosol exposure of pulmonary surfactant impairs its surface tension reducing function"(Emma Graham et al, Nov 2022)



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Svapare fa male ... nonostante qualcuno affermasse il contrario
L'allarme lanciato dalla università di Yale trova conferma nel comunicato del CDC
Sigarette elettroniche in vari formati (credit: CDC via wikipedia)


C'era una volta un medico brillante tramutatosi in persona che faceva discorsi degne dei minus cogitantes. Una metamorfosi vista in Umberto Veronesi.
Il problema si palesò quando si convinse sempre più di dovere rivestire il ruolo mediatico di scienziato (che non era)  invece che di medico brillante (che era).
Cominciò con uscite sulla genetica e in particolare sulla genetica del sesso (mentre solonizzava su temi importanti, e biologici, come l'identità sessuale, ma con l'ottica del politicamente corretto) affermando che l'evoluzione avrebbe fatto scomparire i sessi e/o la necessità del maschio. 
Confusione massima perché un conto è l'evoluzione biologica dove la riproduzione sessuata (quindi la differenza tra i sessi) è stato un passaggio evolutivo chiave che ha massimizzato la probabilità di generare progenie "adatta" al cambiamento ambientale, cosa che la semplice partenogenesi, gemmazione, divisione binaria, riproduzione mediante talea (etc etc) permette su tempi molto più lunghi. Tutt'altro discorso è il volere pensare l'evoluzione umana prossima ventura come qualcosa di abiologico, un futuro fatto di fecondazioni in vitro ed editing genetico, svincolato dal genere e da concetti base come fitness genetica. Per arrivare magari all'Homo cyberneticus intento a vivere nel cloud una vita sognata e depositata su qualche server.
Ma di uscite ne fece altre, pur tralasciando il suo permissivismo "teorico" nei confronti di quell'abominio scientifico (e soprattutto etico nei confronti dei pazienti) che fu il metodo Stamina. Ci interessa qui la sua presa di posizione nei confronti delle sigarette elettroniche che venivano "assolte e difese" (vedi l'intervista sul giornale amico --> repubblica/salute/2014/08/30) . 

C'era una volta anche un vero scienziato, esternante solo per tamponare le bestialità "pseudo-scientifiche" diffuse dai media, di nome Silvio Garattini che (insieme ad altri) mise in guardia sull'errore di liberalizzare la sigaretta elettronica, nel momento in cui assurgeva a fenomeno di moda, in quanto poteva fungere da cavallo di Troia per creare una nuova generazione di fumatori invece di dissuaderli.
E' chiaro che dovendo scegliere, è meglio "svapare" (assorbire nicotina e qualche aroma) invece che "rollarsi" una sigaretta (assorbire nicotina, catrame e altre amenità). Quello che Garattini diceva è che la sigaretta elettronica ha due problemi potenziali: 
  1. attenua nel fumatore la necessità di smettere spingendolo verso il mantenimento della dipendenza con surrogati meno tossici (mentre è la dipendenza da combattere); 
  2. aumenta il rischio concreto di creare nuovi dipendenti da nicotina in coloro che poco amanti dell'odore del fumo avrebbero evitato la sigaretta e che ora si ritrovano con uno svapatore "alla moda e pulito". Vero che legalmente questi prodotti non sono acquistabili dai minorenni ma sappiamo altrettanto bene, come avviene per il gioco delle scommesse, che il divieto non viene mai fatto rispettare.
Uno studio della università di Yale conferma i timori e conclude che la dipendenza da nicotina risultante dallo "svapare" è un problema molto serio tra i teenager.
"Data show clearly that young people are vaping in record numbers (...). Nicotine can spell trouble at any life stage, but it is particularly dangerous before the brain is fully developed, which happens around age 25 (...). Adolescents don’t think they will get addicted to nicotine, but when they do want to stop, they find it’s very difficult,”
Con il diffondersi della moda dello svapare, complice un marketing mirato, aumenta anche il rischio per la salute legato all'assunzione della nicotina "pulita" (priva dei prodotti cancerogeni della combustione della sigaretta).
I giovani consumatori ignorano infatti due aspetti profondamente interconnessi: l'ingrediente chiave dei vapori che inalano è la nicotina e la nicotina induce, oltre alla dipendenza, una modifica dei circuiti neuronali. Gli studi dimostrano che i giovani che usano il vapatore come primo approccio, sono più propensi a passare alle sigarette dei non fumatori che non hanno provato a svapare.
Vero che in commercio sono in vendita ricariche per vapatori senza nicotina, ma è altrettanto vero che non sono molto richiesti e del resto che vantaggio c'è a vendere un prodotto che non mantiene viva la voglia di ricomprarlo?
La nicotina può essere alla base di problemi in qualsiasi fase della vita, ma è particolarmente pericolosa prima che il cervello sia completamente sviluppato, cosa che avviene intorno ai 25 anni.
Quando gli adolescenti vogliono smettere, scoprono che è molto difficile e la ragione è biologica: il cervello dell'adolescente è più sensibile alle ricompense e il circuito neuronale che presiede alla ricerca della ricompensa è la causa principale delle diverse forme della dipendenza.
Il circuito coinvolto è il sistema mesolimbico, il cui neurotrasmettitore principale è la dopamina. Si tratta di una delle parti più antiche del cervello sviluppatosi come rinforzo positivo per i comportamenti che permettono all'organismo di sopravvivere e generare progenie. Un circuito chiave a cui, per ragioni evolutive, è particolarmente difficile resistere anche in chi (come noi umani) crede di possedere il libero arbitrio.
Quando inaliamo nicotina l'assorbimento è rapido: in soli 10 secondi raggiunge il cervello, dopo essere stata assorbita dai vasi sanguigni polmonari, dove interagisce con un particolare tipo di recettore del neurotrasmettitore acetilcolina (non a caso chiamato recettore nicotinico).
Ovviamente il sistema della ricompensa non si è evoluto con il fine di diventare bersaglio della nicotina. La nicotina è strutturalmente simile alla acetilcolina ed è stata "inventata" dalle piante come neurotossina per difendersi dagli insetti.
Una volta legatasi al recettore, parte un segnale neuronale che causa il rilascio della dopamina, neurotrasmettitore dalle molte funzioni ma che in questi circuiti crea una sensazione di benessere. Il messaggio che il cervello registra è "tutto ciò che è appena avvenuto mi fa sentire bene", da qui il rafforzamento dei comportamenti che permetteranno il ripetersi di questa esperienza. A differenza di altre sostanze psicotrope come l'alcol, la nicotina è inattivata ed eliminata molto in fretta dal corpo. La sua scomparsa è la ragione per cui i fumatori hanno il bisogno d accendersi una sigaretta dietro l'altra (o nel nostro caso, svapare in continuazione).
Recettore nicotinico, i suoi ligandi e l'effetto sulla permeabilità del sodio (credit: R. Boi)
Studi di imaging del cervello umano hanno dimostrato che i segnali ambientali, in particolare quelli associati all'uso di droghe, possono da soli modificare la concentrazione di dopamina nel cervello. Ciò significa che il solo vedere un amico con cui fumi abitualmente o entrare nel bagno scolastico (dove da che mi ricordo i ragazzi si recano per fumare) è di per sé stesso in grado di indurre la voglia di fumare/svapare.

L'esposizione alla nicotina provoca modifiche cerebrali, alcune di breve altre di lungo termine.
Nel breve termine si ha l'aumento del numero di recettori dell'acetilcolina nel cervello; più recettori vuol dire maggior desiderio di nicotina. Dopo un certo periodo di astinenza dalla nicotina, il numero di recettori cala e con esso il desiderio di fumare ... sempre che sappiate resistere agli stimoli ambientali "inconsci" di cui sopra.
Tra le modifiche a lungo termine vi sono le alterazioni che causano problemi di concentrazione, memoria e apprendimento. Studi condotti sugli animali hanno dimostrato che l'esposizione degli embrioni alla nicotina interferisce negativamente con il fenomeno del pruning sinaptico (potatura) neonatale, il processo che porta all'eliminazione delle connessioni neuronali in eccesso e che è fondamentale per l'agilità cognitiva.
Negli esseri umani ci può essere utile una analogia: uno studente seduto in un'aula rumorosa, con il traffico che passa vicino alla finestra, deve essere in grado di focalizzare la sua attenzione "spegnendo" i rumori in modo da poter capire cosa dice l'insegnante. I cervelli non esposti alla nicotina riescono a fare  questa "pulizia" inconscia molto meglio di quelli "nicotinizzati".
Voglio sottolineare ancora un concetto chiave: svapare è meglio che fumare una sigaretta ma solo se l'alternativa è il continuare a fumare sigarette.
Il vantaggio immediato è che non ci si espone alle circa 7000 sostanze chimiche prodotte dalla combustione, limitando il tutto a nicotina, aromi e altro (vedi figura). Quindi è la soluzione ideale che è giusto proporre, e incentivare, ai fumatori che non riescono o non vogliono smettere.
A mia conoscenza la FDA non ha mai certificato i vapatori come dispositivi per smettere di fumare, proprio perché il loro utilizzo non determina una minore "voglia" di nicotina.
Cosa c'è dentro l'aerosol delle sigarette elettroniche (credit: wikimedia)
Le linee d'ombra dei vapatori è che mancano studi di lungo periodo sugli effetti dell'inalazione e mancano anche certificazioni credibili sul contenuto dei liquidi. Uno dei problemi è il fai-da-te nell'assemblaggio del liquido da vapare più gradito, il che espone al rischio di errati dosaggi nella nicotina.
Altro problema riguarda un nuovo e sempre più popolare dispositivo per vapare chiamato Pod Mod. Analisi recenti di questi dispositivi stimano che la concentrazione di nicotina in essi usata è da 2 a 10 volte superiore a quella presente nei liquidi per altri vapatori. Un singolo pod contiene 0,7 ml di nicotina, pari a 20 sigarette normali.

L'allarme lanciato qualche giorno fa dal CDC nasce dalla rilevazione di 12 decessi e centinaia di eventi patologici attribuibili all'uso della sigaretta elettronica
"The latest findings from the investigation into lung injuries associated with e-cigarette use, or vaping, suggest products containing THC play a role in the outbreak".
Il problema pare legato alla composizione del liquido usato dai fruitori, in cui oltre ad un sovradosaggio è stata rilevata la presenza di THC (principio attivo della cannabis). Una delle ipotesi più accreditata è che i soggetti coinvolti abbiano usato liquidi per la vaporizzazione prodotti artigianalmente.
L'invito alla cautela è d'obbligo.

Aggiornamento. A fine 2019 il Center for Disease Control (CDC) ha acceso ufficialmente il faro delle indagini sulle sigarette elettroniche dopo aver rilevato decessi e morbilità negli utilizzatori, in numero superiore alla mera coincidenza. Colgo l'occasione per aggiornare un precedente articolo scritto mesi fa sullo stesso tema in cui sottolineavo i rischi della moda degli "svapatori" e il proliferare dei negozi dedicati.


Fonti
- Nicotine Addiction From Vaping Is a Bigger Problem Than Teens Realize
Yale Medicine / news
- Outbreak of Lung Injury Associated with E-Cigarette Use, or Vaping



Orion è tornato e la missione Artemis continua

La fase 1 della missione Artemis (ad oggi divisa in 6 fasi) si è conclusa oggi con il rientro a splash nelle acque dell'oceano Pacifico.

Credit: NASA

Scopo della missione era verificare che non ci fossero problemi nel ritorno sulla Luna, con test di raggiungimento dell'orbita lunare e rientro.

Credit: NASA

La prossima fase, nota come Artemis 2, è prevista per il 2024 e vedrà la presenza di equipaggio umano e un sorvolo lunare. 

Per vedere gli umani tornare fisicamente sulla Luna bisognerà attendere Artemis III


#Artemis 

Le migliori foto fatte (finora) dal James Webb Space Telescope

Perché perdersi in tante parole (sull'importanza del JWSP ne ho già scritto QUI) quando potete godervi le immagini migliori selezionate dalla rivista Nature?

Un assaggio tratto direttamente dal sito della NASA
I cosiddetti "pilastri della creazione" nella Nebulosa Aquila
Credits: NASA, ESA, CSA, STScI). 


Sempre sullo stesso tema il tour della Nebulosa Aquila a cura della pagina JWST su youtube


JWST’s b

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Elizabeth Holmes condannata a 11 anni per il caso Theranos

link all'articolo sul Sole24


Il caso Theranos è la conseguenza di avere voluto esportare la regola classica delle Newco della Silicon Valley ("Fake it before you make it") alle start-up del settore biomedico. 

Evito di ripetere qui la cronistoria di uno scandalo deflagrato una decina di anni fa e che potete ricostruire leggendo gli articoli sotto citati, a partire da quello di Business Insider.

Link all'articolo del 2018 (aggiornato in questi giorni) su Business Insider 

Riassunto in poche parole, la storia di una imprenditrice da sempre "prodigio" che creò una azienda (Theranos) allettando gli investitori con la pretesa invenzione di un metodo diagnostico innovativo tale da permettere di fare molteplici esami classici con solo un prelievo di sangue. Il tutto senza rivelare alcuno dei procedimenti in uso (scoperto poi essere basato su esami classici) e scoperto solo grazie ad una gola profonda in azienda.


Il punto chiave o take-home message è che lo sviluppo di qualunque metodo diagnostico deve (dovrebbe) essere sempre sottoposto alle stesse procedure rigorose che sottendono lo sviluppo dei farmaci; non millantare promesse di fattibilità senza produrre alcuna prova ma per fare venire l'acquolina in bocca agli investitori (parliamo di 945 milioni di USD di finanziamenti). Non puoi fingere di aver sviluppato qualcosa che non hai, anche se (per pura ipotesi) l'azienda avesse il 99% di probabilità di raggiungere lo scopo; puoi raccogliere investimenti adducendo una sperimentazione e uno studio di fattibilità, ma NON millantare di avere sviluppato test diagnostici di tale sensibilità da necessitare poche gocce di sangue.

Consiglio il documentario andato in onda anni fa su HBO quando iniziarono le indagini.

Un articolo sul Time contiene altre fonti di interesse. Oppure la timeline della vicenda fatta dalla CNN. Infine l'articolo sul NYT dal titolo emblematico "The rise and fall of ..."

***

Non che Elizabeth Holmes sia una mosca bianca. Basta vedere, sebbene su scala minore per i soldi manovrati, il caso dell'azienda che falsificava i risultati dei test COVID non essendo in grado di dare risultati affidabili

"‘Beyond outrageous’: L.A. company faked COVID test results, authorities allege"


La prima foto di pianeti in un sistema stellare distante centinaia di anni luce da noi [Aggiornamento]

Un aggiornamento di un articolo del 2020 in cui si citava la notizia (fantascientifica solo pochi anni fa) della prima vera foto di un esopianeta. L'articolo originale è presente il calce all'aggiornamento.
Image credit: Aarynn Carter, the ERS 1386 team
La foto è stata scattata dal telescopio spaziale James Webb, lanciato poco più di un anno fa ed entrato in funzione da qualche mese. Per quanto pixellato è una immagine all'infrarosso di un pianeta la cui stella  è stata "oscurata" per impedire alla sua luce di sovrastare quella del pianeta.
Il pianeta, noto come HIP 65426 b è un pianeta di tipo gioviano scoperto nel 2017, ma più giovane (solo una decina di milioni di anni) e più caldo, che si trova a 107 parsec dalla Terra nella costellazione del Centauro. Orbita ad una distanza considerevole dalla sua stella (classe spettrale A2V), circa il doppio della distanza Plutone-Sole
Una distanza considerevole soprattutto se rapportata ai pianeti solitamente identificati con i metodi classici (ad esempio il metodo dei transiti) ma non casuale in quanto sarebbe stato ben difficile visualizzare un pianeta a tale distanza e in orbita prossimale a causa della luminosità della stella.
È la prima immagine di esopianeta mai scattata a lunghezze d'onda dell'infrarosso lontano, una caratteristica che consentirà agli astronomi di studiare l'intera gamma di luminosità di un pianeta e la sua composizione.

Ad oggi il numero di esopianeti confermati supera i 5 mila ma quelli fotografati sono solo una ventina. L'imaging diretto degli esopianeti è difficile, perché spesso si perdono nel bagliore della stella attorno alla quale orbitano. L'utilizzo della rilevazione a lunghezze d'onda dell'infrarosso permette di aumentare il contrasto tra stella e pianeta, facilitando così la loro individuazione (ma sempre in orbite sufficientemente lontane).
Tra i risultati ottenuti dall'analisi spettrografica la presenza di granelli di silicato - essenzialmente sabbia calda - nell'atmosfera del pianeta. Tali nuvole di sabbia possono formarsi quando le temperature sul pianeta sono abbastanza calde da vaporizzare i minerali che formano le rocce.



***


I due pianeti (frecce) orbitanti attorno alla stella TYC 8998-760-1.
Credit:ESO/Bohn et al.
L'argomento non è apparentemente nuovo. Ne ho trattato ampiamente su queste pagine in passato seguendo l'evolvere del Exoplanet Search Project che ha permesso, nel giro di un decennio, di passare da mere ipotesi di esopianeti alla loro dimostrazione e contabilizzazione.
Per visualizzare gli articoli dedicati su questo blog cliccate sul tag --> esopianeti.
I metodi di rilevazione più usati a questo scopo sono vari e comprendono il telescopio orbitante Keplero , sostituito a metà 2018 da TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), a cui si aggiungono telescopi terrestri come il VLT (Very Large Telescope).
Cronologia e missioni pianificate nell'ambito della ricerca degli esopianeti da parte di NASA ed ESA (credit: ESA)
--> Immagine ad alta risoluzione
 

Il numero di esopianeti confermato nel momento in cui scrivo è 4197 su 3109 sistemi stellari. Numeri aggiornati disponibili su Exoplanet Search Program (NASA) o su exoplanetarchive (Caltech).

Dove è la novità vi chiedere allora.
Fino ad oggi i metodi per identificare la presenza di pianeti erano di tipo indiretto, basati cioè su tecniche capaci di rilevare alterazioni (ad esempio orbitali o di luminosità) nella stella monitorata, spiegabili con la presenza di uno o più corpi associati. Metodi di studio molto precisi ed interessanti (vedi "postilla" a fondo pagina) ma che in un certo emozionalmente poveri in quanto ci privano della osservazione diretta.
Vale la pena ricordare che pur essendo il monitoraggio diretto alle nostre immediate vicinanze (l'area cerchiata nella figura sotto) parliamo di distanze da decine e centinaia di anni luce in quella che è in ogni caso la periferia della Via Lattea. Una minima frazione di quanto esiste là fuori, ma pur sempre troppo lontana e/o difficile da visualizzare in modo diretto. Una eccezione sono i pianeti SWEEPS-11 e SWEEPS-04, identificati nella galassia di Andromeda mediante il metodo delle microlenti gravitazionali a 27 mila anni luce da noi.  Potete trovare la lista degli esopianeti sul exoplanet.eu; se riorganizzate la tabella cliccando sulla distanza angolare, avrete una lista in funzione della distanza da noi (per convertire da arcsec a parsec e poi in anni luce potete usare il metodo QUI suggerito).
Credit: NASA via exoplanet.sg
Torniamo all’immagine iniziale.
Il merito va, ancora una volta, al VLT dell’ESO (Osservatorio Europeo Australe), dimostratosi in grado di scattare una foto di un sistema planetario intorno alla stella TYC 8998-760-1, simile al Sole in quanto a caratteristiche, e distante 310 anni luce. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters da un team olandese dell'università di Leida.
Prima di preparare le valigie e chiedere un passaggio alla Enterprise di turno meglio premettere che la stella è decisamente è ancora molto giovane (una decina di milioni di anni contro i quasi 5 miliardi del Sole) e che i due pianeti visti sono un super-Giove e un mini-Nettuno, con orbite molto più distanti dalla stella dei due pianeti giganti del nostro sistema (il più vicino orbita ad una distanza 5 volte quella tra Sole e Nettuno). Decisamente inabitabili.
L’interesse della scoperta è triplice: esopianeti intorno ad una stella di tipo solare; l'immagine che li mostra “direttamente” e l’istantanea di un sistema planetario nella sua infanzia.

L’anello luminoso che sembra circondare i due pianeti è in realtà un artefatto ottico mentre gli altri puntini luminosi non indicati dalle frecce sono stelle sullo sfondo.
Anche qui la domanda ovvia su come si sia riusciti a distinguere “puntini” apparentemente identici tra stelle e pianeti: possibile grazie al movimento orbitale di quelli con le frecce mentre le stelle “vere” rimanevano fisse ad ogni istantanea scattata. Non che si tratti di dati facili da ottenere, soprattutto quando non sai dove cercare nella mole di dati disponibili. La spostamento dei “puntini” è stato osservato confrontando le foto del 2019 con quelle del 2018 e 2017, previa schermatura della luce della stella mediante un coronografo (SPHERE) montato sul VLT, un filtro obbligato per potere rilevare oggetti che, dalla nostra distanza, apparirebbero troppo vicini ad una stella per essere visualizzati.

Nel prossimo futuro si aggiungerà un nuovo strumento di osservazione, il ELT (Extremely Large Telescope), ora in costruzione che potrebbe aiutare a identificare eventuali altri pianeti in orbita ad una distanza "accettabile" perché siano, sulla carta, compatibili con condizioni adatte alla vita. In subordine si vuole anche cercare di comprendere se i due pianeti ora trovati si sono originati dal disco protoplanetario della stella o se si tratta di due "rogue planets" catturati in una fase successiva.

Fonte
- Two directly-imaged, wide-orbit giant planets around the young, solar analogue TYC 8998-760-1*
A.J. Bohn et al. The Astrophysical Journal Letters (2020)

***
  • Transito. Dalla variazione di luminosità apparente (cioè percepitata dai nostri strumenti) della stella e dalla sua periodicità si può ricavare massa, distanza e periodo orbitale del pianeta orbitante. Limiti ovvi di questo metodo la dimensione del pianeta e la sua distanza dalla stella, che si traduce per un osservatore esterno in una diversa proporzione della quantità di luce bloccata; data la distanza tra noi e la stella, la distorsione prospettica (distanza tra pianeta e stella) è irrilevante a meno di volere cercare "un Plutone" e il calcolo può essere approssimato come 
    (dove Rp è il raggio del pianeta, R* il raggio della stella e F il flusso). Ovviamente possono essere osservati solo quei sistemi planetari in cui l'orbita è tale da essere in asse con il nostro punto di osservazione. Altre informazioni sul tipo di orbita vengono dal fenomeno dell'oscuramento al bordo
    Image converted from Kepler 10c, courtesy of NASA
    credit: planetaryscience.com

  • Astrometria. Ogni oggetto con massa planetaria è in grado di perturbare la rotazione della stella, spostando il fuoco dell'orbita all'esterno della stella stessa. A causa di questo la stella ci apparirà orbitare non "su sé stessa" ma intorno ad un punto la cui distanza è funzione della massa dei pianeti nelle vicinanze. Si può dedurre la perturbazione dell'orbita osservando l'eventuale effetto Doppler della luce stellare. 
    Image: wikipedia (User:Zhatt)

  • Effetto lente gravitazionale. Per il noto effetto della gravitazione sulla luce, un qualunque oggetto dotato di massa è in grado di modificare il percorso della luce. La somma delle forze gravitazionali esercitata da stella e pianeta in asse rispetto al percorso della luce proveniente da una stella sullo sfondo funzionano come una lente di ingrandimento del segnale. Dal confronto tra segnale di riferimento prima e dopo il transito del pianeta si possono ricavare informazioni sulla massa aggiuntiva transitata, vale a dire quella del pianeta. 
    credit: planetary.org
  • Osservazione diretta. Utile per stelle vicine (meno di 500 anni luce) e per pianeti in orbita non troppo ravvicinata. La visualizzazione si basa sull'oscuramento della luce stellare così da visualizzare la luce riflessa (e in parte anche quella emessa) dai pianeti. 
  • L'insieme dei dati ottenuti, incrociati dove possibile tra loro, permette di creare un modello ottimale, vale a dire il modello con il maggior numero di osservazioni coerenti e nessun dato "negatore".
Un esempio "semplice" delle informazioni che l'insieme di questi dati fornisce è quella che permette di distinguere un pianeta roccioso come Marte da uno gassoso come Giove. Quando un pianeta supera certi valori dimensionali, e di massa, il pianeta "deve" essere gassoso. La distanza del pianeta dalla stella fornisce poi altri elementi e i risultati non sono sempre prevedibili. Fino a pochissimi anni fa la predizione dei sistemi planetari era viziata da una visione solar-centrica per cui i pianeti rocciosi dovevano essere interni e quelli gassosi esterni. Oggi, dopo avere scoperto molti pianeti definiti come Hot Jupiter, cioè giganti come Giove ma siti in un'orbita interna a quella di Mercurio, sappiamo che il modello del sistema solare è solo uno dei tanti possibili. Alcuni di questi pianeti sono talmente vicini da avere periodo orbitale e periodo rotazionale coincidenti (come avviene per i satelliti geostazionari) con la conseguenza che un lato è perennemente esposto e l'altro sempre al buio; una caratteristica in grado di generare differenze di temperatura fino a 400 gradi e perturbazioni atmosferiche altrettanto estreme. 
Per chi volesse saperne di più sulle tecniche in uso rimando a siti "facili" come (link associati al nome) lo Smithsonianl'università del Colorado, l'articolo "Exoplanet Detection Techniques" oppure la consigliatissima pagina della NASA)




Alzheimer, una malattia autoimmune?

Una nuova teoria ipotizza che il morbo di Alzheimer (da qui in poi AD) sia in realtà una malattia autoimmune.

Un "terremoto" concettuale che è diretta conseguenza di movimenti tellurici nel campo dopo che lo scorso luglio uno studio pubblicato sulla rivista Science (vedi qui il mio articolo dedicato) solleva seri dubbi sulla affidabilità (leggasi dati falsificati) dello studio seminale dell'ipotesi amiloide, pubblicato nel 2006 sulla rivista Nature.
Una rivelazione che segue un aspro dibattito nato l'anno scorso quando la FDA approvò il farmaco (un anticorpo monoclonal) aducanumab, specifico per la beta-amiloide pur con dati incompleti e contraddittori.
 Image is in the public domain
L'ipotesi amiloide ha influenzato per anni i progetti di ricerca finalizzati a sviluppare terapie contro la malattia, cercando di prevenire la formazione dei "grumi" di amiloide nel cervello. Purtroppo (e ora si può aggiunge, prevedibilmente) questi sforzi sono stati vani. 

La necessità di pensare "fuori dagli schemi" su come prevenire una malattia chiave, dato l'invecchiamento della popolazione mondiale, sta producendo qualche novità. 
Tra le ipotesi formulate c'è quella che vede l'AD come una malattia che nasce nei mitocondri, il risultato finale di una infezione cerebrale causata da batteri del cavo orale o ancora da un anomalo accumulo di metalli come zinco, rame e ferro all'interno del cervello

La nuova ipotesi autoimmune viene da un team di ricerca di Toronto, giunto a questa conclusione forte dei suoi 30 anni di ricerca sulla malattia.
Come accade in altre parti del corpo, il sistema immunitario è in prima linea nel favorire il processo di guarigione successivo a traumi o nel combattere una infezione sebbene questa azione possa produrre effetti indesiderati indotti dai danni causati dall'infiammazione sui tessuti sani.
I ricercatori canadesi ritengono che la proteina beta-amiloide non sia in realtà una proteina anomala (come può essere la proteina prionica alterata) ma un componente chiave del sistema immunitario cerebrale; in seguito ad un trauma o ad una infezione batterica questa proteina avrebbe infatti un effetto protettivo. Ma la sua stessa azione potrebbe innescare dei problemi a lungo termine dovuto al fuoco amico indotto dalla somiglianza tra le molecole lipidiche  della membrana batterica e di quella delle cellule cerebrali. Il fuoco amico provoca una perdita cronica e progressiva della funzione delle cellule cerebrali, che culmina nella demenza quando i danni superano la pur alta capacità compensativa data dalla plasticità cerebrale (questa la ragione per cui quando compaiono i sintomi delle malattie neurodegenerative il danno è oramai talmente elevato da non potere essere curato).
Nota. Tali effetti collaterali sul lungo periodo non sono una anomalia di un sistema di difesa "progettato" male. L'obiettivo principale dei sistemi di difesa e riparazione (su cui la selezione naturale agisce) è fornire protezione e sollievo sul breve termine in modo da permettere all'organismo di raggiungere o rimanere più a lungo nella fase riproduttiva della sua vita cioè l'unica fase su cui la fitness genetica amica. Quello che accade sul lungo periodo non ha rilevanza perché non può essere selezionato, specie età avanzate che sono una prerogativa storicamente molto recente.
Se quindi si cambia prospettiva e si considera l'AD come il risultato di un attacco autodiretto del sistema immunitario (come ad esempio l'artrite reumatoide) ecco che allora cambia il tipo di approccio per prevenire (ripeto "prevenire" non "curare") la malattia usando terapie come quelle a base di steroidi ma diverse perché il cervello è un organo del tutto particolare.
I prossimi anni ci diranno se e quanto questo nuovo pensiero ci porterà da qualche parte


Fonte
β-Amyloid is an Immunopeptide and Alzheimer’s is an Autoimmune Disease

- Alzheimer’s Might Not Be Primarily a Brain Disease: A New Theory Suggests It’s an Autoimmune Condition
 Donald F. Weaver ("The Conversation")

I pomodori viola. Oltre il colore c'è di più

I prodotti geneticamente modificati esistono da sempre come ho descritto in un precedente articolo sugli OGM. La vera differenza è che se prima si procedeva attraverso incroci selettivi e selezione fino ad arrivare ad un prodotto non esistente in natura fino a farlo diventare l’unica forma oggi disponibile (ad esempio le carote arancioni o il pomodoro delle dimensioni attuali), le tecniche attuali permettono di modificare ad hoc il genoma della pianta bersaglio e procedere in tempi molto più brevi all’analisi delle proprietà del prodotto ottenuto.
Ricordo per inciso che c’è una differenza sostanziale tra organismi in cui è stato inserito uno o più geni da altri specie (necessaria autorizzazione prima della messa in commercio) rispetto agli organismi in cui sono state modificate le istruzioni genetiche preesistenti (nessuna autorizzazione necessaria in quanto totalmente equivalenti al risultato di incroci selettivi).
Lo scopo di tali modifiche genetiche è molto vario e va dalla creazione di specie naturalmente resistenti ai parassiti o alla siccità, fino a varietà che producono nutrienti (ad es. vitamine) assenti nella specie originale (vedi la banana che previene la cecità nei bambini a rischio o il riso modificato per produrre sostanze nutrienti di cui è povero).
Image Credit: norfolkplantsciences

Tra i nuovi arrivati nel novero di specie vegetali “migliorate” abbiamo i pomodori viola, il cui colore non è un vezzo cromatico ma indica la presenza di alti livelli (fino a 10 volte il normale) di antiossidanti. A tale risultato si è giunti inserendo due geni presi dalla pianta bocca di leone.
Gli antiossidanti sopra menzionati appartengono al gruppo degli antociani, comuni in molti alimenti vegetali di colore violetto, azzurro o rosso. Gli antociani sono pigmenti vegetali idrosolubili, presenti sia in frutti ( come frutti di bosco, uva rossa, melanzane e ciliegie) che nei fiori.
Gli antiossidanti giocano un ruolo importante nella prevenzione di malattie “da usura” (l’invecchiamento) termine che deriva dall'azione di molecole ossidanti generate come prodotto collaterale della respirazione cellulare. Neutralizzare queste molecole è un compito a cui tutte le cellule si dedicano mediante sistemi enzimatici detossificanti ma che viene via via meno con l’età; una perdita di funzionalità che a sua volta ingenera un circolo vizioso di aumento danni ossidativi. Gli antociani sono anche dotati di proprietà antinfiammatorie.
Da qui l’importanza nell’alimentazione di prodotti che contengono antiossidanti (ma è vero anche che non bisogna abusare perché l’ossidazione serve ….).
Test condotti sui topi alimentati con questa nuova varietà di pomodori hanno mostrato un incremento dell’aspettativa di vita del 30%.

Come scritto in apertura, le piante modificate geneticamente per inserzione di geni esogeni necessitano dell’autorizzazione da parte degli enti regolatori per valutare in primis il rischio ambientale e (se usati come integratori) della produzione di dati di sicurezza ed efficacia. I dati “ecologici” sono stati ritenuti sufficienti dalla USDA (Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti) che ha dato semaforo verde per la coltivazione in USA.

Come integratori gli antociani sono noti per essere ben tollerati dalla maggior parte delle persone e non presentano rischi di effetti collaterali (chiaramente a dosaggi “sensati” vedi il caso dell'integratore a base di riso rosso).

La pianta è stata prodotta dalla britannica Norwich Plant Sciences, su cui lavora da più di un decennio (le prime notizie di queste modifiche risalgono ad un articolo pubblicato su Nature nel 2008). Paradossalmente l’autorizzazione per la richiesta coltivazione sul suolo inglese non è ancora stata presentata.

Nota storica.
Il pomodoro come oggi lo conosciamo (pur con tutte le varianti esistenti) è ben diverso da quello che cresceva naturalmente nelle Americhe. Il nome stesso ci dice che oltre alle dimensioni (piccole, come delle bacche) anche il colore era diverso ("pomo d’oro", cioè giallo)
Le versioni moderne di pomodoro derivano dalla presenza di alti livelli di licopene che conferiscono la caratteristica colorazione rossa. Su un tema analogo riguardo le mele vi rimando all'articolo dedicato.
Fonte
- http://www.norfolkplantsciences.com

- APHIS Issues First Regulatory Status Review Response: Norfolk Plant Sciences’ Purple Tomato


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