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Stress e perdita di capelli. I topi "spiegano" i dettagli di un legame da tempo cercato

Uno studio condotto sui topi ha dimostrato che l’ormone dello stress inibisce indirettamente l'attivazione delle cellule staminali del follicolo pilifero. Se si blocca il segnale, la crescita dei peli riprende.


Take it easy”, “non stressarti” sono consigli sempre utili, soprattutto dopo le restrizioni alla mobilità a causa della pandemia e alla luce di uno studio condotto sull'effetto collaterale dello stress prodotto sui pazienti con covid-19: circa il 25% ha manifestato episodi di perdita di capelli fino a sei mesi dopo l'inizio dei sintomi.
Tra i possibili fattori scatenanti, uno stress sistemico che in alcuni individui si protrae oltre la fase acuta  con la sindrome del long-Covid.

Che vi sia una correlazione tra stress cronico e perdita di capelli è un dato noto ma finora i tentativi di descrivere il legame meccanicistico tra i due è rimasto avvolto nelle nubi di ipotesi centrate su una qualche disfunzione delle cellule responsabili della rigenerazione del bulbo pilifero (HFSCs, hair-follicle resident epithelial stem cells). 
Nota. Nei paragrafi seguiva non si tratterà della perdita di capelli dovuta all’azione ormonale (in primis l'accumulo di DHT, sottoprodotto enzimatico del testosterone e associato a morte follicoli dei capelli) che attiene a meccanismi del tutto diversi da quelli legati allo stress.
A fare un po’ di luce sul processo arriva ora un articolo appena pubblicato sulla rivista Nature.

Breve introduzione
Nel corso della vita di una persona, la crescita dei capelli attraversa tre fasi: crescita (anagen), degenerazione (catagen) e riposo (telogen):

  • anagen, il follicolo pilifero spinge in fuori il fusto del capello in crescita; 
  • catagen, la crescita dei capelli si arresta e la parte inferiore del follicolo pilifero si restringe, ma il capello rimane al suo posto;
  • telogen, dopo un certo periodo di quescienza il capello si distacca. In condizioni di forte stress (non necessariamente cronico) molti follicoli piliferi entrano prematuramente nel telogen e i capelli cadono.
Ci sarebbe anche una quarta fase, kenogen, successiva alla caduta del pelo in un follicolo ancora vitale rimasto vuoto ma potenzialmente riattivabile, almeno secondo alcuni ricercatori.
Le tre fasi in una breve simulazione video (credit e fonte:Wikimedia Commons)

Le cellule staminali del follicolo pilifero (HFSC) svolgono un ruolo cruciale nel regolare la crescita dei capelli mediando segnali interni ed esterni. 
Particolare di una vecchia illustrazione su bulbo pilifero, nicchia cellule staminali e papilla dermica
(image credit: G. Cotsarelis et al. JCI)
Dettaglio aggiornato della precedente
(credit: Nature)



Se durante il telogen, le HFSC restano quiescienti (non si dividono), quando si passa in anagen le HFSC iniziano a dividersi formando le cosiddette cellule progenitrici (cellule più differenziate di quelle staminali) che attraverso un complicato processo differenziativo daranno origine prima a vari strati del follicolo pilifero e infine al fusto del capello.

Negli anni trascorsi dalla scoperta delle HFSC, sono state identificate molte molecole regolatrici (fattori di trascrizione e proteine ​​di segnalazione prodotte da queste e dalle cellule circostanti) che controllano la quiescenza e l'attivazione delle cellule. Manca ancora il "come" eventi sistemici (stress) influenzino l'attività delle HFSC.

Su questa lacuna conoscitiva si sono concentrati gli autori dello studio.

Punto iniziale è stato testare il ruolo delle ghiandole surrenali, responsabili della produzione degli ormoni dello stress, nella regolazione della crescita dei capelli. A tale scopo hanno rimosse chirurgicamente queste ghiandole in alcuni topi (chiamati ora ADX), monitorando poi eventuali alterazioni nella crescita dei peli. 
Nota. Alcuni topi sono propensi alla "calvizie" (-->Oh no, my mice are balding!)
Prima osservazione, la fase telogen era molto più breve (20 giorni vs. 80) rispetto ai topi di controllo e i follicoli avevano una spessore tre volte maggiore. 
Seconda osservazione, questa crescita poteva essere soppressa (ripristinando il normale ciclo pilifero) alimentando i topi ADX con corticosterone (l’ormone dello stress prodotto dalle ghiandole surrenali). 
Terza osservazione, sottoponendo i topi normali a vari livelli di stress (lieve), sempre in modo inatteso ma su un periodo di 9 settimane, si osservava sia un aumento del livello di corticosterone che una ridotta crescita dei peli. Dato che supportava l’idea dell'effetto negativo del corticosterone sulla crescita dei peli.

Servivano però ulteriori dati per disvelare il funzionamento.
Il corticosterone agisce interagendo con una proteina cellulare nota come recettore dei glucocorticoidi. Il coinvolgimento del recettore nell'effetto sui peli è stato verificato eliminando geneticamente la produzione dello stesso nelle cellule prossimali al follicolo, come ad esempio quelle della papilla dermica.
La delezione del recettore bloccava l’effetto del corticosterone dimostrando così la causalità.
Dato ancora più importante che l'effetto si notava solo agendo sulle cellule della papilla dermica ma non sulle HFSC. Ciò suggerisce che le HFSC, pur giocando un ruolo chiave, non sono il bersaglio primario dell’ormone dello stress.

Domanda ovvia: come fanno le papille dermiche a trasmettere il segnale stressogeno alle HFSC?
Per rispondere i ricercatori dovevano identificare il messaggero; studio compiuto analizzando il profilo di espressione genica (mRNA) delle papille dermiche in varie condizioni (ingegnerizzate o meno, con o senza stimolo stressogeno).
Da questa analisi hanno identificato il "candidato" a messaggero per l'arresto della crescita dei peli, nella proteina secreta GAS6 ( growth arrest-specific 6), il cui gene viene spento dal corticosterone. Ipotesi messa alla prova fornendo il gene GAS6 (mediante vettore virale) nella pelle di topi normali esposti allo stress: i topi non manifestavano più la perdita di peli.
Dettaglio sperimentale 
(credit: Nature)

A completare il quadro, l'evidenza che nelle cellule HFSC è la proteina AXL a fungere da recettore per GAS6 e come tale è il tramite del segnale di divisione cellulare.
L'effetto di GAS6 sull'espressione dei geni a valle (nelle cellule HFSC) delinea un meccanismo finora imprevisto in quanto avviene senza interferire con fattori di trascrizione o pathway classici. 
Riassumendo, i dati raccolti mostrano che la produzione di corticosterone porta allo spegnimento del gene GAS6 nelle papille dermiche (importante per indurre le HFSC a dividersi) e che l'espressione forzata di GAS6 nel derma può svicolare dall'effetto inibitorio dello stress cronico sul bulbo pilifero.
Risultati che nel complesso forniscono una base teorica per ipotizzare (con i dubbi teorici sotto descritti) nuovi trattamenti contro la caduta dei capelli causata da stress cronico.

Forse, un giorno, sarà possibile combattere almeno l'impatto negativo dello stress cronico sui nostri capelli - aggiungendo un po 'di GAS6

Attenzione però.
Questi dati sono riferiti ad animali e bisognerà ora confermare che il sistema sia equivalente.
Prima di tutto perché il confronto è tra peli (corpo, animali) e capelli (testa, umani) e secondo perché sebbene il corticosterone sia considerato l’equivalente murino del cortisolo umano in ambito stress, non ci sono certezze che il meccanismo di azione sia identico; in subordine bisognerà verificare il coinvolgimento di GAS6 umano.
Altro elemento importante da chiarire è che la durata delle fasi del ciclo dei capelli è diversa nei topi e negli esseri umani. Nei topi adulti, la maggior parte dei follicoli piliferi è in fase telogen in ogni dato momento, mentre negli umani solo il 10% dei follicoli piliferi è in questa fase. Non a caso nel loro esperimento gli autori non hanno considerato la fase anagen (del tutto minoritaria nei topi) ma che nel cuoio capelluto umano rappresenta lo stato in cui si trova il 90% dei follicoli.
Sarà interessante verificare se lo stress cronico può "spingere" i follicoli piliferi umani dallo stato anagen a telogen o se invece, come nei topi, agisce prolungando il telogen. Altro elemento da verificare è se oltre ad agire sulla durata del telogen, lo stress agisca direttamente sull'ancoraggio dei follicoli piliferi 
C'è poi un problema potenziale da valutare bene.
Negli umani (data la vita molto più lunga di quella murina) l’invecchiamento della pelle porta con sé un accumulo di mutazioni nelle cellule progenitrici, comprese mutazioni pre-tumorali; vero che nella stragrande maggioranza dei casi questo non si traduce in tumore dati i sistemi di controllo (senescenza ed eliminazione delle cellule). Sarà quindi importante capire se l’espressione forza di GAS6 (che attiva la proliferazione cellulare di queste cellule) non si traduca in una inattesa liberazione del potenziale "mutante" di queste cellule.
Meglio senza senza capelli o glabri che con rischio aumentato di tumore della pelle a causa di un trattamento anti-calvizie. 


Commento a margine. Un articolo pubblicato la settimana scorsa su Journal of Neurosciences, smonta la correlazione tra stress e la perdita di controllo tipica di alcuni disturbi alimentari.

Fonte
- Corticosterone inhibits GAS6 to govern hair follicle stem-cell quiescence
Sekyu Choi et al. (2021) Nature, v. 592, pp. 428–432


Multinazionali, globalizzazione e agenda politica

Le multinazionali sono il soggetto che ha guadagnato di più con la globalizzazione ... alla faccia di quello che propagandano i giornali "globalisti" (neologismo scelto in contrasto ai sostantivi populisti" o "sovranisti", inflazionati e usati quasi sempre a sproposito e con secondi fini)

Durante i lunghi viaggi in aereo c'è chi guarda un film, chi lavora, chi chiacchiera ammorbando i vicini e chi coglie l'attimo per leggere libri lasciati sul comodino troppo a lungo.
Di uno di questi libri ne scrivo oggi sia perché voglio fissare alcune delle informazioni catturate in questo agile libello, sia perché la ricerca scientifica è da sempre globale, oggettivamente, e allo stesso tempo locale. Globale per la diffusione delle idee e la collaborazione internazionale tra ricercatori, locale perché è indubbio che senza recinti protetti entro cui "allevare" e formare i propri ricercatori senza che vengano travolti da una competizione impossibile per la ricerca fondi, i centri di ricerca nazionali si tramuterebbero in dependance di multinazionali della ricerca che delocalizzerebbero sempre e solo dove più conveniente e con i ricercatori più "flessibili", oppure diventerebbero meri luoghi di insegnamento per chi vorrà poi andarsene.

Torniamo al libro.
Le multinazionali sono il soggetto che ha guadagnato di più con la globalizzazione in termini economici, di mercati e di libertà di azione. Hanno sempre esercitato un potere, questo è indubbio, ma probabilmente mai come oggi questo potere è indipendente dai governi degli stati di origine.
In questo inizio secolo in cui è cambiato il rapporto tra l’Est e l’Ovest e il Nord e il Sud (il 2001 è la data cruciale con l'entrata della Cina nel WTO, alias il dumping fatto a sistema) le multinazionali non solo sono cresciute, sono cambiate. Da multinazionali con una bandiera (americana, inglese, tedesca) sono diventate transnazionali e quella bandiera si è scolorita. Avendo interessi globali, sempre meno sono disposte a veder influenzare i loro affari dalle posizioni dei governi del Paese natio. La potenza economica le ha rese poteri a sé stanti, protagonisti della politica internazionale alla pari degli Stati. Non sono più rappresentate dalle associazioni di categoria, non sono più campioni nazionali, non sono più allineate e sempre meno possono essere neutrali. Hanno proprie agende di politica internazionale, che il moltiplicarsi dei rischi e dei protagonisti rende assai complesse.
Image credit: Jonathan McIntosh via wikipedia
Quando una azienda ha la capacità di decidere la politica di uno stato e condizionare l'opinione pubblica attraverso sempre disponibili PR nei media, si passa in una nuova era. Forse i tanti film distopici sulle mega-Corp del futuro non erano così fantasiosi. 

I due autori non scrivono per demonizzare il fenomeno ma al contrario spiegano (e il risultato è in un certo senso inquietante) perché le multinazionali sono arrivate a dovere agire attivamente per dettare la politica nazionale. Creare un ecosistema adatto alle proprie esigenze è fisiologico per queste aziende. E i due autori lo sanno bene: Vittorio Cino è direttore "Comunicazione e Relazioni Istituzionali" di Coca-Cola Italia; Andrea Fontana è un sociologo della comunicazione interessato al fenomeno dei brand. Del resto se guardate alcuni spot recenti della Coca-Cola vedrete bene quanti siano i sottintesi messaggi politici mentre, apparentemente, pubblicizzano una bibita.
maggiori info  --> Amazon
Se in occidente si è passati da brand nazionali (con un epicentro ben evidente) a entità che pongono sedi in paradisi fiscali e delocalizzano la produzione in paesi a basso costo, creando così una frattura epocale con il vecchio "epicentro" (il paese di origine) e lavorando per se stesse (fenomeno in parte rientrato dopo le minacce fiscali di Trump) dall'altra parte del mondo (Cina) il fenomeno segue una propria strada: aziende in tutto e per tutto cinesi (e con forte controllo governativo) che operano su scala globale in modo aggressivo ma con interessi nazionali. 
Nota. Un dato poco noto è che qualunque azienda che voglia operare (come produzione o distribuzione) in Cina è obbligata alla condivisione del proprio know-how. Un mercato a porte stagne e a drenaggio costante di informazioni che spiega perché molte aziende "piccole" siano passate in fretta dall'euforia del produrre a basso costo al vedersi scalzate dal mercato da nuovi competitori "protetti" protetti dalle leggi locali.
Il panorama più realistico per l'immediato futuro è che l'Europa diventi un semplice mercato di conquista di multinazionali che lavorano per sé stesse o per il governo cinese e che avranno ogni interesse ad abbattere ogni barriera che limiti la penetrazione del mercato. Per farlo foraggeranno politici e giornalisti con la diffusione di mantra "globalista". Del resto basta osservare il fenomeno Starbucks a Milano per capire il potere persuasivo sui consumatori e politici cittadini di una azienda che ha senso in USA e in altri paesi ma è di fatto incomprensibile nel "paese dell'espresso".

***

Se pensate che il meglio possa emergere senza protezioni, guardate cosa è successo al campionato italiano di calcio o di basket, dove meno del 3% di chi gioca nella Primavera calcherà i campi di Serie A. E non perché non adatti ma perché vengono loro preferiti giocatori di altro appeal, impedendo al giovane di giocare e quindi di "crescere". Passando dallo sport alla scienza, se fino alla fine del secolo avevamo in Italia molte Pharma, oggi siamo nel deserto assoluto. Alcuni potrebbero consolarsi pensando alle "riserve naturali" che vanno sotto il nome di CNR e università dove si è avverato il miracolo di potere disporre di doti divinatorie riuscendo ad indovinare il futuro dei concorsi ... semplicemente guardando il cognome dei partecipanti", Entrambi i sistemi (nessuna regola e protezione totale) sono degenerazioni che portano frutti solo alle solite minoranze di "chi conosce". 

Terremoti e altre catastrofi. Se vivi in Italia preferisci affidarti ai santi.

Una frase quanto mai profetica scritta in un editoriale del National Geographic quasi 10 anni fa da uno sconsolato responsabile della sicurezza

La Terra è (fortunatamente) un pianeta dinamico e come tale permane in un perenne stato di precario equilibrio fintanto che le forze accumulatesi nel sottosuolo, raggiunti livelli critici, si scaricano tornando così ad un nuovo stato di equilibrio. Ho scritto "fortunatamente" perché in assenza di tale dinamismo tettonico la Terra sarebbe verosimilmente un ambiente non compatibile con la vita in quanto non solo priva di un campo magnetico (scudo essenziale dai raggi solari) ma incapace di fare circolare il "materiale" (ivi compreso il gas che ha permesso la nascita dell'atmosfera e tutti gli elementi chimici che ci costituiscono) dagli strati interni alla superficie e viceversa.
Questo non minimizza in nulla le tragedie umane che scaturiscono da questi movimenti naturali ma i terremoti in un certo senso sono più "benigni" di altri eventi come eruzioni e tsunami in quanto i primi (da soli) non provocano morti e feriti. La stragrande maggioranza delle tragedie associate ad un terremoto "sulla terraferma" (per distinguerlo da quelli che causano gli tsunami) sono quasi sempre riconducibili al crollo di manufatti umani (edifici, ponti, ...).
Non è il terremoto ad ucciderti ma la casa in cui ti trovi che crolla. Se contiamo il numero di feriti causati dagli effetti di un terremoto in campo aperto (frana, albero caduto, fenditura apertasi sotto i nostri piedi, ...) è evidente quanto tali eventi siano meno che rari; di conseguenza si può e si deve agire nella prevenzione agendo direttamente su cosa e come costruiamo (vedi Giappone).
Se il terremoto è una calamità i cui effetti sono sugli edifici sono "controllabili", ben maggiore è il rischio associato ad eventi come uragani, maremoti o eruzioni vulcaniche specie se si ha la sfortuna di abitare nella zona a rischio; la storia di Pompei è nota a tutti ma vi consiglio di approfondire anche quanto avvenuto nel 1980 in USA con il vulcano Sant'Elena (--> link) o nel 1883 nell'isola Krakatoa  (--> link).

Mi riallaccio a Pompei e al tema attuale "responsabilità umane e gestione rischio vulcanico", per riproporre qui un articolo apparso su National Geographic nel 2007, scritto dal generale Fabio Mini, all'epoca responsabile dell'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, quindi la persona a cui viene demandato il compito (o meglio su cui si scaricano le responsabilità) di allestire i piani di emergenza.
Prevenzione obbligatoria a qualunque età in Giappone
L'articolo lanciava l'allarme sulla tendenza italica al fatalismo, ad una certa insofferenza della popolazione verso ogni forma di prevenzione e al preferire la comodità della Divina Provvidenza (attraverso l'intercessione di San Gennaro).
A distanza di 10 anni dal grido di allarme sappiamo bene che nulla è stato fatto e possiamo solo immaginare le testate contro il muro che i responsabili hanno sperimentato ogni qual volta cercavano di implementare un piano di sicurezza adeguato (come lo sgombero di alcune aree per creare vie di fuga in un'area ad alta densità abitativa).

Mai avuto dubbi che noi italiani non siamo giapponesi o californiani in quanto ad attitudine alla prevenzione e senso civico, ma forse da oggi bisognerà veramente accendere una candela a San Gennaro per scongiurare quello che di fatto è inevitabile (tra uno, dieci o cento anni).

Il rischio Vesuvio e San Gennaro (Nat. Geo. novembre 2007)
"Se oggi si ha la sensazione che in caso di eruzione del Vesuvio non ci sia molta speranza di scampo è perché, oltre alla fragilità del sistema locale ancora confuso e sconnesso, non si percepisce l'inserimento della dimensione locale dell'emergenza in un quadro d'interventi quanto meno interregionale. Sono necessarie vie di fuga che sbocchino in aree libere e non in aree già congestionate, e tutta l'area napoletana con i suoi tre milioni di persone è di per sé altamente congestionata. Gli interventi di alleggerimento e razionalizzazione del traffico devono arrivare fino ai nodi di Roma, Bari e Reggio Calabria. Oggi si va sul Vesuvio pensando soltanto ad arrivarci in qualsiasi modo. E più il modo è pittoresco e caotico più sollecita la fantasia e il divertimento. Ci sono perciò mille vie e modi per arrivare sul Vesuvio e visitare i paesi dell'intera zona, ma nemmeno uno di essi è adeguato a lasciarli in caso di emergenza. E non c'è dubbio che in caso d'eruzione, l'unico modo per essere salvi è semplicemente quello di non essere lì quando succede. La capacità tecnica di rilevare e interpretare i segni premonitori di un'eruzione ha aumentato il tempo di preavviso: il problema irrisolto riguarda cosa fare durante questo tempo. Molti sperano che non ci sia affatto tempo e quindi non siano costretti a decidere; altri pensano d'impiegare tale tempo discutendo o confutando i termini dei preavvisi. Se viene dato l'allarme e vengono avviate le procedure di evacuazione e poi non succede nulla si è tacciati di allarmismo e si può perfino essere perseguiti penalmente [NdB. una frase premonitrice di quanto avvenuto a l'Aquila nel 2009]: nella migliore delle ipotesi si viene ridicolizzati e presi per fessi. Se non si fa nulla e succede qualcosa si diventa responsabili della morte di migliaia di persone e si è criminali, ma non fessi. A Napoli, dove ho vissuto per qualche anno, ho sentito spesso dire che un cero a san Gennaro fa risparmiare soldi ed evita i disagi e il ridicolo di eventuali falsi allarmi. Si dice anche che le autorità sanno cosa è meglio fare e che la scienza offre nuove possibilità. Autorità e Scienza sarebbero altri San Gennaro ai quali offrire ceri senza passare per fessi e senza darsi la pena di organizzare, addestrare, pianificare e razionalizzare il territorio. Purtroppo, in Italia, e solo in Italia, essere criminali è più onorevole che essere presi per fessi".
Generale FABIO MINI

Il cibo biologico vale il prezzo pagato?

 Ritorno su un tema già trattato in passato, cioè quanto l'etichetta "biologico" associata al cibo sia un una bandiera qualitativa o una moda spesso priva di sostanza che viene fatta pagare salata al consumatore. Del resto il fenomeno è tutto intorno a noi e, talvolta, va a braccetto con altre mode salutiste come la ricerca del cibo senza glutine (che a cascata provoca danni alimentari - solo i celiaci hanno la necessità di evitare il glutine - ed economici, a causa dell'aumento dei prezzi).
(articolo precedente sul tema --> "cibo biologico, imparare a leggere dall'etichetta")
Rimanendo sul tema del biologico, riporto di seguito il contenuto - accorciato ed adattato per un pubblico italiano - di un articolo pubblicato pochi giorni fa sul Los Angeles Times a firma di David Lazarus. Eccone un estratto:
(...) Di fianco a tanti consumatori che si fanno tentare dall'etichetta "Bio", molti altri cominciano a chiedersi se il mark-up [il costo aggiuntivo rispetto al prezzo base. NdB] di questi prodotti sia ragionevole rispetto alle loro caratteristiche reali. Secondo alcuni recenti sondaggi solo il 40% degli appartenenti alla 'generazione-X' [NdB i quarantenni di oggi] afferma di credere che un prodotto venduto come Bio- sia veramente tale e il 50% ritiene che tale etichetta serva soltanto come scusa per vendere il prodotto (...). La domanda chiave che tutti si pongono è se veramente l'etichetta Bio- sia sinonimo di un prodotto migliore da un punto di vista nutrizionale, un indice di un minore impatto ambientale (e se si quanto) o nessuno dei due. I numeri indicano chiaramente che l'unica cosa certa è il prezzo: in media un prodotto Bio- costa il 47% in più (con punte che arrivano al 300%).In linea generale i consumatori si aspettano che i prodotti Bio- siano a basso impatto ambientale, non trattati con pesticidi o antibiotici. La maggior parte degli acquirenti ritiene che il mark-up sia legato alla più difficile produzione (o alla minore resa).
[NdB. Nessuno vede il controsenso tra la necessità attuale di ottimizzare la produzione in modo da minimizzare l'impatto sull'ambiente e invece usare poco e male la terra favorendo così la ricerca di nuove aree coltivabili, che spesso equivale a disboscare?] 
E se invece il maggior prezzo non fosse altro che il risultato di una banalissima legge di mercato, dove un prodotto scarso e una domanda in crescita genera in automatico un aumento dei prezzi, che solo marginalmente hanno quindi a che vedere con le difficoltà produttive? Aggiungiamo a questo elemento un altro punto chiave ben noto a chi si occupa di psicologia dei consumi, cioè il traino intrinsecamente associato ai prodotti "ad alto valore etico" motivato dalla consapevolezza di avere pagato qualcosa in più per agire in prima persona nel miglioramento. La domanda importante è allora capire se veramente questo surplus di spesa si traduce in un miglioramento per l'acquirente o solo per chi vende. Uno studio della Mayo Clinic suggerisce che sembra vera solo la seconda ipotesi: non ci sono differenze sostanziali da un punto di vista nutritivo tra Bio e convenzionale". 
(...) da un punto di vista normativo le leggi USA affermano che un prodotto agricolo può essere chiamato biologico (NdB. 'Organic' nella versione originale) solo se non sono stati utilizzati pesticidi, prodotti di sintesi o organismi geneticamente modificati. Nel caso di un prodotto animale, questo deve essere stato allevato in ambiente naturale, nutrito con cibo al 100% biologico e mai trattato con ormoni o antibiotici. Il discorso si complica un poco quando si parla di cibo confezionato: se l'etichetta dice "100%-organic" allora vale il discorso di cui sopra per gli ingredienti; se  l'etichetta dice solo "biologico", allora il 5% del prodotto può non essere tale; una etichetta che dice che il prodotto è "fatto con ingredienti organic", indica che almeno il 70% degli ingredienti è tale. Quando si arriva a etichette come "cibo naturale" allora si entra nella nebbia totale perché non c'è alcuna norma in merito. Ad esempio lo zucchero è naturale ma da qui a dire che il suo consumo sia salutare ce ne corre... .
Altro interessante articolo
su Time del 2010
 (...) Liz Applegate, direttrice del dipartimento di nutrizione sportiva alla università di California a Davis è salomonica: "per quanto riguarda gli alimenti biologici il mio consiglio è di comprare biologico quando il prezzo è abbordabile. Il che è un discorso che può avere senso per un utente singolo ma non per una famiglia, dove l'aggravio di costo sarebbe poco ragionevole. Molto più intelligente è mangiare molta più frutta e verdura classica, dopo averla pulita adeguatamente. Questo da solo avrà un impatto positivo sia sulla nostra salute che sulla sostenibilità ambientale".

 ****
Sullo "scandalo dei prezzi"gonfiati dai rivenditori consiglio la lettura di un recente articolo pubblicato sull'Huffington Post "Whole Foods Co-CEOs Admit To Overcharging Customers".

(articolo precedente sul tema --> "Mangiare organico non abbassa il rischio cancro" )

Satira, Scienza e Charlie. Diversi ma profondamente interconnessi

Colgo lo spunto del bell'editoriale apparso su Nature pochi giorni fa, dopo i folli (ancor più che tragici) avvenimenti di Parigi, per l'articolo odierno. Dato che sottoscrivo in toto quanto scritto, quello che ho fatto è stato di mantenere l'architrave logico dell'articolo di riferimento cambiandolo solo quel tanto che basta per essere in linea con gli argomenti di cui spesso tratto (ad esempio la stigmatizzazione di decisioni ed atti che vanno contro ogni logica scientifica).
Ovviamente il credito va all'estensore dell'articolo originale

**********


Gli attacchi terroristici a Parigi sono un attacco ai valori fondamentali delle società libere e democratiche. Ricercatori e umoristi, devono combattere l'oscurantismo, ovunque.

François-Jean Lefebvre de La Barre
(©wikipedia)
Jean-François Lefebvre è noto suo malgrado per essere stata l'ultima persona condannata a morte in Francia per blasfemia. Era il 1766 e nessuno poteva allora immaginare la rivoluzione che sarebbe seguita pochi decenni dopo. Il suo crimine? Essersi rifiutato di togliersi il cappello al passaggio di una processione religiosa.
"Ultima" vittima fino al gennaio 2015, anche se a dire il vero bisognerebbe annoverare tra i caduti, limitandosi a quelli dell'Europa che nasce dalla tradizione illuminista, i traduttori dei Versetti Satanici (che accusare di blasfemia è tutto fuorché vero o sensato).
La Francia del XVIII secolo è stata una delle prime nazioni a ribellarsi contro la tirannia fondata o anche solo "legittimata" dalla religione, spesso strumento di chi perseguiva i propri fini.
Attenzione però a non cadere nel tranello di chi vuole farvi credere che gli atti criminali compiuti in nome della religione sono solo il frutto di elementi deviati che non capiscono i dettami pacifici della religione. Il germe dell'intolleranza è intrinsecamente legato ad ogni credo monoteista. Altrimenti, per definizione, non sarebbero chiamate religioni monoteiste.
Due sono gli elementi che spiegano la potenziale deriva violenta anche nella più pacifica delle religioni: da una parte il non sanzionamento di chi, credente, decide di imporre le proprie idee al resto del "creato"; in secondo luogo l'importanza della maturità intellettuale dei teologi, strumento cardine per filtrare concetti formulati nel migliore dei casi 1000 anni fa.
Un problema che in occidente pensavamo di esserci lasciati alle spalle o di averlo ristretto alla sfera privata.
Ma non è così.
La tirannia religiosa e politica (troppo spesso intrinsecamente legate) ha sempre soffocato il libero pensiero in tutte le sue manifestazioni, dall'arte alla scienza. La nostra eredità culturale, di cui dobbiamo essere fieri, è fondata sui valori dell'illuminismo che a loro volta indissolubilmente legati alla satira.
Chi fa distinguo evidentemente non ha mai visto le vignette che circolavano nell'età dei lumi e ignora l'impatto dirompente sull'aristocrazia e apparato religioso dell'epoca. Senza andare troppo a scavare, andate a rileggervi i libelli di Jonathan Swift e sobbalzerete quando vi accorgerete che a scrivere quei caustici pamphlet satirici era si un canonico ... ma prima di tutto uno spirito libero.
Proprio la difesa di questa eredità culturale è la ragione che ha spinto milioni di persone a marciare in segno di risposta alla strage di settimana scorsa. I terroristi che hanno ucciso 17 persone, tra cui 8 lavoratori del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, erano profondamente convinti di agire in nome di una religione, in quanto tale unica portatrice di verità e di giustizia. Tutto il contrario. Questi hanno agito solo come strumenti di un oscurantismo che come tale soffoca la libertà in primis e le Ars a seguire (scienza, arti, ...); non solo nell'area geografica e cultura a cui fanno riferimento ma anche altrove. Ovunque sia.

Gli strumenti che sono stati utilizzati nel XVIII secolo per combattere questa deriva sono valide ancora oggi. La satira e la conoscenza sono gli strumenti per scardinare il potere ammuffito e sono, non a caso, tuttora osteggiati non solo dai tiranni (dichiarati o de facto) ma anche da chi pone dei distinguo e dei limiti dimenticando che satira e scienza, pur concettualmente agli opposti, sono i paladini del libero pensiero.
  • La satira si colloca in un alveo del tutto particolare dove non è il fare informazione il fulcro della sua azione ma la critica al potere o al pensiero dominante (la frase attribuita a Bakunin, un anarchico di fine 800 ne è una degna figlia "La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà"). 
  • La scienza non può esistere se decide di seguire regole altre rispetto al pensare "libero" seppur entro canoni rigorosi come la validazione delle ipotesi. Pensate alla rivoluzione galileiana, a Darwin, a Mendel (tutti devoti ma nello stesso tempo liberi di guardare oltre e di superare le barriere ideologiche) per arrivare alla grande Barbara McClintock dileggiata e presa per matta quando propose l'idea dei trasposoni.
Non è un caso quindi che uno dei membri più importanti del secolo dei Lumi, Voltaire, fosse nel contempo un intellettuale, un attivista, uno schietto e irriverente creatore di opere satiriche a sfondo religioso e uno dei principali esponenti delle scienze naturali, intese come superamento del ragionare di religione e di filosofia come unici mezzi di conoscenza.

L'Illuminismo culminò nella Rivoluzione francese, e nella troppo spessa dimenticata Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789) che in maniera esplicita tutelano la libertà di parola, compreso il diritto di criticare liberamente opinioni religiose indipendentemente dal loro grado di diffusione.

Philippe Val, il precedente editore di Charlie Hebdo, ha spesso paragonato la satira alla scienza, dicendo che entrambe sono strumenti per estrarre la verità dai dogmi. Non si vuole qui fare paragoni impropri. Charlie Hebdo NON è Voltaire ma la frase di Val contiene un punto essenziale: satira, arguzia e anche lo scherno sono (all'interno dei luoghi deputati a tali espressioni) metodi estremamente efficaci per per denunciare che "il Re è nudo" ed evidenziare l'assurdità, l'ipocrisia, l'ingiustizia e l'oppressione di regimi autoritari e dell'oscurantismo religioso.

Indipendentemente dai risultati ottenuti (troppo spesso usati da chi di fatto è favorevole alla satira ma … solo a senso unico), la satira ha svolto un ruolo essenziale anche durante le recenti manifestazioni della cosiddetta Primavera Araba. Stessa cosa dicasi per le le vignette ciclostilate che circolavano all'interno dell'URSS o durante il ventennio fascista in Italia.
La Tunisia, l'unico paese ad avere avuto la forza di respingere al mittente l'offensiva oscurantista ne è un esempio, grazie proprio alla assimilazione dei concetti base della cultura laica e del meglio della tradizione araba e francese per smascherare sia i lupi dichiarati che i molto più pericolosi lupi sotto mentite spoglie di pecorelle.

Che libertà di espressione e di scienza siano strettamente correlate anche ai giorni nostri è ben descritto in un documento scritto studiosi arabi nel 2003 ("Arab Human Development Report"), patrocinato dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, dove si identifica chiaramente nell'autoritarismo e nell'assenza di pensiero libero, il principale ostacolo allo sviluppo sociale e scientifico.
Libertà e scienza lavorano in sinergia per costruire società libere e creative.

Le uccisioni di Parigi travalicano l'evento delittuoso in se (aberrante) e assurgono al ruolo di un gigantesco Post-It che ci ricorda che le libertà conquistate attraverso i secoli non devono mai essere date per scontate ma devono essere difese assiduamente.
La libertà di fare ricerca e, nel caso, di criticare o le scelte del governo (vedi il bando alla ricerca sulle staminali embrionali) sono spesso date per scontate: in moltissimi paesi (anche tra quelli "quasi-europei" che ipocritamente hanno inviato rappresentati alla marcia di Parigi) questo è un fatto per nulla scontato.

L'eredità culturale di Voltaire e dell'Illuminismo spiega perché i francesi hanno reagito molto più massicciamente di quanto hanno fatto altri paesi per episodi parzialmente simili, e la stessa Francia per episodi di anche maggiore violenza del passato. Il punto centrale in questo caso era l'attacco alla libertà di stampa e di espressione che è il nucleo centrale della Francia moderna.

Criticare e prendere in giro è ben diverso da quanto fanno coloro che, sfruttando le maglie della libertà, incitano all'odio religioso o razziale (che è spesso bidirezionale checché ne pensino tante anime belle folgorate sulla via del buonismo).

Non riuscire a capire la differenza tra satira, sberleffo e critica con altre attività come diffamazione o il sempre più in voga negazionismo (prodromici del pensiero unico e intollerante) vuol dire porsi al di fuori dei cardini su cui è fondata la frase "Liberté, Égalité, Fraternité'".
Il vero senso dell'insultare o del provocare azioni di violenza vuol dire andare ad esempio andare in un luogo di culto e imbrattarlo, NON scrivere su un giornale (dedito in modo esplicito al fare satira a 360 gradi) e che per essere letto deve essere acquistato. Chiunque non capisca una differenza così basilare è lo stesso che pretenderà di entrare nella tua camera da letto per capire se siano o meno lecite le posizioni usate e se siano, per chi controlla, da considerarsi offensive e da perseguire.

Non è un caso se le 4 milioni di persone che hanno marciato a Parigi e in Francia sono numericamente molto maggiori di quanti salutarono nel '44 la liberazione della città dal giogo nazista. Chi ha cercato di mettere in dubbio queste conquiste con idee di annichilimento della libertà ha sentito un chiaro "NO" il cui eco ha fatto il giro del mondo. Sappiamo altrettanto bene che basteranno pochi giorni perché comincino a ricomparire coloro che fanno distinguo e che sebbene si dichiarino moderati, perseguono di fatto una logica di controllo di ogni forma di espressione o di campo di studio, a loro insindacabile giudizio, ritenuto "contrario ai canoni della morale".



Articolo di riferimento
- Science and Satire
Nature, 13 January 2015


Estratti da due articoli (da leggere) sul caso Stamina

Rilancio due articoli pubblicati il primo sul Domenicale de IlSole24Ore del 12 gennaio (scritto da Alberto Mantovani, presidente della "Fondazione Humanitas Per La Ricerca") e il secondo da Giuseppe Remuzzi (Istituto Mario Negri)

Primo articolo: "Stamina non si ripeta"
Il titolo è emblematico così come il sottotitolo "ciarlatani contagiosi". Nell'articolo si fa un punto fondamentale, poco sottolineato altrove ma che è fondamentale: la copertura mediatica e gli avalli politici di cui ha goduto Stamina ora e Di Bella prima, hanno trasformato dei semplici venditori di fumo, così come ci sono sempre stati (e sempre ci saranno) in Italia e nel mondo, in un caso tutto italiano dove si pretende di dare una copertura scientifica (cioé attivare uno studio clinico mediante sperimentazione) a qualcosa che scientifico non è.
(© Alberto Mantovani / Il sole 24 ore)
La vicenda Stamina continua ad essere oggetto di cronaca e dibattito (...). Si tratta di una vicenda come altre, che periodicamente si verificano anche al di fuori del nostro Paese  (...).
Ricordo a puro titolo di esempio il cosiddetto "siero Bonifacio", cura del cancro e di tutti i tipi di tumore, proposto da un veterinario di Agropoli, divenuto popolare negli anni '70 e '80. (...) Mai, tuttavia, si era pensato che terapie come questa potessero essere oggetto di interventi giudiziari che ne imponessero l'uso, di decisioni parlamentari che assegnassero fondi alla sperimentazione, di attività di ricerca preclinica e clinica. Con il caso Di Bella e con il caso Stamina, fra loro piuttosto simili per alcune caratteristiche, abbiamo invece assistito ad un cambiamento radicale, con un conseguente grave danno non solo per i pazienti, ma anche per l'immagine internazionale del nostro Paese. 
(...)
Quanto è accaduto è in parte figlio dello scarso investimento in cultura scientifica del nostro Paese: se io, che ho dedicato la mia vita alla ricerca e alla scienza, dichiarassi ai media di essere un calciatore migliore di Pirlo o Messi, non avrei nessun credito. Mutatis mutandis, una dichiarazione simile, senza fondamento di verità, è stata effettuata nei casi Stamina e Di Bella, ma è stata presa per vera.
Ma in questa vicenda ci sono anche pesanti responsabilità scientifiche, giudiziarie, e perfino politiche. Non dimentichiamo, infatti, che la prima base morale della sperimentazione clinica di un nuovo metodo diagnostico e terapeutico nell'uomo è che vi sia una base scientifica solida e trasparente,  (...). Nulla di tutto questo si è verificato nel caso Stamina e Di Bella, e mi chiedo come un Comitato Etico abbia potuto o possa avallare sperimentazioni di questo tipo.
Non solo: nessun Tribunale ha mai stabilito il diritto di un paziente di essere trattato con il siero Bonifacio o altra terapia dello stesso tipo. Oggi è invece accaduto, (...)
Perfino la comunità dei medici e ricercatori - di cui io stesso faccio parte - non è priva di responsabilità. Si è accettato, ad esempio, di portare in clinica il cosiddetto "metodo Di Bella", pur palesemente contraddicendo il principio etico fondamentale della sperimentazione clinica,  (...).

In conclusione, per affrontare il periodico ricorrere di cure miracolose o presunte tali, credo sia fondamentale che mondo medico-scientifico, politico e giudiziario ritrovino una condivisione dei principi fondamentali su cui deve basarsi una sperimentazione clinica per essere autorizzata, per il bene dei pazienti che è la sola bussola che deve orientare tutti noi. (...) nell'interesse e a salvaguardia dei pazienti, cui non possiamo offrire facili illusioni.
(articolo completo sul sito del Sole, qui)

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Il secondo articolo ("Tutte le leggi violate sul caso Vannoni") indica chiaramente tutto quello che non ha funzionato nella catena di controllo e che ha reso possibile il verificarsi di un fatto incredibile: l'attuazione di una pseudo-terapia (priva di qualunque autorizzazione o base documentata) in ospedali pubblici grazie ad un corto circuito tra medici spregiudicati (cha hanno violato il codice deontologico) e magistrati fuori fuoco (per usare un eufemismo). Conseguenza? Si è fatto credere che si trattasse di "cura compassionevole" (prevista dalla attuali normative) mentre in realtà non poteva in alcun modo essere considerata tale.
Questo un estratto (per l'articolo completo, che vi consiglio, vedi pagina del CdS)

(© Giuseppe Remuzzi / Corriere della Sera)
(...) E allora il problema non è Vannoni, non è lui ad aver messo a rischio il nostro Servizio sanitario. Sono tutti quelli che hanno avuto a che fare con Stamina e che hanno violato le leggi del nostro Paese.
Ma andiamo con ordine: Vannoni (non è medico nemmeno lui) un bel giorno dice di saper curare tante malattie con preparazioni che conterrebbero staminali mesenchimali capaci di trasformarsi in neuroni, di più non si sa, è un segreto. Per prescrivere e somministrare quella cura però servono dei medici (...) L’Ordine dei medici a questo punto avrebbe il dovere di intervenire. L’avessero fatto la questione Stamina sarebbe finita. (...) Quell’ospedale però non ha una struttura autorizzata a coltivare le cellule per scopi terapeutici.
E allora? Lo fanno lo stesso violando la legge. A chi glielo fa notare rispondono di essere autorizzati dell’Aifa ma non è vero. Nel maggio 2012 l’Aifa emette un’ordinanza di blocco. Nonostante questo i medici di Brescia vanno avanti come se nulla fosse. Forti anche dell’avallo del Comitato etico che - in contrasto con tutte le leggi in vigore oggi in Italia sulla sperimentazione clinica e perfino con quelle che regolano la stesura del consenso informato - approva. Come se non bastasse, i medici che infondono questi preparati dicono di non sapere cosa infondono (e così violano sia le leggi dello Stato che quelle dell’etica). «E allora perché lo fate?», chiedo un giorno a uno di loro. «Ce lo impongono i giudici». «I giudici? Non spetta a loro stabilire cosa si può fare e cosa no per curare le malattie». «Noi non prescriviamo nulla - dicono i giudici - disponiamo che si dia seguito alla prescrizione di un medico». Benissimo. Ma quello che quel medico prescrive dovrebbe essere «prescrivibile», o no?  (...)
Loro si trincerano dietro la legge Turco, quella delle «cure compassionevoli».
Ma quella legge con Stamina non c’entra. Di fronte a una malattia grave e solo in casi eccezionali, la legge autorizza l’impiego di farmaci o procedure non ancora registrate purché: 1) siano disponibili dati su riviste internazionali che ne attestino la sicurezza; 2) le preparazioni rispettino i requisiti di qualità delle autorità competenti; 3) siano conclusi studi di fase due e avviati quelli di fase tre. Stamina non soddisfa nessuno di questi requisiti (...) 
Così si arriva alla Commissione del ministero che, a regola, non servirebbe: in Italia nessuno può fare terapia cellulare senza l’autorizzazione dell’Istituto superiore e dell’Aifa.(...) La Commissione dichiara Stamina inutile e pericolosa.
(...)
Nel frattempo Vannoni ricorre al Tar che invalida le conclusioni della Commissione «in quanto provviste di sufficiente fumus non essendo garantita l’imparzialità di giudizio di quegli scienziati che si sono già espressi contro Stamina». Questa sentenza non viola alcuna legge ma è contro il senso comune (è come se il Tar dovendo dirimere una controversia fra chi sostiene che 5+3 fa 8 e chi sostiene invece che fa 2 voglia escludere dal giudizio quei matematici che si siano già espressi anche solo una volta a favore del fatto che 5+3 faccia 8). Così ci sarà un’altra Commissione. (...) .


Articolo su argomenti simili in questo blog, qui per l'affaire Stamina e qui per le medicine alternative

Stamina. Perchè si è dovuto aspettare così tanto per intervenire?

Stamina. Perchè non si è dato retta prima a ne capisce?

Questo è il vero mistero.
Nonostante le continue spiegazioni di una persona competente come Garattini abbiamo dovuto sorbirci le opinioni da bar dello sport.
Ho sentito parlare di sperimentazione negata, cura miracolosa, insensibilità e amenità simili da chi non saprebbe descrivermi l'essenza del metodo scientifico o anche solo capire la differenza tra chi opera seguendo i dettami della scienza e chi fa l'opinionista a tempo perso (vero caro il mio giornalista sportivo che ha scritto cose talmente ignobili scientificamente comprensibili solo grazie alla sua esperienza ... nel calciomercato - e non è un modo di dire).
Nel caso di Stamina il termine terapia è fuorviante. Solo fuffa para-scientifica
Sono mesi che la comunità scientifica si è mobilitata per bloccare una sperimentazione priva di basi teoriche propugnata da chi (come scrissi qui) non solo non aveva alcuna esperienza di cellule staminali ma non era nemmeno un ricercatore!!!! Fino a ieri l'ideatore del metodo si pensava fosse uno psicologo (!?!?!?) ma con il vezzo di dichiararsi neuroscienziato (da manicomio in effetti).
Ovviamente nessuno dei due titoli era corretto: è laureato in lettere ... .

Questo il commento riportato oggi sulla prima pagina del Corriere.
Nuove accuse su Stamina, la cura contro le malattie neurodegenerative con le staminali, la cui efficacia è da tempo all’esame del ministero. Indagine sul- l’ospedale di Brescia. I pubblici ministeri hanno messo sotto inchiesta la di- rettrice degli Spedali Civili, dove si somministrano le cosiddette «cure compassionevoli». «Terapia inefficace», sostiene la Procura di Torino, che aggiunge: «I malati sottoposti al tratta- mento non migliorano». E ancora: Davide Vannoni, «papà» del metodo, si fingeva medico. Nel mirino degli investigatori ci sono conti e procedure. Dodici sono gli indagati nel filone torinese su Stamina, una decina in quello bresciano
 Vale la pena allora ripescare un articolo di Michele De Luca pubblicato su "Il Sole24ore" di domenica 1 dicembre (quello che segue è solo un estratto, a fondo pagina i link per la versione completa. Tutti i diritti al ®ilsole24ore.it)

Michele De Luca
1 Dic 20
Michele De Luca
1 Dic 2013
Mai come in questi mesi  le cellule staminali sono  assurte agli onori  della cronaca: se ne  parla ovunque e, a  onor del vero, quasi  sempre a sproposito. Non solo in Italia,  sempre a onor del vero. Nell’immaginario  collettivo, complici alcuni ciarlatani, speculatori  e fenomeni mediatici le cellule staminali  sono viste come la panacea per tutti i  mali, noti e persino ancora ignoti, e le regolamentazioni,  incluse le famigerate GMP  (Good Manufacturing Practice), un complotto  ordito dalle industrie farmaceutiche  per impedire ai pazienti di esercitare un  presunto diritto alla "libertà di cura". Posizioni,  queste, spesso sposate da incompetenti  in materia e in qualche caso appoggiate,  in modo più o meno velato, da alcune  istituzioni dimentiche del fatto che dovrebbero  essere le prime a tutelare la verità dei  fatti e la salute dei pazienti.  Credo sia utile provare, ancora una volta,  a fare chiarezza. Qualche settimana fa un  articolo dell’Economist ha suscitato reazioni  di protesta per aver sostenuto che la  scienza è inaffidabile perché sbaglia troppo.  Nulla di più lontano dal vero. La scienza  sbaglia perché dispone di un metodo che  consente di avanzare nella conoscenza, e   solo se si è in grado di scoprire gli errori ci si  avvicina progressivamente a sapere come  stanno le cose.  (...) Ma proprio per ovviare a questi  problemi la scienza si è dotata di strumenti  di auto-controllo assai efficaci e ha potenziato  il metodo scientifico (ovviamente inviso  a ciarlatani e speculatori), per esempio  sviluppando la cosiddetta "medicina basata  sulle prove di efficacia". (...) Quali sono i pilastri della medicina basata  sulle prove di efficacia? Sostanzialmente  tre: una solida ricerca di base, una ricerca  pre-clinica meticolosa e una sperimentazione clinica rigorosa (...) per garantire ai pazienti  la sicurezza (fase 1) e l’efficacia (fasi 2  e 3) dei farmaci che vengono loro proposti.  (...)  Chi propone una derubricazione delle colture  cellulari a trapianti o chi si fa promotore  di iniziative che tendono a mettere sul  mercato terapie di non provata efficacia e  non vagliate (...) mina alla radice il concetto  di medicina scientifica, con potenziale  danno per i pazienti che si dovrebbero e vorrebbero curare. Perché lo fa? (...) un movente di tipo economico speculativo  e la consapevolezza dell’improbabilità  dell’efficacia delle terapie che si tenta  di mettere comunque sul mercato.  
(...)
 Come si può dunque conciliare l’irrinunciabile  necessità di sicurezza ed efficacia  con la peculiarità delle colture cellulari? (...)  Accanto ad una semplificazione di alcune  regole, sarebbe necessario applicare alle  terapie avanzate basate su colture di cellule  regole ancora più severe e stringenti  sui razionali e sulla ricerca di base e pre-clinica, che giustifichino la prosecuzione dello  sviluppo del prodotto fino all’applicazione  clinica, anche se sperimentale. Questo  perché la cellula è una entità più complessa  di un composto chimico e le sue potenzialità  terapeutiche meno immediatamente note. Tale cambiamento di prospettiva permetterebbe  di ottenere almeno due risultati:  rendere disponibili per i pazienti i prodotti  di terapie avanzate a base di colture  cellulari in tempi più brevi e con costi inferiori,  e prevenire la diffusione di trattamenti  come quelli tipo "Stamina", privi di qualsiasi  plausibilità scientifica.  Ricordiamoci che la vera compassione,  in campo medico, sta nel fornire ai pazienti  garanzie e informazioni a cui ancorare razionalmente  le speranze che, per definizione,  nella medicina scientifica possono essere  basate solo su solide prove scientifiche.  Tutto il resto non può essere in alcun modo  definito né compassione né medicina. È solo  illusione. 

Testo completo disponibile nella sezione rassegna stampa della Associazione Luca Coscioni (qui) o sul sito scienzainrete.it (pdf)

La mia domanda è una sola. Perchè è stato permesso a chi non ha titoli (manifestanti, politici, TAR del Lazio) di condizionare decisioni che spettano solo e soltanto a chi si occupa di ricerca biomedica e agli enti regolatori?
Domanda superflua nella repubblica delle banane.

  • Prossimo articolo sull'argomento qui 
  • Sulla medicina alternativa vedi qui una breve disamina ... ma solo degli approcci "seri" come la erboristeria e l'agopuntura

Metodo Stamina. Alla fine il cerchio si chiude

L'articolo di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini (pubblicato sul Il Sole 24 Ore di domenica) è del tutto esaustivo. Come nel caso Di Bella, anche qui troppe persone prive della necessaria cultura scientifica hanno preteso di imporre la validità di una cura priva delle basi scientifiche minime.
Non sono tanto i tre milioni di euro buttati in una sperimentazione inutile, quanto le false speranze diffuse in questo modo. La sperimentazione su essere umano è importante ed è fondamentale per lo sviluppo di terapie sicure. Appunto per questo motivo tale sperimentazione impone che sia fatta in modo adeguato (con controlli) e partendo da dati preliminari sufficientemente solidi.
La Scienza e' rigore. Tutto il resto meglio lasciarlo ai politici e ai vari talk-show televisivi (lasciamo stare poi quelli che hanno manifestato solo per sentito dire ...).
Articolo sull'argomento, qui.
Articolo successivo, qui.

Consiglio la lettura sia dell'articolo citato in apertura (qui allegato) che dell'articolo pubblicato su Nature (link a fondo pagina).
articolo per sola consultazione (® Il Sole24ore 7/7/2013)

articolo per sola consultazione (® Il Sole24ore 7/7/2013)


Altro articolo che consiglio di leggere e' quello di Nature in cui viene smascherata la falsita' dei dati
Italian stem-cell trial based on flawed data
Nature, 2 luglio 2013 (link)
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21 luglio
Aggiungo a quanto sopra la sinossi di un nuovo editoriale apparso su Nature il 18 luglio (qui per l'articolo completo) e scritto dal prof. Paolo Bianco.
Il titolo dell'articolo è eloquente "Don’t market stem-cell products ahead of proof"
Translational medicine is said to reflect a need to harness the huge wealth of scientific knowledge in biomedicine. In fact, it is a direct consequence of the globalized outsourcing of research and development by the pharmaceutical industry, resting on the creation of commercial enterprises within academia. A commercial drive in academia can, however, significantly alter scientific concepts in biology and medicine.
Mesenchymal stem cells (MSCs) provide a prime example of this. (...) Against mainstream scientific evidence, these firms argue that the cells are veritable injectable drug stores.
(...) articles suggesting that intravenously infused MSCs can be used as a single agent to mute or cure a long list of unrelated diseases in multiple organs (...). These are extraordinary claims that would require extraordinary evidence, which, in my view, does not yet exist
(...) Commercial products have been converted into scientific concepts. It highlights an important dark side of the commercialization of science. The marketing of MSCs as a cure-all is no coincidence (...).
(...) ntravenously infused MSCs can cure multiple unrelated diseases, which (to my knowledge) is not proven at this time. These statements, and the trials that fuel them, represent a new kind of advertisement within science. They can distort science and medicine, mislead the public, create illusions for patients, sabotage health-care systems (...).
(...) Translating science into effective medicine cannot be based on indiscriminate development of commercial products (...) 
(©nature.com)


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Nota aggiunta a dicembre 2013
Siccome in Italia non vogliamo farci mancare niente, ecco arrivare l'intervento del TAR che dice "di scienza me ne occupo io anche se non so di cosa parlo": vedi qui.

e lo sconcerto internazionale di fronte a questa farsa
- Stem-cell fiasco must be stopped (Nature, )


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Casi simili
Il caso Celltex Therapeutics in Texas (bloccata dalla FDA americana) ed i rischi di un Far West medico-staminale in assenza di controlli rigorosi, possibili solo con le regole della sperimentazione clinica.
- Stem cells in Texas: Cowboy culture, (Nature 494, 166–168 - 14 February 2013)



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clicca il tag "Dimensione X" per i post su argomenti in cui il rigore scientifico si scontra contro pratiche "ideologiche" o peggio "illogiche".

Il caso Stamina ed il rispetto delle norme scientifiche

 Di seguito riporto uno stralcio dell'articolo pubblicato sul CDS di oggi e scritto da Paolo Bianco, direttore del laboratorio cellule staminali presso l'Università "Sapienza" di Roma.
Un articolo chiaro e necessario, come fu l'intervento di Carlo Croce all'epoca in cui impazzava sui media la cura Di Bella (di cui solo ora Enrico Mentana in una recente intervista si dice rammaricato per avervi dato troppa copertura ...). L'intervento di Croce, ora direttore dello Human Cancer Genetics Program alla Ohio State University, fu sintetico e drastico "solo in Italia si può dare risalto ad un argomento basato sul nulla".
Con Stamina il discorso è solo apparentemente diverso. Apparentemente in quanto potrebbe, se a decidere fossero i giudici ed il pubblico e non i ricercatori e gli enti preposti, aprire le porte all'utilizzo di terapie non validate per gli scopi più disparati. Nei casi limite, assenza totale di cure alternative, il ricorso a cure non validate (ma sempre e solo basate su evidenze reali) dovrebbe avvenire sotto stretto controllo affinchè i dati ottenuti siano utili (siano essi positivi o negativi) per una valutazione scientifico/statistica dell'approccio.
Lascio ora la parola all'articolo di Bianco, il cui testo completo (che vi invito a leggere) è sul sito del CdS nel link a fondo pagina.

Paolo Bianco (®CdS)
Il Parlamento sta discutendo la regolamentazione delle cosiddette «terapie avanzate» a base di cellule staminali. (...)  Di cura compassionevole scrive il Corriere, decretano i ministri, legifera d’urgenza il Parlamento. Se si debba o no praticare la cura definita trapianto di cellule staminali è divenuto materia di giurisprudenza e non di medicina; perché che davvero di cura si tratti è dato assurdamente per scontato. (...)  Scienziati e medici hanno invitato a chiarezza e prudenza, invocato che si cercasse di evitare incidenti gravi, che si dicesse in che cosa consiste la «cura», che si specificasse chi rispondeva di che cosa. Che si verificasse se la cura era davvero tale, che la si rendesse chiara e riproducibile, e perciò utilizzabile anche a beneficio dei bambini di tutto il mondo. Apriti cielo: scienziati e medici farabutti al soldo delle multinazionali. Quel che la «cura» propone è che un’infusione di cellule ossee (staminali mesenchimali) curi tanti malanni diversi, a prescindere dalla natura del malanno (...) a prescindere dalla necessità di verificare che sia così. Ma la «cura» coincide con quello che molti nuovi soggetti commerciali propongono. Alcuni di essi emergono dallo stesso mondo scientifico. Il fondatore (e detentore di royalties) della più grande company nata in Nord America per lo sfruttamento commerciale delle mesenchimali sostiene, (...) che, infuse in vena, queste cellule curino autismo, incontinenza urinaria, paraplegia, Parkinson e altre malattie neurodegenerative, colite, infarto, ictus, artrite e altre 13 malattie. Nessuno di questi usi è riconosciuto o approvato come terapia. (...)  i soggetti commerciali in questione premono per indurre i governi ad allentare i meccanismi regolatori e autorizzare il commercio di terapie cellulari senza che sia prescritto di verificarne l’efficacia attraverso trial clinici.(...) Privati che propongono direttamene ai pazienti cure miracolose con staminali esistono in tutto l’Oriente «emergente». Casi ci sono stati anche in Germania e Usa. Ma proprio perché Fda e Ema esistono, questi casi si sono conclusi con la interruzione d’autorità delle pratiche non autorizzate, e, in un caso, con l’arresto del proponente, fuggito in Messico. (...) Ma deregolare il mercato è invece interesse di una costellazione di imprese di nuovo tipo, determinate a creare un mercato nuovo, centrato su malattie senza cura, per le quali sia dunque socialmente accettabile anche una cura inefficace. (...) I governi di tutto ilmondo ricevono dagli stessi soggetti commerciali sollecitazioni a consentire, in nome dell’innovazione, la commercializzazione dei prodotti staminali, senza necessità di trial che ne provino l’efficacia. Sono proprio casi come il caso Stamina a rappresentare l’occasione utile. La vigilanza che passa attraverso norme e organismi di controllo (Aifa) non impedisce di sperimentare terapie improbabili o usarle, se innocue, in modo compassionevole. Ma senza quella vigilanza, si potrebbero vendere cure senza obbligo di provarne l’efficacia. (...) Se domani il caso Stamina scomparisse dalla scena, non scomparirebbe questa realtà globale. Anzi. In assenza di norme adeguate, assisteremmo all’ingresso sulmercato di altri prodotti commerciali forse adeguatamente fabbricati, ma inefficaci e forse pericolosi. Che il Servizio sanitario sarebbe costretto ad acquistare, a furor di popolo. L’Italia sarebbe il primo Paese delmondo occidentale a diventare meta del «turismo staminale» oggi fiorente altrove, e il Servizio sanitario in bancarotta. Si capirà anche l’inanità dei «dibattiti» sulle «staminali» con esperti e showmen
Tenere la barra dritta, anche etimologicamente, vuol dire solo governare.

 C'è da aggiungere altro?


Fonte
CdS, 11 aprile 2013 (link)

Post precedente sul blog sui venditori di speranze, qui

Olimpiadi, scienza e ... doping: articoli su Nature

Di seguito i link per alcuni articoli interessanti recentemente pubblicati su Nature. Sono in modalità free quindi leggibili anche senza abbonamento.

Vedi anche un mio post precedente: olimpiadi e scienza

  • Team science

    The Olympics is a vast experiment in human performance, sport technology and global travel. Nature meets some of the scientists behind the scenes.
    ( )


  • Superhuman athletes

    Enhancements such as doping are illegal in sport — but if all restrictions were lifted, science could push human performance to new extremes.
    ( )
    ______________________ 
  • London calling

    The battle for gold is about to begin - and science is taking its place behind the podium.
    (
    _____________________
  • Sports doping: Racing just to keep up

    Anti-doping researchers are looking for new ways to catch cheaters. Can a biological passport help to save the sport?
    Nature 475, 283-285 ( )







L'origine della Luna (by Eric Gakimov)

Una parte della Lectio Magistralis di un noto astrofisico, prossimo ospite alla Milanesiana.

 –––––––––––––––––––––––––––––––––––––
di ERIC M. GALIMOV
L’origine e l’evoluzione della vita e l’origine del sistema Terra-Luna sono tra i più ardui problemi scientifici, poiché è difficile sottoporli a uno studio sperimentale, e la loro analisi teorica è ambigua: troppi i fattori coinvolti e alcuni di essi non sono noti (…). Il paradigma dell’origine del sistema formato dalla Terra e dalla Luna è la teoria del mega impatto. Essa ipotizza una catastrofica collisione di due vasti corpi planetari nella storia iniziale del sistema solare. Il risultato fu che la Terra e la Luna ne emersero come corpi magmatici completamente fusi (…).
 
L’ipotesi del mega impatto fu avanzata alla metà degli anni Settanta da due team di scienziati americani. Secondo la loro tesi, la Luna si formò con l’addensamento del materiale fuso espulso nell’orbita circumterrestre in seguito alla collisione della proto-Terra con un altro corpo planetario delle dimensioni di Marte.
Il problema cruciale che si trovano ad affrontare gli scienziati impegnati sull’origine della Luna consiste nella domanda: perché la massa lunare è carente di ferro rispetto alla massa terrestre? Il contenuto di ferro della Terra è del 33,5%, mentre quello della Luna è in una percentuale compresa tra il 10% e il 15%. L’ipotesi del mega impatto fornì una semplice risposta: la collisione da cui nacque la Luna si verificò nel momento in cui la Terra aveva già attraversato il processo di differenziazione e gran parte del ferro si era concentrato nel suo nucleo metallico, e la Luna si formò dal mantello terrestre, carente di ferro.
Un più dettagliato studio al computer della dinamica del mega impatto compiuto all’inizio del Duemila mostrò che il materiale fuso espulso in un’orbita circumterrestre proveniva non tanto dal mantello terrestre ma soprattutto, almeno per l’80%, dal corpo impattante. Poiché l’origine e la composizione chimica del corpo impattante sono sconosciute, ciò privava la teoria dell’impatto di argomenti geochimici. Inoltre, la derivazione della Luna dal corpo estraneo alla Terra rende le affinità tra la Terra e la Luna, come la somiglianza nel frazionamento isotopico, argomenti contrari all’ipotesi del mega impatto (…)
Un modello alternativo (…) la Luna non si è formata in seguito a una collisione catastrofica, ma tramite la frammentazione di un immenso addensamento di particelle gassose (…). La contrazione di questo addensamento gravitazionale conduce all’aumento della temperatura al suo interno con una conseguente parziale evaporazione delle particelle e dei corpi solidi da cui è formata  (…) conduce alla formazione di due corpi condensati, embrioni della Terra e della Luna. Entrambi sono poveri di ferro ed elementi volatili e ricchi di elementi refrattari.
L’ipotesi proposta sembra quindi piuttosto convincente. Soddisfa i principali requisiti: povertà di ferro sulla Luna, identità isotopica tra Terra e Luna, ricchezza di elementi refrattari sulla Luna e scarsezza di elementi volatili. Supera le principali difficoltà della teoria del mega impatto. Nonostante ciò, la teoria del mega impatto continua a dominare la letteratura scientifica (…). La nuova concezione è incompatibile con la teoria oggi accettata sulla formazione dei pianeti del sistema solare. Il paradigma dice che i pianeti si formarono tramite collisione dei corpi solidi, i planetesimi. Si ritiene che i planetesimi siano cresciuti da qualche metro a centinaia di chilometri. La formazione della Luna dovuta a un mega impatto è coerente con la teoria standard della formazione dei pianeti. A differenza della teoria standard, la nuova concezione ipotizza che la formazione di corpi planetari possa verificarsi da uno stato disperso. Ma questa supposizione non dimostrata rende discutibile l’ipotesi. Dovremmo quindi riconoscere che la nuova concezione, nonostante i suoi vantaggi, non può essere accolta per via della sua parziale imperfezione.



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Tra i recenti contributi allo studio della nascita della Luna, l'articolo pubblicato sulla rivista Science a marzo 2015. L'approccio usato dagli astronomi della NASA è stato indiretto e basato sul fatto che dopo l'impatto della Terra con un pianeta delle dimensioni di Marte sarebbero stati scagliati nello spazio una miriade di frammenti di dimensione intorno al chilometro, parte dei quali sarebbero stati catturati dalla fascia di asteroidi sita tra Marte e Giove. Molti di questi frammenti, fusi con quelli preesistenti, sarebberon poi precipitati nel corso dei miliardi di anni successivi sulla Terra. Lo studio delle caratteristiche di queste rocce ha permesso di datare l'origine della Luna in 4,47 miliardi di anni fa. Un valore simile a quello ottenuto con altri metodi e che quindi ne è la conferma.  
Fonte
W. F. Bottke et al, Science 17 April 2015 
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