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Visualizzazione post con etichetta Astronomia. Mostra tutti i post
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Svelata la compagna nascosta di Betelgeuse

A meno di un anno di distanza dal precedente articolo sulla possibilità che Betelgeuse fosse in realtà un sistema binario, ecco arrivare l'evidenza visiva della "piccola" compagna che orbita intorno alla supergigante rossa.
Credit: NSF NOIRLab
La difficoltà nella identificazione e visualizzazione è conseguenza della luminosità e dimensioni di Betelgeuse e alla stretta orbita (circa 4 UA) della giovane compagna di massa equivalente al Sole, così giovane da non avere ancora iniziato a "bruciare" idrogeno nel suo nucleo. La variazione di luminosità periodica (6 anni) di Betelgeuse sarebbe la conseguenza del "balletto" del sistema binario.

Un sistema non destinato a durare sia perché si stima che questa verrà inglobata dalla gigante rossa nei prossimi 10 mila anni che per l'imminenza (cosmicamente parlando) dell'esplosione di Betelgeuse.



Fonte
Radial Velocity and Astrometric Evidence for a Close Companion to Betelgeuse
Morgan MacLeod et al, (2025) Astrophysical Journal


Non avrete bisogno di un telescopio per vedere la supernova di Betelgeuse né riuscirete a vedere se è un sistema binario, ma un telescopio dobsoniano è tutto quello che serve per fare astrofotografia dalla Terra.
Telescopio riflettore newtoniano 130EQ


Alla ricerca di Tatooine. Un sistema binario ed un orbita planetaria mai visti

Tra i pianeti immaginati dalla fantascienza moderna, quello di Tatooine è sicuramente quello che più ha fatto presa nell’immaginario dello spettatore grazie al suoi due soli. I recenti progressi nella ricerca di pianeti extrasolari (ad ora quelli confermati sono 5967) hanno rinnovato l’interesse per sistemi stellari che potessero, almeno da un punto di vista teorico, ospitare tramonti con due (o più) soli come visto in Star Wars.
Sistemi simili sono stati scoperti in passato (ad oggi sono 16 i sistemi noti) ma 2M1510 (AB), da poco descritto su Science Advances merita una menzione particolare per tre particolarità: le due stelle del sistema binario sono nane brune (note anche come stelle fallite); l’orbita del pianeta è intorno ad entrambe (negli altri casi il pianeta orbita intorno a stella A che orbita intorno a stella B); l’orbita planetaria è intorno ai poli delle stelle invece di essere sul piano equatoriale.
Rappresentazione artistica dell’insolita orbita dell’esopianeta 2M1510 (AB) b attorno alle sue "stelle"
Credit: Eso/L. Calçada
Tre caratteristiche molto interessanti non c’è che dire.
È ben noto che i sistemi stellari si formano da dischi appiattiti e rotanti di gas e polvere, con la materia che si accumula in pianeti, lune e asteroidi lungo il piano del disco che circonda una stella neonata. Di conseguenza trovare un pianeta orbitare attorno ai poli della sua stella madre è cosa alquanto peculiare perfino più di Nu Octantis b (pianeta che ha orbita retrograda rispetto alle due stelle e la cui orbita è “a sandwich” (vedi gif associata).

Prima ancora che gli astronomi incontrassero questo peculiare pianeta conoscevano già dal 2018 i due corpi attorno ai quali orbita identificati come nane brune distanti da noi circa 120 anni luce e molto giovani (45 milioni di anni). La seconda stranezza che emerse, oltre alla natura dei corpi, fu che le nane brune sembravano muoversi al contrario.
In sistemi binari come questo, l'orbita ellittica di ciascun oggetto nel sistema binario cambia gradualmente il suo orientamento nel tempo, come l'asse di una trottola che traccia un cerchio mentre la trottola oscilla. Questo spostamento orbitale avviene tipicamente nella stessa direzione del moto orbitale dell'oggetto. Tuttavia, le orbite delle nane brune si stavano spostando nella direzione opposta al moto orbitale degli oggetti, il che poteva essere spiegato solo se le nane brune ricevevano spinte gravitazionali da un pianeta in orbita a un angolo di quasi 90° rispetto alla coppia.
Se non vedi il video clicca su https://youtu.be/cYo0IWUwknQ
Rilevare questo moto inverso è possibile solo quando una coppia di nane brune orbita l'una attorno all'altra rapidamente e a distanza molto ravvicinata. Proprio il caso delle due nane brune la cui danza orbitale avviene su un ciclo di 21 giorni e, al loro punto più vicino, i due oggetti si trovano a 5,6 milioni di chilometri l'uno dall'altro, pari a circa 0,04 UA pari ad 1/10 della distanza Sole-Mercurio.
Meno certezze sull’origine dell’orbita polare del pianeta 2M1510 (AB) b sebbene l’ipotesi più probabile è che sia stato “eiettato” in seguito al passaggio di una stella nelle vicinanze del sistema binario
https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.adu0627

Fonte
Evidence for a polar circumbinary exoplanet orbiting a pair of eclipsing brown dwarfs
Thomas A. Baycroft et al (2025) Science Advances


Articoli precedenti su temi correlati



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Souvenirs da Tatooine (link Amazon)







Una bolla sferica nella Via Lattea

Cosa potrebbe essere quell’area dello spazio che appare così perfettamente sferica tale da essere stata stata chiamata Teleios (“perfezione”)? 
(Filipović et al., arXiv, 2025)
Secondo un articolo apparso su arXiv, si tratterebbe del risultato di una particolare supernova che ha spazzato via in modo simmetrico tutto il materiale circostante.
La scoperta è stata fatta mediante il radiotelescopio Askap (Australian Square Kilometre Array Pathfinder) che annovera tra le precedenti scoperte gli Orcs (Odd Radio Circles di cui ho scritto QUI). Durante lo studio i ricercatori si sono accorti di una debole luminosità (a lunghezze d’onda lunghe quali le onde radio) associata che faceva pensare ai resti di una supernova di tipo Ia. Ricordo che queste supernova si verificano nei sistemi binari costituiti da una nana bianca e altra stella (in genere più grande e meno densa) da cui la nana bianca cattura materia fino a raggiungere la soglia di massa che innesca la supernova.
Quanto dista da noi? Difficile dirlo con certezza ma si stimano distanze 7-25 mila anni luce, una differenza che ovviamente ha implicazioni sulla dimensione e l’età di questa bolla che sarebbe di 46 o 157 anni luce e 1000 o 10.000 anni, rispettivamente. 
Uno dei problemi nella sua caratterizzazione è data dalla mancata rilevazione di raggi X che invece sono prodotti dalla supernove Ia. Una assenza che ne cambia la classificazione da Ia a Iax, che si differenzia per il fatto che la nana bianca presente non sia andata completamente distrutta (generando una stella di neutroni o un buco nero) lasciando come residuo una stella “zombie”. Se questo fosse il caso, la bolla si troverebbe a 3 mila anni luce da noi e avrebbe un diametro di 11 anni luce.

La stranezza della perfetta sfericità è considerato un fenomeno raro ma non impossibile e sarebbe dovuto al fatto che è avvenuta in una regione di spazio con poco gas e polvere interstellare.


Fonte
Teleios (G305.4-2.2), the mystery of a perfectly shaped new Galactic supernova remnant
Miroslav D. Filipovic et al, (2025) arXiv:2505.04041 [astro-ph.HE]

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Libro del Nobel Kip Thorne (ben noto anche ai fan di Interstellar e di TBBT)
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Telescopio entry-level con cui di sicuro non vedrete la bolla ma perfetto per osservare pianeti come Saturno
(credit: Amazon)



Stella doppia? No, singola più due nane brune

Nane brune: stelle fallite o pianeti gioviani sovrappeso
L’esistenza delle quasi-stelle rimase confinata all’alveo delle possibilità finché nel 1994, grazie al telescopio Hubble, i ricercatori della Caltech (si, proprio quella in cui “lavorano” Sheldon, Leonard e Howard) le trovarono nella stella Gliese 229B.

Passo indietro. Che cosa si intendeva per quasi-stelle? Il nome in realtà non è del tutto corretto ma serviva ad indicare corpi celesti gassosi molto più grandi di Giove ma troppo piccoli perché la massa (quindi la gravità) potesse comprimere a sufficienza l’idrogeno così da innescare le reazioni di fusione nucleare che caratterizzano le stelle. Il nome dato a questi corpi fu nane brune ad indicare sia la ridotta dimensione che la scarsa luminosità
Nota. Questi corpi, oggi noti come nane brune, emettono luce principalmente attraverso reazioni chimiche nelle loro atmosfere, indotte dal riscaldamento del metano mediante processi aurorali (visibile anche su Giove e Saturno). La radiazione luminosa emessa è centrata sull’infrarosso (3,3 micrometri), ragione per cui il nome migliore sarebbe stato nane rosse, nome tuttavia già preso per indicare stelle (vere) di piccole dimensioni e lunghissima vita, tra le più abbondanti nell’universo.
30 anni dopo, e siamo ai giorni nostri, le nuove analisi basate su osservazioni ad alta risoluzione indicano che la nana bruna osservata è in realtà un sistema di due nane brune (un poco più piccole di Giove ma ciascuna con massa circa 35 volte superiore) con orbite reciproche di 12 giorni, legate "gravitazionalmente" alla nana rossa Gliese 229A

L'orbita reciproca delle nane brune Gliese 229Ba e Gliese 229Bb (P=12 giorni) a loro volta orbitanti intorno alla nana rossa Gliese 229A (P=250 anni)
Image credit: Caltech

Di seguito una simulazione video (Credit: Caltech)


 Lo studio è stato pubblicato su Nature.


Fonte

The cool brown dwarf Gliese 229 B is a close binary
Jerry W. Xuan et al (2024) Nature

- It's Twins! Mystery of Famed Brown Dwarf Solved



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Da Robotime un bellissimo riproduttore in legno del Sistema Solare


Uncle Scrooge by Bullyland

Uomini di mezza età e vi svegliate la notte?
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Betelgeuse è una stella binaria?


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Pronunciatela come volete (Betel-gurz o Beetle-juice) ma Betelgeuse è da anni tra le stelle preferite dagli astronomi, amatoriali e non, sia per la sua facilità di osservazione che per il destino inesorabile che è dietro l'angolo.
Betelgeuse (arancione) è la stella più luminosa della costellazione di Orione.
Si nota anche Rigel in azzurro
(image: sciencenews.org)
Tra le stelle più luminose facilmente visibili dalla Terra c'è la gigante rossa Betelgeuse, 1000 volte più grande del Sole e con una luminosità media 100 mila volte superiore. Pur essendo nota da sempre e studiata in dettaglio da più di un secolo, era caduta un po' nel dimenticatoio fino al 2019 quando l'inaspettato calo della luminosità (noto come “Great Dimming”) fece pensare all'imminenza della sua fine sotto forma di supernova (evento atteso entro i prossimi millenni, un battito di ciglia sui tempi cosmici). 
"L'allarme" rientrò dopo un anno quando si comprese che l’ampia oscillazione di luminosità rilevata era dovuta alla presenza di una nube di polvere. La rinnovata attenzione non è stata però vana avendo portato alla misura della rotazione e della pulsazione (l'espansione e la contrazione periodiche degli strati esterni della stella) dell'astro.
Le stelle più luminose nel cielo notturno. Rigel e Betelgeuse appartengono alla Costellazione di Orione (ricordo che le costellazioni non definiscono aree nello spazio ma la posizione vista dalla Terra, tanto è vero che le stelle appartenenti ad una stessa costellazione spesso si trovano a centinaia di anni luce di distanza tra loro).
Betelgeuse è una stella variabile semi-regolare la cui magnitudine apparente varia da 0,2 a 1,2. La curva di luce emessa evidenzia un lungo periodo secondario (LSP) di circa 2100 giorni, cosa non insolita per le stelle nel ramo delle giganti rosse del diagramma di Hertzsprung-Russell (con valori che vanno da centinaia a migliaia di giorni) ma la cui origine è sconosciuta sebbene si creda che sia un ciclo secondario a uno più breve. La durata dell'LSP è nell'ordine di una decina di volte più lenta della pulsazione radiale di questo tipo di stelle.

Dall'analisi della variabilità di Betelgeuse arrivano ora due lavori le cui conclusioni riportano in auge una vecchia teoria** di Betelgeuse come stella doppia la cui compagna, delle dimensioni del Sole ha (avrebbe) un periodo orbitale di 2100 giorni.
Nota. Nel 2020 avevo dedicato un articolo al possibile rapporto tra velocità di rotazione della stella e l'essere un tempo stata parte di un sistema binario.
Il primo** a proporre che Betelgeuse fosse un sistema binario fu l'astronomo inglese Henry Cozier Plummer nel 1908, che spiegò il ciclo luminoso con l’azione gravitazionale di una stella compagna che tira avanti e indietro Betelgeuse.
Nelle decadi successive gli astronomi accumularono dati molto più “strani” sulla stella, tra cui una sorta di “ebollizione” della sua atmosfera esterna che produce pulsazioni con cicli di 400 giorni e sottocicli di 200 giorni, che culminano in enormi getti di materia espulsi nello spazio. Con tutte queste complicazioni, l'idea della stella compagna passò di moda sostituita da nuovi modelli meglio capaci di spiegarne la fenomenologia. Furono gli “sbiadimenti” luminosi del 2019 a riportare l’attenzione sulla stella morente. 
Simulazione della superficie in ebollizione di Betelgeuse 
Entrambi i lavori sono stati caricati su arXiv.org (quindi non ancora sottoposti a peer review) tra agosto e settembre. Il lavoro di MacLeod et al. ha preso in esame le misurazioni della stella a partire dal 1896 mentre quello di Goldberg et al, ha utilizzato gli ultimi 20 anni di misurazioni ad altissima precisione del movimento di Betelgeuse.

Nell lavoro di MacLeod si ipotizza che che se il ciclo di sei anni è causato da una stella compagna, avrebbe dovuto ripetersi stabilmente per secoli. Dall'analisi dei registri contenenti 128 anni di osservazioni si è avuta la conferma il ciclo di luminosità è reale. I calcoli fatti portano ad ipotizzare che la stella compagna avrebbe una massa di circa 0,6 volte quella del sole e orbita ogni 2110 giorni a una distanza di poco più del doppio del raggio di Betelgeuse. 

L'analisi di Goldberg prefigura due scenari.
  • Nel primo caso la variabilità è dovuta a pulsazioni degli strati più esterni della stella, cosa che indicherebbe che non solo è più grande del previsto ma che si trova già molto avanti nel suo percorso evolutivo cosa che avvicinerebbe il momento della sua esplosione a supernova entro un centinaio di anni.
  • L’altra ipotesi, più accreditata dal team, è che la variabilità a lungo termine mostrata da Betelgeuse sia dovuta alla presenza di una stella compagna di piccola massa, chiamata α Ori B (dove Ori è il nome alternativo di Betelgeuse cioè α Orionis) che altera la polvere che circonda il sistema, cosa che spiegherebbe la riduzione di luminosità apparente. La compagna avrebbe massa 1,17 volte il Sole, periodo orbitale di 2170 giorni e distanza da Betelgeuse di circa 2,43 volte il raggio di Betelgeuse. In questo caso il tic-toc che ci separa dalla supernova sarebbe posticipato (fino a un centinaio di migliaia di anni) con buona pace di tutti noi che aneleremmo vedere questo evento in diretta.
Testare se queste ipotesi sono corrette sarà molto difficile se non impossibile data la differenza di dimensioni e vicinanza del (ipotetico) sistema binario.
Anche se α Ori B fosse reale la sua aspettativa di vita è grama. L'orbita della stella si va restringendo mentre Betelgeuse ruba il suo momento angolare. Tra circa 10 mila anni, Betelgeuse lo inghiottirà completamente, sempre che non esploda prima.


Fonte
A Buddy for Betelgeuse: Binarity as the Origin of the Long Secondary Period in α Orionis
Radial Velocity and Astrometric Evidence for a Close Companion to Betelgeuse

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Non avrete bisogno di un telescopio per vedere la supernova di Betelgeuse né riuscirete a vedere se è un sistema binario, ma un telescopio dobsoniano è tutto quello che serve per fare astrofotografia dalla Terra.
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"La casa" di Spock intorno a 40 Eridani era solo una macchia sulla stella

[Aggiornamento]
Qualche anno fa la notizia (riportata in calce) della scoperta del pianeta di Spock intorno alla stella 40 Eridani. Di pochi giorni fa la correzione dopo una attenta analisi dei dati. Quello che sembrava un pianeta era in realtà solo un analogo delle macchie solari sulla stella

Fonte
- Discovery Alert: Spock’s Home Planet Goes ‘Poof’


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Scoperta la "casa" di Spock intorno a 40 Eridani
Ottobre 2018

La scoperta di un pianeta "quasi" terrestre orbitante intorno alla stella 40 Eridani ha fatto sorridere sia gli astrofisici che i fans della serie Star Trek.
Il motivo è semplice: 40 Eridani fu scelta da Gene Roddenberry, l'ideatore della serie, come il sistema attorno al quale orbitava Vulcano, il pianeta di Spock. Una scelta in verità ben posteriore alla creazione della serie (fine anni '60), esplicitata in una intervista del 1991, ma che non toglie il fun factor della scoperta.
Il pianeta, due volte più grande e di massa 8 volte la Terra, orbita intorno ad un sole che è a sua volta parte di un sistema a 3 stelle.
40 Eridani è abbastanza vicino a noi, dati i suoi 16 anni luce di distanza, ed è sufficientemente luminosa da essere vista ad occhio nudo. Ha un periodo orbitale di soli 42 giorni, quindi è notevolmente vicina alla stella; l'effetto vicinanza è parzialmente attenuato dal fatto che la stella è leggermente più fredda e meno massiccia del nostro Sole.
Per il momento mancano informazioni precise sulla sua atmosfera, sempre che non sia stata spazzata via dalla vicinanza alla stella.
Qualche fanboy potrebbe farmi notare che nel reboot cinematografico il pianeta di Spock è stato vaporizzato, quindi ogni aggancio viene a cadere. Vero, ma da vecchio fan della serie originale, l'appunto non sussiste e mi diverte il pensiero di un pianeta caldo (forse un tantino troppo) come Vulcano proprio dove Roddenberry l'aveva ipotizzato.

Tornando seri, la scoperta rientra tra i molteplici dati che emergono dal Exoplanet Search Project, cioè la catalogazione dei pianeti che orbitano intorno ad altre stelle (3793 confermati al momento in cui scrivo --> qui (sito della CalTech) per i dati aggiornati).
screenshot del portale esopianeti alla Caltech


Fonti
- Super-Earth Discovered in (Fictional) Vulcan System

- Newly discovered planet could be Spock's home world, astronomers say

- The exoplanet that could be Spock’s home world
Nature / news

- Exploring Strange New Worlds: “Star Trek” Planet Vulcan Found


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Un bel prodotto Funko per tutti i trekkies



Le dimensioni non contano. Saturno ha più lune di Giove

Aggiornamento 06/2023

Contrordine del contrordine. Le dimensioni NON contano
Poco più più di 3 anni fa avevo scritto di come la scoperta di nuove lune intorno a Saturno avesse fatto superare il record gioviano rendendo il primo (e più piccolo - di massa e volume) il vincitore.
Qualche tempo dopo la scoperta di nuove lune intorno a Giove aveva riportato il primato al gigante. Passano alcuni mesi ed ecco che un team canadese scopre in un colpo solo altre (piccole) 62 lune portando il computo finale della disfida Saturno-Giove a 145:95 

Certo che definibile veri satelliti è alquanto forzato (ma la decisione è stata vidimata dagli enti preposti) visto che le 12 nuove arrivate hanno un diametro compreso tra 1 e 3 chilometri; sono anche abbastanza lontane dal pianeta con tempi di rivoluzione che in un caso arrivano a 550 giorni.
Gli altri pianeti seguono molto da lontano con Urano (27), Nettuno (14), Marte (2) e ovviamente la Terra (1). 
Tra le missioni future che potrebbero fornire dati diretti da queste lune c'è Juice (Jupiter Icy Moon Explorer), programmata dall'ESA tra due mesi, e Europa Clipper (della NASA) prevista per il 2024.
Image credit: Roberto Molar-Candanosa / Carnegie Institution for Science

Fonte


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Le dimensioni non contano. Saturno ha più lune di Giove (10/2019)

Sembrarà strano ma a distanza di 400 anni da quando Galileo descrisse per primo le lune di Giove (--> lune galileiane o medicee), ci sono ancora incertezze sul numero di satelliti orbitanti attorno ai due pianeti più grandi del sistema solare.
La ragione è sia nella estrema eterogeneità dimensionale delle lune (quelle di Giove hanno diametro che va da 1 km di LIX fino ai 5200 km di Ganimede) che nella difficoltà di visualizzarle, soprattutto nel caso di Saturno a causa del suo anello di detriti.

Ed è proprio da Saturno che arriva la notizia del sorpasso con la scoperta di lune "nascoste" portando ill tabellone ad un baskettistico 79 a 82. Il sorpasso ha preso tutti di sorpresa perché Giove, soprattutto dopo la scoperta l'anno scorso di 12 nuove lune, conduceva in modo tranquillo la "gara". L'identificazione di ben 20 nuovi satelliti di Saturno ha capovolto la classifica, che oramai può essere considerata definitiva visto che difficilmente avremo sorprese in ambito gioviano. 
A onor di cronaca non si tratta nemmeno di lune borderline cioè con dimensioni quasi asteroidali, visto che il loro diametro è in tutte di circa 5 km. Degno di nota il fatto che 17 di queste lune abbiano un'orbita retrograda, cioè in direzione contraria alla rotazione di Saturno, ad indicare ipotetiche remote collisioni che come in un flipper abbia spinto i satelliti su orbite opposte.
In verde e blu l'orbita delle "nuove" lune di Saturno.
Il periodo orbitale delle nuove lune oscilla tra i 2 anni di quelle prossimali ai 3 anni di quelle esterne. Gli astronomi sono concordi nel ritenere queste lune il risultato della frantumazione di una luna più grande, evento che potrebbe essere stato conseguenza di una collisione o più probabilmente di una disintegrazione operata dalle gravità di Saturno su una luna avvicinatasi troppo (la distanza minima che un corpo può raggiungere prima di essere disintegrato è definito dal limite di Roche, la distanza oltre  la quale l'azione gravitazionale è dominante sulle forze di coesione dell'oggetto)

Video riassuntivo 


Le lune sono state scoperte grazie al telescopio Subaru posizionato in cima a Mauna Kea alle Hawaii grazie al lavoro di team appartenenti alla Carnegie Science della UCLA. 

Gli stessi astronomi avevano identificato l’anno scorso 12 nuove lune gioviane, dando così il via ad una gara involontaria tra i due giganti su chi “ne avessse di più”.
Per chi fosse interessato è stato attivato un concorso per battezzare i nuovi satelliti con nomi meno asettici delle classiche sigle astronomiche. 
Chi volesse partecipare può farlo su twitter (@SaturnLunacy) usando l’hashtag #NameSaturnsMoon
Maggiori informazioni sul sito della --> Carnegie Science.

La scoperta rende necessario aggiornare l'atlante delle lune del sistema solare di cui avevo scritto qualche mese fa --> L'atlante interattivo delle lune del sistema solare.


Fonte
- Saturn Surpasses Jupiter After The Discovery Of 20 New Moons And You Can Help Name Them!





Viaggio virtuale al centro di un buco nero e immagini a luce polarizzata da Sgr A*

Articolo aggiornato per inserire l'ultima simulazione fatta dal supercomputer della NASA per "visualizzare" il viaggio di una sonda all'interno di un buco nero

credit: NASA


***  Le immagini a luce polarizzata del buco nero al centro della Via Lattea ***
20/3/2024

Sono passati circa due da quando riportai le prime immagini del buco supermassiccio al centro della nostra galassia (l'articolo riproposto in calce al presente) che seguiva la prima visualizzazione in assoluto di giganti del genere fatta nella galassia M87.

Il "nostro" buco pur se distante "solo" 27 mila anni luce è oltre mille volte più piccolo di quello nel cuore di M87, da cui la maggior difficoltà nel visualizzarlo.
Nelle scorse settimane sono stati presentati nuovi dati frutto delle osservazioni effettuate sempre mediante l'Event Horizon Telescope (EHT). La vera novità è l'immagine di Sagittarius A* fatta in luce polarizzata, così da mostrare la struttura a spirale degli intensi campi magnetici, molto simile a quella di M87*; dato che suggerisce come questi campi siano comuni a tutti (o a molti) buchi neri supermassicci.
Le linee sull'immagine indicato la direzione della luce polarizzata
Credits: EHT Collaboration
La differenza analitica fatta dall'osservazione in luce polarizzata è che nella regione che circonda un buco nero "gigante" le particelle sono in uno stato noto come plasma (gas ionizzato caldissimo) e come tali si muovono sulle linee di campo magnetico. Il risultato è la polarizzazione della luce perpendicolare al campo e con essa la possibilità di studiare cosa stia avvenendo in questa zona.
cc
Confronto a luce polarizzata tra M87* e Sgr A*
Credits: EHT Collaboration


*** 
Finalmente ecco il buco nero al centro della nostra galassia
(24/5/2022)
Arriva oggi al traguardo il lavoro di visualizzazione dei buchi neri supermassicci ospitati al centro delle galassie. 
La prima parte dello studio era stata pubblicata nel 2019 con la visualizzazione del buco nero M87* (sito nella galassia Virgo A, vedi l'articolo dedicato), ora conclusa con la pubblicazione su The Astrophysical Journal Letters dell'immagine di Sagittarius A star (Sgr A*).
Sgr A* (image credit: EHT Collaboration via 
@ehtelescope

Il tour di force nella raccolta dati (letteralmente, data la mole di 4 petabytes) avvenne nel corso di 5 giorni nel 2017, con il contributo di ricercatori ai quattro angoli della Terra, afferenti a 8 telescopi che grazie a particolari tecniche crearono un unico telescopio virtuale (Event Horizon Telescope) "grande" quanto la Terra. Uno sforzo tecnico necessario per riuscire a catturare i dettagli non tanto del buco nero (per definizione invisibile) quanto delle zone immediatamente adiacenti da cui provengono i segnali.
Un conto è stata la pur ardua raccolta dati e tutt'altro è stata l'elaborazione degli stessi, per cui sono stati necessari quasi 7 anni.

Per quanto possa apparire strano, è stato più semplice elaborare i dati per visualizzare un buco nero in un'altra galassia, distante 57 milioni di anni luce, rispetto al "nostro" (inteso come galassia) distante poco meno di 26 mila anni luce.
La spiegazione è che pur avendo all'incirca la stessa dimensione apparente nel cielo, M87* è molto più grande (quasi 2 mila più lontano ma 1600 volte più grande). Oltre a meri fattori dimensionali, osservare qualcosa al centro della Via Lattea, data la nostra posizione su un braccio laterale della spirale, è meno "pulito" che guardare al centro di un'altra galassia "di fronte".
Ma perché scegliere M87* invece di, ad esempio, Cygnus X1, che con una distanza di 6 mila anni luce è più vicino a noi perfino di Sgr A*? Anche in questo caso la ragione è meramente dimensionale: il buco nero al centro di Cygnus ha massa di solo poche volte quella solare, quindi debole (Sgr A* e M87* hanno 4 milioni e 7 miliardi di masse solari, rispettivamente).
Nonostante una massa considerevole, Sgr A* é praticamente invisibile ai telescopi ottici a causa della polvere e dei gas presenti nel disco galattico. Già alla fine degli anni 90 comunque, i ricercatori si resero conto che il "velo" di oscurità poteva essere superato dalle onde radio; il problema era che, data la loro lunghezza d'onda, per rilevare queste onde sarebbe stato necessario avere un telescopio delle dimensioni della Terra. Impossibile fattivamente ma non pensando ad un telescopio virtuale, cioè usando l'interferometria per correlare telescopi presenti nei diversi punti del globo.
Come creare un telescopio virtuale grande come la Terra
Image credit: Event Horizon Telescope via nature.com
I primi tentativi utilizzarono onde radio di 7 millimetri e telescopi a poche migliaia di chilometri di distanza. L'immagine ottenuta era sfocata. Bisognava fare un passo ulteriore  migliorando le infrastrutture e ampliando la dimensione (virtuale) del telescopio terrestre. Tra i telescopi aggiuntisi per raggiungere la "capacità" analitica critica, il South Pole Telescope e l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array in Cile.
Un'altra difficoltà riscontrata durante l'analisi di Sgr A* era la minore stabilità dei suoi "dintorni". Date le dimensioni di M87*, la materia che ruota intorno ad esso si trova a distanze superiori a quelle dell'orbita di Plutone dal Sole; al contrario la materia che, surriscaldata, origina il segnale da Sgr A* si trova ad una distanza inferiore di quella di Mercurio dal Sole.
A questo si aggiungeva che la radiazione proveniente da M87* rimaneva sostanzialmente stabile nell'arco di giorni mentre quella di Sgr A* mostrava variazioni ogni decina di minuti. 

M87* e Sgr A* a confronto
(Image credit: EHT collaboration via ESO.org)
A causa di questa variabilità, i ricercatori del EHT hanno dovuto prima generare migliaia di immagini di Sgr A* e infine fare la media delle caratteristiche comuni, per ottenere una media affidabile.
Per visualizzare M87* una immagine era stata sufficiente per essere riproducibile.

L'immagine di Sgr A* ricorda quella di M87* con la presenza di un anello di radiazione che circonda una zona scura, esattamente delle dimensioni previste sia da osservazioni indirette (orbita delle stelle adiacenti) che dalla relatività generale. Tra le differenze visive rilevate, la forma a mezzaluna della regione più luminosa in M87* indica, forse, zone a maggior densità accelerate lungo la nostra linea di osservazione.
Da simulazioni condotte con supercomputer i ricercatori hanno dedotto che Sgr A* ruota in senso antiorario lungo un asse che punta verso di noi, quindi una immagine quasi frontale invece che "di taglio" come quella di M87*.

Pronti per un viaggio virtuale al centro della nostra galassia?



Fonte
- Focus on First Sgr A* Results from the Event Horizon Telescope
Geoffrey C. Bower (2022) The Astrophysical Journal Letters








Letture consigliate scritte da due premi Nobel (link al sito amazon)

La teoria MOND spiega il (fantomatico) Pianeta 9?

Image Credit: NASA/SOFIA/Lynette Cook
Tra le possibili spiegazioni del mistero del pianeta 9, cioè di un pianeta che dovrebbe esistere (per spiegare alcune anomalie orbitali della fascia di Kuiper, ai confini del sistema solare) ma che nessuno strumento è mai riuscito ad identificare, si annoverano buchi neri primordiali (PBH, vedi articolo precedente), pianeti con orbite talmente eccentriche da essere per ora fuori visuale o l’essere questa massa mancante in realtà il risultato della somma di una miriade di piccoli planetoidi come quelli che compongono la nube di Oort.
Nelle scorse settimane ne è stata proposta un’altra, ben più complessa, che è parte della teoria MOND sviluppata come alternativa alla (altrettanto introvabile) materia oscura per spiegare la curva di rotazione delle galassie. Il nuovo sviluppo (pubblicato su The Astronomical Journal) viene dagli astrofici americani Brown e Mathur  che hanno provato a vedere se questa versione modificata della dinamica newtoniana fosse in grado di spiegare gli indizi (e rendere così inutile la proposta della sua esistenza) del Planet Nine.

In parole molto semplici le orbite anomale di alcuni corpi transnettuniani sarebbe un effetto della azione gravitazionale della Via Lattea nel suo complesso che, a certe distanze, si comporterebbe in modo “non-newtoniano”.  Il punto centrale della della Mond, revisione della dinamica newtoniana, è il palesare i suoi effettià dove la forza gravitazionale è molto debole come ad esempio ai confini delle galassie a spirale (dove si trova il sistema solare) o negli ammassi aperti. 
L’idea inziale di Brown era tipica del pensiero scientifico cioè mettere alla prova la teoria Mond verificando una eventuale incompatibilità con i dati che avevano generato l’idea di Planet Nine. Invece la conclusione alla quale giunsero fu che qualche effetto poteva esserci, quindi non solo la Mond non viene “falsificata” da questi dati ma che il clustering di alcuni corpi trans-nettuniani (TNO) sarebbe proprio ciò che la Mond prevede: in tempi su scala di milioni di anni le orbite di alcuni TNO sarebbero stati spinti fino ad allinearsi con il campo gravitazionale della Via Lattea.

Mistero risolto? Aspettiamo la prossima puntata

Fonte
Modified Newtonian Dynamics as an Alternative to the Planet Nine Hypothesis
Katherine Brown e Harsh Mathur, (2023) The Astronomical Journal



Qual è la distanza di sicurezza da una supernova?

Una supernova è la spettacolare esplosione di una stella massiccia giunta a fine vita**, così spettacolare che è raccomandabile guardarla da molto lontano.
Illustration Credit: NASA/CXC/M. Weiss
Tale premessa spiega la domanda che si sono posti alcuni astronomi cioè quale sia la distanza di sicurezza minima. La risposta viene da uno studio basato sui dati ottenuti dall’osservatorio a raggi X Chandra, che pone a 160 anni luce tra noi e la stella perché l'evento sia osservabile senza subirne gli effetti. Studi precedenti avevano fissato il paletto a 50 anni luce dalla Terra e altri avevano descritto gli scarsi effetti di una supernova avvenute a 300 anni luce da noi, non associabili a evidenti cambiamenti della biosfera (o estinzioni di massa) sulla Terra.
L'ultimo evento distruttivo risale alla fine dell'Ordoviciano (500 milioni di anni fa) in cui si ritiene che l'estinzione di massa sia stata innescata, attraverso una serie di effetti a cascata, da GRB (gamma ray burst) prodotti da una non meglio identificata supernova, i cui effetti sono però evidenti nella d'elezione dello strato di ozono dell'antica atmosfera.
Una supernova distante 30 anni luce di distanza produrrebbe gravi danni sulla Terra a causa dell'effetto dei raggi X e gamma sullo strato di ozono, danneggiato il quale aprirebbe la strada all'azione dannosa dei raggi ultravioletti provenienti dal Sole. A questo si aggiungerebbe la ionizzazione dell'azoto e dell'ossigeno atmosferici  portando alla formazione di grandi quantità di protossido di azoto, che tra le altre cose causa l'effetto serra, quindi un forte impatto sul clima.
Tra i primi organismi ad essere colpiti il fitoplancton il cui declino impatterebbe la catena alimentare oceanica e con esso la biosfera in generale.

Fortunatamente (oggi) non ci sono (più) stelle entro un raggio di 30 anni luce che abbiano la potenzialità di originare supernova; discorso simile anche espandendo il raggio a 100 anni e ampliando le previsioni centinaia di milioni di anni da ora; o almeno non ci sono stelle massicce che sono per natura di breve vita e destinate a "esplodere".
** Esistono due diversi tipi di supernova. La supernova di tipo II è una stella massiccia che collassa quando ha esaurito il combustibile nucleare e non è più in grado di produrre energia per controbilanciare la massa soprastante. Non mi risultano esserci stelle massicce entro la distanza di sicurezza di 160 anni luce.
La supernova di tipo I si verifica quando una piccola e debole stella nana bianca collassa avendo raggiunto una massa critica in seguito alla cattura di materiale da una stella compagna in un sistema binario. Queste stelle sono fioche e difficili da trovare, quindi manca una precisa indicazione di quante ce ne siano nelle vicinanze; una stima meramente teorica indica un numero di alcune centinaia entro 160 anni luce, ma non se ne conosce nessuna pronta ad esplodere. La stella IK Pegasi B (parte di un sistema binario) è il candidato progenitore di supernova più vicino conosciuto situato a circa 150 anni luce di distanza.
C'è in effetti una stella gigante (15-20 masse solari) che gli astronomi prevedono esploderà "presto": Betelgeuse. La stella, di cui ho scritto in precedenza, si trova a 430 anni luce da noi e la sua supernova produrrà sarà visibile per diverse settimane anche in pieno giorno.
Nella storia dell’umanità (quindi poche migliaia di anni) non si hanno evidenze di supernova verificatesi entro una distanza inferiore al centinaia di anni luce. La supernova più recente (1987) visibile ad occhio nudo è stata la SN 1987A, distante ben 168 mila anni luce, e la seconda visibile senza strumenti in base ai resoconti storici (la prima è quella di Keplero nel 1604, distante 20 mila anni luce).
La più vicina nell'ultimo decennio è quella avvenuta nella galassia M101, distante ben 21 milioni di anni luce.
Alcune stime suggeriscono che la frequenza di supernove "con effetti potenziali" (per la distanza) potrebbero verificarsi ogni 15 milioni di anni; un altro studio che l’esplosione di una supernova entro 10 parsec (33 anni luce) si verifica ogni 240 milioni di anni. In modo più semplice potremmo rifarci al principio antropico per dire che il fatto stesso che abbiamo la possibilità di pensare a tali eventi è la prova che la Terra si trova in un'area relativamente sicura dove questi eventi sono estremamente rari tanto da aver permesso alla vita di emergere e restare negli ultimi 3,5 miliardi di anni.
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Fonte
X-Ray-luminous Supernovae: Threats to Terrestrial Biospheres
Ian R. Brunton et al, (2023) The Astrophysical Journal



Visualizzazione grafica delle orbite di Terra e Luna vs. il Sole

Mi piace trovare delle rappresentazioni visuali 3D interattive che rappresentino concetti anche molto basici come l'orbita Terra-Luna-Sole. 
Perfette per spiegare eclissi ai più giovani e mostrare l'oscillazione dell'asse

Giano, la nana bianca a due facce

La scoperta di una stella nana bianca con due facce completamente diverse.
Credit: Caltech
Le nane bianche rappresentano la fase stellare ultima per stelle di massa piccola e medio-piccola come il Sole, che hanno una vita residua superiore a decine se non centinaia di miliardi di anni prima di spegnersi del tutto in una nana nera.
Si tratta di stelle ad alta densità e temperatura in cui essendosi consumato il carburante per la fusione nucleare e non avendo massa sufficiente ad innescare le reazioni di fusione degli elementi più pesanti (fino al ferro) come avviene per le stelle supermassicce, devono la energia luminosa prodotta alla energia residuale immagazzinata al suo interno. Una volta che avrà raggiunto un equilibrio termico con lo spazio circostante il flusso terminerà e con essa la luce emessa.
Il sole raggiungerà questa in circa 5 miliardi di anni dopo un breve momento di “gloria” attraverso la fase di gigante rossa in cui espellerà gran parte della sua materia esterna e “precipitando” il rimanente in un residuo molto denso delle dimensioni della Terra e di massa circa la metà del Sole attuale.
Questo “canone” ha trovato ora un casus mirabilis con la scoperta di una nana bianca i cui due lati sono diversi, uno fatto di idrogeno e l'altro di elio. In parole povere la superficie della nana bianca cambia completamente da un lato all'altro.
Una stranezza che ha reso quasi scontato il nome scelto per essa, Giano, il dio romano a due facce, simbolo della transizione. 
Lo studio che riporta i dettagli della scoperta è stato pubblicato su Nature lo scorso 19 luglio.

Durante la formazione (alias morte per spegnimento) della stella che diventerà una nana bianca, la componente gravitazionale fa sì che gli elementi più pesanti (in genere carbonio e ossigeno) si accumulino nelle parti più interne mentre gli elementi più leggeri come l'idrogeno e l'elio (più abbondante) salgano verso lo strato superiore. 
La nana bianca nei suoi diversi strati
L’analisi di Giano ha mostrato che durante le 4 rotazioni sul suo asse ogni ora, i dati spettrometrici cambiavano evidenziando una composizione diversa per ogni faccia. Un dato confermato da diversi osservatori terrestri. La spiegazione più probabile è che la stella sia stata intercettata in una fase molto specifica della sua evoluzione, quella del passaggio tra il una superficie dominata dall’idrogeno a quella dominata dall’elio. Nel processo (inevitabile una volta che le reazioni di fusione nucleare sono terminate) si ha un rimescolamento degli elementi; durante questa transizione, è possibile che l'idrogeno si diluisca all'interno, permettendo all'elio di diventare l'elemento dominante.
La ragione per cui su Giano si assiste alla evoluzione in tempi diversi sui due lati della stella potrebbe essere dovuta alla asimmetria del campo magnetico (fenomeno comune nei corpi celesti) che, più forti su un lato, rallenterebbero qui la fase di ridistribuzione, quindi rimanendo più ricco di idrogeno.
Il campo magnetico di Giano che potrebbe spiegare ia differenza in composizione superficiale tra le facce opposte della stella
(image credit: K. Miller, Caltech/IPAC)
Ipotesi alternativa formulata dai ricercatori è i campi magnetici locali alterino la pressione e densità di questi elementi nella parte più esterna, consentendo la formazione di un "oceano" di idrogeno dove il campo magnetico è più forte.




Fonte
A rotating white dwarf shows different compositions on its opposite faces

Two-Faced Star Exposed



Anche i planetoidi possono avere anelli come Saturno

La presenza inattesa di un anello intorno a Quaoar
Quaoar è un pianeta nano (circa 1100 km di diametro), scoperto nel 2002, sito nella estrema periferia del Sistema Solare e catalogabile come oggetto transnettuniano.

L'identificazione di Quaoar
(image credit:  Chad Trujillo)
Una immagine più recente mostra qualcosa di inatteso, cioè un alone e una piccola luna, Weywot.
Immagine catturata nel 2016 da Hubble. Per curiosità la foto è da attribuire a Michael Brown (Caltech), tra i principali "responsabili" della retrocessione di Plutone a pianeta nano

Pochi anni dopo, siamo tra il 2018 e il 2021, gli astronomi riescono ad effettuare (grazie alla sinergia tra vari telescopi sulla Terra e il telescopio spaziale europeo Cheops) misurazioni più precise di Quaoar mentre transita sullo sfondo di stelle note. ottenendo così dati sull'alone e composizione. 
Dati che indicano la presenza non di un anello, come ipotizzato ad inizio anno, ma di almeno DUE anelli
Immagine artistica dell'anello

L'immagine ricostruita degli anelli è disponibile sul sito noirlab.edu

Immagine tratta dal sito UniverseToday



Fonti
A dense ring of the trans-Neptunian object Quaoar outside its Roche limit

dwarf planet quaoar has a weirdly big ring of debris encircling it



***






Nuove variazioni luminosità di Betelgeuse

La stella rossa di Betelgeuse è una delle più luminose del nostro cielo.
Immagine di Betelgeuse ripresa da ALMA  (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array). 


Betelgeuse, la stella supergigante sita nella costellazione di Orione, aveva mostrato nel 2019 una riduzione di luminosità apparente che aveva fatto pensare all'imminenza della fine della sua (breve, come per tutte le stelle massicce) vita. 
Di questo fenomeno e della successiva attribuzione ad un offuscamento causato da un'enorme espulsione di materia stellare, ne scrissi a suo tempo, tema poi ripreso in un aggiornamento del 2022, articoli a cui rimando.
Per avere una idea delle sue dimensioni ecco un grafico preso dal sito ESO in cui si confronta Betelgeuse con il sistema solare.
image credit: eso.org

Ad aprile 2023 la sua luminosità era tornata al suo valore standard, per poi aumentare negli ultimi mesi a quasi il doppio. Una variabilità che fa parte del suo essere definita una stella variabile semiregolare pulsante, vale a dire con una certa periodicità nei suoi cambiamenti di luminosità, benché con ampiezze non costanti
Le variazioni di luminosità rilevate nell'ultimo secolo
Image credit:  Joyce et al. 2020 via bfcspace.com


Betelgeuse ha mostrato che la sua luminosità varia con un ciclo di 400 giorni, ma i suoi recenti cambiamenti di luminosità sono stati anormali e questo ha rinforzato l'idea che potrebbe diventare una supernova in prossimo futuro.
Per essere precisi, è certo che Betelgeuse darà luogo ad una supernova (per le sue caratteristiche di massa), il problema è quanto presto. Se fosse giunta nel suo stadio finale (vedi sotto) l'evento potrebbe avvenire in un intervallo (molto piccolo su scala stellare) di "un qualunque momento nelle prossime migliaia di anni"
Un recente articolo prodotto da un gruppo di ricerca dell'università giapponese di Tohoku ha rinforzato l'idea che Betelgeuse sia entrata nelle fasi finali, stato caratterizzato dal raggiungimento nella fornace stellare di eventi di fusione nucleare che coinvolgono il carbonio (possibile solo in stelle con massa iniziale di almeno 8 masse solari). Una volta raggiunte le condizioni per il verificarsi della fusione del carbonio si passa velocemente (in termini stellari) si ha la produzione di neon, sodio e magnesio. Segue l'utilizzo, come carburante nucleare, di neon, ossigeno e infine silicio, l'ultima fase che permette un rilascio netto di energia. Una volta formatosi un nucleo di ferro-nichel qualunque reazione di fusione sarà di tipo endotermico, per cui non potendo più essere liberata energia la stella verrà privata della pressione idrostatica e collasserà su se stessa (l'evento finale dipenderà dalla sua massa residua).

Per avere una idea dei tempi sempre più veloci che caratterizzano le ultime fasi della vita di una stella gigante vi rimando a questa figura.
 
Con il crearsi delle condizioni (e il consumo del carburante più leggero spostato sempre più all'esterno) le stelle massicce riescono ad arrivare all'ultima fase energicamente sostenibile, quella che coinvolge il silicio.
Quindi per stimare l'intervallo di tempo in cui attendersi l'esplosione di Betelgeuse è necessario capire in che fase del ciclo stellare si trova, o meglio se ha raggiunto condizioni di temperatura e pressione interne da attivare le reazioni di fusione degli elementi più pesanti. In modo semplicistico se la stella ha finito l’elio ha una aspettativa di vita di un migliaio di anni mentre se si trova nella fase di fusione del carbonio la vita rimanente si conta in centinaia di anni (qui un articolo - in PDF - specialistico sull'argomento).

Su questa stima le ipotesi divergono. Mentre lo studio del gruppo giapponese (vedi sotto) propende per una Betelgeuse moribonda, un gruppo di ricercatori ungheresi sostiene che la stella si trovi ancora nella prima fase  di combustione dell'elio stimando così la data della supernova entro i prossimi 100 mila anni. Evento che in ogni caso vedremo solo parecchie centinaia di anni dopo che è avvenuto dato che la distanza (stimata) è di circa 700 anni luce.
Il valore impreciso della distanza nasce dalla sua luminosità variabile che rende la misurazione, basata sul parallasse, alquanto complicato. A questo si aggiunga il problema che le stelle più luminose saturano i sensori. Una stima la pone a circa ∼200 parsec (1 psc corrisponde a 3,26 anni luce)


Lo studio giapponese stima che Betelgeuse abbia 8,5 milioni di anni e al momento della sua formazione avesse 19 masse solari, 8 delle quali siano oramai state perse (“usate o eiettate”). 

La stima della massa iniziale non è pura accademia ma determina il destino stesso della stella; tanto più massiccia era alla nascita e tanto più rapido sarà il suo ciclo vitale.

Altra variabile difficile da valutare ma essenziale per stimare l'età della stella è che in origine Betelgeuse potesse essere parte di un sistema binario (gran parte delle stelle è tale, con il sole rara eccezione) per cui la stella potrebbe essere diventata massiccia solo in seguito alla fusione delle due stelle originarie (ne ho scritto in un precedente articolo)


Siamo ad una distanza di sicurezza? Tutte le stime concordano in tal senso sia per la distanza che per la presenza dello scudo fornito dalla nostra magnetosfera.


Fonte
- The evolutionary stage of Betelgeuse inferred from its pulsation periods
Hideyuki Saio et al, (2023) arXiv





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