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Dalla "Pompei" dei trilobiti immagini dettagliate di fossili vecchi 500 milioni di anni

Tra i fossili non “dinosaureschi” più iconici, impossibile non citare i trilobili, alias artropodi marini vissuti nel Paleozoico ed estintisi una decina di milioni di anni prima che i dinosauri (nel Triassico) iniziassero la loro conquista del mondo. 
Nello specifico i trilobiti prosperano in un arco di tempo tra il Cambriano inferiore (530 milioni anni fa) fino al tardo Permiano (250 M anni fa), passando quasi indenni attraverso due estinzioni di massa (Ordoviciano-Siluriano e tardo-Devoniano) per sparire durante la transizione Permiano-Triassico.
Walliserops trifurcatus, una delle tante specie di trilobiti fossili trovati in Marocco
(Jebel Oufatene / Kevin Walsh )
Il nome trilobita indica la ripartizione del corpo “a tre lobi”, uno dei tratti comuni di artropodi peraltro con buon grado di diversificazione, verosimilmente conseguenza dell'occupazione di specifiche nicchie ecologiche. La ragione della loro abbondanza tra i reperti fossili dell’epoca è conseguenza certo della loro ampia diffusione (seppur sempre acquatica) ma soprattutto del loro esoscheletro mineralizzato costituito da materiale chitinoso, un ottimo viatico nel processo di fossilizzazione.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Science descrive in modo estremamente dettagliato la struttura di questi antichi organismi grazie all’analisi di alcuni resti sepolti dalla cenere di un'eruzione vulcanica datata circa 515 M anni fa nella regione che oggi corrisponde al Marocco, all’epoca parte del Gondwana, nota per essere ricca di fossili di Trilobiti.

I paleobiologi descrivono l’eccezionale stato di conservazione di questi fossili (che a tutti gli effetti paiono come la “Pompei dei trilobi” per i resti pietrificati dalla cenere) proprio a causa della cenere vulcanica, fine come talco, riuscita a penetrare fino alla parti anatomiche più microscopiche. Perfino il tratto digestivo di alcuni di questi fossili è pieno di questi sedimenti, ingeriti prima della morte. Con il tempo la cenere si è indurita generando calchi 3D giunti intatti fino ad oggi.
Varie le posizioni congelate dalla morte, alcuni raggomitolati a palla, altri in posizione normale e perfino uno ricorperto di bivalvi che usavano i trilobiti per farsi scarrozzare. 

I fossili sono stati analizzati mediante radiografie e versioni miniaturizzate della TAC così da ottenere immagini ad alta risoluzione anche di strutture minuscole e delicate come le antenne e le setole che ne ricoprivano le zampe.

Disponibile anche sul sito CNN


Fonte
Rapid volcanic ash entombment reveals the 3D anatomy of Cambrian trilobites
Abderrazak El Albani et al, (2024) Science, 384(6703) pp. 1429-1435

***

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Le larve di vespa crescono come piccoli Aliens. Terribili ma utili in agricoltura

La vespa non è propriamente un insetto fra i più simpatici.
Oltre alla sua propensione a pungere (senza pagare dazio con la vita, come avviene per l'ape), si aggiunge la modalità riproduttiva di una delle specie di vespa (Ampulex compressa) che usa un metodo degno di un film di fantascienza. Cosa fa di così terrificante? In parole semplici diciamo che usa lo scarafaggio (Periplaneta americana) come una incubatrice vivente per le sue uova. Non basta. Una volta nate, le larve cominceranno a nutrirsi dello scarafaggio paralizzato, grazie alle neurotossine iniettate dalla madre al momento della deposizione delle uova.
A completare il quadro la immissione, insieme alle uova, di virus (Polydnavirus) normalmente residenti nella vespa, in grado di inibire il sistema immunitario dell'ospite, facilitando così lo sviluppo delle uova.
L'incontro "fatale"... per il coleottero
®Dr. Gudrun Herzner
Non che io abbia particolare simpatia per gli scarafaggi. Quello che turba è la visione di tante piccole vespe che emergono in perfetto stile "Alien" dal corpo dell'insetto ancora vivo.
A parte la curiosa modalità riproduttiva, invero non rara negli insetti, il motivo di interesse è capire come facciano le larve di vespa a svilupparsi senza problemi all'interno di un ambiente "poco sano".
Il perché dell'attributo "poco sano" è dovuto al particolare stile di vita di questi coleotteri centrato sul nutrirsi di rifiuti organici,  che veicolano al loro interno batteri e microbi fra i più disparati. Un ottimo spazzino, fondamentale per l'equilibrio ecologico, ma ben lontano dalla culla che sceglieremmo per fare sviluppare delle uova. La domanda che nasce spontanea è allora come possano le larve nate in tale ambiente svilupparsi senza problemi.
La vespa si avvicina ad un bozzolo per depositarvi
le uova (image: JT Fowler/Science)
La risposta viene da uno studio condotto da naturalisti tedeschi, pubblicato su PNAS, che mostra come durante la crescita della larva all'interno dello scarafaggio questa si adoperi attivamente a disinfettare la propria "culla", trasudando dall'apparato boccale un cocktail di sostanze chimiche antibatteriche.
Un cocktail estremamente efficiente, in grado di bloccare la crescita di batteri estremamente virulenti come Serratia marcescens, molto comuni nei tessuti dello scarafaggio.

Pur essendo la famiglia delle vespe molto ampia (diverse migliaia di specie) al cui interno si annoverano specie specializzatesi nell'usare determinati insetti (falene, api, ...) come incubatrici (vedi sotto), poco si sapeva finora sul comportamento delle larve. Da qui l'origine dello studio.

E visto che nella scienza non si scarta nulla, chissà che dal cocktail scoperto non venga l'idea per qualche nuovo antibiotico, una necessità estremamente sentita nell'attuale farmacopea.

Per chi volesse vedere il video della larva che disinfetta il proprio ospite ...

Si diceva nei precedenti paragrafi che esistono all'interno della famiglia delle vespe, alcuni generi che sembrano provenire, come comportamento, dall'universo di Alien (o forse sarebbe meglio dire, che i gli sceneggiatori del film si sono ispirati ad esse). 
Solo nel corso dell'ultimo anno sono state identificate altre tre specie di vespe che rientrano in questa categoria. Tra questi un dottorando dell'Università di Adelaide ha scoperto una nuova specie di vespa, chiamata Xenomorph a causa sia dell'aspetto diverso da altre vespe che del suo ciclo di vita parassitario che fa pensare ad un altro ... xenomorfo.
Dolichogenidea xenomorph (image by: Erinn Fagan-Jeffries)
(image by: Erinn Fagan-Jeffries)
La nuova specie trovata in Australia, Dolichogenidea xenomorph, è una vespa parassita che per riprodursi inietta le sue uova in bruchi vivi. Le larve si svilupperanno mangiando lentamente il bruco dall'interno verso l'esterno, fino a che "esplodono" sulla superficie, proprio come i piccoli di Alien nelle sue prede umane. Il ciclo si ripete con la trasformazione delle larve in vespe adulte che cercheranno nuovi bruchi in cui deporre le loro uova. Il nome xenomorfo è dovuto al suo aspetto diverso da quello delle vespe classiche (nera e lucente).

Come spesso avviene in natura anche questi insetti, dal comportamento "discutibile", svolgono un ruolo importante nell'ecosistema, tenendo sotto controllo il numero di alcuni insetti fitofagi, dannosi per molte piante, specie in agricoltura. Non a caso queste vespe sono state introdotte in alcuni aree come alternativa ai pesticidi, in quanto selettivi e non tossici. Un trattamento che si accompagna a quello delle coccinelle, tanto belle a vedersi ma che sono ferocissimi predatori di altri insetti e come tali molto utilizzate nell'agricoltura biologica invece degli antiparassitari.

Libri consigliati per saperne di più sul variegato mondo dell'etologia.
Su temi simili ti potrebbe interessare l'articolo sulle --> formiche-zombie.

Fonti
- Larvae of the parasitoid wasp Ampulex compressa sanitize their host, the American cockroach, with a blend of antimicrobials.
Gudrun Herzner et al. - PNAS 2013 
- Wasps have injected new genes into butterflies
Science (2015)
- Three new species of Dolichogenidea Viereck (Hymenoptera, Braconidae, Microgastrinae) from Australia with exceptionally long ovipositors
EP Fagan-Jeffries et al, Journal of Hymenoptera Research (2018) 64:177-190
- DNA barcoding of microgastrine parasitoid wasps (Hymenoptera: Braconidae) using high‐throughput methods more than doubles the number of species known for Australia
EP Fagan-Jeffries et al, Molecular Ecology Resources (2018), 18(5) pp.1132-1143




Il trapianto del volto in una immagine

Il trapianto di volto è una realtà negli ospedali d'avanguardia.

I meno giovani tra i lettori ricorderanno "Face Off" un film di fine anni '90 con Nicolas Cage e John Travolta, in cui il cattivo e il buono di turno fanno un trapianto di faccia per prendere ciascuno le sembianze dell'altro. Film leggerissimamente sopra le righe per una serata a base di pop corn.
Sono passati 20 anni e la chirurgia plastica è andata avanti cercando di arrivare al traguardo di un trapianto simile, fondamentale per migliorare la qualità della vita di chi, in seguito a patologie o a incidenti, avesse subito gravi danni al volto. Un intervento complesso sia nella parte preoperatoria (compatibilità immunitaria e dimensionale) che in seguito quando il paziente inizierà la parte riabilitativa che prevede anche il contributo degli psicologi (accettare un nuovo sé esterno non deve essere una cosa semplice).


La foto che segue, vincitrice del Wellcome Photography prize 2019, mostra le fasi iniziali di un intervento eseguito nel 2017 alla Cleveland Clinic sulla paziente ad oggi più giovane (Katie Stubblefield, 21). L'intervento durato 30 ore ha richiesto un team di 30 persone.
Un intervento più recente e complesso (trapianto in un paziente sfigurato da colpo di pistola auto-inflitto) è di inizio 2018. L'operazione eseguita alla NYU ha richiesto il contributo di più di 100 operatori sanitari ed è durata 25 ore (--> medicalnewstoday).

Un video riassuntivo dei punti salienti di interventi simili



Fonti

***


Alcuni dei pianeti più "bizzarri" finora scoperti

Solo 10 anni fa la semplice idea di identificare pianeti al di fuori del sistema solare sarebbe apparsa al più un argomento per amanti della fantascienza, letteraria o cinematografica che fosse. Oggi si stenta quasi a credere a quanto si siano evoluti gli strumenti e le metodiche per inferire (osservare è un'altra cosa) l'esistenza degli esopianeti (qualunque pianeta al di fuori del nostro sistema) come dimostra la crescita esponenziale del loro numero nei cataloghi astronomici.
Al 10 novembre 2015 il numero di esopianeti identificati e confermati è 1905 (su 5609 scoperti), un numero destinato a crescere con il miglioramento delle tecniche di analisi e l'utilizzo di nuovi strumenti che prenderanno il posto dell'ottimo satellite Keplero.
Leggi --> qui per i dati aggiornati sulla conta degli esopianeti
Nota. Tra gli strumenti utili per cercare informazioni sui sempre nuovi esopianeti che si aggiungono alla "collezione", segnalo il sito exoplanet.eu e l'ottimo planetquest della NASA.
L'aggettivo "bizzarri" inserito nel titolo è ovviamente una semplificazione lessicale condizionata dal fatto che la nostra idea di "normalità" per un pianeta è riferita a quanto osservato nel nostro sistema solare: i pianeti giganti, gassosi o ghiacciati, nella parte esterna e i pianeti rocciosi (di taglia minore) all'interno. Questo è stato da subito il nostro metro di paragone e spiega lo stupore che è seguito alla scoperta di pianeti giganti prossimi alla stella, di "super-terre" più esterne o perfino di pianeti "di diamanti". Considerando che il nostro punto di riferimento è un infinitesimale angolo di universo è più che verosimile che siamo noi la bizzarria planetaria.
Siamo qui
Nota. Allo stato attuale delle conoscenze si stima che esistano 100 miliardi di galassie, in ciascuna delle quali vi è una media di 100 miliardi di stelle. Moltiplichiamo per 3 pianeti per stella (numero minimalista) e il numero di esopianeti potenziali è presto evidente. Certamente noi dovremo accontentarci, anche con il migliore degli strumenti possibili, di sbirciare solo in un'area ristretta della nostra galassia (il cui diametro è 100 mila anni luce e dal centro della quale noi distiamo 26 mila anni luce); mai potremo non dico desumere la presenza di un pianeta anche in una galassia a noi prossima ma nemmeno allontanarci troppo (direi ben entro i 1000 anni luce) dalla nostra posizione su un braccio della spirale galattica.
Fino a non molto tempo fa la "bizzarria" dei pianeti scoperti era in realtà una diretta conseguenza di un nostro "vizio di osservazione" causato dai limiti delle tecniche disponibili; dato che un pianeta grosso e orbitante vicino alla stella è più facile da scoprire di uno piccolo e a distanze "terrestri" (qualunque sia il metodo usato, "oscuramento" della luce o perturbazione dell'orbita stellare) e che al di sopra di certe dimensioni un pianeta non può non essere gassoso, allora si capisce per quale motivo la quasi totalità dei pianeti scoperti in questi primi anni si collochi dimensionalmente tra quelli denominati super-Terra (roccioso) e gli hot-Jupiter (un pianeta come Giove ma "bollente" data la sua prossimità alla stella, spesso in orbite interne a quella del nostro Mercurio).
Negli ultimissimi anni, il miglioramento delle tecniche ha in parte riequilibrato questo vizio di osservazione ma nondimeno la conclusione emersa è che non esiste una relazione a priori tra dimensione dei pianeti e vicinanza alla stella.
La distribuzione dei pianeti (candidati) scoperti in base a a dimensione (rispetto alla Terra) e periodo orbitale
in giorni (inversamente proporzionale alla distanza dalla stella). Credit: NASA Ames/W. Stenzel
Nota. Una descrizione sintetica delle tecniche in uso per l'identificazione degli esopianeti è stata fatta in un precedente articolo sul tema --> qui (ulteriori link sono disponibili nell'articolo)
Al momento in cui ho deciso di schematizzare in una classifica i pianeti più bizzarri finora scoperti ho tenuto conto solo di pianeti "inattesi" che abbiamo incontrato, forse, solo in alcune opere di SF. In altri casi la loro bizzarria è tale che sono "opere prime" dato che nessuno scrittore di fantascienza li avrebbe mai inseriti in una sua opera per evitare di subire il "declassamento" da narratore di SF a scrittore Fantasy.
Rapporto tra dimensione, massa e composizione dei pianeti (credit: Marc Kuchner/NASA GSFC)
Molti di questi pianeti sono ad oggi vere "meraviglie" e in alcuni casi sono veri punti interrogativi circa le dinamiche all'origine della loro formazione. Le immagini eventualmente associate sono, ovviamente, rappresentazioni artistiche su come potrebbero apparire se potessimo inviare in loco una sonda.
Nota. La nomenclatura degli esopianeti è diretta conseguenza di quella stellare, per cui al numero di catalogo della stella (tipicamente legata allo strumento/progetto che l'ha caratterizzata) segue una lettera minuscola ad indicare il pianeta. L'ordine delle lettere indica in genere la progressione temporale della scoperta e non la vicinanza alla stella.

Rappresentazione artistica di un pianeta gioviano (alto a
sinistra) in un sistema stellare ternario, visto da una sua luna
,
Credit: NASA / JPL PlanetQuest / Caltech (by space.com)
Pianeta sito a 151 anni luce da noi caratterizzato dall'orbitare intorno a tre stelle, in pratica una sorta di pianeta Tatooine (vedi Star Wars).
La stella principale ha caratteristiche solari mentre le altre due sullo sfondo nell'immagine, sono strettamente associate ed hanno una massa combinata pari a 1,6 volte quella solare (e si trovano ad una distanza dalla stella principale pari a circa quella di Saturno dal Sole).
In qualunque momento del giorno è possibile assistere ad un tramonto. Non è chiara la dinamica orbitale, se cioè il pianeta orbiti intorno alla stella più vicina e questa a sua volta sia in orbita reciproca con le altre due stelle o se l'orbita planetaria assuma connotati bizzarri ad oggi difficilmente calcolabili.
Pensate che sia un luogo strano? Sappiate allora che pochi mesi fa è stato identificato un pianeta che deve fare i conti per la sua orbita con QUATTRO stelle (il sistema 30 Ari).
Altre info sul sito astronomynow.com (credit: NASA/JPL-Caltech)




WASP-17b
credit: wikipedia
Grande due volte Giove ma con metà della sua massa è caratterizzato da un'orbita retrograda (opposta rispetto alla rotazione della stella).
 Di questi due misteri solo il primo (la bassa massa) può forse essere spiegato grazie ad una terza caratteristica del pianeta: orbita ad una distanza pari a circa 1/7 di quella di Mercurio dal Sole, sufficiente perché una buona parte della sua massa sia stata portata via dal pianeta. Un pianeta gigante gassoso che è di fatto un inferno di gas incandescente.

Un'altro pianeta che ama gli incontri ravvicinati con la sua stella è KIC 12557548 (di cui ho già trattato, vedi link associato); talmente vicino da essere vaporizzato in tempo reale come si evince dalla scia di materia che lascia dietro di se (come se fosse una cometa).
 
GJ12144
Battezzato waterworld è una superterra (massa e raggio 6 e 2 volte quelli terrestri, rispettivamente) in cui non si è ancora capito bene se sia veramente un pianeta roccioso ricoperto da un unico oceano (da cui il nome evocativo) o se sia una sorta di mini-Nettuno, quindi un pianeta gigante ghiacciato ricco di idrogeno, elio ed altri elementi a costituire un nucleo metallico (diverso da Giove e Saturno che sono veri e propri giganti gassosi, quindi "stelle troppo piccole per accendersi).


Gliese 581c
Pianeta orbitante sufficientemente vicino ad una nana rossa (quindi meno luminosa e calda del Sole) da essere situato in orbita sincrona (--> tidal locking) quindi il tempo di rotazione intorno al proprio asse (il giorno) equivale al tempo di rivoluzione intorno alla stella (l'anno).
Ne consegue che una faccia del pianeta sarà perennemente esposta alla luce mentre l'altra al buio.
Sebbene questo fenomeno sia ipotizzabile sul lunghissimo periodo per ogni coppia pianeta-stella o pianeta-satellite, il tempo necessario per raggiungerlo è al di fuori della portata di una stella come il  nostro Sole ma non della longeva nana rossa. Pur essendo difficile fare calcoli precisi dato il numero di variabili da considerare si valuta in 10 miliardi di anni il tempo necessario (link).
Nota. In modo simile si può ricavare la distanza perché si abbia un tidal lock dalla osservazione di un pianeta in tale stato. Sostituendo il tlock dell'equazione classica (qui) con l'età della stella e in riarrangiando l'equazione si ottiene "a". 
e da qui il grafico che indica la distanza in funzione del rapporto di massa tra stella e pianeta
credit: daviddarling.info

C'è un'altra caratteristica di interesse per questo pianeta: si trova talmente vicino alla stella che il suo tempo di rivoluzione è di soli 13 giorni. Immaginando di essere un ipotetico abitante del pianeta, la stella ci apparirebbe 14 volte più grande di quanto ci appare il Sole. Ho scritto "ipotetico" in quanto qualunque forma di vita verrebbe abbrustolita all'istante date le temperature incandescenti sulla faccia illuminata del pianeta. Non che vada meglio nella faccia non illuminata immersa in un gelo perenne tale da congelare l'azoto.
Volendo fantasticare l'unica area in cui potenzialmente potrebbe formarsi la vita è quella "di mezzo" avvolta in un eterno crepuscolo (o alba a seconda di come la si voglia vedere) con un irradiamento accettabile; un'area che unisce ad anello i due poli e la cui dimensione è pari a quella coperta da 15 gradi di longitudine). Continuando nell'opera di fantasia e immaginando organismi in grado di fare fotosintesi, questa dovrebbe basarsi sull'unica radiazione luminosa utilizzabile, l'infrarosso; per tale motivo un vegetale locale non avrebbe foglie verdi ma sostanzialmente nere. Ma c'è un altro problema: se anche vi fosse una atmosfera (il che la vedo dura data la vicinanza alla stella a meno di non possedere un campo magnetico estremamente potente in grado di deflettere il vento stellare) la superficie sarebbe solcata da venti difficilmente immaginabili a causa del gradiente termico tra la superficie ghiacciata e quella in ebollizione.
Comunque l'ottimismo è di casa sulla Terra visto che nel 2008 è stato inviato un segnale radio in direzione del pianeta che dovrebbe giungere a destinazione nel 2029. Speriamo che nessuno risponda. Non oso immaginare che esseri sarebbero in grado di vivere in quel luogo ... "ai confini della realtà".

Un pianeta simile è COROT 7b che condivide con G581c la sfortuna di essere sufficientemente vicino alla stella da essere in orbita sincrona. Qui le temperature sulla faccia esposta del pianeta possono raggiungere i 2200 gradi e si ritiene che possa piovere roccia fusa. [edit: altro pianeta della stessa "classe è K2-141b"].

Immagine artistica di CoRoT-7b e il suo sole (credit: Credit: ESO/L. Calçada)
Il record però del pianeta con orbita più prossima alla stella va a Gj 367b. Questo pianeta di massa circa la metà della Terra e grande come Marte orbita sincrono intorno ad una nana rossa in circa 8 ore.


WASP-12b
Credit: NASA
Pianeta gassoso caldo (hot-Jupiter) orbitante talmente vicino alla sua stella che la sua massa è risucchiata verso di essa. Per motivi simili è sottoposto ad una tale attrazione gravitazionale da avere una forma ovoidale invece che sferica.
E' considerato tra i pianeti più caldi con temperature intorno ai 2200 gradi.



Gliese 436b
Un pianeta simile a nettuno ma vicino alla stella (15 volte più vicino di Mercurio). 
Un pianeta cometa (ESA/Hubble)
Nonostante la sua prossimità ha una temperatura superiore a quella attesa di circa un centinaio di gradi (440 C), spiegabile solo con un massiccio effetto serra (una sorta di Venere in formato Nettuno). Date le condizioni locali si deve ipotizzare che il ghiaccio che caratterizza questo tipo di pianeti esista solo in forme esotiche come ad esempio ghiaccio bollente possibile grazie alla combinazione unica di pressione, temperatura e forza gravitazionale che impedisce la sublimazione del ghiaccio.

55 Cancri e
Il pianeta di diamanti (ne ho parlato in un precedente articolo --> qui)

TrEs-2b
Un altro hot-Jupiter (ve l'ho detto che rappresentano la maggior parte di quelli scoperti) distante da noi 750 anni luce, la cui peculiarità è quella di essere il pianeta più scuro mai identificato. 
Credit to the uploader
Meno dell'uno per cento (una stima recente parla di 0,04 per cento) della luce che proviene dalla sua stella viene riflesso. Difficile capire il motivo del pressoché totale assorbimento della luce incidente, anche ipotizzando la totale assenza di addensamenti atmosferici (che rendono invece Giove così luminoso). Per avere un termine di paragone considerate che riflette meno luce di quanto faccia il carbone o la vernice acrilica.
Tra le ipotesi formulate vi è la presenza di una atmosfera ricca di elementi altamente foto-assorbenti come sodio, potassio o idrossido di titanio.
A quel poco di luce che viene riflessa si deve la debole sfumatura rossastra del pianeta.

HD 106906b
La distanza tra pianeta e un ipotetico
 pianeta nettuniano.
Credit: Vanessa Bailey
E' questo il più solitario tra i pianeti che fanno parte parte di un sistema stellare; una precisazione doverosa quest'ultima data l'esistenza di pianeti orfani - a noi praticamente invisibili - che espulsi per varie ragioni dal loro sistema vagano solitari nello spazio.
Dotato di massa circa 11 volte quella gioviana, questo gigante gassoso orbita ad una distanza di 650 UA (una unità astronomica corrisponde alla distanza Terra-Sole) dalla sua stella sita a 300 anni luce da noi, nella costellazione della Croce del Sud. Per avere un termine di paragone su quando distante sia rispetto alla stella, pensiamo che Nettuno dista 30 UA dal Sole. Se si trovasse nel nostro sistema solare l'orbita di HD 106906b potrebbe essere collocata tra la zona nota come eliopausa e la Nube di Oort, ben oltre il punto in cui si trova ora la sonda Voyager 1 (per maggiori dettagli sulla missione e sulla definizione di eliopausa vi rimando ad articoli precedenti: "il lungo addio della sonda Voyager"; "la sonda è uscita dal sistema solare?").
Difficile immaginare un pianeta più solitario e freddo.

J1407b
Altre info su INAF (Credit: Ron Miller)
Altrimenti noto come il pianeta dagli anelli giganti.
Forse il più spettacolare da ossevare, se potessimo dato che si trova a 400 anni luce da noi. E' dotato di un sistema di anelli al cui confronto quelli di Saturno appartengono ad una moda minimalista; non è una esagerazione la mia se considerate che coprono un'area 200 volte maggiore di quella degli anelli di Saturno. Se immaginassimo di trasportare questo pianeta nel nostro sistema sostituendolo a Saturno, il pianeta ci apparirebbe delle stesse dimensioni della Luna.



SWEEPS 10
Di sicuro uno tra i pianeti che percorre più velocemente la sua orbita. Un anno su Sweeps 10 dura soltanto 10 ore.
Il nome curioso deriva dall'acronimo del progetto Sagittarius Window Eclipsing Extrasolar Planet Search (SWEEPS)
 Si tratta, inutile precisarlo oramai, di un pianeta gioviano (1,6 volte la massa di Giove) che è sfuggito finora al destino di essere vaporizzato e/o risucchiato dalla propria stella unicamente per il fatto che quest'ultima è una nana rossa.
Credit:NASA




COROT-EXO-3b
Un pianeta invero curioso questo che pur avendo una dimensione simile a quella di Giove ha una massa 20 volte superiore.
Credit: ESO/OAMP by cosmo.com
(ingrandimento QUI)
 Per spiegarne la composizione bisognerebbe ipotizzare una densità doppia rispetto a quella del piombo che per un pianeta di tali dimensioni è poco verosimile (un pianeta gigante non può che essere costituito da elementi leggeri come idrogeno ed elio altrimenti sarebbe collassato su se stesso a causa della forza gravitazionale.

L'ipotesi più probabile è che il pianeta sia in realtà una nana bruna, cioè una stella mancata (troppo piccola per accendersi) che abbia perso gran parte dei suoi elementi leggeri a causa dei "venti radianti" emessi dalla vicina stella.
Altre informazioni sulle nane brune -->qui.


Keplero 10c
Cosa pensereste se alla fine dell'elaborazione dei dati raccolti su un potenziale esopianeta classificato come super-Terra (dimensioni 2,3 volte quelli terrestri) emergesse che la sua massa è 17 volte quella terrestre?
Credit: David A. Aguilar (CfA)
Io rifarei i calcoli più e più volte, dato che la geometria e la fisica ci insegnano, rispettivamente, che il volume cresce con il cubo del raggio e che un pianeta di quelle dimensioni deve avere massa e densità compatibili con un pianeta roccioso. Invece la sua massa è simile a quella di Nettuno pur essendo molto più piccolo di esso (e quindi NON può essere di tipo gassoso). Una volta escluso l'impossibile non rimane che l'improbabile ma possibile, cioè che si tratti di un pianeta roccioso incredibilmente denso. Il valore della densità indica inoltre che gran parte degli elementi più leggeri come elio e idrogeno sono stati persi il che data la sua massa (gravità sufficiente a trattenere tali elementi) fa pensare che il sistema stellare sia molto più antico del nostro. Le stime attuali parlano di 11 miliardi di anni, poco più di 3 miliardi di anni dopo il Big Bang.
Il pianeta orbita intorno ad una stella non dissimile dal Sole ma in una orbita molto più stretta (dato che il tempo di rivoluzione è pari a 45 giorni la distanza è facilmente desumibile dalla terza legge di Keplero).
dove "T" è il periodo, "a" è il semiasse maggiore dell'orbita ellittica e K è la costante di Keplero. 
A tale distanza la superficie potrebbe arrostire agevolmente qualunque forma di vita anche se la temperatura reale dipende dalla presenza (dato non noto) di una atmosfera.

Allo stesso sistema appartiene il piccolo pianeta Keplero 10b che ha caratteristiche "infernali" molto simili a Keplero 78b, soprannominato il "pianeta di lava" e di cui ho scritto in passato (--> qui).

HD189733b
Un pianeta su cui piove ... vetro fuso (vedi articolo precedente --> qui).

Sulla falsariga di pianeti dove piovono cose strane, in questo abbiamo nuvole di ferro e pioggia di titanio (vedi articolo dedicato).

GJ 3512b
Un pianeta gigante che non potrebbe esistere.
Tale affermazione viene dal suo orbitare intorno ad una stella stella nana grande solo 270 volte il pianeta (come confronto il Sole è 1050 volte Giove) il che pone problemi circa la sua origine: difficile che possa essersi formata dagli avanzi di materiale protostellare non usato per "accendere" la stella. Talmente strano che lo studio ha meritato di essere pubblicato sulla prestigiosa rivista Science
Image credit: Guillem Anglada-Escude, Ieec, SpaceEngine.org via inaf.it



Coku Tau 4
Un pianeta "bambino" questo con una età stimata di solo 1 milione di anni. Una età che non deve stupire; ricordo infatti che il processo che porta alla formazione di un sistema planetario è temporalmente una inezia  rispetto alla sua vita (pochi milioni contro una decina di miliardi di anni per le stelle di massa solare) e sono diversi i casi in cui tale processo è stato osservato nelle sue diverse fasi.
Il pianeta dovrebbe essere di tipo gioviano e quindi assomigliare a come era il gigante del nostro sistema solare qualche miliardo di anni fa.
L'immagine non si riferisce a Coku Tau 4 ma è esemplificativa degli indizi che mostrano la formazione di un pianeta come la comparsa di un gap nel disco di detriti che circonda la protostella. Credit: NASA, ESA


E sui pianeti "abitabili" che cosa si sa?
Non molto e per una serie di ragioni fondate. Un pianeta abitabile (secondo i nostri parametri ovviamente) deve avere una serie di caratteristiche come massa, dimensione e posizione all'interno di un certo intervallo. Ma non basta dato che bisogna rapportare questi dati alle caratteristiche della stella; la cosiddetta zona di abitabilità di una nana rossa è molto più prossima (e limitata) alla stella di quella definita da una stella solare. Il vantaggio di una nana rossa però è che ha molto più tempo "vitale" a disposizione (senza incorrere in fastidiose - e distruttive per i vicini - degenerazioni in gigante rossa come avverrà per il Sole) e quindi se un pianeta è "messo bene" le probabilità che scocchi la scintilla della vita sono maggiori.
Esistono molte variabili da considerare non sempre definibili con gli strumenti attualmente disponibili. Se guardassimo da molto lontano il nostro sistema classificheremmo Venere come un pianeta gemello della Terra (per massa e dimensioni); potremmo ipotizzare l'esistenza di una spessa atmosfera ma difficilmente capiremmo che di abitabile questo pianeta non ha nulla a causa delle temperature locali causate dall'effetto serra.
Per ulteriori informazioni riguardo la scoperta di pianeti "abitabili" rimando al sito dell'osservatorio di Arecibo --> Planet Habitability Laboratory (PHL).
Credit: PHL @ UPR Arecibo

Una lista dei pianeti "estremi" (distanza, massa, ...) è disponibile --> QUI.

Alcune App sul tema:
  • l'app ufficiale della NASA --> NASA app (per Android su sito playstore) o --> QUI (per iPhone)
  • ricerca pianeti sistema solare usando la fotocamera dello smartphone (per Android sul sito playstore)--> Planets oppure Pocket Planets.







La Terra rotonda ... nonostante i terrapiattisti

Per secoli, l'essere umano ha dovuto accontentarsi di globi e mappe per "vedere" la curvatura del nostro pianeta. I più ardimentosi hanno voluto cercare conferma alle ipotesi arrampicandosi sulle vette così da vedere "oltre" l'orizzonte.
E' solo negli ultimi 60 anni che la visione del nostro è cambiata. Non molto tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli scienziati hanno cominciato ad usare i missili V-2 tedeschi sostituendo le testate esplosive con le telecamere e lanciando i razzi in orbita; è stato solo a quel punto che le immagini della Terra come sfera sono diventate "reali" e con esse è cambiata la percezione del rapporto tra noi, il nostro pianeta e il "vuoto" circostante.

Vale la pena dunque godersi ancora una volta, anche se oramai ci siamo "abituati", alcune immagini iconiche di questa conquista aggregate sotto forma di video, e andare alla scoperta di quello che è stato anche definito il Pale Blue Dot , cioè come appare la Terra da lontano, un puntino blu pallido.
Che i terrapiattisti  dicano il contrario è parte del marketing dei 5' di celebrità per chiunque. Meno normale che i media ufficiali rilancino la notizia (!?) che una studentessa tunisina di ingegneria (sic!) abbia prodotto una tesi di dottorato (sic!) centrata sul fatto che la Terra fosse piatta (sic!); una riprova semmai del fatto che il cervello è sempre più un optional nell'era post-Lumi. Fa quasi più notizia il fatto che sia dovuto intervenire il ministro dell'istruzione tunisino, ma solo dopo molte pressioni, per bocciare d'autorità la candidata, che non l'assurdità di uno studente che arriva "indenne" a maturare tali convincimenti. Oggi come oggi, qualunque studente delle elementari dovrebbe essere in grado di capirlo attraverso attraverso test semplici come quelli ricordati dal sito BUTAC -->10 modi per capire che la Terra non è piatta. Non è un problema solo "religioso" dei paesi arabi visto che in Italia abbiamo avuto a lungo al CNR (NON il clienti fisso dell'osteria della Martesana!) un vice-presidente che sosteneva che i terremoti fossero una punizione divina. Non ci credete? Leggete il paragrafo a fondo pagina.

Se non vedi il video -->youtube (all credits to Nature)

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La barzelletta REALE del dirigente CNR creazionista
Non so cosa sia più strano tra la politica che nel 2014 nominò Roberto De Mattei, un teologo e docente di Storia della cristianità e della Chiesa (sic!!) alla carica di vicepresidente del CNR (che fino a prova contraria è un ente scientifico) oppure le sue dichiarazioni sul terremoto in Giappone
"(...) La luce della fede ci insegna che le grandi catastrofi, o sono un richiamo paterno della bontà di Dio, o sono esigenze della divina giustizia (...)" (La Repubblica)
Ma siccome il miracolo della provvidenza di averci donato cotanto illuminato non bastava, il nostro già nel 2009 organizzò al CNR (quindi a spese del contribuente) un convegno i cui atti sono riassunti in un libro curato dallo stesso. Di Seguito una frase estratta dal libro 
"Obiettivo del convegno (e del libro) è quello di rendere evidenti i limiti della scienza e di ristabilire una visione cristiana del mondo che ponga il concetto di creazione al suo posto centrale portatore di ordine, di finalità e di intelleggibilità, perché una società in ordine richiede l'esistenza di un'autorità superiore, la quale ci avrebbe risparmiato questa ideologia evoluzionista che oggi invade tutti gli ambiti dell'azione e del pensiero"
Quale miglior CV per entrare ai piani alti del CNR? E io stupidino che partecipai anche ad un concorso nazionale in gioventù


Il Google Map dell'evoluzione

Tutti conoscono Google Maps e la fantastica (per  chi come me è nato prima dell'era digitale e sognava sugli atlanti) possibilità di zoomare con risoluzione nell'ordine di pochi metri una qualsiasi area del pianeta.
Se questo strumento vi piace, allora pensate a qualcosa di simile ma in biologia evoluzionista, come uno strumento che permetta con il semplice rollio del mouse di partire da un dato phylum o ordine fino ad arrivare "alla fogliolina del ramo evolutivo" (la specie) così da visualizzare il grado di parentela tra diversi organismi.
Uno strumento utile non solo per il biologo ma per qualunque appassionato di scienze.
Rimango sempre basito quando parlo con qualcuno che si professa amante della tecnologia e della innovazione e che poi ignora in toto le nozioni base della evoluzione, un campo in cui c'è da "divertirsi" a ripercorrere il l'evoluzione di "forma"/"funzione" che caratterizza ogni tappa/ramificazione della evoluzione.

Dettaglio di OneZoom
Ecco allora OneZoom uno strumento sviluppato congiuntamente da ricercatori della UCL (University College of London) e della University of Idaho. Il sito è in divenire nel senso che continua a raccogliere i contributi dai ricercatori sparsi nel mondo, con l'obiettivo di giungere a coprire tutti e sette i regni in cui si divide la vita sul nostro pianeta. Regni che ricordo sono: Archea; Bacteria; Protista; Chromista; Fungi; Plantae; Animalia.

L'albero della vita con la scala temporale

Di seguito il video tutorial sull'utilizzo, in verità molto semplice, dello strumento.

(se non vedete il video cliccate QUI)

Se dopo avere visto la presentazione volete "giocare" un poco con lo strumento, questa è la pagina del sito --> qui.
Se invece avete già le idee chiare e volete scegliere un regno in particolare ecco alcune delle possibilità a disposizione (cliccate sul nome):
--> Batteri (Regno)
--> Tetrapodi (Superclasse)
--> Mammiferi      --> Uccelli        --> Anfibi (Classi)
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Molto utile per uno sguardo temporale ai passaggi chiave dell'evoluzione il seguente pannello a scorrimento orizzontale.
---> http://interactive-learning-objects.onlea.org/geologic-timescale/#/time-scale

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Altro albero evolutivo interattivo di elevata fattura è quello fornito dalla ONLEA. Tra le tante attività interattive presenti sul sito, l'albero filogenetico è una chicca data la facilità di navigazione (sempre basata su zoom e mouse) e, soprattutto, la presenza di tutti i rami estinti, ivi compreso l'ampio gruppo dei dinosauri.
--> Albero filogenetico generale
e se siete appassionati di dinosauri (quelli veri) ecco due esempi per seguirne l'evoluzione
--> dinosauri marini
--> gli uccelli come diretti eredi dei dinosauri

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Un altro lavoro, più specifico ma anche molto dettagliato e ambizioso, è quello che mappa il grado di parentela degli uccelli nella loro attuale diversificazione. Vengono qui considerati sia i dati genetici derivanti dalle sequenze genomiche disponibili che i dati di distribuzione geografica.
Un approccio chiaramente più tecnico (e per questo meno facilmente comprensibile dai non addetti ai lavori) ma di sicuro interessante.
Di seguito una delle immagini presentate nell'articolo tematico apparso su Nature

®Nature.com
Attinente al progetto di mappatura degli uccelli, da menzionare la ---> Map Of Life, una risorsa interattiva per l'analisi della biodiversità

RoboBee. Un insetto robot capace di muoversi sia in aria che in acqua

articolo precedente sul tema robotica --> "copiare il movimento dai serpenti"

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Forse non è il primo nel suo genere ma l'insetto robot sviluppato da Harvard Microrobotics Lab ha la indubbia capacità sia di volare che di nuotare.
Credit: Harvard Univ. (from Wikipedia)
Non si tratta di una trovata pubblicitaria che fa presagire l'uscita dell'ennesimo film di James Bond e dei suoi mirabolanti gadget ma della realizzazione di una vecchia idea risalente al 1939; all'epoca un ingegnere russo propose la realizzazione di un velivolo in grado di funzionare all'occorrenza anche come sottomarino. Non si sa se tale idea fosse il frutto della volontà di compiacere un irascibile (e pericoloso quando arrabbiato) Stalin, me non stupirà scoprire che tutti progetti sviluppati da allora su tale ipotesi abbiano fallito; troppa la complessità connaturata a tale sfida ingegneristica che dovrebbe coniugare la forma necessaria per spostarsi nell'aria (grandi profili alari per assicurarne la portanza) e nell'acqua (superficie ridotta al minimo per ridurre la resistenza).

Dopo quasi 80 anni di prove, oggi gli ingegneri di Harvard hanno cambiato prospettiva (e ridotto le dimensioni del velivolo), prendendo spunto dalla natura e in particolare dalla soluzione usata dalla pulcinella di mare. Questi graziosi uccelli (genere Fratercula appartenenti alla famiglia Alcidae) dai becchi sgargianti rappresentano uno tra i migliori esempi di "veicoli ibridi" naturali, in grado di sfruttare il movimento della ali sia in aria che in acqua. La modalità di propulsione nei due mezzi è simile, mentre quello che varia è la velocità dello sbattere le ali.

RoboBee (ape robot), è un microrobot frutto di tali studi. Grande poco più di una monetina è in grado di librarsi in aria come un insetto, sbattendo le piccole ali 120 volte al secondo ma capace di muoversi anche in acqua. Il passaggio in acqua è il vero momento critico in quanto, date le piccole dimensioni e peso, non sarebbe in grado di rompere la tensione superficiale dell'acqua e rimbalzerebbe come un sasso quando viene lanciato sulla superficie di uno stagno. Per superare l'ostacolo, RoboBee si avvicina alla superficie tenendo un certo angolo e abbassa repentinamente la velocità a 9 battiti al secondo, con il risultato di schiantarsi senza tante cerimonie in acqua e affondare.
Lo spegnimento del movimento alare è necessario a causa delle conseguenze che l'impatto con l'acqua, la cui densità è mille volte maggiore di quella dell'aria, avrebbe sulle piccole ali. Una volta sommerso il mini-robot può riavviarsi e continuare così a muoversi.
 Credit: Harvard University
 se non vedi il video clicca --> youtube

Si tratta chiaramente ancora di un test dato che il prototipo, proprio a causa delle sue piccole dimensioni, necessita di una alimentazione elettrica esterna e che il mezzo in cui viene fatto muovere è acqua deionizzata, per evitare problemi elettrici. Altro limite importante è che non si è ancora stati in grado di fare muovere RoboBee in direzione inversa, cioè dall'acqua verso l'aria proprio per problemi legati alla spinta in uscita cosa che implicherebbe un movimento delle ali eccessivo (e quindi il loro repentino distacco).

Il percorso è ancora lungo ma i primi passi concreti nello sviluppo di questi veicoli è iniziato.
(Articolo successivo sul tema che apparirà in questo blog tra pochi giorni --> "Dallo studio delle api idee per il volo dei mini-droni")

(nel prossimo articolo sul tema si vedrà come sfruttare il sistema di elaborazione visivo delle api per volare in ambienti complessi --> QUI)


Articoli precedenti e correlati su questo blog --> "mini robot volanti"  oppure clicca sul tag --> "robotica"


Fonte
- Dive of the RoboBee
 Harvard School of Engineering and Applied Sciences / news



Dallo studio delle api un sistema di atterraggio per gli aerei, a prova di hacker

La storia dell'innovazione umana è da sempre ispirata all'osservazione della natura, in particolare allo studio del paziente lavoro fatto dalla selezione nel corso di centinaia di milioni di anni per trovare la forma migliore ad una particolare funzione. Dalla prima scintilla catturata dopo un incendio al volo degli uccelli, il sogno umano è sempre stato quello di emulare quello che in natura sembrava essere così semplice. In particolare il sogno di volare è, da che se ne ha memoria storica, la fonte di fascinazione per eccellenza a cui si è abbeverato il genere Homo: dal mito di Icaro agli studi rigorosi ma poco praticabili di Leonardo si è infine arrivati alla pratica con i fratelli Wright che hanno aperto l'era dell'aeronautica moderna.

Ma tanto rimane ancora da imparare sia per quanto riguarda l'aerodinamica che i sistemi di controllo del volo. Un esempio in tal senso viene dallo studio delle api e trova applicazione in un un innovativo sistema di atterraggio completamente indipendente dalla tecnologia attuale, a prova quindi di malfunzionamenti e di hackeraggio dei sistemi.

Atterraggio "previsto" dalle telecamere dell'aereo
Thurrowgood et al)
Il progetto, coordinato da Saul Thurrowgood del Queensland Brain Institute, ha sviluppato un sistema di atterraggio che si differenzia dalle altre tecniche in uso in quanto è indipendente da sensori a raggio laser, radiofari o segnali GPS. Tutti sistemi che possono essere violati dall'esterno, con conseguenze facilmente prevedibili.
Lo spunto è venuto dallo studio della biologia delle api e di come usano la variazione degli input visivi per calibrare la loro discesa. Dati recenti indicano che questi insetti sfruttano non solo la variazione di posizione del punto di riferimento sottostante ma anche la visione stereoscopica per valutare la distanza dal punto scelto (e quindi variare la propria velocità).

Di seguito il video del test con la visione "ad ape" a sinistra e dall'esterno a destra.

Entrambe queste "procedure di navigazione" sono state integrate nel sistema di atterraggio automatico, opportunamente modificate in modo da essere idonee alle caratteristiche di un velivolo ad ala fissa. Integrazione effettuata mediante telecamere montate nella parte anteriore di un aeromobile di prova di piccole dimensioni (due metri di apertura alare).
Il commento degli australiani è finora positivo "l'aereo ha utilizzato i dati provenienti dai suoi occhi (telecamere) per guidare se stesso, percepire l'altitudine, controllare la velocità e spegnersi una volta atterrato".
E' evidente che lo scopo di questo non è quello di sostituire i sistemi (ottimi) in uso ma di integrarli con sistemi di backup indipendenti. Il malfunzionamento (o la manomissione) di uno di questi potrebbe essere così immediatamente scoperto, fornendo al contempo uno strumento di guida "sicuro".
Questo studio si avvale, e la cosa non stupisce, di finanziamenti forniti dal centro studi degli eserciti americano e australiano oltre che dalla Boeing.

(Altri articoli che trattano sulle applicazioni tecnologiche derivate dallo studio delle api -->"Robobee"

 Fonte
- A Biologically Inspired, Vision-based Guidance System for Automatic Landing of a Fixed-wing Aircraft
Saul Thurrowgood et al (2014) Journal of Field Robotics, 31(4) 699–727, July/August 2014

le frontiere della robotica (1)

(articolo aggiornato in data 13/12/2016)

I ricercatori della University of Pennsylvania hanno sviluppato un sistema che permette a piccole unità robotiche di volare mantenendo una formazione di volo estremamente precisa e, diciamolo, inquietante.
I robot, si sa, sono da sempre oggetti di fascinazione sia per gli aspetti tecnici che per quelli immaginifici. Come non ricordare gli innumerevoli libri e film in cui il robot assurge a ruolo centrale della storia. Se poi il ruolo è inquietante, di ribellione alle direttive umane, tanto meglio, come Blade Runner e Terminator insegnano.
Quindi non stupisce come osservare uno sciame (o meglio una squadriglia) di robot in assetto minaccioso sia più coinvolgente che guardare un robot umanoide in atteggiamenti da maggiordomo.

 Tornando alla notizia di cui sopra, la componentistica necessaria per assemblare robot volanti di tale complessità vede una componente prettamente meccanica ed una di controllo. 


Le parti meccaniche dei robot sono state sviluppati dalla KMel Robotics mentre il sistema di controllo viene da un team di ricercatori del laboratorio "General Robotics, Automation, Sensing, and Perception" della University of Pennsylvania.
vedi il video

Nel frattempo altri team di ricercatori si sbizzarriscono nel processo di sviluppo di robot con sembianze - o più spesso azioni mutuate da - animali per i più diversi scopi

(continua QUI)
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"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
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