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Visualizzazione post con etichetta Zanzare. Mostra tutti i post
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Anche l'esercito in guerra contro i vampiri volanti

 L’università della Florida difende i soldati dalle zanzare.

Nell’ambito di un progetto finanziato dal programma Deployed Warfighter Protection del dipartimento della Difesa, i ricercatori hanno lavorato ad un sistema di protezione che non richieda calore o elettricità o l’essere applicato sulla pelle. 
Tra i rischi del mestiere di soldato c’è anche l’operare in ambienti ricchi di insidie volanti o acquatiche. Le zanzare sono il miglior esempio di organismi universalmente detestati contro i quali si provano da anni rimedi che vanno da quello tramandato dalla nonna a braccialetti con (improbabili) funzioni di amuleto. Quando questi rimedi devono essere usati dai soldati è evidente che devono essere privi di effluvi che li rendano individuabili.
Il nuovo dispositivo sperimentale, che un giorno magari sarà presente anche nelle tasche dei civili, è a forma di tubo e lungo circa 2,5 cm. Contiene due tubi più piccoli riempiti di un insetticida potente ma sicuro per chi non è una zanzara, la transflutrina.
Credit: University of Florida
I test sono consistiti nell’installare 70 di questi dispositivi all'interno di un grande accampamento militare, seguiti dall'immissione nell’area diverse specie di zanzare allevate allo scopo. I risultati sembrano positivi nel senso che entro 24 ore dall’inizio i vampiri volanti sono stati respinti o annientati e la protezione è durata per 1 mese. 
Vantaggio principale l’avere eliminato la necessità di spruzzare l’insetticida nell’area contaminando così le piante circostanti e, a cascata, gli impollinatori e altri insetti. 

Fonte
Small, convenient mosquito repellent device passes test to protect military personnel


Di seguito due articoli pubblicati precedentemente sul tema "lotta ai vampiri volanti". Li ripropongono tali e quali per comodità di lettura

***

Le zanzare ti troveranno. Sempre.
 Le basi neurologiche della loro efficienza 
Tempo fa avevo affrontato il tema delle basi scientifiche (spesso assenti) di alcuni rimedi antizanzara, palesando la difficoltà intrinseca nel difendersi da questi vampiri volanti (l'articolo è riportato in calce al presente).
Oggi torniamo sul tema per grazie ad un articolo pubblicato poche settimane fa sulla rivista Cell, centrato sulla neurofisiologia del sistema di rilevamento umano delle zanzare. 

Quando le zanzare femmina cercano un essere umano da usare come autogrill, si basano sulla rilevazione di un cocktail unico di odori corporei che noi diffondiamo. Le molecole "odorifere" stimolano i recettori  presenti nell'antenna delle zanzare attivando a cascata il segnale che dirotta la sanguisuga volante verso il bersaglio.
Modalità d'azione dei repellenti per insetti. (A) Artropodi come le zanzare usano segnali chimici (in verde) per trovare un ospite e nutrirsi. I repellenti topici (in rosso) agiscono a distanza ravvicinata o al contatto interrompendo il comportamento di attrazione. I repellenti spaziali esibiscono il loro effetto a distanze molto maggiori. (B) Alcuni repellenti come il DEET (N,N-diethylmeta-toluamide) interagiscono con più gruppi di recettori sensoriali (recettore dell'odore, OR; recettore gustativo, GR e recettore ionotropico, IR) distribuiti su varie appendici di artropodi. È possibile che i futuri repellenti per insetti saranno disegnati per interagire con altre famiglie di recettori 
(image credit: Jonathan D Bohbot)

Gli autori dell'articolo hanno provato ad eliminare i recettori preposti a specifiche (e note per fungere da segnale) molecole allo scopo di verificare se tali modificazioni rendessero gli umani invisibile alla zanzara. Il risultato ha evidenziato una importante differenza rispetto ai nostri neuroni olfattivi; mentre la maggior parte degli animali ha neuroni olfattivi mono-funzione (i neuroni esprimono un solo tipo di recettore e la capacità di percepire molti odori è legata alla varietà neuronale) quelli delle zanzare sono ad ampio spettro.
Nello specifico pur avendo eliminato il recettore per la molecola (tipicamente umana) 1-otten-3-olo, questi recettori rimanevano capaci di riconoscere altri segnali "umani" (di tipo amminico) attivando la zanzara verso il bersaglio.
L'evoluzione ha dotato questi animali di sistemi ridondanti nel loro sistema olfattivo che ne assicurano la funzionalità.

Qualsiasi tentativo di sviluppare repellenti (ad esempio molecole in grado di bloccare i loro recettori "umani") deve fare i conti con questa ridondanza funzionale

Sistemi simili (pluri-recettori) sono presenti in altri insetti come i moscerini della frutta.

(a) Aedes aegypti e Toxorhynchites sono evolutivamente separati da 40 milioni di anni . Entrambi gli insetti possono utilizzare l'octenolo in contesti diversi e sovrapposti. La zanzara propriamente detta ha sviluppato la capacità di rilevare gli umani (credit: Nature)


Fonte
- Non-canonical odor coding in the mosquito
Margaret Herre et al, Cell, 2022; 185 (17): 3104


***

Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo
(29/4/18)

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa. 

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati. 
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.

Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news

***

Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa. 

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati. 
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.


Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news

Le zanzare ti troveranno. Sempre. Le basi neurologiche della loro efficienza

Tempo fa avevo affrontato il tema delle basi scientifiche (spesso assenti) di alcuni rimedi antizanzara, palesando la difficoltà intrinseca nel difendersi da questi vampiri volanti (l'articolo è riportato in calce al presente).
Oggi torniamo sul tema per grazie ad un articolo pubblicato poche settimane fa sulla rivista Cell, centrato sulla neurofisiologia del sistema di rilevamento umano delle zanzare. 

Quando le zanzare femmina cercano un essere umano da usare come autogrill, si basano sulla rilevazione di un cocktail unico di odori corporei che noi diffondiamo. Le molecole "odorifere" stimolano i recettori  presenti nell'antenna delle zanzare attivando a cascata il segnale che dirotta la sanguisuga volante verso il bersaglio.
Modalità d'azione dei repellenti per insetti. (A) Artropodi come le zanzare usano segnali chimici (in verde) per trovare un ospite e nutrirsi. I repellenti topici (in rosso) agiscono a distanza ravvicinata o al contatto interrompendo il comportamento di attrazione. I repellenti spaziali esibiscono il loro effetto a distanze molto maggiori. (B) Alcuni repellenti come il DEET (N,N-diethylmeta-toluamide) interagiscono con più gruppi di recettori sensoriali (recettore dell'odore, OR; recettore gustativo, GR e recettore ionotropico, IR) distribuiti su varie appendici di artropodi. È possibile che i futuri repellenti per insetti saranno disegnati per interagire con altre famiglie di recettori
(image credit: Jonathan D Bohbot)

Gli autori dell'articolo hanno provato ad eliminare i recettori preposti a specifiche (e note per fungere da segnale) molecole allo scopo di verificare se tali modificazioni rendessero gli umani invisibile alla zanzara. Il risultato ha evidenziato una importante differenza rispetto ai nostri neuroni olfattivi; mentre la maggior parte degli animali ha neuroni olfattivi mono-funzione (i neuroni esprimono un solo tipo di recettore e la capacità di percepire molti odori è legata alla varietà neuronale) quelli delle zanzare sono ad ampio spettro.
Nello specifico pur avendo eliminato il recettore per la molecola (tipicamente umana) 1-otten-3-olo, questi recettori rimanevano capaci di riconoscere altri segnali "umani" (di tipo amminico) attivando la zanzara verso il bersaglio.
L'evoluzione ha dotato questi animali di sistemi ridondanti nel loro sistema olfattivo che ne assicurano la funzionalità.

Qualsiasi tentativo di sviluppare repellenti (ad esempio molecole in grado di bloccare i loro recettori "umani") deve fare i conti con questa ridondanza funzionale

Sistemi simili (pluri-recettori) sono presenti in altri insetti come i moscerini della frutta.

(a) Aedes aegypti e Toxorhynchites sono evolutivamente separati da 40 milioni di anni . Entrambi gli insetti possono utilizzare l'octenolo in contesti diversi e sovrapposti. La zanzara propriamente detta ha sviluppato la capacità di rilevare gli umani (credit: Nature)


Fonte
- Non-canonical odor coding in the mosquito
Margaret Herre et al, Cell, 2022; 185 (17): 3104


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Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo
(29/4/18)

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa.

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati.
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.

Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news


+10 applicazioni curiose della tecnica di ingegneria genetica CRISPR

Il termine CRISPR è diventato (quasi) di uso comune dopo il recente Nobel per la chimica a Doudna e Charpentier, e prima ancora per la famigerata creazione di bambini geneticamente modificati, ad opera da He Jankui nel 2019 di cui ho già scritto.
Chi è del campo non ha bisogno di conoscere i dettagli del funzionamento di questa tecnica e chi non lo è potrebbe facilmente perdersi nei meandri dei dettagli molecolari che ne spiegano il funzionamento.
Mi limito quindi ad una definizione generica tale da essere compresa da più persone, iniziando dalla versione ultrasintetica: tecnica, mutuata dal sistema di difesa antivirale dei batteri, con la quale è possibile  modificare in modo mirato e "semplice" l'informazione o espressione di uno o più geni bersaglio in qualunque cellula animale o vegetale.
Manuale del 2016 reperibile su Amazon scritto dal Nobel J. Doudna

Ampliamo la definizione aggiungendo qualche dettaglio in più, ma sempre semplificando il concetto sottostante. 
La CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) è una tecnica di ingegneria genetica (ovvero finalizzata a modificare uno o più bersagli nel genoma) mutuata dal sistema di difesa antivirale presente nella maggior parte degli Archaea e in molti batteri. Un sistema che somiglia sotto alcuni aspetti all'immunità adattativa presente nei vertebrati, vale a dire il sistema che sviluppa armi di difesa (anticorpi e cellule nei vertebrati) solo dopo avere incontrato per la prima volta il futuro bersaglio.
Mentre le difese innate sono pronte all'uso e generiche (ad esempio la risposta contro il LPS presente nella membrana di tutti i batteri Gram-negativi o i sistemi intracellulari che si attivano quando trovano un RNA a doppio filamento), l'immunità adattativa necessita di una esposizione alla minaccia e una decina di giorni prima di montare una risposta adeguata. Nei vertebrati superiori il compito di riconoscimento  viene svolto da macrofagi e APC (che catturano il bersaglio e preparano l'identikit) e da cellule effettrici come i linfociti che attraverso una complessa fase di riarrangiamento di alcuni geni porta alla produzione di anticorpi e di cellule citotossiche specifiche per un solo bersaglio.
I batteri sono organismi unicellulari per cui non possono delegare a cellule specializzate il compito attinente la difesa adattativa per aggiornare le difese contro nuovi virus o varianti di virus già incontrati. 
Alcune classi di batteri hanno optato per un meccanismo "empirico" per cui ogni volta che un virus penetra nella cellula, ne catturano e digeriscono il suo DNA, i cui mini frammenti (purché non omologhi a sequenze batteriche) verranno incorporati all'interno di "cassette", regioni specifiche del DNA batterico, in "coda" alle sequenze catturate in precedenza dalle cellule "ancestrali". Possiamo pensarlo come uno schedario in cui sono allineate tante foto segnaletiche le cui fotocopie vagano dentro la cellula trasportate da miniveicoli (le proteine Cas); se trovano il bersaglio il veicolo attiva immediatamente la risposta neutralizzante il DNA o RNA alieno.
Nota. La "foto" segnaletica, detta guida a RNA (lunga circa 20 nucleotidi) è adiacente ad una stringa  nota come PAM (protospacer adjacent motif) di 2-6 nucleotidi che serve per massimizzare la specificità evitando il "fuoco amico", cioè il rischio di colpire anche il proprio genoma. Grazie a questo sistema CRISPR il "primo" batterio infettato e sopravvissuto porterà "memoria" di questo incontro che i suoi discendenti utilizzeranno come difesa. Una informazione che viene condivisa anche con batteri di altre specie. 
Il sistema ha una certa eterogeneità tra i vari batteri tanto che ad oggi è categorizzabile in 6 tipi di CRISPR-Cas (I-VI) raggruppabili in due classe generali (1 e 2). Il termine Cas (CRISPR associated protein) indica la proteina con funzione effettrice, in genere una endonucleasi. 
Una immagine che schematizza i 6 tipo di CRISPR la trovate QUI. Se siete più tecnici vi rimando ad una review abbastanza recente.
Tra questi, il CRISPR-Cas di tipo II (con una Cas derivata dal batterio Streptococcus pyogenes) è quello più usato come modello nello sviluppo di tecniche di ingegneria genetica, su cui vengono apportate di volta in volta modifiche per renderlo adatto agli scopi desiderati. 
La foto segnaletica è la porzione blu del gRNA, veicolata dal complesso Cas9. Quando intercetta il suo bersaglio (segmento azzurro del dsDNA) attiva l'endonucleasi e procede al taglio. Esistono varianti Cas9 da altri batteri che eseguono il taglio solo su un filamento e altre "Cas" come Cpf1/Cas12a che eseguono il doppio taglio "sfalsato". 

Raffigurazione più "realistica" di come la proteina Cas9 (in bianco) alloggia sia la foto segnaletica (gRNA) che il DNA bersaglio prima di attivare il taglio enzimatico
(image credit: Thomas Splettstoesser (www.scistyle.com)

Se lo scopo è invece "bersagliare" un RNA allora la proteina migliore appartiene alla famiglia Cas13


L'utilizzo della CRISPR nella ricerca scientifica e, in prospettiva, nella terapia è variegata. Andiamo dalla correzione di un singolo nucleotide all'interno di un gene, alla sostituzione di pezzi "danneggiati" con altri normali fino alla modifica della espressione genica senza però apportare modifiche ma solo veicolando in sito delle proteine regolatrici. Scopi molteplici che implicano varianti della tecnica. L'esempio più semplice è trasformare l'apparato predisposto al taglio del bersaglio rimuovendone l'attività enzimatica (la proteina così mutata è nota come dead Cas o dCas); il risultato sarà un complesso CRISPR che continua a riconoscere il bersaglio ma dopo averlo agganciato non fa altro che bloccarne l'accesso al macchinario trascrizionalee "sedendocisi" sopra; molto utile quando si vuole solo spegnare un gene  temporaneamente
In alternativa alla mutazione della proteina Cas si può optare per la scelta di altre versioni della stessa originate da altri batteri, con funzionalità consone allo scopo.

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Finita questa doverosa introduzione molto terra terra (semplificazione necessaria altrimenti sarebbe stato come scrivere in sanscrito) dedico il resto dell'articolo ad alcune applicazioni (non necessariamente cliniche ma "curiose") tra le tante che continuano ad emergere dalla fervida mente dei ricercatori. Come per tutto quello che attiene la scienza, è il buon senso (o meglio la capacità di predire le conseguenza a lungo termine) che discrimina un utilizzo sensato da uno avventato ed eticamente discutibile, per quanto a prima vista utile.


Selezione di animali da compagnia
I proprietari di animali domestici sono molto ricettivi (leggasi sono le fondamenta di un mercato potenziale enorme) alla possibilità di usare le ultime tecnologie per aiutare i loro pets. I servizi di test genetici per testare la salute o anche certificarne la "purezza" di cani e gatti sono aumentati negli ultimi anni e questi in molte razze (pastore tedesco in primis) sono test "obbligati" date le malattie genetiche che si portano dietro per l'eccessivo inbreeding e la poca selezione di allevatori senza scrupoli o di proprietari inconsapevoli. 
La tecnologia CRISPR potrebbe presto aggiungersi ai test canonici ma con in più la possibilità di agire direttamente sui geni difettosi invece della sola analisi genetica per individuare chi fare accoppiare e chi no. 
In Cina sono disponibili anche servizi per la clonazione (per il mercato giapponese anche se non so se per motivi di costo o di divieto) mediante tecniche simili a quelle sviluppate anni  fa con la clonazione della pecora Dolly. Qualcosa che, a mio modesto avviso, ha senso per gli animali da carne o da produzione ma che quando si parla di pets mi richiama ... Pet Sematary (e chi scrive ha avuto cani ma mai penserebbe di clonare il defunto sperando di riaverlo. E' illogico oltre che poco rispettoso per l'unicità del "compianto"). A titolo d'esempio vi rimando alla descrizione sul sito dell'Istituto Roslin (in cui Dolly fu creata) del perché animali clonati (un gatto ad esempio) possano apparire molto diversi dall'originale.
Usare la CRISPR per rimuovere gli alleli deleteri è sensato e potrebbe risolvere il problema di cani fatti nascere "handicappati"; vi dicono nulla le difficoltà respiratorie che affliggono tutti i cani brachicefali tanto da necessitare interventi chirurgici correttivi?
Oltre a questo esempio estremo, cito come animali potenzialmente beneficiari di questa terapia genica i dalmata, tutti portatori di una mutazione genetica (a carico del gene codificante per il trasportatore dell'acido urico) che li rende a rischio di calcoli alla vescica, o il bellissimo pastore svizzero bianco che oltre al rischio displasia dell'anca sono portatori (leggasi alta frequenza nella loro popolazione) di un allele del gene SOD1 che se presente li espone ad una malattia terribile molto simile alla sclerosi laterale amiotrofica già intorno ai 5 anni.
Un articolo di qualche tempo fa su MIT Technology Review analizza il caso di un allevatore di dalmata che ha pianificato interventi genetici correttivi, e dalla cautela espressa dall'organo di vigilanza FDA.
Tra i progetti più borderline cito la creazione di maiali in miniatura adatti per la vita in appartamento e di carpe koi (le classiche carpe giapponesi "domestiche") fatte in dimensioni, colori e modelli personalizzati.

Alimenti anallergici
Le allergie alimentari colpiscono un'ampia fetta della popolazione con disturbi che vanno dal mero fastidio allo shock anafilattico. La CRISPR potrebbe qui tornare utile per generare latte, uova o arachidi privati della componente allergenica. A memoria ricordo che nell'uovo sono 4 le proteine ​​presenti nell'albume associabili alle allergie. Qualche altro ardito in Australia sta pensando di agire direttamente sul proprio genoma  rimuovendo la parte che riconosce l'allergene.
Un altro gruppo di ricerca, nei Paesi Bassi, sta lavorando per produrre grano senza glutine, adatto quindi ai celiaci. È improbabile tuttavia che ciò sia utilizzabile in ambito UE a causa della rigida regolamentazione sull'editing genetico a carico di piante ad uso alimentare.

"Registratori a nastro" DNA
Ricercatori di Harvard hanno usato la CRISPR per creare uno strumento molecolare chiamato CAMERA, abbreviazione di apparato di registrazione multi-evento analogico mediato da CRISPR (CRISPR-mediated Analog Multi-Event Recording Apparatus). Lo strumento funge da registratore di eventi nel corso della vita di una cellula, come l'esposizione ad antibiotici, nutrienti, virus e luce.
Per giungere a questo scopo CRISPR è stato implementato nelle cellule in modo che una specifica modifica del DNA si attivi solo "a comando", vale a dire in presenza di un ben determinato segnale che qui equivale alla "esposizione". Contando la frequenza delle modifiche generate dalla CRISPR è perfino possibile determinare la durata e la forza dello stimolo (trigger). Il sistema funziona sia su cellule batteriche che su cellule eucariotiche tra cui quelle umane e cosa ancora più interessante è possibile attivare la registrazione di più tipologie di segnale contemporaneamente.
Sul lungo termine, questi approcci potrebbero aiutare gli scienziati a rilevare sul campo gli inquinanti ambientali o tracciare, in ambito biomedico, quali sono i segnali che determinano il cosiddetto commitment di una cellula staminale quando si avvia lungo un determinato percorso differenziativo (un vero collo di bottiglia negli di studi di biologia cellulare).

Chicchi di caffè decaffeinati
All'inizio c'era il caffè Hag come simbolo del decaffeinato. Il procedimento classico, non del tutto economico (lo si vede dal costo del caffè) necessita l'immersione dei chicchi verdi all'interno di un bagno di vapore arricchito di anidride carbonica e successiva cottura.
Oggi si potrebbe risolvere il problema caffeina alla fonte modificando le piante, o meglio i geni coinvolti nella via biosintetica della caffeina. Diverse sono le aziende intente all'opera, tra queste la britannica Tropic Biosciences ha creato una varietà genetica di chicchi di caffè decaffeinati naturalmente.
Oltre al vantaggio economico, partire da chicchi decaffeinati in partenza permette di preservare sapore e caratteristiche nutrizionali del caffè. 
Nota aggiuntiva. La stessa azienda lavora ad una versione migliorata delle banane, necessaria alla loro stessa sopravvivenza. La banana comune (nota come Cavendish) è infatti molto sensibile ad un fungo sempre più diffuso. Già a meta secolo scorso ci fu una crisi che porto alla scomparsa dell'allora banana "comune" (alias, da supermercato), nota come Gros Michel. Si vuole evitare che questo accada di nuovo, magari migliorando nel contempo anche la stabilità di un frutto noto per essere deperibile.

Combustibili (più) verdi
Obiettivo di Synthetic Genomics è utilizzare l'editing genetico per rendere piu efficiente la produzione di biocarburante da parte delle alghe. Per farlo sono stati creati ceppi modificati in un gene di controllo rendendoli capaci di produrre il doppio della materia grassa (olio); la componente grassa è infatti il substrato di partenza per il biodiesel ma anche un fattore limitante data la carenza di grassi nelle piante, fattore che rende questa produzione economicamente svantaggiosa. L'interesse per la ricerca è tale che perfino colossi come Exxon Mobil sono interessati e contano di riuscire, finanziando queste ricerche, a produrre 10 mila barili al giorno di biocarburante derivati da alghe entro il 2025.
Per una panoramica di altri approcci CRISPR per giungere allo stesso scopo vi rimando all'articolo su Microbial Research.

Pomodori piccanti
Obiettivo dichiarato è creare il primo pomodoro naturalmente piccante, ottenibile attivando il percorso metabolico che porta alla sintesi della capsaicina; procedimento non complicatissimo in quanto la maggior parte dei geni necessari sono già presenti (retaggio evolutivo?) per cui bisogna "solo" agire sui tasselli mancanti. A che pro? A differenza dei peperoncini, difficili da coltivare su vasta scala e con rese basse (lo vediamo dai prezzi), la coltivazione dei pomodori è semplice e adatta a molte ambienti. Sul tema OGM e cibo vi rimando ad un precedente articolo.

Eradicazione specie infestanti
Con buona pace degli attivisti capaci di indignarsi perfino per la soppressione dei pitoni che stanno distruggendo l'ecosistema della Florida, il problema delle specie infestanti è serio sono molto spesso conseguenza di introduzioni accidentali o non ponderate di specie provenienti da altre parti del globo. 
L'assenza di predatori naturali le rende dominanti provocando gravi danni all'ambiente e una diminuzione della diversità ecologica. Esistono beninteso specie infestanti del tutto native ma vettori di malattie infettive. La CRISPR potrebbe aiutarci a controllare il numero di specie animali che trasmettono malattie infettive o che sono invasive in un particolare ecosistema. Tipico esempio di tale approccio la creazione di "unità" portatrici di un dato allele che renda tutta o parte della loro progenie non fertile o non vitale; sufficiente a questo punto liberare i portatori nell'ambiente per assicurare un controllo delle nascite "sterilizzando" de facto gli accoppiamenti con la popolazione naturale.
Esempio recente di sperimentazione entrata nella fase operativa il rilascio di zanzare maschio (del genere associato alla diffusione di malaria, etc) la cui progenie femminile muore durante lo sviluppo il cui risultato netto è un abbattimento della loro popolazione.
Approcci simili sono allo studio per combattere i ratti invasivi che devastano l'ecosistema delle isole con specie in via di estinzione e quelli per limitare i danni causati dai gatti selvatici in Australia.

Cavalli da corsa più veloci
L'azienda argentina, Kheiron-Biotech, lavora per modificare il genoma dei cavalli da corsa con il fine di creare razze più veloci, forti e con meno problemi di salute. Un approccio oggi possibile dopo che la Federazione internazionale per gli sport equestri ha revocato il divieto per i cavalli clonati di partecipare a competizioni internazionali. Ad oggi sono molti i cavalli clonati che partecipano a sport come il polo contribuendo alla vittoria della propria squadra. Con l'editing genetico si passa ad un livello successivo che non è più finalizzato a preservare le caratteristiche vincenti di un cavallo ma creare ex novo un vincente. Nulla esclude che un giorno questi saranno la norma anche nelle competizioni olimpiche.

Pesce più nutriente
Del salmone modificato ottenuto con tecniche di ingegneria pre-CRISPR ne ho scritto molti anni fa. Un esempio tra i tanti è il salmone canadese (nel senso di creato in Canada) che cresce due volte più velocemente del salmone normale. Con l'avvento della CRISPR la ricerca è andata oltre producendo salmone sterile, che ha il vantaggio di crescere meglio e di ammalarsi di meno. Oltre a questi vantaggi fattuali c'è ne è uno importante legato alla non "contaminazione" della popolazione naturale qualora fuggisse dagli impianti di acquacoltura.
Altri approcci mirano a migliorare il contenuto di omega-3

De-estinzione
Con questo brutto neologismo si intende "riportare in vita" animali oggi estinti partendo dal DNA dei loro più stretti cugini modificandone i geni diversi (quindi niente a che vedere con le tecniche previste da Michael Crichton in Jurassic Park). Per quanto questo possa sembrare strano bisogna ricordare che le differenze genetiche tra specie molto simili sono uguali o inferiori allo 0,1% (perfino due specie chiaramente diverse come Homo e scimpanzè sono uguali al 99% con mutazioni fondamentali in geni chiave per lo sviluppo corticale e non solo --> sezione dedicata ai geni dell'articolo linkato). Tra i primi candidati alla "resuscitazione" c'è il piccione viaggiatore, che fino a poco piu di un secolo fa popolava in milioni di esemplari il nordamerica (sterminato dagli agricoltori).
La strategia ipotizzata dai ricercatori prevede l'utilizzo della CRISPR per introdurre i geni dei piccioni viaggiatori nel suo parente moderno, il piccione Patagioenas fasciata. Gli ibridi saranno allevati per diverse generazioni fino a quando il DNA della prole non corrisponderà a quello della specie estinta. La prima generazione di neo-piccioni era pianificata per il 2022 ma dubito sia fattibile dato l'appena vissuto biennio pandemico.
A seguire potrebbero esserci i mammut sebbene qui il problema di riportare in vita il pachiderma lanoso ponga una serie di quesiti etici dato il clima sempre meno adatto e gli spazi di cui avrebbero bisogno per una vita degna di tale nome.
Mio modesto consiglio è che, anche sulla base di alcuni progetti di utilizzo della CRISPR (che ho omesso) forse dovremmo usare questa tecnic per riattivare circuiti neuronali chiaramente difettosi in alcuni scienziati e politici.

Riduzione colesterolo
Un team di ricercatori di Verve Therapeutics ha usato la CRISPR per abbassare i colesterolo ematico nelle scimmie; il lavoro è stato pubblicato su Nature. L'approccio si basa sull'esistenza di persone con una varianti del gene PCSK9 associata ad aumentata produzione di proteina nel fegato interferendo con la funzione di rimozione LDL ematico operata da specifici recettori epatici. Gli approcci basati su farmaci non hanno finora dato i risultati sperati per cui si è pensato di agire direttamente alla radice del problema, cioè il gene anomalo. I 
Nella sperimentazione su scimmia si è veicolato il macchinario preposta per la CRISPR sotto forma di mRNA contenuto dentro nanoparticelle lipidiche mediante singola iniezione intra-epatica. Dopo solo 1 settimana dal trattamento il livello della proteina PCSK9 era sceso di circa il 90% e la LDL di circa il 60%. Una correzione mantenuta per almeno 10 mesi di follow up senza evidenti effetti collaterali.
I ricercatori affermano che i dati sono sufficienti per iniziare i test su umani sebbene le autorità regolatorie esitino per intrinseche ragioni di sicurezza; il trattamento infatti si basa su una inattivazione definitiva del gene per cui bisogna prima escludere effetti a lungo termine che un off-targeting su altri tessuti.

DIAGNOSTICA
Chiudo con una applicazione "bonus" della CRISPR-Cas.
Pensavate che la CRISPR servisse solo per modificare l'informazione del gene o alterarne l'espressione?
Invece no, può essere utilizzata anche a scopo diagnostico per rilevare (perfino in modo quantitativo) la presenza di un dato virus nel sangue o altri fluidi, con una sensibilità tale da permettere di discriminare tra varianti virali diverse. Il tutto grazie alla specificità della molecola di RNA che funziona come "esca" (nota come sgRNA) per un dato bersaglio; se progettata in modo appropriato permette di distinguere mutazioni su un singolo nucleotide e a cascata, a seconda della sonda usata, ottenere non solo il dato sulla presenza del genoma virale ma anche quale sia la variante.
Una volta avvenuto il "contatto" (alias l'ibridazione) si attiva l'endonucleasi della Cas che agisce (anche) su una molecola reporter presente nella soluzione (un RNA associato ad un fluoroforo) con il risultato dell'attivazione del fluoroforo.

Domanda banale: perché non usare come metodo diagnostico la ben più routinaria RT-PCR? La ragione è che necessita di strumenti non facilmente trasportabili. Al contrario una diagnosi fatta con la CRISPR-Cas necessita di circa mezz'ora, con pochi reagenti già pronti all'uso e i risultati (intensità luminosa all'interno della provetta) possono essere analizzati usando la fotocamera dello smartphone. 
image credit: news.berkeley.edu
I test diagnostici in fase di sviluppo sono molti, tra tutti i due più famosi sono SHERLOCK e DETECTR sotto schematizzati.  Inutile qui fare una descrizione dettagliata, cosa che sarebbe troppo tecnica. Una lista complete dei metodi in fase di sviluppo la trovate QUI
Image credit: Biological Procedures Online v.22, a.22 (2020)



Articolo successivo sul tema --> "In futuro useremo la CRISPR anche per l'obesità?"

Integratori a base di riso rosso. Usarli con intelligenza non è un optional

Aggiornamento. La monacolina K in dosi superiori a 3mg è stata ritirata dal mercato per ragioni di sicurezza (Ritiro degli integratori a base di Monacolina K)

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Integratori a base di riso rosso fermentato ed effetti collaterali o per porre la domanda più in generale, può un integratore alimentare causare danni all'organismo? 

La risposta viene dalla statistica ed è sempre SI, qualunque prodotto venga preso in considerazione (anche il più innocuo).
La differenza tra eventi aneddotici e conclamati allarmi viene non solo dal numero assoluto di segnalazioni ma dalla rilevazione anche di piccole nicchie di rischio causate da un utilizzo erroneo o dall'utilizzo da parte di persone a rischio per sottostanti problemi.

Il potenziale flag sul "riso rosso" nasce da un articolo pubblicato tempo fa sul British Medical Journal.

Nel case report si descrive il caso di una reazione avversa, i dettagli in seguito, attribuibile ad un componente specifico presente nell’integratore noto come riso rosso fermentato (da lievito)
Come noto a molti, il riso rosso fermentato (da non confondere con il riso rosso in vendita nei supermercati, semplice variante del riso) è tra i pochi prodotti non categorizzati come medicinali capaci di abbassare il livello del colesterolo e data la sua azione i medici avvisano che non deve essere assunto da chi è sotto terapia con le statine.
L’integratore è preparato partendo da riso bianco su cui viene fatto crescere il fungo Monascus purpureus, quindi bollito per eliminare fungo e processo fermentativo. E’ il fungo a conferire il colore rosso e questo spiega la confusione potenziale tra questo prodotto e il vero riso rosso (variante naturale dal colore rossastro, non indotta dalla fermentazione). Il riso rosso fermentato è presente sia nella cucina asiatica che nella medicina tradizionale cinese.
Il principio attivo responsabile della azione ipocolesterolemizzante è la monacolina K, presente sia nei farmaci anti-colesterolo propriamente detti (vedi lovastatin) che negli integratori in vendita nei supermercati. In quanto prodotto naturale non è catalogato come farmaco, quindi non è soggetto alle restrizioni alla vendita dei farmaci propriamente detti, il che spiega il rischio di assunzioni errate sia nel metodo che nello scopo.
Monacolina K

Il rischio intrinseco con questa categoria di prodotti (integratori e simili) è di usarli al posto di terapie farmacologiche appropriate. L'unica indicazione in cui tali integratori potrebbe avere un senso è la colesterolemia lieve, dove questo trattamento INSIEME ad una migliore dieta e all'attività fisica quotidiana, può aiutare a riportare i valori nella norma.
I farmaci a base di statine (sotto il cui nome ricade un'ampia classe di molecole) sono ben più efficaci (2-3 volte) nella capacità di ridurre il colesterolo rispetto al "riso rosso" ma sono anche associati al rischio di effetti collaterali per cui il medico stesso tende a limitarne la prescrizione (che di fatto ha carattere continuativo) solo al permanere dei valori di colesterolo al di sopra di certi valori e, colesterolemia famigliare esclusa, non prima dei 50 anni.

Ma anche il “riso rosso” (inteso come summa di monacolina K e, forse, altro) non è esente da problemi potenziali sia in caso di dosaggi eccessivi che, in alcuni soggetti, a dosaggi standard.
Ribadiamo un concetto: se un prodotto genera un effetto allora sta modificando la fisiologia (a livello sistemico, tessutale o cellulare) di chi la assume; se viene indicato come privo di qualunque effetto indesiderato anche remoto allora è una indicazione che quello che assumete è “acqua fresca” o peggio fuffa spacciata per altro. Riprendendo un vecchio detto in economia “non esistono pasti gratis”. Questo ci ricorda anche che i trattamenti fai da te non sono mai da seguire senza previo consulto di personale qualificato, fosse anche il classico farmaco da banco o un integratore.
Torniamo al caso descritto nell’articolo.
Una donna di 64 anni, titubante all’idea di iniziare un trattamento con le statine, aveva scelto la strada degli integratori a base di monacolina K. Ad un certo punto cominciò a presentare sintomi caratteristici di un danno epatico acuto, risoltisi solo dopo ospedalizzazione.
Entrando un poco più nel dettaglio si scopre che la donna aveva optato (errore o consapevolmente?) per un dosaggio inverosimile per 6 settimane.
La paziente assumeva 1200 mg/giorno di monacolina K quando l’assunzione giornaliera indicata su qualunque confezione (1 o 2 pastiglie a seconda dei casi) è di 10 mg (equivalente a 350 mg di riso fermentato). In questi casi il vecchio modo di dire “dose da cavallo” è addirittura riduttivo.
Tra i sintomi riportati (apparsi nelle 2 settimane prima del ricovero) stanchezza, gonfiore e ittero, quest’ultimo il segnale che aveva spinto la donna a recarsi in ospedale. Qui, oltre alle analisi del sangue che avevano indicato il danno epatico, una biopsia (fatta per escludere altre e nefaste cause) confermò il danno come caratteristico da assunzione di farmaci. La terapia che ne è seguita, a parte l'ovvia interruzione dell'assunzione di integratori, un trattamento con steroidi per ridurre il processo infiammatorio, continuato fino al ritorno dei parametri ematici entro l'intervallo di normalità.
La monacolina (che fa parte delle statine) agisce inibendo la sintesi endogena del colesterolo, cosa ben diversa dall'azione degli steroli vegetali che invece inibiscono l’assorbimento intestinale del colesterolo (ulteriori informazioni a fondo pagina su Danacol e simili). 
Schema semplificato della via di biosintesi del colesterolo. Le statine (e la monacolina K) agiscono inibendo la HMG-CoA reduttasi. Poiché tale azione ha anche l'effetto di diminuire il coenzima Q10, gran parte di integratori (e statine) contengono nella formulazione anche tale coenzima
(image credit: Int. J. Mol. Sci. 2019, 20, 3531 )
Oltre al coenzima Q10 viene spesso aggiunta la vitamina B12 di cui è nota la sua azione nel ridurre il colesterolo totale (A. Antonysunil et al (2015)
Tra i rischi legati all'assunzione eccessiva di monacolina, alterazioni strutturali e funzionali dei muscoli e, nei casi più gravi, a reni e al fegato. Un avviso da non trascurare se si pensa che il 30% delle malattie epatiche in USA è legata al consumo di integratori.

Questa la ragione per cui gli addetti ai lavori raccomandano in primis uno stile alimentare corretto e una regolare attività fisica, elementi essenziali per ridurre i grassi nel sangue e aumentare i livelli di HDL, e SOLO dopo queste correzioni, e per i casi più lievi, l’utilizzo di integratori. 
Gli integratori, infatti, generalmente riescono ad abbassare il colesterolo del 5-7%, mentre le statine anche del 20%. Quindi le statine (e in conseguenza la prescrizione medica) sono l'unica terapia possibile quando si parla di vera ipercolesterolemia.


Fonte
- Acute liver injury induced by red yeast rice supplement


*** Nota sui fitosteroli *** 
L'effetto di riduzione del colesterolo da parte degli steroli vegetali è stato in effetti confermato da un trial clinico nel 2008 e a seguire affrontato a livello europeo da parte della EFSA (European Food Safety Authority). Riguardo al "claim" di efficacia di prodotti come Danacol vale sempre la regola del buonsenso di cui sopra dato che l'effetto è inferiore al 10%.
Altro elemento da considerare è che ancora oggi si discute se la sola riduzione dei livelli di LDL si correli ad una significativa riduzione delle patologie cardiovascolari.
- Danacol® and blood cholesterol (The EFSA Journal (2009) 1177, 1-12)
- Plant sterol-enriched fermented milk enhances the attainment of LDL-cholesterol goal in hypercholesterolemic subjects.  N. Plana et al, (2008) Eur. J. Nutr. 47(1):32-9. 
- Danacol® Monograph (SISA (Società Italiana per lo Studio dell'Aterosclerosi - (.pdf)
Riguardo al meccanismo con cui i fitosteroli agiscono, l'ipotesi più probabile è una competizione con il colesterolo a livello dei recettori dell'epitelio intestinale


  1.  Nguyen, Tu T. (1999). "The Cholesterol-Lowering Action of Plant Stanol Esters"The Journal of Nutrition129 (12): 2109–2112. doi:10.1093/jn/129.12.2109
  2. ^ Trautwein, Elke A.; Duchateau, Guus S. M. J. E.; Lin, Yuguang; Mel'nikov, Sergey M.; Molhuizen, Henry O.F.; Ntanios, Fady Y. (2003). "Proposed mechanisms of cholesterol-lowering action of plant sterols". European Journal of Lipid Science and Technology105 (3–4): 171–185. doi:10.1002/ejlt.200390033.
  3. ^ De Smet, E; Mensink, RP; Plat, J (2012). "Effects of plant sterols and stanols on intestinal cholesterol metabolism: suggested mechanisms from past to presentMolecular Nutrition & Food Research56 (7): 1058–72. doi:10.1002/mnfr.201100722



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