CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

Un buco nero con anelli: V404 Cygni

Molti di voi probabilmente ricorderanno nel 2019 l'immagine di M87, la prima in assoluto di un buco nero(vedi note finali nell'articolo precedente).
Ecco ora un'altra immagine spettacolare di un buco nero con anelli osservato dall'Osservatorio a raggi X Chandra, le cui immagini sono state diffuse poche settimane fa. 
 Image via NASA/ CXC/ U. Wisc-Madison/ S. Heinz et al./ Pan-STARRS/ Chandra X-ray Observatory

L'immagine composita (risultante dalla sovrapposizione tra diverse osservazioni a raggi X, visibile e infrarosso) mostra il buco nero V404 Cygni (in verità un sistema binario in cui l'altro elemento è una stella più piccola del Sole), distante 7800 anni luce, delimitato da una serie di 8 anelli concentrici.
 
La prima osservazione di questi anelli risale al 2015, compiuta dal telescopio orbitale a raggi X, Chandra. Il tempo trascorso da allora è servito per ottenere ulteriori evidenze e nuove immagini ad altre lunghezze d'onda, tra cui il visibile e l'infrarosso.
 
Gli anelli sono il risultato di echi di luce, un fenomeno simile all'eco sonoro che sperimentiamo sulla Terra: i raggi X del buco nero rimbalzano, generando un "eco", sulle nuvole di polvere interstellare che si trovano tra questo e la Terra (non si tratta quindi delle "polveri" presenti nel disco di accrescimento del buco nero).

Oltre all'interesse (anche mediatico) per l'immagine in sé, gli scienziati hanno potuto ricavare molteplici informazioni complessive sul buco nero, la stella compagna e le nuvole di polvere. Dal diametro degli anelli è ad esempio possibile calcolare la distanza dalle nuvole di polvere: più grandi sono gli anelli, più le nuvole di polvere sono vicine alla Terra.
L'analisi spettrale ai raggi X ha invece permesso di determinare la composizione della polvere, scoperta essere fatta in gran parte di grafite e silicati.
 
Anelli simili sono stati rilevati in passato intorno a Circinus X-1, una stella di neutroni (anch'essa parte di un sistema binario) distante da noi circa 30 mila anni luce.

Video riassuntivo
Se non vedete il video --> youtube
Fonte
- A Joint Chandra and Swift View of the 2015 X-Ray Dust Scattering Echo of V404 Cygni

Pensare la CRISPR (anche) come terapia contro l'obesità

Tra i tanti rimedi ginnici e diete propinateci da esperti e non (paleo, no carb, digiuno intermittente, del gruppo sanguigno, …) in un futuro non troppo lontano qualcuno potrebbe perfino optare per la CRISPR, la tecnica di editing genetico che ha rivoluzionato la ricerca e ha dischiuso un enorme potenziale applicativo nel "mondo reale".
Beninteso non nella versione nota ai più, finalizzata a modificare in modo permanente il genoma, ma nella forma CRISPRa dove "a" indica l'attivazione del gene bersaglio (esiste anche la versione "i" finalizzata a inibire la trascrizione).

Confronto schematico tra la CRISPRa (attivante trascrizione genica), CRISPRi (repressione trascrizione gene bersaglio) e la versione di partenza in cui l'attività nucleasica è stata eliminata ("d" sta per dead, ad indicare che non possiede l'attività di taglio, irreversibile, del bersaglio pur mantenendo integra la sua specificità grazie alla "guida" a RNA)
Image credit: tm.illinois.edu
La CRISPRa/i è una tecnica recente (e in continuo sviluppo) ma ampiamente usata nei laboratori di ricerca, molto utile per regolare a piacimento e in modo reversibile l'espressione di uno o più geni bersaglio.
È stata anche testata in vivo su animali con discreto successo ma non è ancora matura (tranne forse in Cina ... dove del resto hanno perfino usato la CRISPR sugli embrioni umani) per un utilizzo pienamente controllato sugli umani.
L'idea di usarla per il trattamento dell'obesità risale al 2018 con uno studio pubblicato sulla rivista Science. Nel lavoro i ricercatori della UCSF dimostrarono che era possibile agire su alcuni geni espressi a livelli anormalmente bassi, una alterazione che predispone i topi all'obesità, forzandone l'espressione mediante CRISPRa; il complesso nucleoproteico necessario per la reazione veniva veicolato alle cellule bersaglio mediante un cargo virale (rAAV) in un modo non molto diverso dal vaccino anti-covid di AstraZeneca.
Il virus espleta la sola funzione di cargo per il trasporto delle informazione per la produzione del macchinario CRISPR progettato per revertire la aploinsufficienza dei geni Sim1 e Mc4r, causa della suddetta predisposizione.
Senza entrare nel dettaglio tecnico la CRISPRa si distingue dalla versione classica perché pur capace di identificare il bersaglio genico con estrema precisione, manca dell'attività nucleasica (necessaria per il taglio del bersaglio) ed è ha invece una "esca" proteica (activation domain) che richiama sul gene l'apparato trascrizionale, "pompando" così l'espressione dei geni difettosi.

Il nuovo studio pubblicato qualche settimana fa su Science Translational Medicine da un team di Harvard, torna sullo stesso problema (obesità) ma con un bersaglio diverso: riprogrammare il tessuto adiposo bianco in tessuto adiposo bruno.
Nota. Queste due tipologie di adipociti presenti nei mammiferi (in verità c'è anche il beige), derivano il nome da come appaiono al microscopio ma cosa più importante hanno funzioni molto diverse. Mentre il bianco (dominante nell'adulto) ha funzione di grasso di riserva, quindi un "magazzino" di energia da mobilizzare in caso di bisogno, quello bruno (meno che minoritario tranne che negli animali che vanno in letargo) è coinvolto nella termogenesi. Il colore bruno deriva dalla maggiore quantità di mitocondri presenti.
Il vero elemento che differenzia i due tipi di adipociti è la presenza nel bruno della proteina UCP1 (anche nota come termogenina) che agisce da vero e proprio disaccoppiante del circuito energetico, aumentando la permeabilità mitocondriale ai protoni. Quando i lipidi vengono ossidati per generare energia chimica (ATP) il gradiente elettrochimico mitocondriale risultante viene "cancellato" dall'azione permeabilizzante con il risultato di un ciclo futile: invece di energia chimica l'energia viene persa sotto forma di calore. Questo meccanismo di termogenesi viene detto "non da brivido" per distinguerlo dal processo classico risultante dalla contrazione muscolare, ed ha un ruolo chiave per il mantenimento della temperatura corporea nei cuccioli di mammifero e negli animali che vanno in letargo.  Il processo è controllato dal simpatico  attraverso i recettori B3-adrenergici; a riprova di questo, topi privati di questi recettori subiscono un fenomeno di transdifferenziazione del tessuto adiposo bruno, che si trasforma in tessuto adiposo bianco rendendoli massivamente obesi anche se sottoposti a maggiore attività fisica e a dieta normocalorica. 
Il pannello in alto mostra i diversi tipi di cellule adipose al microscopio. Il pannello inferiore la vista al microscopio a fluorescenza che mostra la presenza della proteina UCP1 
Image credit: Thereza Cristina Lonzetti Bargut et al (2017)

Nonostante il nome faccia pensare a due tessuti distinti in realtà sono spesso mischiati tra loro (con dominanza del bianco) ed è possibile la loro interconversione (nei due sensi) mediata da ormoni e altri fattori. 

L'idea dei ricercatori di Harvard era di aumentare la quantità di adipociti bruni in modo che le riserve di grasso associate (derivanti dalla cattura dei lipidi circolanti) divenissero "combustibile" per generare calore invece di scorte di grasso.
Trasformare un adipocita da bianco a bruno impone forzare l'espressione del gene codificante per la proteina UCP1 che in queste cellule è spento. Due gli approcci possibili, entrambi centrati sulla CRISPRa:
  • in vivo. Usare un carrier (virale o liposomico) per trasportare in modo specifico il cargo sul tessuto bersaglio;
  • in vitro/coltura. Prelevare le cellule da modificare, coltivarle e modificarle.
Il primo è complicato dall'obbligo di centrare il bersaglio cellulare in modo molto selettivo mentre il secondo è più controllabile ed in grado di fornire dati sull'efficienza dell'approccio e questo ha decretato la sua scelta. Sebbene gli esperimenti siano stati fatti in topo le cellule di partenza sono umane così da ottenere un duplice risultato: fattibilità del processo e idoneità per futuri test su umani.
Dal tessuto adiposo umano sono stati isolati gli adipociti, messi in coltura e la UCP1 indotta mediante CRISPRa. Le cellule così modificate (HUMBLE da Human Brown-like) sono state trapiantate in topi nutriti con una dieta ricca di grassi. Come controllo sperimentale, cellule non modificate (controllo negativo) o adipociti bruni (controllo positivo).
Nelle 12 settimane successive al trapianto i topi che avevano ricevuto gli adipociti bianchi sono ingrassati mentre quelli che avevano ricevuto le cellule HUMBLE o gli adipociti bruni mantenevano il peso corporeo entro un intervallo ottimale e non mostravano sintomi diabetici tipicamente associati all'obesità.
Lo studio ha quindi fornito la prova di fattibilità dell'approccio.

In un prossimo futuro si potrà ipotizzare di prelevare un pezzetto di tessuto adiposo dalla persona da trattare, purificarne le cellule precursori e trattarle con CRISPRa in modo da ottenere cellule HUMBLE pronte e del tutto compatibili per il reinnesto nel paziente. Queste cellule, dotate di limitata capacità proliferativa prenderebbero il posto degli adipociti bianchi dissipando via via i depositi di grasso previa  idonea stimolazione. 


Come prima anticipato esiste anche la variante inibitoria della CRISPR.
La CRISPRi è stata usata in uno studio del 2019 pubblicato su Genome Research da ricercatori coreani per lo sviluppo di terapie contro l'obesità e il diabete di tipo 2.
Il bersaglio in questo caso era il gene Fabp4 che codifica per una proteina legante gli acidi grassi. Il blocco della sua espressione (test condotti in topi) ha evidenziato a 6 settimane dal trattamento una riduzione del 20% del peso corporeo, perdita della resistenza all'insulina e del caratteristico stato infiammatorio associato all'obesità, a parità di alimentazione e di attività fisica.

***





Nota
Se il cibo da OGM ha sollevato diatribe, il più delle volte totalmente ideologiche e prive di fondamenti scientifici, l'utilizzo della CRISPR dovrebbe eliminare alla radice ogni problema anche se ne dubito dati gli interlocutori. La ragione è che mentre gli OGM "vecchio stile" erano portatori di geni da altri organismi (tipo quelli che conferivano la resistenza a parassiti), con la CRISPR si agisce modificando direttamente il genoma senza inserire DNA "alieno".

Tra i prodotti più recenti (sviluppati in Giappone) vale la pena menzionare i pomodori arricchiti di GABA e 2 tipi di pesce da allevamento.



L'infezione da SARS-COV-2 può causare perdita di memoria

Il titolo scelto, oltre che per l'oggettività della condizione, si adatta anche alla situazione odierna in cui passato il periodo delle ICU saturate e del lockdown totale, si alzano le voci di chi (avendo rifiutato il vaccino e restio anche a tamponi di verifica) si oppone al Green Pass.

Fatta la premessa torniamo ad una delle osservazioni fatte sul campo in questi mesi circa alcuni sintomi neurologici nei pazienti con covid19 su cui rimane ancora oggi incerta l'eziopatogenesi. Un articolo sul tema è apparso in luglio su Nature.
Image credit: theconversation.com
Punto di partenza la presenza di sintomi neurologici nell'80% delle persone ospedalizzate per covid-19, quindi si parla di pazienti con sintomatologia più grave.
Comprendere il nesso causale virus-cervello in questi soggetti non è semplice perché i dati finora disponibili non hanno mai evidenziato la capacità del Sars-CoV-2 di infettare i neuroni, sebbene ci siano report sulla capacità della porzione S1 della proteina Spike di penetrare la barriera ematoencefalica (BEE) e del virus di penetrare nel cervello.
Nota. La distinzione tra le due precedenti affermazioni è importante perché la subunità S1 (additata da alcuni, con scarsa conoscenza dei meccanismi virali, di essere la prova che i vaccini basati su Spike sono pericolosi) si forma unicamente dopo l'interazione tra il recettore ACE2 e la Spike, che attiva una protesi e con conseguente taglio proteolico della Spike, il cui "pezzo", oramai inutile, è la S1. La proteina Spike decontestualizzata dalla particella virale non è in grado di attivare la proteasi.
Oltre alla via ematica, nell'ultimo anno ha preso sempre più corpo l'idea che il virus potrebbe raggiungere il cervello in modo molto più "semplice" passando dalla mucosa olfattiva che fornisce una "autostrada senza barriere" (tipo la BEE).
Nota. L'apparente contraddizione tra la frase in apertura in cui dico che non ci sono evidenze di infezione dei neuroni e il passaggio del virus attraverso il bulbo olfattivo, è basata sui dati sperimentali. L'unica evidenza della capacità del virus di infettare i neuroni è riferita a test su colture cellulari 3D note come organoidi (fatti da molti tipi di cellule  cerebrali diverse), dati non confermati usando come materiale di partenza le cellule precursori dei neuroni (NPC). A completare il quadro un bel lavoro pubblicato l'anno scorso ha dimostrato che le cellule infettate nel tessuto olfattivo non sono quelle sensoriali neuronali ma quelle di supporto. Il dato spiega per quale motivo non sono state osservati casi (per quanto rari) di encefaliti virali dovute al Sars-CoV-2 come invece visto con altri virus capaci di arrivare al cervello dalla mucosa nasale (ad esempio HSV1). Per approfondimenti vi rimando alle review di Tom Solomon e di Yoshitaka Kase.
A conferma del coinvolgimento di questa area, l'anosmia dichiarata (a volte come unico sintomo) dal 70% delle persone risultate positive al virus. Un deficit temporaneo, ma che nel 20% dei colpiti permane ad un anno di distanza dalla guarigione, non causato dall'infezione dei neuroni dell'epitelio e del bulbo olfattivo ma a carico delle cellule di supporto (strutturali ed endoteliali) che causano infiammazione locale e malfunzionamenti sensoriali.

Data per assodata (anche) la via olfattiva che permette al virus di arrivare al cervello, rimangono dubbi sul meccanismo alla base dei disturbi della memoria dato che il coronavirus non sembra essere in grado di infettare i neuroni. La spiegazione potrebbe essere molto simile a quella alla base dell'anosmia; a proporlo uno studio di poche settimane fa in cui si sono confrontate sezioni di cervello prelevati da persone decedute per covid19 e controlli. Sebbene non si sia trovata traccia del virus nelle sezione di cervello analizzate, i ricercatori hanno rilevato un'alterata espressione genica a carico degli astrociti, cellule non neuronali con un ruolo chiave per l'omeostasi locale e per il corretto funzionamento neuronale. Anomalie funzionali in queste cellule potrebbero facilmente spiegare i vari sintomi che comprendono fatica, depressione, annebbiamento mentale, stato confusionale e amnesie.
Astrociti
(Image Credit: David Robertson, ICR/SPL via Nature)
Questi effetti potrebbero essere solo una conseguenza indiretta della presenza del virus, mediata da un diminuito flusso ematico al cervello causato dall'infezione dei periciti, cellule che delimitano i capillari; l'infezione dei periciti è stata osservata in coltura su strutture cellulari complesse come i prima citati organoidi.
Al danno funzionale potrebbe poi aggiungersi quello da "fuoco amico", cioè la reazione eccessiva del sistema immunitario contro cellule infettate (fenomeno ben noto in questa e altre patologie). A conferma dell'ipotesi i dati di un articolo dello scorso dicembre in cui l'analisi del liquido cerebrospinale di pazienti in condizioni gravi mostrava la presenza di autoanticorpi contro i neuroni
Probabile che tutte e tre i fenomeni ora descritti (malfunzionamento astrociti, infezione periciti, autoanticorpi) siano coinvolti, e forse altre ancora ignote, in misura variabile nei diversi pazienti
.
Identificare le cause esatte in ciascun caso sarà fondamentale per approntare terapie adeguate specialmente in vista delle conseguenze su lungo termine dell'infezione nota come Long Covid.

Aggiornamento. A dicembre 2022 è stato pubblicato uno studio in cui si spiega la perdita di olfatto nelle persone infettate dal virus (un problema che a volte dura ben oltre la fase acuta, divenendo cronico sebbene i pazienti siano guariti. La cause appare essere una reazione autoimmune contro le cellule nervose deputate al trasporto del segnale olfattivo.

Fonti
- Tropism of SARS-CoV-2 for Developing Human Cortical Astrocytes
Madeline G. Andrews et al, bioRxiv, (2021)

- COVID and the brain: researchers zero in on how damage occurs
Nature, luglio 2021

- How SARS-CoV-2 infects the brain



Una panoramica sulle interfaccia cervello-computer (BCI) e cervello-macchina (BMI)

Il precedente articolo sui dispositivi in grado di interfacciarsi con l'attività cerebrale per intercettare ed eseguire un comando cerebrale (siano essi pensati per far muovere un arto o permettere di comunicare alle persone paralizzate, o magari anche "leggere il pensiero") mancava di una descrizione degli strumenti a disposizione dei ricercatori e dei vantaggi e svantaggi associati a ciascuno di essi.
Rimedio con l'articolo odierno, complice il maggior tempo a disposizione in queste settimane, cercando di renderlo "facile" anche se magari non aggiornato all'ultimo modello.

Lo studio del funzionamento cerebrale e la comprensione su come “estrarre” il contenuto informativo affinché possa essere letto e utilizzato su protesi esterne o “vocalizzato”, necessita di strumenti che identifichino l'area cerebrale coinvolta, ne catturino l’informazione e la traducano in un linguaggio esportabile e utilizzabile da dispositivi terzi. Questi strumenti sono genericamente definiti interfaccia cervello-computer (BCI) o interfaccia cervello-macchina (BMI) se associati a protesi meccaniche.
Esempio di interfaccia cervello-protesi meccanica
(Image credit: E. López-Larraz et al, NeuroRehabilitation, 43(1)77-97, 2018)

BCI diversi servono a scopi diversi e per adempiere al loro scopo devono essere in grado di trovare e decodificare, all’interno del mare magnum dell’attività cerebrale, l’attività di circuiti neuronali specifici.
Un conto è ad esempio intercettare il comando “muovi il braccio” che emana dalla corteccia motoria e un altro è trovare i circuiti da cui nasce la frase “oggi sto bene, grazie” che una persona paralizzata pensa di pronunciare come risposta ad una domanda senza poterlo esprimere.
Ad un livello ancora superiore si trovano i dispositivi capaci della “lettura del pensiero” o meglio di intercettare l’oggetto dei pensieri (vedi sotto).

Se il movimento di un braccio richiede tutto sommato una serie concettualmente "lineare" di comandi che iniziano dall'idea del movimento e dall'ordine esecutivo (operati dalla corteccia primaria e secondaria), l'effettivo movimento fluido e preciso dell'arto è possibile solo grazie a complicati processi "esecutivi e di controllo qualitativo dell'operazione" che necessitano di altre aree cerebrali come i gangli della base e il cervelletto (oltre all'ovvio cablaggio dei nervi spinali e periferici). Non a caso l'incredibile precisione dei movimenti (che troppo spesso diamo per scontato) palesa la sua complessità mostrando deficit funzionali, pur in presenza di corteccia e di "cablaggio" integri, in malattie come il Parkinson (l'ordine di iniziare i movimento si blocca a livello dei gangli della base e/o il sistema di feedback del controllo viene meno con conseguente tremori incontrollabili) o in lesioni cerebrali. 
Intercettare con appositi dispositivi il comando corticale dirottandolo direttamente all'arto, in aggiunta a sistemi di feedback motorio (incluso il tatto) artificiale, è uno degli approcci sperimentali per ridare funzionalità a pazienti con lesioni spinali.
Esempio di riabilitazione guidata da BCI di arti con lesioni a monte
(credit: Alain Herzog via odtmag)
Mentre le funzioni motorie sono “antiche”, quindi studiabili anche nel cervello di organismi meno evoluti, tutto ciò che attiene al pensiero astratto e alla comunicazione verbale sono precipuamente umane e come tali associate ad aree cerebrali assenti in altri animali, anche nei cugini primati che pur hanno una neocorteccia ben sviluppata.
In questi casi l'unico modo per mappare le funzioni cerebrali di interesse è l'analisi diretta del cervello umano in azione. Per farlo servono strumenti che devono identificare segnali ben precisi tra i tanti in essere nel cervello di una persona anche se concentrata nell’esecuzione di un compito molto specifico. 
A tal fine non basta "puntare" il rilevatore sull'area bersaglio, ammettendo che sia nota, ma anche computer potenti e soprattutto algoritmi che ripuliscano il segnale vero dal brusio neuronale di fondo. 
Lo sviluppo di questi programmi avviene attraverso il deep learning training che consiste nell'addestrare l'intelligenza artificiale (IA) affinché impari, attraverso una serie di sfide per associazione, ad elaborare autonomamente informazioni sempre più complesse.
Un obiettivo, se vogliamo, paragonabile a creare una stele di Rosetta neurale utilizzabile poi dal computer per predire frasi di altro tipo.
Per eseguire la scansione neurale vennero usati array di elettrodi impiantati sulla corteccia cerebrale di volontari che soffrivano di epilessia (vedremo poi perchè proprio loro) collegati al computer.
Nella prima fase i ricercatori si concentrarono sull'individuazione dell'area da "auscultare", per procedere poi ad addestrare l'algoritmo fino a renderlo capace di rilevare il segnale giusto e decodificarlo come testo a schermo o una voce prodotta da un sintetizzatore vocale.
I risultati per quanto preliminari dimostrarono che si era sulla strada giusta con un messaggio vocale comprensibile, anche se un poco confuso.

Scegliere quale BCI usare implica comprenderne punti di forza e svantaggi.
Panoramica del posizionamento dei BCI. Un esempio del potenziale terapeutico di alcuni di questi dispositivi lo abbiamo già incontrato in un precedente articolo in cui un chip montato a valle del sito spinale lesionato ha permesso alla persona di riacquistare parte della sua capacità motoria.
Possiamo per semplicità dividere queste interfacce in 5 tipi principal di cui solo le prime due non invasive:
  1. Elettroencefalogramma (EEG). Il più "semplice" da usare in quanto non prevede alcun intervento chirurgico ma solo una cuffietta ricoperta da decine di elettrodi da posizionare sulla superficie del cuoio capelluto, capace di catturare segnali aggregati e potenziali del campo locale. Si tratta di una scansione ad ampio raggio che coinvolge un numero compreso tra centinaia di migliaia e milioni di neuroni. 
    image credit: focus.it
  2. Risonanza magnetica funzionale. Rileva l’alterazione di campi magnetici legata all’attività cerebrale. Ugualmente non invasiva della EEG anche se richiede un posizionamento all'interno del "tubo" durante i test (articoli precedenti sul tema QUI). Discorso a parte merita la stimolazione magnetica transuranica (vedi alla fine dell'articolo) che è utilizzata per "agire il cervello" anche veicolando "messaggi" (vedi anche "stimolazione senza elettrodi").
    image credit: mit.edu

  3. Elettrocorticografia (ECOG). Gli elettrodi sono impiantati dentro la calotta cranica, sulla superficie corticale ma senza penetrarla. Permette una maggiore focalizzazione su un segnale generato da centinaia o migliaia di neuroni corticali (vedi anche una vecchia review sul suo utilizzo per ridare voce a persone paralizzate). 
    Image credit: G. Charvet et al
  4. Elettrodi intracorticali. Gli elettrodi penetrano la superficie corticale e permettono di accedere al segnale di decine o anche solo di singoli neuroni. 
    Image credit: sciencemag.org
  5. Deep brain Stimulation (DBS). Elettrodi posti più in profondità permettono di rilevare il potenziale d'azione di singoli neuroni in aree cerebrali profonde. L'utilizzo è solo per scopi terapeutici. 
    Esempio di DBS subtalamica usata nel trattamento del Parkinson
    Image credit: sciencemag.org
I dispositivi che leggono e interagiscono con il cervello sono categorizzati come BCI a circuito chiuso per distinguerli da quelli che interagiscono con il sistema nervoso periferico o sono unidirezionali. 
In un certo senso anche uno smartphone appartiene a questa categoria in quanto input e output agiscono e "alterano" solo i circuiti cerebrali (udito, voce, pensiero).
Per ovvie ragioni i sistemi meno invasivi sono sempre da preferire (e sono l'unica vera opzione nella sperimentazione su soggetti sani) perché gli elettrodi non toccano o alterano il cervello; d'altra parte hanno il limite della bassa risoluzione del segnale, conseguenza sia dell'ampia area coperta che del "muro" di cute e ossa. I metodi intrusivi, per quanto basati su microelettrodi sono invece l'unica opzione quando l'obiettivo è registrare (e modificare se necessario) l'attività di un gruppo di pochi neuroni nelle aree più profonde del cervello.
Tipico esempio di dispositivo invasivo citato nel punto 5 è la deep brain stimulation usata nel trattamento sintomatico di distonia, epilessia, tremore essenziale, disturbo ossessivo-compulsivo e Parkinson non responsivi alle terapie standard. I vantaggi ottenuti superano di gran lunga gli inevitabili rischi associati
Tra le procedure invasive la ECOG e la stereoEEG sono quelle più usate, anche nei bambini, per vari fini tra cui l'identificazione delle aree da cui origina l'attività neurale che scatena gli attacchi epilettici. Si tratta di analisi preparatorie per programmare interventi terapeutici mirati su uno specifico paziente quando la terapia farmacologica base non ha effetto. Il monitoraggio dura circa una settimana dopo la quale gli elettrodi vengono rimossi. 
Ecco la ragione per cui la messa a punto dei sistemi di apprendimento neurale mediato da BCI è fatta su volontari che soffrono di epilessia: l'intervento chirurgico per il posizionamento degli elettrodi è già programmato e la loro collaborazione nei test di mappatura funzionale e di associazione, porterà via loro solo del tempo senza rischi aggiuntivi. Una volta identificata l'area e calibrato il sistema, la rifinitura avverrà su volontari sani o affetti dalla patologia che ha motivato lo studio, a seconda dei casi.
Scegliere una BCI non ottimale solo perché non invasiva può vanificare in toto ogni possibilità di successo a causa dei limiti di risoluzione intrinseci. 
Immaginiamo di essere fuori da uno stadio cercando di predire cosa succede dal rumore degli spettatori; la deduzione sarà possibile solo per eventi eclatanti ma nulla sapremo del possesso palla. Altro esempio quello del parlare con qualcuno in una stanza affollata e rumorosa; la nostra capacità di comprendere quanto ascoltato è condizionata dalla complessità del discorso dell'interlocutore o meglio dalla nostra capacità di inferire quanto detto dai pezzi di frase percepiti.
Se sappiamo cosa aspettarci e "auscultiamo" l'area che precedenti esperimenti hanno evidenziato essere coinvolta, saremo un passo avanti nella cattura dei segnali "veri" immersi nel vociare di fondo dei neuroni circostanti.


La BCI Stentrode, approvata dalla FDA, è pensata per persone con paralisi gravi dovute a lesioni spinali. Neuralink di Elon Musk battuta (per ora).

L'interesse delle aziende
Fattibilità, probabilità di successo e ottenere risultati che facciano la differenza sono tutte variabili chiave per chi decide dove investire nella ricerca. Va da sé che se alcuni big come Neuralink e Synchron (quest'ultima ha ricevuto l'ok dalla FDA) hanno investito su BCI corticali, la maggior parte delle start-up si sono concentrate sulle BCI low risk basati sulla EEG finalizzati a sistemi di riabilitazione funzionale e motoria.
Sebbene oggi siano stati presentati vari prototipi in grado di catturare "il pensiero di movimento" e di trasformarlo nell’effettivo movimento di un braccio meccanico, è difficile prevedere se, grazie ad algoritmi ed elettrodi migliorati, i limiti intrinseci della EEG potranno essere superati così da ottenere controlli motori più fini.
Il tutto non solo a scopo riabilitativo. Pensiamo a futuribili operazioni da remoto in cui l’operatore controlla il braccio robotico con solo una cuffietta EEG. Tornando all'esempio dello stadio la complessità intrinseca di usare la EEG per ottenere risultati puliti e precisi equivale a catturare la voce di un gruppo di spettatori che parlano di fatti loro usando un microfono posto all’esterno dello stadio.
Per migliorare la qualità del segnale neurale bisogna passare a BCI invasive come la ECOG, in cui è richiesto un intervento chirurgico per posizionare gli elettrodi tra la dura mater e la superficie corticale. Anche qui varie aziende si sono cimentate nello sviluppo di prototipi testati sia su animali che su umani.
Credit:  Yasuo Nagasaka et al

Sistemi del genere sono stati testati nel ripristino della funzione motoria, per decifrare l'attività neurale sottesa alla formulazione di frasi o per contrastare l'epilessia.
Ad esempio stimolatori tipo Neuropace che rileva l'insorgere di attività epilettiche, risponde rimodulando le aree stesse in modo da bloccarne la comparsa. A seconda della posizione del centro scatenante l'epilessia, il chirurgo posiziona gli elettrodi sia sul bersaglio profondo che sulla superficie cerebrale in modo che il sistema, una volta rilevato l'approssimarsi di una crisi, attivi in automatico una stimolazione preventiva. Lo studio pubblicato nel 2020 ha mostrato che nel 30% dei pazienti trattati si aveva una riduzione del 90% delle crisi lungo un periodo di tre mesi.
Gli elettrodi posizionati sulla corteccia registrano il segnale ad alta frequenza proveniente da un numero relativamente piccolo di neuroni. Ciò li rende particolarmente utili per i dispositivi neuroprostetici che ricevono gli "ordini" da aree relativamente piccole della corteccia motoria e sensoriale; una "potenza" analitica sufficiente a far muovere le dita e a trasmettere alla corteccia sensazioni tattili.
Il sistema Utah Array della Blackrock Microsystems sfrutta 96 mini siti di registrazione inseriti dentro la corteccia in modo da coprire un numero ristretto e specifico di neuroni. A mia conoscenza è l'unico dispositivo intracorticale autorizzato dalla FDA. 
La riabilitazione motoria di Ian Burkhart che a causa di una lesione alla vertebra C5 aveva perso l'utilizzo del braccio dal gomito in giù. Il sistema impiantato è lo Utah Array. Trovate una ottima descrizione del caso nell'articolo dedicato su medium.com 
(image credit: Bouton et al., 2016)
Utah Array (credit: brainlatam.com)

credit: neupsykey com
Il posizionamento corticale non è esente da una perdita di funzionalità del dispositivo conseguenza dei processi di cicatrizzazione e di "inglobamento" degli elettrodi e, inevitabile, schermatura del segnale. Un limite che potrà essere superato in futuro solo con lo sviluppo di interfacce ECOG a maggiore sensibilità capaci di catturare segnali puliti (grazie anche ad algoritmi dedicati) che non necessitino di penetrare la dura madre rimanendo al suo esterno con la sola necessità di mini fori nel cranio.

Il collo di bottiglia. Trovare il segnale giusto
Come prima accennato, posizionare il BCI in modo ottimale è solo il primo, per quanto essenziale, passaggio.
Il vero punto critico, che definisce propriamente una BCI è il software che converte l'attività neurale in informazioni digitali utilizzabili dagli strumenti di analisi e dai dispositivi a valle. Uno dei metodi di addestramento della IA più usati è quello di "rubare" le informazioni corticali da un soggetto che guarda e pensa di muovere un braccio meccanico virtuale sullo schermo di un computer. I segnali ottenuti vengono poi incorporati in programmi di realtà virtuale: quando dopo molteplici tentativi l'utente riesce a far muovere il braccio o perfino a muovere le dita della mano virtuale nel modo voluto, il computer avrà appreso il linguaggio sotteso ripulendo i segnali veri dal rumore di fondo.
Tra i risultati più interessanti l'essere riusciti a ricreare con il solo controllo mentale 4 conformazioni/movimento dell'insieme dita-pollice di una mano virtuale. Punto critico questo che ha permesso al paziente di ottenere un controllo diretto sul braccio robotico per maneggiare oggetti fisici come blocchi da assemblaggio, tubi, palline e una pietra.
video credit: UPMC 

Predire l'idea di movimento, di un oggetto, volto o una frase presentano difficoltà diverse
Registrare e interpretare un pensiero non associato ad un movimento è qualcosa di ben più complesso verso cui si stanno compiendo ora i primi passi.
Uno dei principali ostacoli è proprio nell'addestrare la IA a decodificare questi segnali. Uno dei problemi è che mentre pensare di muovere qualcosa o perfino immaginare in modo continuativo un oggetto avviene in un arco temporale ben definito, se si chiede ad una persona di immaginare di ripetere una filastrocca o l'inno nazionale questo processo avviene in un tempo non quantificabile a priori. La persona potrebbe ripetere mentalmente la frase in frazioni di secondo, saltando alcune parole, facendo pause o altre variabili che rendono impossibile al software associare una data attività neurale al processo cercato.

Passare da pensieri di "azioni" a pensieri di oggetti o stati di umore equivale a muoversi verso il pensiero astratto (presente solo negli umani), la cui complessità sottende un aumento nel numero di neuroni coinvolti e, esponenzialmente, della loro mutua interazione. In termini funzionali equivale a passare dal monitorare la corteccia motoria alla zona occipitale dove hanno sede le aree visive  (nel caso si volesse "predire" l'oggetto osservato); bersaglio pressoché identico se lo scopo è predire l'oggetto "immaginato" o sognato.
Oggi è possibile predire se il soggetto sta pensando a ”una donna con un vestito rosso che sta in piedi” senza però avere indizi su chi sia questa donna. Per avere indicazioni su quest'ultimo quesito bisogna spostare la ricerca sul contenuto semantico dei pensieri e ricordi posizionando gli elettrodi nella parte centrale del cervello; sarà possibile così inferire se il soggetto sta pensando alla madre (al padre, ai figli…) ma non avremo alcuna indicazione sul colore del vestito, sull'essere seduto o in piedi, etc. Il futuro vedrà certamente una sintesi di questi due approcci.
Un esperimento fatto nel lontano 2011 dell'immagine "catturata" dalla corteccia visiva di chi guarda e il suo rendering "cieco" al computer
Alcuni ricercatori si sono dedicati invece alla predizione dello stato dell'umore e dello stress usando come bersaglio l'attività di amigdala e ippocampo; una ricerca che ha dato buoni risultati e che ha una importante valenza nella pratica clinica per arrivare ad una valutazione oggettiva dello stato di pazienti che soffrono di disturbi dell'umore (depressione, etc) prima e durante la terapia.
Vale la pena sottolineare che ognuna di queste analisi porta via molto tempo per addestrare il sistema a inferire ("capire" è una parola grossa) l'oggetto del pensiero nel soggetto analizzato. È necessario  mostrare migliaia di immagini registrando per ciascuna l’attività cerebrale, affinché l'algoritmo abbia dati a sufficienza per tentare il percorso inverso cioè predire cosa la persona stia osservando. Maggiore il numero di immagini test usate, maggiore sarà la risoluzione della decodifica.

Siamo in effetti ben lontani da quanto mostrava il film Strange Days ambientato nell'allora futuro 1999.  Qui un dispositivo chiamato SQUID (in pratica una mini consolle su cui archiviare i ricordi) decodificava e registrava le esperienze soggettive trasmettendole poi al cervello di chi comprava l'esperienza; a tutti gli effetti una comunicazione macchina-cervello e cervello-cervello.

La verità è che "leggere il cervello" è semplice (limitatamente a concetti di base) se paragonato all'idea di trasferire i ricordi da un cervello all'altro.
Le tecnologie immaginate in film come Johnny MnemonicStrange Days o Inception danno per scontato l'avere "crackato" il codice che sottende le funzioni superiori dell'intelletto, cioè il pensiero astratto. Una possibilità, ad oggi, molto lontana dal vero in quanto richiederebbe una completa conoscenza di tutti i processi neurofisiologici e neurochimici in atto in un'area più o meno estesa in un dato intervallo di tempo. Sarebbe fuorviante e semplicistico ipotizzare che la sola analisi dell'attività corticale (peraltro limitata a blocchi fatti da centinaia di neuroni superficiali) sarà mai sufficiente a rendere conto dei circuiti che formano il pensiero o anche solo attività motorie complesse. 

Nel dettaglio, dei tre partecipanti solo due vedevano la schermata del gioco e il suo progredire mentre il terzo dava i comandi al gioco in base al feedback ricevuto dagli altri due. NON un feedback vocale ma solo pensato, letto mediante EEG. Il messaggio catturato veniva veicolato al terzo giocatore mediante risonanza magnetica.
Come spiegato in precedenza quella che potrebbe sembrare una trasmissione lineare del pensiero è in verità il frutto di un precedente addestramento necessario affinché il cervello del ricevente impari a tradurre un messaggio che altrimenti risulterebbe totalmente "insensato".
Un esempio pratico di come il cervello impari a decodificare messaggi "nonsense" viene dagli esperimenti in cui si stimola la corteccia visiva veicolando il messaggio di una immagine presa dalla corteccia visiva di un altro osservatore. L'effetto di questa stimolazione è la comparsa di fosfeni, bagliori luminosi ben noti a chi soffre di emicrania con aura e che possono dare origine ad allucinazioni visive. Come avviene nei sogni o altri fenomeni ottici è il cervello a dare un senso ad immagini poco definite "riempiendole di significati". In assenza del training che insegna al cervello ad associare un particolare gruppo di fosfeni a certe immagini, la stessa identica stimolazione apparirà ad alcuni come una sfera che galleggia e ad altri sotto forma di altre forme geometriche o semplici linee. Finito l'addestramento tutti capiranno che l'immagine indotta è quella, ad esempio, di un albero.

Difficoltà tecniche nei biomateriali
Il più grande ostacolo allo sviluppo di BCI impiantabili per le indicazioni croniche è la necessità di materiali che funzionino per anni, meglio se decenni. Possiamo evidenziare due aspetti del problema:
  1. la scelta dei materiali. Il cervello genera calore e l'acqua è un potente solvente nel tempo. Si è visto che il liquido cerebrospinale è capace di "consumare" il materiale che isola gli elettrodi l'uno dall'altro (fisicamente molto vicini tra loro negli array) con un aumento del rischio di cortocircuiti e perdita di funzionalità del sensore. 
  2. Biocompatibilità. Le cellule della glia sorvegliano il tessuto cerebrale e incapsulano quello che di estraneo non riescono ad eliminare. Il risultato è che gli elettrodi vengono ricoperti da cellule come in un tessuto cicatriziale degradando in automatico la qualità del segnale. La maggior parte degli elettrodi in uso sono metallici o metalli rivistiti con materiale ceramico; questi ultimi sebbene più resistenti hanno maggiore dimensione e rigidità, e con esse un maggior rischio di danneggiare l'area circostante.


Non solo dispositivi per ricerca avanzata
Se pensate che questi dispositivi siano utilizzati solo nell'ambito di tecnologie sperimentali, da aziende come Neuralink di Musk (battuta pochi giorni fa da Synchron che ha ricevuto l'ok dalla FDA) o della ricerca militare (vedi sotto) vi sbagliate.
Di seguito alcuni esempi di prodotti sviluppati sul solco della EEG (non invasiva, quindi non vincolata a procedure di approvazione rigide) già sul mercato, con ambiti di utilizzo che vanno dal miglioramento dell'umore, al sonno fino al gioco e al monitoraggio della efficienza lavorativa. 

Meditazione
L'archetto MUSE è il classico esempio di un'applicazione BCI a ciclo chiuso pensata per il benessere mentale. Il claim del prodotto recita "fascia per il rilevamento dell'attività cerebrale che migliora la meditazione". Il dispositivo sfrutta 4 sensori EEG integrati nella fascia che viene indossata come quelle usate quando si fa attività fisica.
Image source: InteraXon. In vendita anche su Amazon!
Funziona convertendo le onde cerebrali rilevate in sonorità che consentono all'utente di monitorare lo stato del proprio rilassamento mentale; se l'utente sente suoni "tempestosi" sa che deve focalizzarsi sul rilassarsi fino a quando il suono non raggiungerà tonalità calme con cinguettii (sic!) di ricompensa se si va nella direzione giusta. 
Una versione migliorata del MUSE integra nuovi sensori per la fotopletismografia (infrarossi), pulsossimetro, accelerometro e giroscopio, tutti pensati per migliorare il biofeedback.

Sonno
Pur se anche il MUSE offre funzioni pensate per migliorare il sonno, il dispositivo dedicato è il Dreem 2. Catalogato come "assistente personale del sonno" ha come scopo insegnare a dormire meglio. Di forma simile al MUSE, è costituito da 6 elettrodi che rilevano lo stato di veglia. L'audio veicolato indirettamente all'orecchio tramite un auricolare a conduzione ossea, si abbassa e si spegne automaticamente quando i segnali EEG indicano che l'utente dorme. Dotato anche di una funzione di sveglia.

Attenzione
Il dispositivo più vicino a un vero BCI è l'Emotiv MN8 che promette "di aiutare a misurare e analizzare i cambiamenti nei livelli di stress e attenzione dei dipendenti utilizzando l'EEG e gli algoritmi di apprendimento automatico proprietari". Si associa ad una app che registra il livello di stress e di attenzione durante la giornata o in occassione di specifiche attività. Non molto chiaro in verità come venga utilizzato per migliorare l'efficienza sul posto di lavoro.
credit: emotiv.com

Gaming
I massicci investimenti per la creazione di nuovi e futuristici visori VR non potevano non trascinare con sé la ricerca di BCI ad uso ludico o per intrattenimento, basati su sensori EEG. Scopo primo quello di coinvolgere il giocatore per più tempo monitorando segni di stress, stanchezza o noia, adeguando il livello di difficoltà del gioco. Tra le aziende in campo Valve e Brainattach.
Video credit: Maciej Rudziński

Memoria
Una interessante sperimentazione condotta nel 2018 ha dimostrato come la stimolazione dell'ippocampo mediante una protesi dedicata aumenti la capacità di memorizzazione. I test condotti su 8 persone hanno evidenziato un miglioramento significativo (35%) nella capacità di immagazzinare le informazioni visive sia a breve che a lungo termine.


Data la natura invasiva del dispositivo l'esperimento è stata solo una proof of concept poi non portata avanti dall'azienda che ne detiene i diritti. Comprensibilmente si è preferito investire su interfacce neurali non invasive che leggono dal cervello e decodificano i segnali ma non in grado di agire proattivamente.
Nel frattempo un'altra azienda (Nia Therapeutics) ha messo a punto una BCI di tipo ECOG posizionata sul lobo temporale, finalizzata a migliorare le capacità la memoria in soggetti con problemi successivi a traumi. Il dispositivo utilizza elettrodi che registrano l'attività cerebrale e decide se attivare la stimolazione. Uno studio pilota ha mostrato un piccolo miglioramento nella capacità dei soggetti di ricordare le parole. Gli sviluppi recenti vedono una sinergia con altre aziende per sviluppare una neuromodulazione wireless.


*** Sistemi per modificare l'attività cerebrale ***
Nei precedenti paragrafi ho fatto una panoramica molto semplificata dei sistemi che permettono di "leggere" il cervello sia nell'ambito della comunicazione che nella "idea" del movimento. Abbiamo visto di sfuggita le tecniche con cui si può "trasferire" il messaggio (ad esempio una immagine) nel cervello di un ricevente.
Vediamo ora molto brevemente gli approcci utili sui metodi utilizzati per "trasferire" queste informazioni.

Tre sono i metodi ad oggi idonei per modulare l'attività cerebrale (tralascio l'optogenetica per motivi di spazio avendola già discussa in precedenza). La principale differenza tra questi è nell'invasività e nella specificità dell'azione, che si presta ad utilizzi diversi.
  1. Terapia elettroconvulsiva nota ai più con il termine di elettroshock. Si tratta in effetti di un trattamento (invio nel cervello di una corrente abbastanza forte da resettare alcuni circuiti) che risale agli anni '30 e che non ha mai goduto di buona fama per una serie di motivi legati sia ad un utilizzo troppo generico a quei tempi (e delle scarse conoscenze neurologiche) che della stigmatizzazione fatta dal cinema, sempre stata associata a trattamenti abusivi e distruttivi invece che terapeutici (su tutti "Qualcuno volò sul nido del Cuculo"). La tecnica è stata ampiamente rivalutata negli ultimi decenni anche grazie al suo utilizzo in modo molto più mirato e, importante, su pazienti anestetizzati così da annullare la percezione della scossa. Si è dimostrata efficace (50-90%) nel trattamento di persone affette da disturbo depressivo maggiore nelle forme più gravi, resistenti ai trattamenti farmacologici.
  2. DBS (ne ho scritto sopra). Procedura invasiva che necessita del posizionamento chirurgico degli impianti. Si è rivelata utile per migliorare le performance motorie nelle persone con la malattia di Parkinson. Il limite intrinseco alla procedura (che la rende eleggibile solo ai casi gravi) è proprio nella sua invasività e nel rischio di effetti collaterali causati da danni ai tessuti adiacenti o a "attivazione" non voluta degli stessi.
  3. Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS). Procedura del tutto non invasiva basata sulla stimolazione elettromagnetica (pulse ripetuti di campi magnetici concentrati) del tessuto cerebrale effettuata posizionando dei magneti in prossimità dello scalpo c. Il risultato sono scariche elettriche di 100-200 mA  nella zona sottostante la bobina, sufficienti a provoca l'attivazione (firing) neuronale. L'esperimento sopra menzionato di far giocare a Tetris tre persone ha sfruttato proprio la TMS come modo per trasmettere il pensiero al giocatore "cieco".
    Image credit: Baburov via wikipedia
Giusto per precisione la corrente elettrica fatta circolare in un coil (ansa) genera un campo magnetico intermittente ad alta frequenza che quando si propaga nell'area bersaglio induce una corrente elettrica nei neuroni e con esso il loro firing.
Rimaniamo sulla TMS che è quella più interessante come potenzialità e "facilità" di utilizzo.
La stimolazione è di tipo transitorio ed è localizzata grazie alla ridotta penetrazione (2-3 cm) delle onde magnetiche. Il vantaggio è nella specificità e pieno controllo del trattamento, lo svantaggio è che (almeno nella sua versione ad uso esterno) non permette di agire sulle aree più profonde del cervello.
Può essere utilizzata sia una tantum che attraverso sessioni ripetute (rTMS) di circa 40' ogni giorno per alcune settimane. La rTMS viene usata per trattare disturbi psichiatrici e neurologici quali depressione, allucinazioni, Parkinson, ecc. 
Gli studi pubblicati confermano in gran parte il suo effetto terapeutico, sebbene il campione ridotto limita la potenza statistica (quindi le conclusioni) di questi studi. Risultati in ogni caso sufficienti per alcuni di essi per ottenere il semaforo verde dalla FDA: eNeura per il trattamento dell'emicraniaNeurostar per la depressione grave (tasso di remissione osservato pari al 30%).
L'apparecchio per la TMS ha dimensioni poco superiori ad un forno a microonde per un costo di decine di migliaia di dollari. Per migliorarne portabilità e diffusione la ricerca è giunta ad una versione semplificata di TMS, nota come stimolazione elettrica transcranica (tES), a sua volta suddivisa in TDCS e TACS nel caso di corrente continua e alternata, rispettivamente.
In sintesi mentre la TMS genera un campo magnetico che induce una corrente elettrica locale, la tES veicola direttamente una corrente elettrica sufficiente a creare mini campi elettrici. Questo spiega la minore complessità dell'apparecchio che si traduce in minori dimensioni e costi 10 volte inferiori (per appr.
Image credit: Neurosci Biobehav Rev. (2020) Altre informazioni sul sito tES vs. TMS

La corrente generata dai dispositivi tES nel cervello è dell'ordine di 1-2 mA, molto più debole rispetto a quella della TMS e questo spiega anche la maggior difficoltà di questi strumenti ad ottenere certificazioni di efficacia terapeutica oltre alla maggior diffusione per uso privato in terapie "fai da te".
Corrente non sufficiente a provocare il firing neuronale e come tale mancante di un parametro di controllo per studi di efficacia.
Nota. Se non è provata la loro efficacia come è possibile che questi prodotti siano in vendita per uso privato? La ragione sta nella normativa che impone l'obbligo di adempiere alla procedura di approvazione solo per i prodotti che affermano di avere una azione terapeutica su una condizione medica. Fintanto che (come avviene in molti prodotti tES) i produttori affermano che questi dispositivi aiutano le persone a "diventare più intelligenti" o "atletiche" (un claim usato anche dalle riviste di enigmistica, da alcuni videogiochi o da chi vende pesi) non ci sono problemi. A volte le distinzioni sono molto sottili: un dispositivo che affermasse di curare l'insonnia diventerebbe in automatico soggetto all'approvazione da parte di FDA o EMA, mentre se lo stesso dispositivo promettesse "un sonno notturno più dolce" la vendita non avrebbe restrizioni (fintanto che il dispositivo rispetti le norme di sicurezza di tutti i dispositivi elettrici).
Non si tratta, ribadisco, di apparecchi inutili spacciati come utili ma nella oggettiva difficoltà di misurare l'effetto mancando una precisa misura fisiologica di cosa provochi a livello locale la debole corrente elettrica del tES. Senza questo parametro diventa molto complicato stabilire relazioni causa-effetto. Se a questo aggiungiamo altre variabili (intensità della stimolazione, posizione e numero degli elettrodi, durata della sessione e numero di sessioni, la storia medica del paziente, …) la valutazione diventa ancora più complessa.
Il principale vantaggio della TMS è che la corrente elettrica indotta nel bersaglio è sufficiente per far muovere il pollice del soggetto e come tale viene tarata in fase preparatoria. La tES non provoca alcun effetto registrabile con i 2/3 del segnale schermati dalla pelle e dalle ossa cranio e un campo elettrico locale di 0,4-0,8 V/m, insufficienti ad attivare il firing neuronale. 
Questo non vuol dire che i dispositivi tES non servano a nulla ma solo che è complicato validare i risultati. Anche se la corrente non è sufficiente a produrre un firing neuronale potrebbe benissimo essere utile per predisporre i neuroni all'attivazione, successivo ad uno stimolo "naturale".
A conferma della bontà di alcuni di questi dispositivi l'approvazione da parte delle FDA e EMA di:

***

I militari non stanno a guardare
Il DARPA (vale a dire la Difesa americana) ha deciso di finanziare una serie di progetti (noti grazie al Freedom of Information Act con cui si monitora la destinazione dei fondi pubblici) della durata di 4 anni che dovrebbero essere, ritardi pandemici permettendo, oramai quasi terminati. Ricordo che internet attuale è a tutti gli effetti figlio di ARPANET, una rete di computer collegati tra loro sviluppata dal DARPA durante la guerra fredda e resa disponibile anche alle università. 

  • ElectRx. Dispositivi di neuromodulazione microscopici iniettabili, pensati per facilitare il processo di guarigione.
  • Propriocezione manuale e interfacce tattili (HAPTIX). Microsistemi di interfaccia neurale wireless in grado di ripristinare alcune caratteristiche sensoriali in chi ha subito amputazioni.
  • Progettazione di sistemi di ingegneria neurale (NESD). Migliora la risoluzione del segnale e la larghezza di banda di trasferimento dati tra interfacce neurali impiantate e dispositivi.
  • Neuro-FAST. Lo scopo è visualizzare e decodificare l'attività cerebrale per ottimizzare l'approccio alle situazioni di minaccia modulando il comportamento.
  • Neurotecnologia non chirurgica di nuova generazione (N3). Pensata per "leggere e scrivere" in più punti del cervello contemporaneamente tramite un sistema di interfaccia neurale portatile che non richiede un intervento chirurgico per l'impianto.
  • Ripristino della memoria attiva (RAM). Aiuta le persone i cui ricordi sono stati danneggiati a ripristinarli grazie ad un'interfaccia neurale wireless.
  • Ripristino della memoria attiva (RAM Replay). Migliora i ricordi di eventi e abilità acquisite in passato, agendo sui circuiti della memoria.
  • Revolutionizing Prosthetics. Migliora i sistemi protesici per le persone che hanno perso gli arti superiori.
  • SUBNET. Aiuta a curare le malattie neuropsicologiche tramite l'impianto di sistemi diagnostici e terapeutici.
  • Allenamento mirato alla neuroplasticità (TNT). L'obiettivo è allenare le abilità cognitive attivando i nervi periferici in modi che promuovono e rafforzano le connessioni neurali del cervello.

***
Per chi non li avesse visti, i film cult sulla "lettura della mente e trasferimento della memoria"



Powered By Blogger
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper
Controllate le pagine delle offerte su questo blog




















Zerbini fantastici