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Dall'analisi delle missive di "Dracula" l'analisi del suo stato di salute e l'origine della (famose) lacrime di sangue

Dall’analisi delle tracce biologiche presenti sulle missive vergate da Vlad III, noto “affettuosamente” come Vlad l’Impalatore, un team di ricercatori italiani dell’università di Catania ha inferito alcune interessanti informazioni sulla sua salute.
Una delle lettere di Vlad fornite dall'archivio romeno

Vlad III è di sicuro un personaggio interessante, non solo per avere ispirato secoli Bram Stoker nel creare la figura di Dracula, ma per la sua storia di persona vissuta in tempi e, soprattutto, un’area difficile come la Valacchia, area che dire di frontiera è riduttivo. Personaggi duri per tempi duri, in attesa che le anime belle di matrice anglosassone ne impongano l’oblio per il non essere conformi al canone (forse meglio dire, il conformismo) del politicamente corretto e del woke. Per ora rimaniamo con personaggi come Attila, Dracula e Gengis Khan tuttora eroi nazionali in Ungheria, Romania e Mongolia, rispettivamente (del resto anche Nerone ha goduto di fama pessima, ma falsa, fino alla fine del XX secolo). Di seguito uno dei migliori libri storici su Vlad III.

 

Lo studio, pubblicato su Analytical Chemistry, rivista specializzata dell’American Chemical Society, è consistito nella analisi dei residui proteici depositatisi su tre lettere (una del 1457 e le altre del 1475) autografe del condottiero, conservate negli archivi romeni.
I risultati indicano che Vlad potrebbe avere sofferto di una infezione cronica ai polmoni e, cosa più interessante almeno come suggestione, essere affetto da emolacria, una condizione associata alla produzione di lacrime di sangue (fenomeno descritto dagli ospiti di Vlad III. come il Legato Pontificio, ma che potevano essere semplice frutto del timore che incuteva Vlad ai suoi interlocutori).

Breve cenno alle tecniche utilizzate. La prima parte della procedura è consistita nell’applicazione di una pellicola di etilene-vinil acetato sui fogli, per catturare i residui proteici presenti senza danneggiare i reperti. Passo successivo è stato utilizzare la spettrometria di massa per determinare l’identità delle migliaia di peptidi presenti, così da selezionare solo quelli di origine umana ma più deteriorate dal tempo (quindi attribuibili allo scrivente e non all’archivista).
Uno dei passaggi dell'analisi. A sinistra una delle lettere e a destra l'analisi effettuata con luce UV sulla lastra di acetato per mappare la presenza di aminoacidi come triptofano, tiroxina e fenilalanina
(image credit: MGG Pittalà et al, Anal. Chem. 2023)

In totale sono decine i peptidi trovati riconducibili a proteine umane (di particolare interesse quelle di origine ematica, respiratoria e oculare) senza però trascurare le molte di origine ambientale (batteri, virus, funghi e muffe, insetti e piante) utili per ricostruire la vita dell’epoca. Alcune dei peptidi sono riconducibili a infiammazioni dell’apparato respiratorio, a ciliopatie e a retinopatie. Il confronto tra i residui organici presenti nelle tre lettere (scritte come ricordo a distanza di 20 anni) sembra confermare le variazioni nello stato di salute con tracce riconducibili alla emolacria presenti solo nelle due ultime lettere.

La presenza di tracce di batteri riconducibili alla flora intestinale ma anche associati a infezioni dello stesso tratto e delle vie urinarie (perfino tracce del batterio Yersinia pestis, causa della peste. Articolo tematico QUI) richiama le condizioni igieniche “comuni” (o meglio l’assenza di pratiche di pulizia) anche nelle magioni più altolocate fino alla fine dell’ottocento (vedi il colera nella Londra dell'epoca. Due libri consigliati: Cattive acque e The Ghost Map

Fonte
Count Dracula Resurrected: Proteomic Analysis of Vlad III the Impaler’s Documents by EVA Technology and Mass Spectrometry
Maria Gaetana Giovanna Pittalà et al, Anal. Chem. 2023, 95, 34, 12732–12744

***

Libro interessante quello sulle missive ritrovate scritte, in italiano, dalla regina Elisabetta I: Elizabeth I's Italian Letters


Giano, la nana bianca a due facce

La scoperta di una stella nana bianca con due facce completamente diverse.
Credit: Caltech
Le nane bianche rappresentano la fase stellare ultima per stelle di massa piccola e medio-piccola come il Sole, che hanno una vita residua superiore a decine se non centinaia di miliardi di anni prima di spegnersi del tutto in una nana nera.
Si tratta di stelle ad alta densità e temperatura in cui essendosi consumato il carburante per la fusione nucleare e non avendo massa sufficiente ad innescare le reazioni di fusione degli elementi più pesanti (fino al ferro) come avviene per le stelle supermassicce, devono la energia luminosa prodotta alla energia residuale immagazzinata al suo interno. Una volta che avrà raggiunto un equilibrio termico con lo spazio circostante il flusso terminerà e con essa la luce emessa.
Il sole raggiungerà questa in circa 5 miliardi di anni dopo un breve momento di “gloria” attraverso la fase di gigante rossa in cui espellerà gran parte della sua materia esterna e “precipitando” il rimanente in un residuo molto denso delle dimensioni della Terra e di massa circa la metà del Sole attuale.
Questo “canone” ha trovato ora un casus mirabilis con la scoperta di una nana bianca i cui due lati sono diversi, uno fatto di idrogeno e l'altro di elio. In parole povere la superficie della nana bianca cambia completamente da un lato all'altro.
Una stranezza che ha reso quasi scontato il nome scelto per essa, Giano, il dio romano a due facce, simbolo della transizione. 
Lo studio che riporta i dettagli della scoperta è stato pubblicato su Nature lo scorso 19 luglio.

Durante la formazione (alias morte per spegnimento) della stella che diventerà una nana bianca, la componente gravitazionale fa sì che gli elementi più pesanti (in genere carbonio e ossigeno) si accumulino nelle parti più interne mentre gli elementi più leggeri come l'idrogeno e l'elio (più abbondante) salgano verso lo strato superiore. 
La nana bianca nei suoi diversi strati
L’analisi di Giano ha mostrato che durante le 4 rotazioni sul suo asse ogni ora, i dati spettrometrici cambiavano evidenziando una composizione diversa per ogni faccia. Un dato confermato da diversi osservatori terrestri. La spiegazione più probabile è che la stella sia stata intercettata in una fase molto specifica della sua evoluzione, quella del passaggio tra il una superficie dominata dall’idrogeno a quella dominata dall’elio. Nel processo (inevitabile una volta che le reazioni di fusione nucleare sono terminate) si ha un rimescolamento degli elementi; durante questa transizione, è possibile che l'idrogeno si diluisca all'interno, permettendo all'elio di diventare l'elemento dominante.
La ragione per cui su Giano si assiste alla evoluzione in tempi diversi sui due lati della stella potrebbe essere dovuta alla asimmetria del campo magnetico (fenomeno comune nei corpi celesti) che, più forti su un lato, rallenterebbero qui la fase di ridistribuzione, quindi rimanendo più ricco di idrogeno.
Il campo magnetico di Giano che potrebbe spiegare ia differenza in composizione superficiale tra le facce opposte della stella
(image credit: K. Miller, Caltech/IPAC)
Ipotesi alternativa formulata dai ricercatori è i campi magnetici locali alterino la pressione e densità di questi elementi nella parte più esterna, consentendo la formazione di un "oceano" di idrogeno dove il campo magnetico è più forte.




Fonte
A rotating white dwarf shows different compositions on its opposite faces

Two-Faced Star Exposed



Un "urlo" per riposizionare l'antenna della sonda Voyager 2

Riporto in prima pagina la missione Voyager, le cui sonde sono in viaggio da 45 anni.
Credit: NSSDC NASA
L’aggiornamento odierno riguarda Voyager 2 che qualche settimana fa era apparentemente ammutolita. Con ragione in effetti. Si scoprì quasi subito, che la la causa era un errore nella stringa di comando inviata il 21 luglio dalla Terra, che causò uno spostamento di due gradi dell’orientamento dell’antenna.
Due gradi può sembrare poco ma se il segnale arriva da una sonda distante 19,9 miliardi di chilometri equivalgono a … parlare al vuoto. 

In un primo momento si era stimato che l’errore non avrebbe potuto essere corretto prima del 15 ottobre, data in cui la Voyager 2 avrebbe dovuto effettuare una manovra di riallineamento automatizzata. Ma, come si dice, la necessità aguzza l’ingegno e il 1 agosto gli ingegneri della NASA hanno usato la rete di osservatori terrestri che formano il Deep Space Network (DSN) per rilevare l’onda portante proveniente dalla Voyager 2.
Nota. ricordo che il Deep Space Network equivale ad avere, come copertura e risoluzione (dopo interpolazione) un rilevatore del diametro del pianeta Terra.
La rete di telescopi che forma il DSN
Come la rete DSN viene usata per parlare con le varie sonde
Sebbene il segnale fosse ancora troppo debole per leggerne i dati trasmessi, l'averne intercettato la portante era la prova che si poteva inviare un messaggio alla sonda… purché “urlato” (sic!). 

Operazione eseguita il 4 agosto dal JPL (produttore e gestore di Voyager) mediante il DSN.
Ci sono volute 18,5 ore di viaggio alla velocità della luce perché il messaggio arrivasse a destinazione e 37 ore in totale perché i controllori della missione verificassero che il messaggio era stato ricevuto e, soprattutto, interpretato correttamente riposizionando l’antenna. Nella notte del 4 agosto Voyager 2 ha iniziato a restituire dati scientifici e di telemetria indicando che stava funzionando normalmente e che era nella traiettoria prevista.

Fonte
NASA Mission Update: Voyager 2 Communications Pause

***

PRECEDENTI ARTICOLI SUL TEMA VOYAGER

Quando scrissi l’articolo sulla uscita dei due Voyager dal sistema solare pensavo fosse il capitolo finale di una avventura durata (ad oggi) 45 anni. In fondo una volta usciti dalla eliosfera, con poca energia rimasta e “nessun incontro ravvicinato” previsto (fatto salvo qualche membro fuggito dalla nube di Oort o, per miracolo, il fantomatico pianeta 9) non ci sarebbe stato molto da aggiungere alla già raggiunta gloria.
Credit: NASA
Invece eccoci qui con una notizia arrivata qualche giorno dal JPL di un “miracolo” tecnico compiuto dagli ingegneri che hanno trovato il modo per usare l’energia rimasta per tenere attivi gli strumenti almeno fino al 2026.
In una rotta che porta sempre più lontano dal Sole si sapeva già in fase di progettazione che l’energia non avrebbe potuto essere ricavata da pannelli solari ma si doveva sfruttare una batteria "atomica” (più precisamente dei generatori termoelettrici a radioisotopi di plutonio) che non è eterna e il suo esaurimento avrebbe richiesto (per preservare almeno la capacità di inviare messaggi) lo spegnimento di uno strumento scientifico, in aggiunta ai vari sottosistemi spenti nel corso degli anni. 

La soluzione escogitata si è focalizzata sul sistema di backup per stabilizzare la tensione della corrente che alimenta i rilevatori così da proteggerli da sbalzi improvvisi. Si è optato per utilizzare questa potenza addizionale per alimentare gli strumenti scientifici anziché lo stabilizzatore.

Voyager 1 non ha per ora queste necessità (anche se in futuro potrebbe seguire la strada del fratello) in quanto perse uno dei suoi strumenti scientifici nelle prime fasi della missione, quindi meno energivoro.

Il miracolo di queste sonde è che furono progettate per una missione di quattro anni, il tempo sufficiente per avvicinare Giove e Saturno. Solo in seguito, dato l’allineamento dei pianeti che si ripete solo ogni 175 anni, si sfruttò questa finestra temporale per inviare Voyager 2 verso Urano e Nettuno. La sonda Voyager 1 avrebbe nei piani dovuto raggiungere Plutone ma si preferì inviarla su una rotta che intersecasse Titano, una delle lune di Saturno. Plutone ricevette infine la tanto attesa visita dalla sonda New Horizon nel 2015.



*** 04/05/2021 *** 

 La sonda Voyager 1, distante oramai 152 UA, ha registrato la vibrazione di fondo del gas interstellare



*** I dati inviati da Voyager 2 dopo avere attraversato il confine del sistema solare *** 
(04/11/2020)

Quando tutti davano per defunta Voyager 2 dopo la sua uscita "ufficiale" dal sistema solare (--> "Il viaggio di Voyager 2") ecco arrivare dallo spazio profondo un suo messaggio (del tipo "tutto ok"). 

Notevole se si pensa che è in viaggio da 43 anni (il lancio risale al 20 agosto 1977), con la missione di studiare la parte esterna del Sistema Solare. Il messaggio, risalente a fine ottobre, è stato captato dall'antenna radio terrestre Dss43 (Deep Space Station 43), sita in Australia. 

Credit: NASA 
Con i suoi 70 metri di diametro, le periodiche manutenzioni e i recentissimi aggiornamenti, la pur datata Dss43 continua a svolgere il suo lavoro, in concerto con altre antenne della rete NASA site in California e vicino a Madrid.

E' stato proprio al termine di uno di questi aggiornamenti che i tecnici hanno testato la funzionalità dell'antenna inviando una stringa di comandi a Voyager 2, che dopo qualche ora (ci vogliono 16 ore per raggiungerla) ha risposto di averli eseguiti correttamente. 

Chissà mai che uno dei prossimi messaggi che riceveremo da Voyager sia riferito al fantomatico Planet 9 (no, NON si tratta della storpiatura del titolo del film di Ed Wood "Plan 9 from outer space") che verosimilmente non esiste; una delle ipotesi alternative atte a spiegare l'effetto gravitazionale sui pianeti esterni è che sia dovuto ad una miriade di piccoli planetoidi nella zona nota come Nube di Oort. 


Per sapere dove si trova Voyager in tempo reale --> NASA/mission status



Quale è la fonte d'energia per comunicare e fare rilevazioni ad una tale distanza da qualunque sorgente luminosa?
Entrambe le sonde Voyager sono dotate di generatori  plutonio-238 MHW RTG (Multi-Hundred Watt Radioisotope Thermoelectric Generators) che forniscono tutta l'alimentazione necessaria.
Ciascuna sonda ha tre di questi generatori. Ogni RTG fornisce circa 157 watt (quando è nuovo di zecca) il che significa per i primi anni di viaggio poteva contare su circa 470 watt di potenza.
Il lancio è avvenuto nel 1975 e da allora il plutonio (con un tempo di dimezzamento di 88 anni si è consumato solo in minima parte).
Il fattore limitante non è quindi il plutonio ma le termocoppie di silicio-germanio che trasformano questa energia in corrente elettrica utilizzabile dalla sonda. Il loro problema è che essendo esposte direttamente al flusso di neutroni proveniente dal decadimento del plutonio si danneggiano e questo spiega come mai a soli 40 anni dal lancio la potenza residua sia scesa al 25% di quella originale. L'energia residua è appena sufficiente per mantenere accesi i riscaldatori della navicella e inviare ancora un segnale da 19 watt alla Terra e fare poche altre rilevazioni.


*** 8/11/2019 ***

È passato circa un anno da quando Voyager 2 ha varcato i confini del sistema solare nel suo moto senza fine all'interno della galassia. Un passaggio anticipato qualche anno prima da Voyager 1; sebbene lanciati a poche settimane di distanza l'una dall'altra nel 1977 le due sonde hanno seguito rotte diverse, da qui l'ampio sfasamento temporale.
Voyager 2 (credit: universetoday.com)
Articoli precedenti sull'uscita dal sistema solare di --> Voyage 1 (2013) e --> Voyager 2 (2018). La mappa delle rispettive traietttorie viste da Terra sono disponibili --> Voyager 1 e --> Voyager 2
E' di pochi giorni fa la pubblicazione di una serie di articoli sulla rivista Nature Astronomy in cui sono riportati i dati raccolti durante il passaggio in questo invisibile confine. I dati arrivano solo ora sia perché è stato necessario attendere il loro arrivo sulla Terra (19 ore circa) e soprattutto elaborarli ed analizzarli (mesi di lavoro). Inoltre lo strumento preposto, Plasma Science Experiment, ha funzionato correttamente solo su Voyager 2 (la versione montata su Voyager 1 ha smesso di funzionare ben prima del previsto)

La prima cosa che emerge è che l'uscita di Voyager 2 è stata molto più "pulita" rispetto alla gemella Voyager 1.
L'uscita di Voyager 2 è avvenuta "ufficialmente" il 5 novembre 2018 quando lo strumento registrò una improvvisa riduzione delle particelle del "vento solare" (provenienti quindi dall'interno, cioè dal Sole) e un aumento parallelo di quelle associate ai raggi cosmici (provenienti da fuori, dalla galassia) e del campo magnetico interstellare.
credit: NASA via space.com

Nel loro insieme, questi dati indicavano che la navicella spaziale era passata oltre la "sfera" d'influenza del nostro sole, un confine noto come eliopausa.
Nota. L'eliopausa ha una definizione vaga del tipo il punto di inizio dello spazio interstellare. E' anche definita come il limite esterno della eliosfera. 
Le due Voyager sono le prime e uniche, al momento, macchine costruite dall'uomo ad aver raggiunto lo spazio interstellare.
Sebbene in punti diversi (la distanza è di circa 165 UA), il traversamento dell'eliopausa è avvenuto a distanze dal Sole tutto sommato simili (su scala del sistema solare, ovviamente): 121,6 UA per Voyager 1 e 119 UA per Voyager 2 (ricordo che UA sta unità astronomica ed è la distanza media della Terra dal sole -->"Definito il valore esatto di 1UA" ). Grande differenza invece nel tempo necessario per traversare questo confine: 28 giorni per Voyager 1 meno di 1 giorno per Voyager 2.

La ragione non è ben compresa ma sembra che Voyager 1 sia stato l'unico ad avere incontrato una cosiddetta regione di stagnazione, ampia 8,6 UA, una zona cioè dove il movimento del plasma attorno al veicolo spaziale è quasi nullo (un dato ricavato da altri strumenti a bordo visto che, come detto, il Plasma explorer era rotto). Voyager 2 non ha incontrato nulla di simile ma una regione definita di transizione in cui il flusso di plasma (alias gas ionizzato) proveniente dal sole inizia a cambiare in forza e direzione fino a che incontra uno "strato limite" in cui i flussi provenienti dall'esterno aumentano fino al culmine dell'eliopausa. 
La ragione di questa differenza (nelle regioni incontrate) non è chiara. Potrebbe essere conseguenza di una riduzione dell'attività solare (il ciclo solare dura 11 anni) per cui quando Voyager 2 si avvicinava al confine l'eliopausa si stava muoveva verso l'interno.

Interessante il fatto che le distanze di uscita delle due sonde siano mappabili a distanze simili (nonostante la distanza tra esse), pur in presenza di livelli significativamente diversi di attività solare. Il che fa sorgere interrogativi sulla possibile struttura dell'eliosfera: una "bolla" sferica o qualcosa di più simile ad una cometa, con una coda che si estende all'indietro indietro a causa del movimento del sole attraverso la galassia? 
Interrogativi a cui si spera potranno contribuire le nostre due viaggiatrici, la cui attività è prevista durare ancora per un altro decennio.

***Aggiornamento giugno 2020***
Grazie all'utilizzo dei dati ottenuti dalla sonda IBEX della NASA durante un intero ciclo solare, si è potuto studiare come varia l'eliosfera nel tempo.
Il ciclo solare dura circa 11 anni, durante il quale il Sole alterna fasi di bassa ed alta attività. I ricercatori erano curiosi di capire come queste variazioni si ripercuotessero ai confini del sistema solare. I risultati mostrano in grande dettaglio le variazioni della parte esterna dell'eliosfera esterna.
I dati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Supplements il 10 giugno 2020.
Di seguito un video riassuntivo creato da NASA/Goddard

Link diretto al video su -->youtube


Articolo precedente sull'argomento --> Voyager.

Fonti


Anche i planetoidi possono avere anelli come Saturno

La presenza inattesa di un anello intorno a Quaoar
Quaoar è un pianeta nano (circa 1100 km di diametro), scoperto nel 2002, sito nella estrema periferia del Sistema Solare e catalogabile come oggetto transnettuniano.

L'identificazione di Quaoar
(image credit:  Chad Trujillo)
Una immagine più recente mostra qualcosa di inatteso, cioè un alone e una piccola luna, Weywot.
Immagine catturata nel 2016 da Hubble. Per curiosità la foto è da attribuire a Michael Brown (Caltech), tra i principali "responsabili" della retrocessione di Plutone a pianeta nano

Pochi anni dopo, siamo tra il 2018 e il 2021, gli astronomi riescono ad effettuare (grazie alla sinergia tra vari telescopi sulla Terra e il telescopio spaziale europeo Cheops) misurazioni più precise di Quaoar mentre transita sullo sfondo di stelle note. ottenendo così dati sull'alone e composizione. 
Dati che indicano la presenza non di un anello, come ipotizzato ad inizio anno, ma di almeno DUE anelli
Immagine artistica dell'anello

L'immagine ricostruita degli anelli è disponibile sul sito noirlab.edu

Immagine tratta dal sito UniverseToday



Fonti
A dense ring of the trans-Neptunian object Quaoar outside its Roche limit

dwarf planet quaoar has a weirdly big ring of debris encircling it



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