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La omochiralità degli aminoacidi non è un retaggio del mondo a RNA

La chiralità della molecole, nota dal XIX secolo, è importante in ambito farmaceutico dato che gli enantiomeri, per quando chimicamente identici, non sempre sono funzionalmente equivalenti.

La chiralità è la proprietà di un oggetto di non essere sovrapponibile alla sua immagine speculare. Due molecole chirali possiedono le medesime proprietà fisiche tranne nel potere rotatorio (identico per intensità ma opposto di segno per ognuna di esse) della luce polarizzata.
Chiralità negli aminoacidi
Le molecole chirali, ripeto identiche ma speculari, mostrano lo stesso comportamento chimico nei confronti di sostanze non chirali mentre la loro interazione chimica nei confronti di altre molecole chirali è diversa (esattamente come una mano destra, stringendo un’altra mano, riesce a distinguere se la mano stretta è destra o sinistra). Questo spiega per quale ragione (a volte) due enantiomeri dello stesso principio attivo di un farmaco, a volte, non sono equivalenti nel profilo beneficio/tossicità, conseguenza di quale associazione mirror-twin sia presente tra effettore e bersaglio. 
Esempio di tale differenza funzionale la ketamina, in cui l'enantiomero R- presenta un miglior profilo funzionale e di sicurezza.
Ecco perché  alcuni farmaci possono essere costituiti dalla forma racemica (mix di enantiomeri) del principio attivo mentre altri devono contenere esclusivamente l'enantiomero destrogiro (R-) o levogiro (L-).
L’analisi con cui si stabilisce la chiralità usa la luce polarizzata circolarmente nella quale il campo elettromagnetico ruota in senso orario o antiorario, formando un “cavatappi” destro o sinistro in cui l’asse è lungo la direzione del raggio di luce; la luce "chirale" viene assorbita in modo diverso dalle molecole R- o L-. Effetto piccolo, ma misurabile, perché la lunghezza d’onda della luce è maggiore della dimensione di una molecola: il “cavatappi luminoso” è troppo grande per percepire la struttura chirale della molecola in modo efficiente. Un metodo migliorato per l'analisi si avvale del laser ad impulsi.
Risulta chiara allora l'importanza di individuare e separare "facilmente" i vari enantiomeri specie quando mostrano uguale comportamento, tranne che durante l'interazione con un bersaglio chirale.
In ambito biologico tre sono le (macro)molecole in cui l'importanza della chiralità è evidente e si manifesta con il fenomeno della omochiralità (prevale un solo enantiomero): zuccheri, aminoacidi e acidi nucleici (la chiralità di questi ultimi è invero la diretta conseguenza della presenza del ribosio - monosaccaride pentosio - nell'unità fondante, cioè il nucleotide). Vedi nota** a fondo pagina.

Poiché in genere le caratteristiche chimico-fisiche degli enantiomeri sono identiche, la ragione della dominanza di un enantiomero come costituenti degli organismi terrestri è verosimilmente conseguenza della specificità del macchinario enzimatico/strutturale che ha amplificato con l’evoluzione la rottura della simmetria già ai tempi del mondo prebiotico. Non ci sono altre ragioni infatti per cui gli zuccheri sono nella quasi totalità D- (cosa che si riflette anche nei nucleotidi con il D-ribosio) e gli aminoacidi L-.

Tra le domande rimaste a lungo senza risposta verificare la possibilità che l'affermazione di un solo enantiomero sia stata guidata da vincoli durante la biosintesi. Una ipotesi classica ipotizzava la esistenza di proteine costituite prevalentemente da residui L-aminoacidi (invece di D-) come conseguenza del D-ribosio negli acidi nucleici, secondo uno schema "specchio".
Nota. Durante la sintesi proteica i “mattoncini” (aminoacidi) da assemblare vengono trasportati al ribosoma dal tRNA (mediatore tra la tripletta del codone genetico e l'aminoacido) che viene caricato con il corretto aminoacido da enzimi noti come aminoacil-tRNA sintetasi, enzimi che mostrano una netta preferenza per L-aminoacidi anche in presenza di entrambi gli enantiomeri.

Una sfida sperimentale a questa ipotesi è stata recentemente pubblicata su Nature Communications che non ha potuto confermarla lasciando aperto il dibattito.
I test di laboratorio sono stati fatti su 15 diversi ribozimi (molecole di RNA con attività enzimatica) capaci di catalizzare i passaggi finali della sintesi di aminoacidi a partire da precursori, molecole che potrebbero essere esistite nel mondo (prebiotico) a RNA. Il risultato è stata la produzione di D- e L- aminoacidi in egual misura, a dimostrazione che l’RNA manca di una predisposizione strutturale tale da favorire una data forma di aminoacidi.
L’omochiralità della vita come noi la conosciamo non sarebbe quindi il risultato di un determinismo chimico, ma di una selezione casuale avvenuta successivamente quando emersero “limiti” nell’assorbimento/metabolismo dell’altro enantiomero, conseguenza della struttura delle proteine evolutesi.

Un contributo importante a tale “spostamento dell’equilibrio” potrebbe essere venuto dagli aminoacidi e dai nucleotidi originati dallo spazio, veicolati dal massiccio bombardamento meteoritico subito dalla Terra primordiale. Indizi in tal senso vengono da studi condotti sui meteoriti come quello del 1997 (che mostrò come tra gli aminoacidi trovati sui resti gli L-aminoacidi erano del 2-9% più abbondanti rispetto alla forma D-) ed uno più recente, del 2021.
Altro articolo interessante sull'argomento "Prebiotic chiral transfer from self-aminoacylating ribozymes may favor either handedness" (Nature Communications, 2024) 

** Nota aggiuntiva sulle molecole chirali.
Carboidrati. Il glucosio è una molecola chirale (due enantiomeri, D- e L- glucosio) di cui solo la forma D- è quella prodotta/utilizzata dagli organismi viventi. Pur essendo versioni speculari l’uno dell’altro le nostre cellule (quindi proteine ed enzimi) sono in grado di utilizzare solo la forma D- 

Aminoacidi. Tranne la glicina tutti gli aminoacidi sono chirali. In natura tuttavia la forma nettamente più abbondante (>90%) nell’organismo è la forma L- sebbene in alcuni occasioni ci siano picchi locali di incremento di D-aminoacidi (ad esempio il D-aspartato durante lo sviluppo del cervello).
Occasionalmente si trovano D-aminoacidi sia in forma libera che come “mattoni” delle proteine originati sia dall'azione di enzimi come le racemasi che per eventi di racemizzazione spontanea degli L-aminoacidi una volta incorporati nella proteina. Nella forma libera i D-aminoacidi sono raggruppati in 3 categorie in base alla loro capacità di funzionare come agonisti sui recettori NMDA, di agire in modo indipendente dai recettori NMDA o se inerti. Oltre che per l'azione delle racemasi una importante frazione di questi D-aminoacidi sono assunti dall’esterno (cibo processato da batteri, ad es. formaggi e yogurt). 

Fonte
Prebiotic chiral transfer from self-aminoacylating ribozymes may favor either handedness
Josh Kenchel et al. Nature Communications (2024)


***
Giochi per scienziati di domani (238 esperimenti in una scatola)

... e una lettura interessante per i grandi
"The Vital Question" (Nick Lane)


Ig-Nobel 2023 e 2024: i premi alla scienza che fa ridere ma anche pensare


Ed ecco arrivare come ogni settembre gli ambiti premi Ig-Nobel. Quest'anno lascio la parola agli autori di Wired che ben riassumono il contenuto dei lavori premiati e la ragione della scelta.
Buona lettura


Ulteriori dettagli su



*** Ig-Nobel 2023 ***
(pubblicato 11/2023)
Anche quest’anno insieme ai Nobel bisogna ricordare i vincitori degli IgNobel, autori delle ricerche più strampalate ma nondimeno del tutto sensate … anche se a volte bisogna essere molto addentro il campo per capirne la logica. In verità, come del resto avviene per i Nobel, le categorie premiate sono varie e includono ad esempio anche la letteratura (per dettagli vi rimando alla lista completa dei vincitori del 2023 in cui potrete anche trovare il link agli articoli premiati). 
Quest'anno
Tra le ricerche premiate (i lavori possono essere anche molto vecchi ma devono essere stati pubblicati su riviste peer reviewed) nelle varie categorie ne scelgo alcune

Letteratura
In questa categoria il premio è stato assegnato ad un team multinazionale “per lo studio delle sensazioni che le persone provano quando ripetono una sola parola molte, molte, […] volte”. La ricerca si è basata sul chiedere le sensazione di alcuni partecipanti chiamati a scrivere molte volte alcune parole, fino a raggiungere il punto di … trovarle strane o mai sentite. Un fenomeno opposto al déjà vu detto jamais vu che descrive la sensazione di estraneità a qualcosa di noto. 

Geologia
La ricerca mi ricorda molto il simpatico Brick (il figlio minore della serie TV The Middle) che aveva il vezzo di leccare gli oggetti per conoscerli. Ebbene, qualcosa di simile è stato studiato da Jan Zalasiewicz (University of Leicester) che ha cercato di rispondere al quesito sul “perché ai geologi piace leccare le rocce” (attitudine vera come descritto in questo articolo) il che mi fa pensare anche all’avversione di Sheldon per la geologia e al personaggio di Bert

L'articolo premiato ha il nome esplicativo “Eating fossils in cui si descrive questa arte antica per studiare le rocce (ivi compreso a volte abbrustolirle, bruciarle e bollirle) in assenza di strumenti analitici moderni

Ingegneria
O meglio il premio qui va alla necrobiotica, una variante della robotica che utilizza parti morti di animali in una sorta di cross-over tra Frankenstein e steam-punk. Il premio è stato conferito per aver “rianimato ragni morti come strumenti meccanici da "presa” cioè per avere riutilizzato l’eccellente sistema di locomozione di un ragno (morto) adattandolo a diventare un perfetto strumento da presa in grado di acciuffare oggetti delicati.
Image: newatlas.com

Salute pubblica
Il vincitore è un coreano che lavora alla Stanford University premiato per il lavoro pluriennale nella messa a punto di un wc hgh tech (altro che quelli giapponesi). Nello specifico si tratta di un dispositvo che ​ha incorporato tecnologie tra cui l’analisi delle urine, un sistema per l’analisi visiva della defecazione (argh!!), un sensore per l’impronta anale abbinato a una telecamera di identificazione (altro che analisi dell’iride) e un sistema trasmissione dati. In effetti strumenti simili hanno utilità sia nel monitoraggio a distanza dei pazienti che negli studi clinici.

Comunicazione e neurologia
Vero che ci sono persone capaci di ripetere una parola o perfino di parlare al contrario. Rari e per questo studiati come fatto dagli autori dello studio premiato che ha analizzato la materia grigia in alcune regioni cerebrali di due persone con queste capacità.

Medicina
Il numero di peli nel naso è uguale nelle due narici? La risposta viene da uno studio effettuato su alcuni cadaveri che ha dimostrato che in media ce ne sono 120 a sinistra e 122 a destra. La cosa curiosa è che il punto di partenza della ricerca era per acquisire informazioni per il trattamento della alopecia areata, che oltre alla calvizie presentano un maggiore rischio di allergie e infezioni respiratorie associate alla perdita di peli nel naso.

Nutrizione
Il lavoro premiato è vecchio (risale al 2011) e indagava l’aumento del senso di gusto grazie all’elettricità. Fosse questo sarebbe anche “normale” ma il punto saliente, riportato nelle motivazioni del premio, è “per esperimenti per determinare come le bacchette e le cannucce elettrificate possono cambiare il gusto del cibo”. Grazie a tali strumenti i ricercatori evidenziarono come usando queste bacchette elettriche per mangiare (studio fatto in Giappone, da noi magari avrebbero usato come strumenti forchette elettrificate) i volontari percepissero dei sapori altrimenti nascosti.
Image: newatlas.com

Educazione
Chi non si è mai annoiato a scuola alzi la mano. Ma la noia non è un qualcosa da accantonare, ma la si può studiare. Il premio ai ricercatori è perché hanno scoperto che anche solo aspettarsi che una lezione sarà noiosa la renderà noiosa, ma anche che se gli studenti vedono i loro insegnanti annoiati o li percepiscono come tali saranno meno motivati. Quindi siate pimpanti o voi docenti all’inizio della lezione ed evitate tonalità in stile Marina Massironi quando faceva gli sketch dei bulgari con AG&G

Psicologia
Questo studio risale alla fine degli anni ’60 e la ragione del premio è “per esperimenti su una strada cittadina per vedere quanti passanti si fermano a guardare verso l'alto quando vedono degli estranei che guardano in alto”. Quanti più lo fanno, scrivevano, tanti più si fermeranno e lo faranno.

Fisica
Se è assodato che il sesso in alcuni animali non ha base genetica ma dipende da fattori ambientali come la temperatura (es. le tartarughe) meno noto è l’effetto sull’ambiente dell’attività sessuale. Ecco allora la motivazione “per aver misurato quanto la miscelazione dell'acqua dell'oceano è influenzata dall’attività sessuale delle acciughe” le quali radunandosi in massa durante la stagione riproduttiva possono generare turbolenze e a cascata infuenzare la crescita del fitoplancton (che detto per inciso è il maggior produttore di ossigeno del pianeta e alla base della catena alimentare e della cattura della CO2). Quando si dice “il battito di ali di una farfallo può causare un tornado dall’altra parte del mondo”.


Fonte


Articoli su temi attinenti



***
Quando ero un giovincello e mi recavo nella biblioteca universitaria per aggiornarmi sulle ultime ricerche (no, internet era ancora ai suoi inizi) questa rivista era la prima che leggevo
La raccolta definitiva dei migliori articoli usciti
(image: Amazon)

Statuetta del Cheshire Cat e di Alice nel paese delle meraviglie) in offerta a meno di 10€

Rospi psichedelici ... ma anche no

Il rospo del deserto di Sonora (Incilius alvarius) ha la particolare peculiarità di essere diventato un oggetto del desiderio tra fricchettoni e adepti New Age grazie alla sua capacità, mediata da secrezioni cutanee, di alterare la mente.
Incilius alvarius
In verità tale capacità, ne scriverò a breve, non è del tutto provata se non come avente azione neurologica (cosa diversa dal produrre sensazioni psichedeliche come ad esempio fanno i funghi allucinogeni)
Vi rimando al precedente articolo sul tema (-> "Farmaci psichedelici")
Comunque sia tale proprietà (complice anche un articolo apparso sul New York Times) non sta facendo per nulla bene ai rospi che si sono trovati inseguiti (e a volte sequestrati) da cercatori di esperienze   psicogene tanto che qualche mese fa il National Park Service degli Stati Uniti si è visto costretta ad pubblicare un messaggio sui social media chiedendo ai visitatori del parco di “astenersi dal leccare” il rospo.
Oltre al danno/disturbo per i poveri rospi inseguiti dai novelli hippies, c'è anche il rischio di effetti collaterali gravi per gli umani dato che le secrezioni cutanee possono causare se ingerite (assorbite attraverso le mucose), anche l'arresto cardiaco.
Non solo lo stress da inseguimento ma anche il loro "rapimento" concorre a rendere la vita difficile ai rospi. Trasferiti al di fuori del proprio territorio natale rende loro difficile l'adattamento al nuovo ambiente diminuendone la sopravvivenza. A questo aggiungiamo che raccogliere e stipare in un ambiente limitato un gran numero di rospi aumenta il rischio di trasmissione di malattie come il fungo chitride.
Usare i rospi per farsi un "trip" non è in verità nulla di nuovo ma il numero di persone coinvolte si è impennato dopo l'articolo del NYT. Per decenni, le persone hanno raccolto le secrezioni per poi fumarle una volta essiccate. Il principale effettore dell'effetto psicotropo è il 5-MeO-DMT, che una volta inalato può causare allucinazioni uditive e visive; un effetto che le è valso il soprannome di "molecola di Dio".

Perché i rospi abbiano evoluto (e soprattutto selezionato) una molecola con siffatti (per quanto da dimostrare**) effetti non è del tutto chiaro. Vero che un gran numero di specie di rospi (e alcune rane come quelle appartenenti all'ordine Phyllomedusa) secerne tossine dalla loro pelle ma un conto è una sostanza "repellente" e un altro una sostanza psicotropa. Una ipotesi è che tali secrezioni, i cui composti specifici variano da specie a specie, si sono  probabilmente evolute come un modo per mantenere umido il corpo del rospo. Nel corso del tempo, i composti, che hanno mostrato attività neurologica (e non solo) se ingeriti in sufficienti quantità, hanno fornito un valore aggiunto (quindi selezionati) per la capacità di sopravvivenza rendendosi non appetibili ai predatori.

Il rospo Incilius alvarius sembra aver fatto un ulteriore passo nella sua fabbrica di molecole repellenti grazie ad un enzima, presente nell'essudato, che converte la bufotenina, un composto prodotto anche da altri rospi, in 5-MeO-DMT, una molecola simile alla dimetiltriptamina (DMT), un noto allucinogeno.
Ecco allora che quando uno di questi rospi avverte una minaccia secerne sula il suo cocktail molecolare  sia dalle ghiandole parotoidi (dietro ciascun occhio) che da altre ghiandole sulle zampe. 
Un chiaro messaggio al predatore che suona come "non mangiarmi! Non ho un buon sapore! E forse te lo ricordi". Se ingerite in grandi quantità da un potenziale predatore, le tossine possono causare coma e morte da arresto cardiaco.
In verità non c'è un vero accordo sul fatto che questa secrezione sia da considerarsi psichedelica (per definizione deve avere anche altre proprietà oltre a quelle allucinogene) invece che "solo" psicotropa.
Il termine psichedelico deriva dal greco ed indica “estensione della mente”. Non basta quindi un senso inebriante. Ci sono varie molecole/droghe (siano esse stimolanti o depressivi) che alterano la percezione/attività cerebrale senza però lasciare nel fruitore una sensazione di "avere visto oltre l'immaginazione o avere avuto intuizioni nuove" come invece descrive chi assume sostanze tipo LSD etc.

 Confusione rafforzata anche da uno studio del 2020 pubblicato su Scientific Reports. Studio statisticamente poco affidabile per il basso numero partecipanti, metà dei quali riferì (in base a esperienze precedenti legati all'assunzione della "droga" di aver avuto un'esperienza spirituale e in alcuni casi, visione di "luce" come tipico dei veri allucinogeni.

Lo studio è di tipo osservazionale retrospettivo. Gli autori dell'articolo hanno raccolto le testimonianze dai fruitori che avevano assunto la droga prima dell'inizio dello studio.
La 5-MeO-DMT pare avere una azione agonista sulla via serotoninergica, mediata dall'interazione con il recettore 5-HT2A, proprio come altri allucinogeni. Uno studio condotti sui topi mostra effetti nella plasticità neuronale ma una attività "psicotropa" inferiore rispetto alla psilobicina.

Un dato interessante viene dalla sua attività antidepressiva. La ricerca di varianti molecolari prive della componente allucinogena potrebbe aprire la strada (come è stato fatto con la ketamina) per nuovi farmaci.


Fonti
5-MeO-DMT modifies innate behaviors and promotes structural neural plasticity in mice
Pol Puigseslloses et al,  Mol Psychiatry. 2024 Mar 14

Acute and subacute psychoactive effects of Kambô, the secretion of the Amazonian Giant Maki Frog (Phyllomedusa bicolor): retrospective reports
Timo Torsten Schmidt et al, Scientific Reports volume 10, Article number: 21544 (2020)


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Libro in cui si tratta, con piglio giornalistico/antropologico delle 4 principali piante con attività psicotropa (credit: Amazon)

Nomen omen?




Le zanzare ti troveranno. Sempre. Le basi neurologiche della loro efficienza

Tempo fa avevo affrontato il tema delle basi scientifiche (spesso assenti) di alcuni rimedi antizanzara, palesando la difficoltà intrinseca nel difendersi da questi vampiri volanti (l'articolo è riportato in calce al presente).
Oggi torniamo sul tema per grazie ad un articolo pubblicato poche settimane fa sulla rivista Cell, centrato sulla neurofisiologia del sistema di rilevamento umano delle zanzare. 

Quando le zanzare femmina cercano un essere umano da usare come autogrill, si basano sulla rilevazione di un cocktail unico di odori corporei che noi diffondiamo. Le molecole "odorifere" stimolano i recettori  presenti nell'antenna delle zanzare attivando a cascata il segnale che dirotta la sanguisuga volante verso il bersaglio.
Modalità d'azione dei repellenti per insetti. (A) Artropodi come le zanzare usano segnali chimici (in verde) per trovare un ospite e nutrirsi. I repellenti topici (in rosso) agiscono a distanza ravvicinata o al contatto interrompendo il comportamento di attrazione. I repellenti spaziali esibiscono il loro effetto a distanze molto maggiori. (B) Alcuni repellenti come il DEET (N,N-diethylmeta-toluamide) interagiscono con più gruppi di recettori sensoriali (recettore dell'odore, OR; recettore gustativo, GR e recettore ionotropico, IR) distribuiti su varie appendici di artropodi. È possibile che i futuri repellenti per insetti saranno disegnati per interagire con altre famiglie di recettori
(image credit: Jonathan D Bohbot)

Gli autori dell'articolo hanno provato ad eliminare i recettori preposti a specifiche (e note per fungere da segnale) molecole allo scopo di verificare se tali modificazioni rendessero gli umani invisibile alla zanzara. Il risultato ha evidenziato una importante differenza rispetto ai nostri neuroni olfattivi; mentre la maggior parte degli animali ha neuroni olfattivi mono-funzione (i neuroni esprimono un solo tipo di recettore e la capacità di percepire molti odori è legata alla varietà neuronale) quelli delle zanzare sono ad ampio spettro.
Nello specifico pur avendo eliminato il recettore per la molecola (tipicamente umana) 1-otten-3-olo, questi recettori rimanevano capaci di riconoscere altri segnali "umani" (di tipo amminico) attivando la zanzara verso il bersaglio.
L'evoluzione ha dotato questi animali di sistemi ridondanti nel loro sistema olfattivo che ne assicurano la funzionalità.

Qualsiasi tentativo di sviluppare repellenti (ad esempio molecole in grado di bloccare i loro recettori "umani") deve fare i conti con questa ridondanza funzionale

Sistemi simili (pluri-recettori) sono presenti in altri insetti come i moscerini della frutta.

(a) Aedes aegypti e Toxorhynchites sono evolutivamente separati da 40 milioni di anni . Entrambi gli insetti possono utilizzare l'octenolo in contesti diversi e sovrapposti. La zanzara propriamente detta ha sviluppato la capacità di rilevare gli umani (credit: Nature)


Fonte
- Non-canonical odor coding in the mosquito
Margaret Herre et al, Cell, 2022; 185 (17): 3104


***

Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo
(29/4/18)

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa.

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati.
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.

Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news


Invisibilità e mimetismo: dalla natura al militare fino ... ad Harry Potter

L’invisibilità, o meglio “fondersi” con l’ambiente, fornisce un chiaro vantaggio selettivo in natura, sia che l’animale sia preda o predatore.
Un discorso simile vale in ambito militare dove la volontà di sfuggire ad ogni rilevazione nemica era perseguita anche nell’era pre-tecnologica; nell’era tech le possibilità di sviluppo sono aumentate enormemente. Certamente nella quasi totalità dei casi si rimane su una invisibilità intesa come occultamento/mimetizzazione ma ci sono anche molti esempi di invisibilità “tecnica” (gli aerei Stealth lo sono ai radar grazie all'assorbimento del segnale di rilevazione) fino ad arrivare a situazione fantascientifiche che sembrano emulare il mantello di Harry Potter (vedi la sezione a fondo pagina) 

Rimanendo in ambito mimetismo, uno studio interessante è quello pubblicato tempo fa sul Royal Society Interface dai ricercatori del Camo Lab di Bristol centrato su come trovare il colore ottimale per minimizzare o massimizzare la rilevabilità di un bersaglio.
Stabilire quali colori offrono la migliore resa di occultamento (o visibilità usando un approccio complementare) necessita di definire fattori quali la dimensione, distanza di osservazione,  altezza dal suolo, illuminazione, eterogeneità ambientale, …, nonché le caratteristiche del sistema visivo dell'osservatore.
Utilizzando sistemi basati su reti neurali profonde residue e machine learning più tecniche di elaborazione delle immagini i ricercatori hanno potuto predire quale fosse il colore ottimale che avrebbe minimizzato/massimizzato la visibilità del target.
Nota. La necessità di pesare i dati sul sistema visivo dell’osservatore è facilmente comprensibile usando come esempio il mantello della tigre. Mentre la sua livrea a noi appare facile da identificare in un ambiente sufficientemente aperto, questo colore “arancione” appare invece “verde” alle prede naturali della tigre (ad es. i cervi) a causa della loro visione dicromatica. Di fatto la tigre che si muove contro vento è del tutto integrata all’ambiente… e il cervo se ne accorge quando è troppo tardi
Image credit: bristol.ac.uk


*** Il "vero" mantello dell'invisibilità***
 Il mantello dell'invisibilità esiste solo nel regno della magia di Harry Potter. O no?

Se pensate che il mantello dell'invisibilità sia solo una invenzione di JK Rowling, la brava e geniale creatrice della saga di Harry Potter, vi sbagliate. Ci sono molti ricercatori impegnati a creare qualcosa di simile. 
picasion.com
Il mantello nella versione Harry Potter (picasion.com)
Diventare invisibili non è magia ma semmai (nella realtà) è più simile al trucco di un prestigiatore, dove invece della velocità delle mani, è la fisica dei materiali che permette di mascherare l'oggetto alla luce incidente.
Rendere gli oggetti invisibili vuol dire reindirizzare le onde elettromagnetiche in modo che "scivolino" attorno all'oggetto, senza che siano assorbite o riflesse.

Tra i gruppi di ricerca impegnati, quelli della Michigan Technological University hanno forse avuto le idee più interessanti.
Il problema principale, di non facile soluzione, è trovare il materiale giusto con cui ricoprire (o magari rivestire) l'oggetto che si vuole occultare. L'idea iniziale fu di utilizzare metamateriali metallici, progettati per possedere proprietà assenti nei metalli naturali, ma l'esito non fu del tutto soddisfacente.
Tre sono le forche caudine che un materiale "adatto" deve superare:
  • il primo è il controllo dell'anisotropia cioè il comportamento variabile delle onde che si propagano in diverse direzioni lungo il mantello.
  • In secondo luogo, è fondamentale che il materiale del mantello risponda ugualmente bene sia a onde elettromagnetiche con frequenze d'onda nel visibile che alle microonde; in caso contrario l'invisibilità sarebbe facile da smascherare.
  • Infine, i ricercatori devono riuscire a ridurre la dispersione della luce quando colpisce il materiale del mantello, un problema che oggi limita di molto la dimensione dell'oggetto da occultare.
Il materiale ideale del mantello deve "piegare" il percorso delle onde tutto intorno ad esso, solo così l'oggetto sembrerà invisibile. Vero che sono state sviluppate equazioni per predire la dispersione della luce sulla superficie del materiale in base alla struttura, ma è altrettanto vero che la ricerca del materiale adatto non è semplice.
Onde non perturbate uguale oggetto non visto
(credit: Creative Commons)
Nel corso della sperimentazione si è passati dai metamateriali a base metallica a quelli non metallici costituiti da risonatori dielettrici, scelti perché i materiali dielettrici hanno conduttività trascurabile e bassa perdita. La prima scelta ricadde su risonatori a base vetroceramica o calcogenuro, particolarmente efficaci con microonde e infrarossi, rispettivamente, per poi passare a materiali multistrato fatti da dielettrici ordinari. Dielettrici dotati di effetto lente furono infine sviluppati perché più efficaci nel coprire superfici ampie.
La ragione della scelta di risonatori è indurre le onde elettromagnetiche a rimbalzare avanti e indietro, nello stesso modo in cui un diapason funge da risonatore sonoro. Un trucco che consente di controllare la propagazione delle onde sulla superficie.
L'ultimo ritrovato di cui sono a conoscenza (pubblicato 2 anni fa sul Journal of Optics) sono i cristalli fotonici cioè cristalli composti da mini bastoncelli con proprietà dielettriche. Il vero vantaggio rispetto ai metamateriali, è che la risonanza in questi cristalli non è limitata a specifiche lunghezze d'onda, adatti quindi agli scopi di mascheramento.
I cristalli fotonici sono strutture ottiche periodiche capaci di controllare il flusso della luce impedendo ogni propagazione attraverso essi. Grazie a riflessioni multiple su strati di superfici separate tra loro da spazi minimi (parliamo di distanze intorno alla lunghezza d'onda incidente) si riesce in effetti ad impedire al raggio ottico di propagarsi attraverso il cristallo. Per quanto il nome possa fare pensare a materiali da fantascienza, queste strutture sono presenti in natura, ad esempio sulle ali di alcune farfalle. Per approfondimenti  vi rimando al sito --> Photonics.
Un'altro dei vantaggi teorici dei cristalli fotonici è che permettono alle onde propaganti di raggiungere velocità apparenti supra-luminali (vedi dettagli su --> Scienceworld Wolfram) il che permette di preservare il fronte d'onda incidente quando le onde si curvano oltre l'oggetto ammantato.
Tradotto significa che la velocità delle diverse fasi dell'onda sono diverse nelle varie facce di cristallo, creando onde contrastanti che generano l'illusione dell'invisibilità.

Al di là delle complicazioni tecniche, è ben chiaro che sistemi di occultamento simili rivestono un ruolo chiave sia per la sicurezza nazionale che a scopo industriale.
E le applicazioni vanno ben oltre l'invisibilità alle onde elettromagnetiche. Si possono immaginare (e alcuni sono in fase di sperimentazione) materiali capaci di curvare le onde sismiche attorno ad edifici storici (rendendoli quindi "invisibili" alla forza agente) e altri in grado di minimizzare l'impatto della corrente dei fiumi sui pilastri di un ponte o ancora l'impatto dell'acqua sulla prua di una nave.
Un pilastro "invisibile" all'azione dell'acqua
Credit: J. Park et al., Phys. Rev. Lett. (2019) via phys.org
"invisibilità" alle onde sismiche (credit: Popular Science)

Altro esempio di invisibilità dovuta ad effetti ottici lo abbiamo con il Rochester Cloak

Se non vedi il video ->youtube. Un video più dettagliato è presente QUI.


Se però non avete alcun interesse per le applicazioni scientifiche o volete stupire subito gli amici con mantelli alla Harry Potter, allora la scelta migliore è quella di dare uno sguardo ai prodotti della Wow! Stuff. Tra gli oggetti da loro venduti c'è quello usato durante la realizzazione del film. Si tratta di un mantello apparentemente uguale agli altri ma che appare trasparente quando viene ripreso da uno smartphone su cui è installata la app del produttore. Chi guarda attraverso il display o guarda il filmato avrà l'impressione di un mantello capace di occultare chi lo indossa .
Vedere per credere.
"Ora anche i babbani possono diventare invisibili" grazie alla App
(prodotti disponibili su Amazon ––> Wow! Stuff)




Fonti
- Superluminal media formed by photonic crystals for transformation optics-based invisibility cloaks
Elena Semouchkina et al, Journal of Optics (2016)

- Invisibility Cloak With Photonic Crystals
Allison Mills, Michigan Technological University

- Beyond Good Vibrations: New Insights into Metamaterial Magic
Michigan Technological University

- Full ‘invisibility cloak’ is possible in the real world
Globalnews.ca (2018)

- Two teams build invisibility cloaks for water applications
phys.org (2019)

- Dashing the Dream of Ideal ‘Invisibility’ Cloaks for Stress Waves
Georgia Tech (2019)




Anche gli umani riescono a percepire la direzione del campo magnetico terrestre?

Ben nota la capacità di molti animali, non solo quelli migratori, di seguire una rotta prestabilita lunga anche migliaia di chilometri con un margine di errore da fare invidia al moderno sistema satellitare. Le modalità di funzionamento di questi sistemi di controllo non sono ben compresi anche perché non univoci. Se ad esempio gli scarabei stercorari paiono capaci di usare la Via Lattea come punto di riferimento (studio che ha vinto l'IgNobel 2013), altri animali come gli uccelli (migratori e non) e i salmoni sembrano leggere il campo magnetico terrestre come avessero una bussola.
Qualche sospetto che anche i mammiferi abbiano sistemi simili viene dal più "umanizzato" degli animali cioè il cane di cui sono noti percorsi di centinaia di km per tornare a casa, la capacità di scovare nuove scorciatoie e perfino il posizionamento corporeo quando si tratta di fare i bisogni.
Che questo sistema sia presente negli umani è sempre parso improbabile data l’abbondanza di persone (giovani e sane) capaci di perdersi nel parco sotto casa. A sorpresa quindi la scoperta di un lavoro del 2019 (pubblicato su eNeuro) in cui si rileva la capacità degli esseri umani (magari non proprio tutti) di percepire il campo magnetico terrestre. 
Il lavoro non è uno dei tanti ma ha l’imprimatur della Caltech (Sheldon Cooper docet) sotto il nome del professor Joe Kirschvink a capo del Magnetic Lab della Caltech.
Interessante l’approccio metodologico usato basato su una gabbia di Faraday allo scopo di schermare la persona in essa contenuta dalle interferenze elettromagnetiche. Lungo la parete della gabbia bobine dal cui passaggio della corrente elettrica si produceva il campo magnetico artificiale di intensità paragonabile a quello terrestre.

Ai volontari (34) che presero parte alla sperimentazione fu chiesto di sedersi sulla sedia al centro, direzionata verso nord, mentre venivano misurato loro l'encefalogramma al procedere dei test. Test che in realtà non implicava alcuna azione da parte dei partecipanti ma solo la risposta del loro sistema neurale al variare (artificiale) della direzione del campo magnetico.
Image credit: C. Bickel via eNeuro

Il risultato ottenuto è che in un numero statisticamente significativo di persone la variazione del campo magnetico (in particolare quando il campo orientato inizialmente a nord veniva spostato in altre direzioni) si traduceva nel calo del cosiddetto ritmo alfa che è tipico di un soggetto rilassato e senza pensieri; quindi un calo è equiparabile ad una sottostante attivazione del sistema eleborativo.
Un dato che indica che gli umani sono in grado inconsciamente di rilevare il polo nord magnetico e  ogni variazione da questo stato. Come questo sia meccanisticamente possibile non è chiaro ma potrebbe, come visto in altri animali, essere mediato dalla presenza di molecole contententi ferro in particolari cellule nervose; la variazione dell’orientamento di tali molecole altererebbe lo stato di canali ionici e con esso il potenziale di membrana.
Quanto questo sia funzionalmente rilevante negli umani (in particolare nelle rimanenti comunità primitive dove i sensi non sono stati anestetizzati dalla tecnica) non è chiaro.

Dopo la vernice "più nera di sempre" ecco il "super-bianco"

Poco più di un anno fa avevo segnalato lo sviluppo del prodotto più nero di sempre, che spruzzato su un oggetto era capace di assorbire il 99,995% dei fotoni incidenti, surclassando così il precedente primato del Vantablack®. Al lavoro portato avanti dai soliti geniacci del MIT hanno risposto, in modo complementare, i ricercatori della Purdue University con una vernice acrilica definita come il "bianco più bianco mai prodotto"  capace di riflettere il 95,5% della luce incidente.
La ricerca è stata pubblicata  qualche settimana fa sulla rivista Cell Reports Physical Science.
Nota. Per comodità del lettore riporto in calce alla presente il precedente articolo sul "super-nero". 
Non si tratta, come ovvio, della solita ricerca accademica utile per soddisfare l'interesse nerd degli scienziati, ma di prodotti che hanno importanti applicazioni pratiche. Nel caso del "super-bianco" il suo utilizzo aiuterebbe anche a combattere il riscaldamento globale.
X. Ruan & J. Peoples testano la capacità schermante
(credit: J. Pike/Purdue Un.)
 


Alcuni dettagli dei test condotti, usando il prodotto e verificando sia la riflessione che il calore assorbito
Credit: ScienceDirect


Obiettivo dichiarato dei ricercatori quello di ottenere una vernice utilizzabile per mantenere gli edifici più freschi e, con questo, minimizzare lo sforzo degli impianti di raffreddamento.
Per inciso ricordo che l'impianto di condizionamento non è (sempre) un vezzo degli umani contemporanei ma lo strumento che ha permesso di abitare tutto l'anno territori altrimenti proibitivi; uno su tutti l'ovest degli USA (vedi il bell'articolo su The Atlantic per gli USA o a livello globale l'articolo e mappa del The Guardian). 
Senza entrare troppo in dettagli chimici, si tratta di un materiale a base di carbonato di calcio, essenziale per le caratteristiche di riflettività, e a cascata di minor assorbimento di calore, assente nelle altre vernici bianche isolanti.
I dati parlano chiaro: le superfici verniciate con il "super-bianco" erano fino a 18 °C più fresche rispetto alle aree circostanti, il che rende perfino ipotizzabile fare a meno dell'area condizionata. La zona più ovvia in cui utilizzarlo sarebbero i tetti, con un risparmio nel consumo di energia stimato in 1 dollaro al giorno (molto di più da noi visto il costo dell'energia), massimizzando così i guadagni dell'utilizzo dei pannelli fotovoltaici, diffusi oramai nelle area ad alta insolazione nonostante la scarsa efficienza energetica.
Confronto tra la temperatura dell'area verniciata con il super-white (sinistra) e la classica vernice bianca
(Image credit: Purdue University image/Joseph Peoples)

L'utilizzo del carbonato di calcio presenta molteplici vantaggi: molecola di facile produzione; molto più economico del biossido di titanio usato nelle vernici in uso oggi (oltre che come additivo alimentare e nelle creme solari).

I ricercatori stanno ora cercando di sfruttare la capacità di "abbattimento del calore assorbito" utilizzando la stessa miscela con altri pigmenti (secondo i tecnici è fattibile anche diminuendo la "bianchezza") per soddisfare le preferenze estetiche di tutti, facilitandone la diffusione e massimizzando così l'impatto positivo sui consumi.

Video riassuntivo 
Se avete problemi di visualizzazione --> youtube



Fonte
- Full Daytime Sub-ambient Radiative Cooling in Commercial-like Paints with High Figure of Merit
X. Ruan & J. Peoples Volume 1, Issue 10, 21 October 2020, 100221
This white paint could reduce the need for air conditioning by keeping surfaces cooler than surroundings  
Purdue University /news

Nota. In natura il record di "bianchezza" va alla scaglie ultrasottili del coleottero Cyphochilus (foto C e D nell'immagine sotto) capaci di riflettere poco meno del 70% della luce incidente
All Credit to the Authors



**

Realizzato in laboratorio il materiale più nero del nero mai visto in natura (buchi neri esclusi).
** copia dell'articolo scritto il 19/09/19)**

Ricordo di avere letto per la prima volta del nero assoluto in un breve racconto di Jack London "L'ombra e il baleno", dove questo pigmento, capace di assorbire ogni radiazione nel visibile, permetteva di ottenere l'invisibilità dell'oggetto o corpo su cui fosse stato spruzzato.

Una teoria alquanto curiosa perché invece dell'invisibilità (per cui serve o il passaggio indisturbato dei fotoni o la loro curvatura attorno all'oggetto) il nero assoluto sarebbe semmai utile per mimetizzarsi in condizioni di scarsa luminosità e non in piena luce dove si apparirebbe come ... buchi neri ambulanti. A proposito di invisibilità potrebbe interessarvi l'articolo "la realtà del mantello dell'invisibilità di Harry Potter".
 Nota. Il buco nero è tale perché ogni cosa, luce compresa, che vi entra scompare nella singolarità. Nella vita quotidiana il colore di un oggetto è funzione della quantità (percentuale) e qualità (lunghezza d'onda) della luce incidente che viene riflessa (per approfondimenti vi rimando all'ottima sezione sul colore della Stanford University).
Ma possiamo perdonare al grande Jack London questo errore scientifico a fini narrativi.
La ricerca del nero assoluto è tuttavia una realtà, per fini che vedremo poi, con miglioramenti continui che sono culminati con quello che si riteneva il top cioè il Vantablack ®.
Non è photoshop ma l'effetto di spruzzare sulla statua il Vantablack. Se non vi basta, la BMW ha un modello, VBX6, con carrozzeria "nero assoluto". (image credit: Surrey NanoSystems via focus.it)

Verbo declinato al passato perché poco tempo fa i ricercatori del MIT hanno annunciato un nuovo materiale, ancora senza nome, che (parodiando il claim di Tim Cook) è "il più scuro di sempre" grazie alla sua capacità di assorbimento della luce superiore al 99,995 per cento contro il 99,96 per cento di Vantablack. Può sembrare un miglioramento esiziale visto che si parla di decimali ma traducendo in linguaggio semplice il nuovo materiale riflette 10 volte meno luce del Vantablack.

La composizione di questo nuovo materiale è, a grandi linee simile a quella del Vantablack (nanotubi di carbonio o CNT) con una particolare struttura e geometria (allineati verticalmente) che appaiono come microscopiche stringhe che svettano dalla superficie come una piccola foresta.
Come spesso avviene nella scienza, la scoperta è frutto del caso nel senso che la si è ottenuta mentre si cercava altro. Proprio qui sta la differenza tra uno scienziato ed uno che "si occupa di cose scientifiche"  cioè nella capacità di vedere oltre un risultato inatteso e comprenderne potenzialità al di fuori della ricerca in corso. Nello specifico i ricercatori stavano testando nuovi approcci per produrre CNT su materiali elettricamente conduttivi come l'alluminio; durante uno di questi esperimenti si resero conto che sul supporto di alluminio pretrattato per la reazione di sintesi (e già scuro di suo) il nero diventava via via "più nero". La conferma a questa sensazione visiva venne da test che mostrarono una assorbanza quasi assoluta.

Non è ben chiaro perché i CNT organizzati in tal modo siano così foto-assorbenti ma il risultato rimane.

Il nuovo nero da record è stato anche oggetto a New York di una installazione artistica, intitolata The Redemption of Vanity,  dell'artista del MIT Diemut Strebe. Un'opera invero già preziosa di suo se si pensa che l'oggetto è un diamante giallo naturale da 16,78 carati (valore 2 milioni di dollari) rivestito con il nuovo materiale: invece di apparire come una gemma brillante, scintillante e altamente riflettente appare come un vuoto senza luce.
Una spruzzata del nuovo materiale e la lucentezza del diamante scompare (immagino dato il costo dello stesso che sia facile da rimuovere ...). Credit: Diemut Strebe via MIT news

Quali applicazioni per il nero assoluto? Ad esempio nella strumentazione ottica (fotocamere, telescopi e perfino nei telescopi spaziali) in cui la rimozione di luce e bagliore ha un valore fondamentale.

La ricerca è stata pubblicata su ACS Applied Materials & Interfaces.

Nota di "colore" La gara per ottenere il prodotto più di nero è uscita dall'alveo accademico coinvolgendo gli artisti. L'artista Anish Kapoor possiede la licenza esclusiva per l'utilizzo di Vantablack; questo ha provocato la "risposta" di un altro artista, Stuart Semple, che ha sviluppato la sua linea di pigmenti e sta cercando di surclassare il collega rivale con una versione beta di Whiteest White che dichiara di riflettere il 99,6% della luce.

Fonti
-  MIT engineers develop “blackest black” material to date
MIT news

- Breakdown of Native Oxide Enables Multifunctional, Free-Form Carbon Nanotube–Metal Hierarchical Architectures
Kehang Cui & Brian L. Wardle, (2019) ACS Applied Materials & Interfaces.





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