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Vitamina D e prevenzione fratture. Risultati negativi (e definitivi) da uno studio americano

Citando me stesso in un articolo di due anni fa, assumere le vitamine quando non serve, non dà vantaggi e semmai espone al rischio di iperdosaggi (vedi il recente caso di un soggetto ospedalizzato proprio per questa ragione).

Ma forse anche l’utilizzo dietro prescrizione serve a poco perché l'effetto protettivo della vitamina D era forse stato sovrastimato nei vecchi studi. Il dato viene da un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine volto a quantificare la protezione fornita da integratori a base di vitamina D nella prevenzione di fratture, problemi cardiovascolari, oncologici e cognitivi. I risultati dello studio (randomizzato e con controlli) condotto su 25 mila persone non hanno rilevato alcuna protezione statisticamente significativa negli over-50 nei 5 anni di durata del progetto.

Un avvertimento sull’uso inutile rilanciato anche dall’AIFA che prevede a breve una revisione della nota 96 con cui si identificano gli ambiti di utilizzo di questo tipo di integratori.

Articoli precedenti sul tema
--> clicca il tag "Vitamina"

Fonte
- Supplemental Vitamin D and Incident Fractures in Midlife and Older Adults
Meryl S. LeBoff et al, (2022) N Engl J Med 2022; 387:299-309

Utilizzo della vitamina D in clinica. Male sicuramente non fa, ma forse serve a poco

La vitamina D figura oggi tra i trattamenti cardine per la prevenzione di fratture ossee nei soggetti con osteoporosi. Sebbene sia utilizzata anche nella prevenzione di altre patologie (da quelle cardiovascolari al cancro) la reale efficacia in queste ultime non è chiara.

Una delle ragioni è che nella complessità dell'analisi delle patologie sottostanti, dipendenti da molteplici variabili che possono mascherare o accentuare l'efficacia di un dato trattamento. L'unico modo per aggirare questi limiti sono studi retrospettivi con centinaia di migliaia di persone coinvolte (possibile in genere solo con le metanalisi, cioè analisi di studi già condotti in passato, uniti ora previa normalizzazione delle variabili annesse); un approccio in cui la metodologia statistica di analisi utilizzata assume un ruolo chiave.
Negli ultimi almeno tre studi hanno ridimensionato l'efficacia dei trattamenti preventivi con vitamina D, e qualche dubbio sorge anche sulla sua utilità generale nella prevenzione di fratture (in alcuni ambiti invece il suo utilizzo è sensato).

  • Nel 2014, una metanalisi su 107 studi precedenti relative all’efficacia della supplementazione con vitamina D non evidenziò alcun effetto significativo della SOLA vitamina D sulla densità ossea e sul rischio di fratture o cadute. Un limite dello studio era non erano stata fatta alcuna distinzione tra i vari dosaggi ma solo, aggiunta o meno di vitamina D al trattamento.
  • Uno studio più recente (2017) ha preso in esame gli studi centrati sull'effetto della supplementazione di vitamina D in ambiti non ossei. La conclusione qui l'aggiunta di vitamina D riduce la mortalità per tutte le cause del 3%, la mortalità per neoplasie del 12% e le infezioni del tratto respiratorio superiore del 12%; per contro non ha effetti sulla progressione di patologie cardiovascolari, diabete, depressione, funzione muscolare, tubercolosi e neoplasie del colon-retto. 
  • Infine nel 2018 si è analizzato l’effetto della somministrazione di vitamina D sullo stato muscolo-scheletrico, con la conclusione che non vi è alcuna efficacia sulla prevenzione di fratture o cadute e non ha alcun effetto significativo sulla densità ossea. Non sembrano esserci evidenti differenze tra alto e basso dosaggio. L'unica variabile è nella co-somministrazione di calcio che riduce il rischio fratture solo in alcuni casi ben specifici, cioè dei soggetti lungo-degenti o in case di riposo.
Tutti gli studi presenti in letteratura peraltro concordano nella sicurezza del trattamento. 
Sono in corso studi specifici con molti soggetti sia in UK (Vitamin D and Longevity - VIDAL) che in USA (VITamin D and OmegA-3 TriaL - VITAL).


E' quindi probabile che il beneficio arrecato dalla supplementazione di vitamina D sia stato sovrastimato e l’appropriatezza prescrittiva non rispettata. Per la serie bene non sembra che ne faccia in modo universale ma male non fa.
Articoli precedenti sul tema
Nota finale. Si è molto sentito parlare di ipotetici effetti preventivi o curativi della vitamina D nell'ambito di Covid19 ma ad oggi mancano riscontri clinici affidabili. L'unico studio serio condotto su pazienti ospedalizzati per forme da moderata a grave della malattia (JAMA, feb. 2021).

A giugno 2022 è apparso su NEJM uno studio molto importante che di fatto nega l'utilità del trattamento con vitamina nella prevenzione delle fratture.

Fonti
  • Theodoratou E, Tzoulaki I, et al. Vitamin D and multiple health outcomes: umbrella review of systematic reviews and meta-analyses of observational studies and randomised trials. BMJ 2014;348:g2035. CDI   
  • Autier P, Mullie P, et al. Effect of vitamin D supplementation on non-skeletal disorders: a systematic review of meta-analyses and randomised trials. Lancet Diabetes Endocrinol 2017;5:986-1004.
  • Bolland M, Grey A, et al. Effects of vitamin D supplementation on musculoskeletal health: a systematic review, meta-analysis, and trial sequential analysis. Lancet Diabetes Endocrinol 2018;6:847-58.
  • Vitamina D.  Farmacovigilanza.eu




Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa.

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati.
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.


Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news


La vitamina D in gravidanza previene l'asma infantile?

L'assunzione durante la gravidanza di integratori contenenti vitamina D diminuisce il rischio di asma e infezioni delle vie respiratorie nella prole.
Questa è la conclusione a cui è giunto un team di ricercatori del King's College di Londra, riportata in un articolo sulla rivista Journal of Allergy and Clinical Immunology.
Lo studio è il frutto di una analisi condotta su donne, tra il secondo e terzo trimestre di gravidanza, randomizzate per l'assunzione di dosi di vitamina D3 (4400 unità al giorno) maggiori rispetto alla dose giornaliera oggi prescritta (400 unità).
Dall'analisi del sangue prelevato alla nascita dal cordone ombelicale sono stati ricavati i parametri della reattività immunitaria e da qui l'effetto del trattamento vitaminico "aumentato".
Alla nascita il sistema immunitario è solo parzialmente formato, un processo che terminerà solo alcuni mesi dopo con la formazione del cosiddetto sistema immunitario adattativo (--> PDF), il sistema di difesa che "impara dall'esperienza" (i microbi incontrati) e l'unico capace di affrontare sfidanti mutevoli. Nel neonato l'unico sistema immunitario "funzionante" è quello denominato innato, programmato per riconoscere "marcatori" microbici che potremmo definire "universali". L'allattamento al seno fornisce al neonato il compendio di difese (cioè gli anticorpi materni) di cui è ancora carente, una copertura immunitaria fondamentale per la tutela dell'infante dalle insidie dei microbi esterni.
L'analisi del sangue ombelicale fornisce una fotografia della funzionalità dei linfociti T e del sistema immunitario innato, da cui dipende tra l'altro la predisposizione a malattie come asma e allergie, conseguenza di una risposta anomala ed eccessiva a "comuni" allergeni ambientali.
Il polline è un prodotto stagionale presente da ben prima che il genere Homo si affacciasse sulla Terra. Tuttavia alcuni di noi mal lo tollerano considerandolo un agente anomalo che l'organismo deve combattere, una reazione "fuori contesto ed eccessiva" che spiega il malessere (stagionale o cronico) delle persone che soffrono di allergie.
Il numero di persone affette da allergie sembra essersi allargato a macchia d'olio negli ultimi anni. Sebbene la vulgata popolare additi a responsabili l'inquinamento o fenomeni correlati, l'ipotesi scientificamente più fondata è che il problema stia nell'eccessiva igienizzazione odierna che fa crescere i bambini in un ambiente "quasi" asettico privandoli degli "sparring partner" microbici fondamentali per addestrare il sistema immunitario ad autoregolarsi. Per approfondimenti vi rimando ad un precedente articolo su questo blog --> "Quando troppa igiene fa male".
I campioni del sangue ombelicale delle madri che avevano assunto dosi maggiori di vitamina D3 mostravano una risposta più efficace alla stimolazione con patogeni effettuata nei test in coltura. Di particolare interesse è l'aumentata produzione della interleuchina 17 (IL-17A), una citochina che svolge un ruolo essenziale nella automodulazione della risposta immunitaria; l'alterata autoregolazione è alla base della comparsa di allergie ed asma evidente già nei primi anni di vita.

Non si tratta di un risultato sorprendente ma finora gli indizi sulla correlazione tra vitamina D ed efficienza immunitaria venivano da studi osservazionali, che per loro natura si pongono un gradino sotto rispetto agli studi clinici. Lo studio inglese va a riempire le lacune dei precedenti studi.
Bisognerà tuttavia attendere i risultati sulla effettiva capacità protettiva contro l'asma infantile, i cui dati saranno disponibili tra alcuni anni (il tempo perché gli infanti crescano).

 Fonte
- Vitamin D supplementation during pregnancy: Effect on the neonatal immune system in a randomized controlled trial
Eve Hornsby et al, J Allergy Clin Immunol. 2017, 6749(17)30575-4


Una banana transgenica salverà i bambini dalla cecità?

Una banana transgenica salverà i più bisognosi

OGM, una parola diventata quasi un insulto negli ultimi anni ma che racchiude  sia il nostro passato che il nostro futuro obbligato.
Stephen Buah e James Dale del QUT
©Erika Fish, QUT / Nat. Biotech
Il passato perché non esiste alcun prodotto vegetale o animale presente anche nel più  "biologico" degli orti o  degli allevamenti "casalinghi" che sia uguale ad un corrispettivo selvatico. Dai pomodori al grano alla gallina, si tratta sempre di organismi selezionati con incroci selettivi volti a migliorare sapore, resistenza e facilità di coltivazione. Difficile pensare alla gallina o alla frisona come animali in grado di sopravvivere per un solo giorno in un ambiente naturale alla mercé di predatori e malattie.
Il futuro perché il concetto stesso di sostenibilità è inconciliabile con coltivazioni e allevamenti nature. Solo massimizzando la resa dei prodotti di interesse si può cercare di preservare l'equilibrio naturale evitando il continuo ricorso a nuove zone di coltura, alla deforestazione senza controllo e alla distruzione della vita marina (vedi l'importanza della acquacoltura).

La differenza vera tra il passato e il futuro è che prima per ottenere specie più consone ai nostri bisogni servivano decine di generazioni di incroci o innesti, ora può essere fatto in modo totalmente controllato in laboratorio. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti si tratta dell'inserimento di un gene che conferisce una data proprietà presente nella specie X in una specie Y.
Le varianti possibili sono molteplici ma quella di cui parlo oggi ha come finalità fare produrre vitamine "preziose" da un frutto comune e facilmente trasportabile o coltivabile in loco, la banana. In questo modo popolazioni che non possono accedere a certe vitamine in quanto associate ad alimenti a loro preclusi potranno beneficiarne mangiando frutta presente sul loro territorio. Niente integratori ma sana frutta. 

Il prodotto in questione noto come Super-Banana è il risultato del lavoro di un gruppo australiano della Queensland University of Technology svolto fianco a fianco con laboratori ugandesi. La ricerca nasce con l'idea di creare un prodotto che sia estremamente ricco di beta-carotene, una idea premiata dalla Bill e Melinda Gates Foundation con 10 milioni di dollari.
Perché la banana? L'Uganda è il secondo produttore mondiale di banane, non solo per export dato che è anche il paese con il maggior consumo quotidiano pro-capite di banane (poco superiore a 1 kg).
Che cosa è la Super Banana? In poche parole si tratta del prodotto di una pianta modificata geneticamente in grado di produrre un frutto contenente quantità elevate di beta-carotene, il precursore della vitamina A. La carenza di vitamina A è notoriamente uno dei (tanti) problemi che affliggono i bambini ugandesi e che è responsabile, se trascurata, della cecità. La banana quindi è il prodotto ideale in quanto è al contempo un frutto nutriente e molto diffuso nella regione.
Un progetto buono su cui però gravano  le ombre scoraggianti delle sperimentazioni passate. O meglio delle reazioni ai passati progetti. Tra questi il caso più eclatante è quello della varietà di riso nota come Golden Rice (anche questo arricchito di vitamina); sviluppato quasi 20 anni fa per il mercato delle Filippine incontrò da subito una accanita opposizione e pesanti ostacoli normativi che hanno ritardato il suo sviluppo per 15 anni.
Risultato? Sperimentazione iniziata in ritardo, conclusa con successo ma ancora non entrata sul mercato (leggi in proposito un articolo riassuntivo pubblicato su Wired --> "Perché ancora ostacolano il Golden Rice").
ATTENZIONE, ritardo NON giustificato né allora né oggi da alcun dato scientifico o epidemiologico che abbia sollevato dubbi di sicurezza sia ambientale che di salute (intolleranza, allergie, etc). Ripeto. Nonostante le continue analisi e i riflettori puntati da parte della lobby anti-OGM, NON SONO MAI emersi dati negativi o dubbi su alcun prodotto OGM! Non cesserà mai di stupirmi invece l'assenza di clamore per le ben meno stringenti procedure per l'approvazione di nuovi antiparassitari chimici (dal solfato di rame ai celeberrimi neo-nicotinoidi causa della moria delle api). Trovo curiosa la naturale accettazione di chi al supermercato legge sull'etichetta delle arance "buccia non commestibile in quanto trattata con xxxx" (frase letta ieri, non una mia invenzione!) mentre inorridisce alla sola idea che possa essere OGM. Ricordo inoltre che anche se uno dice che non mangerebbe mai OGM di fatto lo fa in quanto la quasi totalità dei mangimi importati è OGM da anni.
La Super-Banana andrà incontro ad un destino simile a quello del Golden Rice? Difficile dirlo. Al momento l'opposizione degli attivisti anti-biotech è stata minima e non ci sono avvisaglie di questa attitudine nelle popolazioni africane, ben più concentrate sulla sopravvivenza quotidiana che sui dogmatismi di chi ha la pancia piena, usa integratori da palestra e ammorba il mondo con gas di scarico. 
Una sensazione condivisa da  Claude Fauquet direttore del Global Cassava Partnership for the 21st Century (GCP21) presso l'International Center for Tropical Agriculture. " Non ci sono evidenze che stia montando una campagna negativa contro questo prodotto da parte degli attivisti o della popolazione locale. Nessuna delle coltivazioni sul campo benché fosse nota, è stata distrutta o anche solo visitata da gruppi anti-OGM". Altro punto importante "i contadini si fidano del parere delle organizzazioni locali e hanno sempre visto con favore le innovazioni in grado di migliorare la resa e la qualità del prodotto".

Ma come sono state create le super-banane? 
A destra la fe'i, sbucciata e con buccia (©wikipedia).
Se siete curiosi e volete vedere anche le differenze
esistenti tra mais e pomodori "veri" e quelli selezionati
dall'uomo --> "ragionare sugli OGM (...)"
Si è inserito un gene che codifica per la proteina fitoene sintasi (PSY2a) prelevata da un altra specie di banane, la micronesiana Fe'i i cui livelli di beta-carotene sono fisiologicamente alti.
Per aumentare la resa il gene è stato messo sotto il controllo del promotore del gene amminociclopropanocarbossilato ossidasi, anche questo un gene naturale della banana; il risultato sono livelli di beta-carotene pari a circa 20 microgrammi per grammo di prodotto secco.
Secondo James Dale, direttore del Centro per le colture tropicali presso il QUT e responsabile del progetto, il costrutto genico sarà utilizzato in due coltivazioni di banane particolarmente adatte alla dieta: il banano East African Highland e il Kabana 6H, una variante molto usata in loco, derivante da incroci selettivi e molto resistente a alle malattie.

I primi test sul prodotto verranno condotti negli USA su una variante transgenica create a partire da una nota varietà di banane, la Cavendish. Scopo del test è verificare che l'aumentato livello di beta-carotene si traduca in un effettivo maggior assorbimento e nella produzione di vitamina A. In parallelo verranno monitorati eventuali intolleranze o disturbi digestivi.
Si tratta di test fondamentali per decidere se il progetto ha le potenzialità per fare la differenza in aree dove le carenze nutrizionali sono importanti. E' chiaro infatti che il prodotto non ha senso sul mercato occidentale decisamente non bisognoso di supplementi vitaminici.

Uno dei punti di forza della Super Banana è che si tratta di "un prodotto pensato da ugandesi per altri ugandesi", spiega Dale. Inoltre a differenza del Golden Rice le banane sono sterili, quindi non esiste possibilità che si diffonda al di fuori delle zone di coltivazione; certo la sterilità è un arma a doppio taglio dato che solleva le critiche di chi non vuole dipendere dall'acquisto dei semi (ma non si possono avere entrambe le cose). In questo caso il dubbio non sussiste dato che il banano a differenza di riso o mais ha una vita molto lunga e una volta piantato non ha bisogno di essere rinnovato annualmente.

Sullo stesso argomento vi consiglio vivamente di leggere gli articoli pubblicati in precedenza interessarvi articoli precedenti come:


Fonte
- Vitamin A Super Banana in human trials
  Nature  Biotech (2014) 32,9 


Due libri molto utile per chi vuole capire cosa significa veramente OGM al di la degli stereotipi da salotto radical-chic. Un utile panoramica per ricordarci che gli OGM sono in giro da prima che sorgessero le prime civiltà (un esempio su tutti, il grano tenero). Taglio divulgativo ma rigore scientifico.
 --> edizione 2009
--> edizione 2015




 

Vitamina B12, batteri e acne

La vitamina B12 più che il nome di una molecola è un termine "contenitore" per indicare una serie di molecole, le cobalamine, che rientrano nella categorie delle vitamine essenziali, cioè di quelle molecole che è necessario assumere con la dieta in quanto l'essere umano non è in grado di sintetizzarle (o è in grado ma a livelli insufficienti).
Queste le 13 vitamine essenziali, come redatto dai National Institutes of Health americani

La vitamina B12 si trova in alimenti come carne, prodotti lattiero-caseari e alcuni pesci, tutti alimenti preclusi ai vegani, che quindi sono particolarmente esposti al rischio carenza vitaminica. La sinergia tra vitamina B12 e acido folico nella emopoiesi spiega bene il legame tra mancanza di vitamina B12 e anemia. Da un punto di vista terapeutico, oltre all'anemia, la vitamina B12 ha mostrato interessanti potenzialità nel trattamento della sintomatologia dell'Alzheimer (articolo precedente --> "Vitamina B e terapia Alzheimer? Nessuna evidenza").
Nota. L'apparente "autosufficienza" degli erbivori per la vitamina B12 non viene da una loro capacità di sintetizzarla (animali e piante in genere non ne sono capaci) o almeno non direttamente. Sono i batteri simbionti che popolano il loro rumine e intestino i veri produttori. Per altri dettagli sul metabolismo della vitamina B12 vi rimando al compendio sul sito torrinomedica.
Ma anche le molecole migliori possono avere il loro lato oscuro, come sembra dimostrare lo studio pubblicato su "Science Translational Medicine" in cui si evidenzia la correlazione tra assunzione di vitamina B12 e insorgenza dell'acne.
I diversi stadi dell'acne con la formazione di un tappo di sebo, la proliferazione batterica e l'infiammazione.

E' ancora presto per trarre conclusioni definitive ma quello che si è scoperto è che la vitamina B12 provoca un cambiamento nell'espressione genica della flora batterica presente sulla cute del volto (a tutti gli effetti parte del nostro microbiota) che a sua volta innesca un processo infiammatorio, da cui l'acne.
Propionibacterium acnes
Fino ad oggi il legame tra vitamina B12 ed acne era noto (ipotizzato fin dagli anni '50) ma sempre a livello aneddotico; mancava di fatto la "pistola fumante" ad indicare il colpevole. L'acne - e quindi la terapia ideale - è ancora oggi in gran parte un mistero per i ricercatori nonostante l'ampia diffusione del problema, con l'80% dei teenager (ma anche giovani adulti) affetti. Un mistero non dovuto alle cause ma alla pluralità di eventi in grado di "peggiorare" la manifestazione dell'acne. 
Gli attori coinvolti sono principalmente il sebo, alcune cellule difettose che rivestono i follicoli piliferi, squilibri ormonali (non a caso i recettori degli ormoni steroidei sono abbondanti nelle cellule follicolari) e il Propionibacterium acnes (batterio che normalmente vive sulla cute).
I ricercatori hanno scoperto che gli esseri umani che assumono vitamina B12 tendono a concentrarla nella loro pelle (il che non è una cosa cattiva) ma questo induce nel batterio residente un effetto a catena "spingendolo" a ridurre la produzione della sua vitamina B12, favorendo così l'accumulo di prodotti intermedi in grado di innescare la reazione infiammatoria nella cute.
Ecco allora che si può generare la "tempesta perfetta" in un adolescente a causa della contemporanea presenza di alti livelli ormonali, alimentazione non corretta, predisposizione genetica e fattori altri come stress, etc.
Nota. Il problema non è qui tanto la fisiologica comparsa dell'acne durante la pubertà ma le forme particolarmente virulente, spesso difficilmente trattabili, che si manifestano in alcuni sfortunati causando evidenti deturpazioni del volto e a cascata manifestazioni di disagio e di stress (vedi QUI alcuni dei falsi miti alimentari sull'acne).
Il messaggio principale che emerge da questo studio è che i batteri della pelle sono importanti e che l'alimentazione influisce - anche - su di essi . 
Nel breve periodo questa osservazione non cambierà di molto i trattamenti consigliati dai dermatologi dato che sono necessari ulteriori studi (quindi tempo) per confermare il dato.
Non ha nemmeno senso ad oggi alcuna strategia di riduzione del consumo dei prodotti ricchi di vitamina B12 (che ricordo è una vitamina fondamentale per il nostro benessere) se non nei classici dettami di una dieta equilibrata e salutare.
La vera ricetta verrà forse dallo sviluppo di sostanze topiche in grado di contrastare le alterazioni della cute in modo mirato, ad esempio agendo sulla biodisponibilità della vitamina B12 per i batteri della cute o agendo sul loro metabolismo in modo da minimizzare l'azione pro-infiammatoria di alcuni loro metaboliti.

Articoli precedenti nel blog sul tema vitamine ---> qui

Fonte
- Vitamin B12 modulates the transcriptome of the skin microbiota in acne pathogenesis.
Dezhi Kang et al, Science Translational Medicine  (2015) Vol. 7, Issue 293



Usare vitamine per ridurre il rischio di cancro? Ascoltiamo la scienza NON il marketing

E' possibile ridurre il rischio di cancro assumendo quotidianamente uno dei tanti integratori multivitaminici pluripublicizzati?

Una domanda non secondaria dato il ricco business che sfrutta (e stimola) la moda pseudo-salutista di usare integratori anche in assenza di deficienze vitaminiche accertate. Non a caso ho usato il prefisso "pseudo" per descrivere molti dei trattamenti para-farmacologici così di moda oggi tra chi si definisce attento alla propria salute.
Due sono gli aspetti che vale sempre la pena ricordare: gli integratori sono utili se in presenza di carenze alimentari primarie o secondarie (derivanti cioè da scompensi organici); l'abuso di vitamine può indurre tossicità sul breve (ipervitaminosi) e risultati dubbi sul lungo periodo come hanno mostrato i risultati dello studio SELECT che ha coinvolto circa 35 mila uomini per testare la capacità della vitamina E (nelle diverse forme e in associazione con selenio) di ridurre il rischio di tumore della prostata. Lo studio è stato interrotto in quanto non solo non erano emersi dati di efficacia del trattamento ma addirittura il rischio di tumore sembrava aumentato.
Altri studi sulle vitamine con esiti opposti alle aspettative che vale la pena menzionare riguardano il beta-carotene e il folato.
Nel caso del beta-carotene, il campione analizzato erano fumatori a cui vennero dati, in doppio cieco, integratori vitaminici contenenti alte dosi di beta-carotene oppure placebo. La frequenza di tumori polmonari nel primo gruppo aumentò in modo basso ma statisticamente significativo. Il beta carotene (che correttamente è considerato un ottimo anti-ossidante) ad alte dosi e in ambiente "inquinato" dai prodotti della combustione della sigaretta come l'epitelio polmonare, diventava un promotore della formazione dei danni al DNA invece di agire come protettore.
Il caso del folato riguarda invece uno studio sulla prevenzione del tumore del colon. Anche qui ad alte dosi l'effetto è opposto all'attesa azione protettiva.
E' di particolare interesse quindi il lavoro condotto da ricercatori di Boston volto a testare se e quanto l'utilizzo continuativo di integratori sia utile, innocuo o addirittura dannoso. Una domanda tanto più importante dato il numero e la tipologia di persone studiate (14 mila medici maschi e over-50) che hanno accettato di partecipare in prima persona a questa indagine durata oltre un decennio. In questo periodo i volontari hanno assunto, in cieco, un mix di vitamine essenziali e minerali oppure un placebo.

Il risultato è estremamente interessante: l'incidenza di cancro nei medici che avevano assunto le vitamine è diminuita dell'8 per cento, un numero che si concentra tra i soggetti a cui in passato era stata diagnosticata una neoplasia. Curiosamente, il trattamento sembra non avere alcun effetto sulla malattia principe degli uomini, il tumore della prostata. Nessuna evidenza di effetti collaterali se non, in alcuni soggetti, la comparsa di temporanee eruzioni cutanee.
Un dato  apparentemente importante, visto che l'8 per cento computato su migliaia di nuovi casi di tumore all'anno, sono un numero interessante da un punto di vista preventivo.

Però ...
... bisogna andarci cauti dato che vi sono delle incongruenze o semplicemente delle limitazioni alle apparenti potenzialità dello studio. La prima ovvia è che già oggi, soprattutto negli USA, più del 50% della popolazione utilizza un qualche tipo di integratore, quindi i margini di miglioramento sono esigui.
Anche la tipologia del campione non è ideale dato che si tratta di persone con alto livello di istruzione e soprattutto in grado di fare auto-diagnosi, quindi soggetti ideali per massimizzare l'impatto di un trattamento che in altri soggetti non sarebbe rilevabile. Che dire poi dell'età? Appartengono ad una generazione con abitudini alimentari e comportamentali (ivi compresi i dettami salutistici) diverse da quelli degli under-50, a cui il trattamento dovrebbe essere mirato.
Se a questo aggiungiamo che le linee guida dei ministeri della salute già oggi raccomandano di seguire una dieta equilibrata ricca di frutta e verdura, quindi già contenente le vitamine necessarie, allora l'impatto reale dell'uso di integratori deve essere notevolmente ridotto.

La cautela è d'obbligo soprattutto considerando gli interessi in gioco da parte dei produttori di integratori che fino a poco tempo fa non esitavano a dichiarare sulle confezioni (o nella pubblicità) i vantaggi associati all'uso i tali prodotti. I risultati dubbi emersi nell'ambito degli studi clinici hanno indotto a maggior cautela, come si evince dal fatto che frasi come "aiuta a prevenire il cancro del …", sono state rimosse dalle confezioni dei prodotti multivitaminici.

Precedenti articoli sul tema "vitamine" --> clicca l'etichetta corrispondente (oppure QUI)

Fonte
- Multivitamins in the Prevention of Cancer in MenThe Physicians' Health Study II Randomized Controlled Trial
J. Michael Gaziano et al, JAMA November 14, 2012, Vol 308, No. 18

Dieta, vitamine e gravidanza. Uno studio sui ratti

Una dieta ricca di vitamine nei ratti in gravidanza può alterare lo sviluppo del cervello della progenie e il loro comportamento in età adulta.
Questa la scoperta fatta da un team della università di Toronto.

Lo studio è interessante in quanto sollecita domande sull'effetto delle diete e in genere sull'utilizzo di integratori vitaminici nelle categorie a rischio, cioè le donne in età fertile.

I ricercatori canadesi hanno esaminato gli effetti di una dieta arricchita con vitamina A, D, E e K durante la gravidanza correlandola alla variazione di parametri  come il peso corporeo e le preferenze alimentari nella prole. I dati ottenuti hanno mostrato una scarsa correlazione con il peso corporeo e una ben più rilevante alterazione dello sviluppo cerebrale e delle preferenze alimentari. Variazioni osservabili nella alterazione del sistema dopaminergico, il sistema chiave nel comportamento "ricerca ricompensa", e in una diminuita preferenza per gli zuccheri.

L'invito ad evitare facili generalizzazioni viene da Harvey Anderson, l'autore senior dell'articolo: "se da una parte questi dati ci forniscono nuove informazioni sul ruolo delle vitamine liposolubili nello sviluppo del cervello, è importante precisare che tale sviluppo presenta delle differenze tra essere umano e ratto. E' però chiaro che questi dati ci aiutano a fare luce sull'azione delle vitamine nel cervello in via di sviluppo".

Gran parte della ricerca fatta in questo settore si è, giustamente, concentrata sull'effetto della carenza di vitamine e sulla tossicità sistemica legata ai sovradosaggi. E' la moda odierna di assumere integratori vitaminici in persone altrimenti sane ad avere sollevato la domanda sui potenziali effetti di tale assunzione nei soggetti più sensibili. Ricordiamoci infatti che sebbene le dosi raccomandate degli integratori tengano conto delle vitamine assunte con il cibo, sia naturale che addizionato artificialmente per legge (vedi le vitamine presenti nei cereali da colazione), la variabilità dei comportamenti dei consumatori non esclude che si possa eccedere nelle dosi assunte. Con effetti ignoti sui soggetti a rischio.
La ricerca futura dovrà appurare se quanto scoperto in ratti è osservabile anche nei bambini.

Fonte
- A gestational diet high in fat-soluble vitamins alters expression of genes in brain pathways and reduces sucrose preference, but not food intake, in Wistar male rat offspring

Vitamina B e morbo di Alzheimer. Nessun effetto terapeutico dimostrato

E' vero che assumere integratori vitaminici aiuta a contrastare l'insorgenza o a rallentare la progressione di malattie neurodegenerative come l'Alzheimer?

D'istinto direi di no in quanto non è verosimile che vi sia ora (o vi sia stata nelle decadi immediatamente precedenti) una insufficiente assunzione di vitamine con l'alimentazione.
E' vero però che proprio la presunta carenza di vitamine è spesso il fulcro su cui si basano alcuni approcci terapeutici miranti a contenere i danni neurodegenerativi, se non a ripristinare alcune funzionalità cognitive conseguenti all'Alzheimer.
A confermare la fondatezza dei miei dubbi arriva ora uno studio dell'università di Oxford in cui si afferma che le vitamine del gruppo B, non rallentano né il declino mentale legato all'età e tanto meno sono in grado di prevenire la malattia di Alzheimer. Una cattiva notizia certo, ma non inattesa e soprattutto scientificamente fondata.
La forza dell'articolo britannico è la potenza statistica derivante da una metanalisi su un campione complessivo di 22 mila persone, provenienti da 11 studi clinici randomizzati volti ad indagare la relazione tra vitamina B e funzioni cognitive nell'anziano.

Metanalisi. Analisi che raggruppa studi già pubblicati, pesandoli per i diversi parametri usati, in modo da ottenere risultati con validità statistica maggiore di quella presente nei singoli lavori.
Di seguito alcuni elementi per capire su cosa verteva l'ipotesi terapeutica della vitamina B.
  • Nei soggetti affetti da morbo di Alzheimer sono spesso presenti alti livelli ematici di omocisteina
  • alti livelli di questo aminoacido in soggetti sani sono correlati con il rischio futuro di sviluppare tale malattia neurodegenerativa.
La summa di questi elementi è alla base della cosiddetta "ipotesi della omocisteina" secondo la quale
l'assunzione di vitamine del gruppo B (tra cui acido folico e vitamina B12) potrebbe ridurre il rischio di malattia di Alzheimer, riducendo i livelli della omocisteina.
Tale ipotesi aveva ottenuto una prima conferma da uno studio del 2010 in cui si mostrava come soggetti malati con alti livelli di omocisteina sembravano beneficiare dall'assunzione di vitamine del gruppo B (benefici evidenziati con un minor rimpicciolimento del volume cerebrale, tipico delle fasi medio avanzate della malattia).

Lo studio però era troppo piccolo per essere statisticamente significativo. La nuova analisi, sotto l'egida della "B-Vitamin Treatment Trialists Collaboration", nasce proprio dalla necessità di ottenere dati più solidi.

I nuovi dati indicano che da un punto di vista funzionale non si ha alcun miglioramento sulle capacità intellettive dei pazienti. Se si guarda a misure della funzione cognitiva globale - o punteggi per specifici processi mentali come la memoria, la velocità o la funzione esecutiva - non si è osservata alcuna differenza tra coloro che hanno assunto regolarmente vitamine del gruppo B e quelli trattati con placebo.
"Sarebbe stato stato molto bello trovare qualcosa di diverso dai risultati finali" ha affermato Robert Clarke dell'Università di Oxford, che ha guidato il lavoro. "Il nostro studio però mette la parola fine al dibattito in corso: le vitamine del gruppo B (B12 e acido folico) non riducono il declino cognitivo con l'avanzare dell'età."
I risultati sono stati pubblicati sul American Journal of Clinical Nutrition.

Il dato va ad aggiungersi alle evidenze in altri che campi che ridimensionano le leggende metropolitane sulle vitamine come panacea di quasi tutti i mali. L'assunzione di integratori, contenenti tra l'altro vitamine del gruppo B, non ha una dimostrata azione preventiva sulle malattie cardiache, sull'ictus o sul declino cognitivo. Il fatto che circa il 25-30% della popolazione adulta faccia uso di integratori multi-vitaminici, con la convinzione che siano buoni anche per cuore e cervello è privo (stante una alimentazione non deficitaria) di fondamento scientifico. Ha molto più senso mangiare più frutta e verdura (assumendo così anche le fibre), evitare troppa carne rossa e limitare l'eccesso calorico. Soprattutto negli anni che precedono la comparsa dei sintomi!!

Questo non vuol dire che assumere integratori a base di vitamina B (oltre a quelle presenti nella dieta) sia inutile. Soprattutto nel caso delle donne che vogliono diventare madri assumere acido folico regolarmente entro il terzo mese di gestazione, è fondamentale dato il dimostrato effetto protettivo per il nascituro dai difetti del tubo neurale.

Tornando al morbo di Alzheimer, i migliori consigli ad oggi sono una dieta sana e bilanciata, fare esercizio fisico regolare e mantenere la pressione sanguigna e il peso sotto controllo. E soprattutto mantenere attivi i rapporti sociali, un efficace baluardo contro i problemi cognitivi (vedi anche l'articolo "Sono veramente utili i programmi di Brain Training?").
Il lavoro presentato non esclude che l'assunzione di vitamine B possa essere utile in gruppi specifici di persone affette da demenza. Ma non ci sono al momento dati in grado di indicarci quali siano i soggetti (se vi sono) che potrebbero avere un maggior beneficio da tale trattamento; anche se verosimilmente si tratta di quelle persone in cui la decadenza delle facoltà cognitive è legata a squilibri di natura organica.

In conclusione, assumere vitamina B (nelle dosi consigliate) male non fa, ma non ci sono evidenze che serva a qualcosa.

Sullo stesso tema vedi anche "Vitamine e terapia malattie neurodegenerative", "Vitamina B12 e acne"o in generale i tag "vitamine" e "Alzheimer" presenti nel pannello a lato.

Fonte
- Effects of homocysteine lowering with B vitamins on cognitive aging
Robert Clarke et al, American Journal of Clinical Nutrition


Science from the Cloud (novembre)

Direttamente dal Cloud, alcune tra le notizie scientifiche più interessanti ignorate dai media generalisti
(qui le precedenti sul tema "Science from the Cloud")

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Alla base degli eccessi alimentari alterazioni nel circuito cerebrale della ricompensa e ...
(A brain reward gene influences food choices)
Lo studio condotto da ricercatori della McGill University e della università di Toronto torna sulla ipotesi di alterazioni nel circuito di reward (alla base di gran parte delle nostre attività e regolato dalla dopamina) come spiegazione di comportamenti alimentari eccessivi e della conseguente obesità. Un problema sempre più diffuso e dalle ricadute economico-sociali enormi. Nell'articolo si descrive la correlazione tra l'aumentato appetito (soprattutto nelle femmine) e una ipo-espressione di uno recettori della dopamina.
McGill University, news

... la fame di proteine
(Lack of protein drives overeating)
La sensazione della fame indotta dal bisogno di proteine? Considerando che le proteine sono la fonte di aminoacidi, i mattoni con cui costruiamo il nostro organismo, la cosa non stupisce più di tanto. Basta pensare alle fotografie degli italiani negli anni '50 del boom (un epoca in cui i rigori della guerra erano ben lontani) e compararli con analoghe foto degli americani per vedere che la tanto decantata dieta mediterranea originale (ricca di carboidrati) è certamente utile sul lungo periodo ma nell'immediato limita lo sviluppo dimensionale.
In questo nostra fame atavica di proteica risiederebbe l'impulso (o meglio uno degli impulsi) alla base della alimentazione eccessiva: mangia fino a quando non hai accumulato sufficienti quantità di proteine.
Questo almeno è quanto proposto da un gruppo del Charles Perkins Centre presso la università di Sydney.
University of Sidney, news

Nel Regno Unito una persona su 2 mila ha la variante genetica che predispone, in certe condizioni, al morbo della "mucca pazza"  
(One in 2,000 of UK population carries variant CJD proteins)
Vi ricordate del morbo della "mucca pazza" (o più correttamente encefalopatia bovina spongiforme)? Fortunatamente i controlli hanno permesso di eliminare i focolai di animali infetti permettendoci di riassaporare la fiorentina. La variante umana della malattia bovina è la malattia di Creutzfeldt-Jakob.
Esistono quattro modalità alla base della comparsa della malattia: casi sporadici (sCJD, 85-90% dei casi, causa sconosciuta); casi familiari (5 -10%, causata da mutazioni predisponenti); casi iatrogeni (<5%, dovuti a trasmissione accidentale dell'agente eziologico tramite apparecchi chirurgici contaminati, trapianti di cornea e ormoni della crescita contaminati); una quarta forma, legata al cibo, vista solo in Europa (vCID, cibo proveniente da animali affetti da BSE).
Per motivi non noti un polimorfismo nel codone 129 del gene PrP varia il rischio connesso ad una delle forme della malattia. I soggetti omozigoti per la metionina-129 sembrano più predisposti per la forma vCJD (da cibo) rispetto agli eterozigoti (metionina-valina) o omozigoti per la valina-129.
Lo studio condotto da Sebastian Brandner dello University College di Londra, rileva che 1 persona ogni 2 mila in UK sarebbe portatrice portatore della variante proteica che causa la malattia. Il risultato preoccupante emerge da uno screening condotto su 32 mila persone di ogni età operate di appendicite tra il 2000 e il 2012 (analisi condotta sul tessuto rimasto nell'archivio tissutale). Le 16 persone con la variante alterata della proteina, sebbene sani, sono tutte omozigoti per valina-129, in netta controtendenza con i dati classici per cui i soggetti clinicamente malati ad oggi disponibili sono omozigoti per metionina-129.
Lo studio è interessante in quanto mostra la percentuale non irrilevante di portatori sani della proteina anomala. Pur non essendo la CJD una vera e propria malattia infettiva infettiva, i dati evidenziano l'importanza di implementare procedure di controllo aggiuntive per limitare la donazione di sangue/organi da parte dei portatori verso i soggetti a rischio polimorfici per metionina-129. Infatti il risultato sarebbe: proteina alterata + predisposizione genetica=rischio di malattia
British Medical Journal

La assunzione di vitamina D non aumenta il rischio di calcoli renali
(Vitamin D Does Not Contribute to Kidney Stones, Study Asserts)
La vitamina D (vedi qui per articoli precedenti sul blog) è un utile strumento nella prevenzione di molte malattie. Tuttavia deve essere usata con moderazione; diversi studi ci ricordano che abusare di integratori contenenti questa vitamina può comportare un rischio aggiuntivo. In passato si era postulato che i calcoli renali potessero essere uno degli effetti collaterali della assunzione di vitamina D, problema importante quando la vitamina D è parte di un trattamento terapeutico (ad esempio tumore del seno o del colon),
A mettere le cose in chiaro arriva uno studio pubblicato sul American Journal of Public Health. Nel lavoro sono state seguite 2012 persone per 19 mesi cercare una correlazione tra i livelli di 25-idrossivitamina D (25 (OH)D) nel siero e l'incidenza di calcoli renali. Tra queste solo 13 persone hanno avuto problemi di calcoli. I risultati mostrano che sono molto fattori di rischio molto più importanti l'età, l'essere maschi e un alto indice di massa corporea.
University of California San Diego, news

I danni neurologici nei giocatori professionisti di football americano
(Brain scans show unusual activity in retired American football players)
Fare sport a livello professionistico (pur escludendo quelli di combattimento) vuol dire esporre il proprio corpo a sollecitazioni e traumi superiori alla norma. Se poi lo sport praticato è il football americano allora il rischio aggiunto è non solo inevitabile ma potenzialmente anche serio. Un recente studio condotto su ex-giocatori professionisti evidenzia profonde anomalie nella attività cerebrale di soggetti altrimenti asintomatici. Nel lavoro viene mostrata la correlazione tra l'entità delle alterazioni e il numero di volte che i giocatori hanno dovuto lasciare il campo a causa di colpi alla testa.
Imperial College London, news

Fate attenzione al sale? Bene. Avete però mai pensato al sale contenuto nei medicinali?
(High salt levels in common medicines put patients at risk)
Stare attenti al sale è utile ma abbiamo mai pensato ai sali presenti nei medicinali? Problema non di poco conto per quella fascia della popolazione già a rischio (per età e condizioni fisiche pregresse) che fa un uso continuativo dei farmaci.
Nell'articolo si suggerisce di indicare, come viene fatto per gli alimenti, il contenuto salino nei farmaci di uso comune.
British Medical Journal November 26, 2013

Identificati i geni coinvolti nella cicatrizzazione anomala
(Discovery of novel gene solves mystery about cause of scar formation)
Che ogni persona abbia una capacità di recupero e di guarigione specifica è facile da osservare. Un esempio è nella cicatrizzazione delle ferite; in alcuni non rimane traccia delle ferite mentre altre persone pur perfettamente guarite mostrano cicatrici evidenti. Un problema che, al di la del puro aspetto estetico, ha un impatto importante nelle ferite interne che posso evolvere in fibrosi. L'articolo qui presentato identifica il colpevole in una variante genica; un passaggio fondamentale nello sviluppo di farmaci in grado di prevenire e/o trattare in modo specifico questa condizione.
University of Manchester, news

Vitamina D e salute. Un panoramica delle ultime notizie pubblicate

(Gennaio 2020. Conclusioni aggiornate nell'articolo "Reale utilità vitamina D in clinica" --> QUI)

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Negli ultimi mesi sono state pubblicate diverse notizie interessanti da un punto di vista medico sulla vitamina D
Nota. Il termine vitamina D identifica in realtà una famiglia costituita da 5 diverse molecole liposolubili, importanti, fra le altre cose, per l'assorbimento intestinale di calcio e fosfato. Sono pro-ormoni in quanto necessitano di essere modificati dall'organismo per diventare funzionali. Tra i membri della famiglia, la vitamina D3 (colecalciferolo) e la vitamina D2 (ergocalciferolo) sono tra i più importanti. Dato che il corpo è in grado di produrre vitamina D (il colecalciferono ad esempio viene prodotto da un precursore del colesterolo nella pelle grazie all'azione radiante del sole) il termine vitamina non è un termine del tutto corretto; il nome vitamina nasce infatti per indicare elementi della dieta considerati essenziali in quanto non sintetizzabili dalle cellule. 
La freccia rossa indica il punto su cui agisce la radiazione UV della luce solare nell'iniziare il processo che porta alla formazione della vitamina D3 (image credit:uwaterloo.ca)

Fatta questa premessa, passo a riassumere le novità pubblicate suddividendole per aree tematiche.


Diabete
Uno studio condotto dalla University of California San Diego e pubblicato sulla rivista Diabetology, mostra una correlazione negativa tra i livelli nel siero di vitamina D3 e l'incidenza di diabete di tipo 1. Lo studio, in cui sono stati coinvolti circa 2000 persone, sembra indicare un ruolo protettivo della vitamina. In particolare valori intorno a 50 mg/ml sono in grado di ridurre del 50% il rischio malattia.
Non è un dato del tutto nuovo. Studi precedenti avevano già ipotizzato un legame fra carenze vitaminiche e diabete. Mancavano però le evidenze epidemiologiche supportate da una adeguata statistica.
Gli autori si sono affrettati a sottolineare che, prima di correre ad acquistare integratori, è necessario valutare se il soggetto sia sia effettivamente carente di vitamina. Vale la pena ricordare che l'assunzione smodata di vitamine presenta un doppio rischio: prima di tutto dosi eccessive sono dannose (ipervitaminosi); secondariamente gli integratori contengono una miscela dei vari tipi di vitamina D, ciascuno dei quali è in competizione metabolica reciproca. Assumere un mix incoerente di vitamina D potrebbe paradossalmente impoverire ulteriormente i livelli di quella vitamina di cui si è realmente carenti.
(Fonte: UCSD, news)

Gravidanza
La vitamina D in gravidanza potrebbe proteggere la madre dai rischi di sclerosi multipla (SM). Nessun effetto protettivo è stato invece riscontrato nel bambino. Questo è quanto emerge da uno studio pluriennale condotto da un team svedese e pubblicato su Neurology.
Nello studio sono stati analizzati quasi 300 mila campioni di sangue prelevati nel corso degli ultimi 30 anni da 164 mila persone. Lo studio ha cercato, retrospettivamente, di identificare eventuali bio-marcatori utilizzabili per predire il rischio malattia con sufficiente anticipo. Delle persone monitorate
  • 192 si sono ammalate nel corso degli anni (in media dopo nove anni) di SM. 
  • 37 campioni appartenevano invece a madri i cui figli hanno poi sviluppato la SM. 
In breve si è osservato che le donne i cui livelli di vitamina D nel sangue erano superiori ad una certo valore, avevano un rischio del 61% inferiore di sviluppare la malattia. Solo 7 delle 192 persone malate avevano tali livelli; al contrario nei soggetti rimasti sani la frequenza era di 30 su 384. Una differenza statisticamente significativa.
Come anticipato sopra, i livelli di vitamina D materni sono invece irrilevanti per il rischio malattia del figlio. L'effetto protettivo della vitamina verosimilmente si esplica nelle fasi finali e/o successive della gravidanza.
(Fonte Umeå University, news)
p.s. attenzione però agli effetti ignoti delle vitamine sul cervello in fase di sviluppo (vedi qui).

Cancro
Ricercatori della McGill University hanno studiato le basi molecolari dell'azione antineoplastica della vitamina D. Il meccanismo ha come perno lo spegnimento funzionale della proteina cMYC una proteina fondamentale nei processi di proliferazione cellulare e il cui coinvolgimento nell'oncogenesi è ben noto. Il lavoro è stato pubblicato sulla prestigiosa Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
La vitamina D viene immagazzinata nel corpo sia attraverso la dieta che grazie alla sintesi mediata dalla esposizione della pelle alla luce solare. La luce solare favorisce la conversione del precursore inattivo nel prodotto finale attivo. Una conversione molto utile nelle persone con la pelle chiara e al contrario trascurabile nei neri a causa della schermatura fornita dalla melanina; questo è il motivo per cui gli afro-americani in passato, in particolare quelli la cui alimentazione non permetteva di assimilare sufficienti quantità di vitamina D, erano di gran lunga più soggetti a problemi scheletrici come il rachitismo, rispetto alla controparte ugualmente povera degli americani di pelle chiara.
Livelli insufficienti di vitamina D sono inoltre correlati con una aumentata incidenza di alcuni tipi di cancro, principalmente gastro-intestinali e leucemia.
Nello studio citato si è dimostrato che la vitamina D non solo controlla la produzione e la degradazione della proteina cMYC, ma  anche la produzione dell'antagonista naturale di cMYC, MXD1. Uno degli esperimenti più interessanti riportati nell'articolo mostra che l'applicazione diretta sulla pelle dei topi della vitamina fa crollare i livelli di cMYC cellulare.
A corollario di questa osservazione, topi mutanti (mancanti del recettore vitaminico) hanno alti livelli di cMYC in molti tessuti, tra i quali quelli intestinali.
(Fonte McGill University, news)
A posteriori aggiungo una nota relativa ad uno studio epidemiologico volto a misurare eventuali effetti antitumorali della vitamina D. I dati non hanno evidenziato alcuna capacità rilevante della vitamina di prevenire l'insorgenza di tumori. Un dato positivo c'è: la somministrazione di vitamina D si è mostrata in grado di diminuire il tasso di mortalità tra soggetti malati. (Fonte N. Keum British Journal of Cancer (2014) 111, 976–980)

L'insieme di questi dati rinforza l'importanza di una corretta assunzione di vitamina D nella dieta di ogni individuo.
***
01/2020 
Un aggiornamento sul tema è presente sul sito dedicato alla Farmacovigilanza --> Gli ultimi studi sulla vitamina D e nell'articolo su questo blog --> Utile? Ma anche no.

Per altri articoli sul tema "vitamine" cliccate qui.

Vitamina B3 e statine. Un trattamento con troppe incognite

Un recente studio della Oxford University mostra che l'utilizzo della niacina (comunemente nota come vitamina B3) da parte di pazienti a rischio cardiaco e che assumono le statine come farmaci per abbassare il colesterolo, non solo non offre alcun beneficio nella prevenzione dei problemi cardiaci ma è responsabile di effetti collaterali. Alcuni dei quali non inattesi, vale a dire non rilevati precedentemente nei test condotti sulla popolazione generale.
Fra gli effetti collaterali osservati vi sono rash cutanei, problemi di stomaco, complicanze di patologie diabetiche pregresse, rischio aumentato di sviluppare diabete ex-novo, aumento di infezioni e di sanguinamento intestinale.
Un dato che invita quindi alla cautela i soggetti "a rischio" prima indicati.  Il lavoro è stato presentato al congresso dell'American College of Cardiology ed è il risultato di uno dei più grossi studi clinici (HPS2-THRIVE study) sull'argomento, a cui hanno partecipato 25 mila persone con problemi cardiaci preesistenti.
C'è da dire che il fatto che sia stato necessario utilizzare un campione così ampio di pazienti per giungere a queste conclusioni, indica che l'entità percentuale degli effetti collaterali non era tale da fare scattare un campanello d'allarme immediato.
"L'utilizzo della niacina come adiuvante nella prevenzione dei problemi cardiovascolari è, alla luce di queste osservazioni, da riconsiderare", afferma Jane Armitage, responsabile del centro universitario inglese a cui afferiscono gli studi clinici.
Il trattamento (niacina più statine) finito sotto esame è fornito dalla Merck con il nome, in Europa, Tredaptive. Il farmaco è stato ritirato dalla vendita a scopo precauzionale dalla Merck stessa. Le confezioni ancora in circolazioni sono sconsigliate, tranne dove esplicitamente richiesto dal medico.
Il trattamento con la niacina è da anni in uso, specialmente in USA, grazie ai benefici effetti sui livelli del colesterolo ematico. Il razionale del trattamento combinato (statine+niacina) era di un effetto aumentato rispetto ad i singoli farmaci. 
Una speranza che è stata smantellata dallo studio inglese.

 Fonti
- Aboutpharma, news
- Oxford University, news
- Studio clinico HPS2-THRIVE
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