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L’origine delle lune "galileiane" di Giove

Il nome lune galileiane per indicare i principali satelliti di Giove non è un riconoscimento postumo.
Fu proprio Galileo Galilei a scorgere per primo dei puntini luminosi attorno al pianeta, chiamati in seguito Io, Europa, Ganimede e Callisto.
Credit: ESA
A distanza di più di 400 anni l'interesse per queste lune è, se possibile, ancora maggiore. 
Tra le ragioni del rinnovato interesse (che coinvolge anche le lune di Saturno, vedi ad esempio Encelado) vi è sia il loro potenziale intrinseco come punti di attracco per future missioni robotiche ed umane (evento impossibile sui pianeti giganti) che la loro estrema diversità. Dalla glaciale Europa con il suo oceano di acqua sotterraneo al vulcanico IO, dal butterato Callisto (pieno di crateri) al magnetico Ganimede possiamo ben dire che i dintorni di Giove offrono agli studiosi ampia materia di studio.

Oggi sappiamo che il nostro sistema solare non è il modello "classico", utile per prevedere la distribuzione planetaria in altri sistemi stellari, come ipotizzato fino ad un decennio fa.
La disposizione di pianeti rocciosi nella parte interna e di quelli gassosi in periferia è solo una delle tante possibilità, e quasi certamente nemmeno la più frequente. Tra le tante scoperte ottenute grazie all'Exoplanet Search Project, oggi sappiamo che gli Hot Jupiters (pianeti gioviani caldi, cioè pianeti giganti gassosi situati in orbite anche più interne a quelle di Venere) sono molto comuni. All’inizio si pensava che questo risultato fosse viziato dalle metodiche di analisi (--> come si identificano pianeti in altri sistemi) che rendevano molto più facile trovare un pianeta gigante vicino ad una stella che uno piccolo, ma i dati successivi, seppure con proporzioni meno estreme, portano oggi a pensare che il nostro sistema sia stato solo un caso (fortunato) tra i tanti.

Sappiamo che i pianeti del sistema solare si sono formati dall’aggregazione delle polveri del disco protoplanetario "avanzati" dopo il processo di genesi e accensione stellare, e che pianeti giganti gassosi sono in un certo senso delle stelle mancate (invero molti gradini sotto le nane brune, le vere stelle mancate). Non grandi a sufficienza (quindi prive di sufficiente idrogeno) per avere massa da accendere le reazioni di fusione nucleare ma capaci di sviluppare anche loro un proprio disco di polveri e gas quasi come quello solare.

E’ da questo disco che si sarebbero sviluppate le lune nel caso di Giove e Saturno (il caso della Luna è diverso, verosimilmente il risultato di un impatto tra pianeti). Limitandoci al caso di Giove, il protodisco intorno al pianeta sarebbe stato in parte alimentato anche dalla materia (allora molto abbondante) del disco protoplanetario residuo, che in prossimità del pianeta sarebbe stato deviato nella zona dei poli per cui poi essere riemesso, rimescolando il disco di polveri e gas.
Una dinamica complessa su cui getta un poco di luce un recente lavoro di Konstantin Batygin e Alessandro Morbidelli. Secondo il loro modello, esiste un intervallo dimensionale delle polveri ghiacciate (intorno a 1 mm) in cui si crea uno stato di equilibrio tra la “corrente” gravitazionale che li trascina verso Giove e la corrente di deflusso. Una tale “stasi” locale creerebbe la condizione minima affinché le polveri possano iniziare il processo di aggregazione (passando attraverso gli stati dimensionali di planetesimals, asteroidi oblunghi, per arrivare alle lune) senza che la gravità dell’ingombrante vicino disgreghi il tutto (sull'effetto distruttore della gravità vedi anche il "Limite di Roche").
Il risultato finale dipende dai “mattoni” a disposizione e dalla vicinanza a Giove. Per questa ragione la composizione delle lune galileiane è molto diversa tra loro con satelliti molto ricchi di acqua (ghiacciata o meno), altri in cui gli unici ghiacci sono fatti da idrocarburi e altri ancora in cui le forze mareali di Giove sono tali da rimodellare in continuo la crosta rocciosa del pianeta dando così origine ai vulcani.
Video creato da Batygin/Caltech (se non lo vedete --> youtube)

Il modello di Batygin e Morbidelli non si ferma a questa ipotesi ma prevede che la formazione delle lune sia avvenuta in fasi successive e distinte, a partire dalla formazione del vulcanico Io.
Credit:NASA
La sua formazione avrebbe innescato perturbazioni facilitanti la formazione delle altre lune: un primo evento fu il suo spostamento nell’orbita interna del disco seguendo "la cascata della materia" e il secondo la produzione, generata dalla sua presenza, di alterazioni locali nella distribuzione di massa con la comparsa di nuove “aree di equilibrio” (distruggendone verosimilmente altre) da cui la comparsa di condizioni prima assenti che avrebbero portato alla formazione di Europa e Ganimede.
Europa (--> QUI articolo precedente)
Molto probabile che ad ogni passaggio la qualità dei “mattoni” disponibili si sia modificata facilitando così la comparsa di lune in cui la quantità di acqua o idrocarburi diventava maggiore di quella “rocciosa”.
Ganimede (credit: NASA/JPL/DLR)

Alla fine del periodo di assemblaggio ci si sarebbe trovati con orbite stabilizzate anche dall’effetto di risonanza per cui il numero di orbite tra alcune lune è dato da numeri interi che si rinormalizzano ad ogni ciclo orbitale. E’ noto da anni (risonanza di Laplace) che per ogni 4 orbite di IO, Europa ne compie 2 e Ganimede 1.
credit: Henrykus (via wikipedia)

Nel caso di Saturno questo fenomeno di risonanza si osserva tra Dione ed Encelado, tra Teti e Minas, e tra Iperiore e Titano. In ambito extra-solare è stato descritto nel sistema Gliese 876.

Il Sole avrebbe messo il tassello finale grazie al vento solare che “soffiando” i gas e i detriti rimanenti verso l'esterno del disco, avrebbe creato le condizioni per la formazione della luna Callisto. Troppo distante per entrare in risonanza con le tre sorelle lunari, con una orbita di 2 settimane.
Callisto (Credit: NASA)
Per approfondimenti -->Atlante interattivo delle lune del sistema solare

Fonti
- Formation of Giant Planet Satellites
The Astrophysical Journal (05/2020)
- Jupiter’s Biggest Moons Started as Tiny Grains of Hail 
NYTimes
- The Dance of Jupiter's Moons 
Caltech





Combustibile a CO2 per minimizzare l'emissione di gas serra

... o meglio, come convertire il prodotto della combustione in nuovo combustibile.

Alla Rice University, in Texas, stanno portando avanti un progetto potenzialmente molto interessante, cioè convertire la CO2 in idrocarburi più complessi, utilizzabili come combustibile liquido.
credit: circulareconomy.europa.eu

Il processo comporta, ovviamente, l'utilizzo di energia in quanto si tratta a tutti gli effetti di invertire l'esito della combustione che partendo da materiale organico libera CO2.

Il vantaggio di questa "inversione" sarebbe duplice: rimozione della C02 (gas serra) liberata da impianti industriali e produzione di materiale da combustione "rigenerato". 
Il tutto usando energia verde, ricavata da fonti rinnovabili, grazie ad un catalizzatore al bismuto e a un elettrolita allo stato solido.
L’efficienza di conversione nei test è intorno al 42%.
Parte del reattore per elettrocatalisi in fase di test (Photo by Jeff Fitlow)
L’elettrocatalizzatore usato restituisce acido formico liquido, comunemente usato nell’ingegneria chimica, ma secondo i ricercatori  il reattore può essere facilmente riorganizzato per produrre acido acetico, etanolo e propanolo, utilizzabili come biocombustibili.

L’obiettivo è costruire un sistema industriale efficiente (quasi) a ciclo chiuso, capace di riutilizzare i gas serra prodotti, evitando la loro dispersione nell'atmosfera, e reimpiegando l'energia prodotta per alimentare il ciclo produttivo.

Fonti e approfondimenti
- Rice reactor turns greenhouse gas into pure liquid fuel
- Trasformare la CO2 in metano? Possibile, grazie alla chimica
- La luce per trasformare la CO2 in metano 


La misteriosa cella esagonale nell'atmosfera di Saturno

La sonda Cassini–Huygens ha fornito nel corso dei 20 anni della sua missione molte informazioni su Giove, Saturno e le loro lune, disvelando però altrettanti interrogativi che potranno essere risolti solo rielaborando i dati ottenuti, in attesa di nuove missioni.
Tra le curiosità irrisolte la cella esagonale sul polo di Saturno.
"L'esagono di Saturno"', una conformazione nuvolosa tipica del polo nord di Saturno  (® JPL/NASA)

In altri tempi una tale osservazione avrebbe indotto ipotesi ed illazioni in puro stile SciFi ma è chiaro che siamo in presenza  di un fenomeno naturale seppure non di semplice decodifica.

E' di pochi giorni fa un lavoro pubblicato sulla rivista Nature Communications che fornisce alcuni dettagli sulle caratteristiche del cosiddetto Saturn's Hexagon.
La struttura è un vortice perenne (relativamente a tutte le osservazioni finora fatte) localizzato sul polo nord del pianeta. Potremmo rappresentarlo come una nuvola fatta di molteplici strati di "nebbie" come fosse un sandwich turbinante.
La prima osservazione dell'esagono risale al 1981 con il passaggio di Voyager 2 ma fu necessario attendere i ben più sofisticati mezzi di Cassini (rimasto in orbita dal 2004 al 2017) per ottenere immagini dettagliate
Il polo nord visto da Voyager 2 (1981) e da Cassini (2009)
Credit:NASA 
Nel nuovo studio gli scienziati hanno confrontato le immagini prese nel 2015 da Cassini e dal telescopio spaziale Hubble, a pochi giorni di distanza tra loro, scoprendo che l'esagono polare è qualcosa di più di una apparente, strana e fortuita geometria.
credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Nei paragrafi successivi userò il termine italiano "nebbie" come traduzione dell'originale inglese "haze" che indica qualcosa di più del semplice vapore che forma una nuvola,  per la presenza di particolato "contaminante". Proprio come la nebbia che non è solo una nuvola di vapor acqueo. Per ulteriori dettagli sul significato di haze in ambito planetario vi rimando al sito planetary.org.
L'esagono polare è un sistema costituito da almeno sette strati di nebbie che si estendono dalla cima delle nuvole di Saturno per altri 300 km, con ciascun strato avente uno spessore tra 7 e 18 km.
credit: UPV/EHU via space.com

Non che la presenza di strati di nebbie sia unica di Saturno. Altri mondi freddi, come la luna Titano di Saturno o il pianeta nano Plutone, le possiedono, ma non in tale numeri né distanziati con la stessa regolarità.
I ricercatori pensano che a causa delle rigide temperature atmosferiche (tra -120 e -180 °C) siano presenti nelle "nuvole" microcristalli congelati fatti di butano, acetilene e forse propano.
L'azione della notevole gravità del gigante gassoso associata alla velocità di rotazione (10h il giorno saturniano) e la posizione polare sarebbero alla base delle oscillazioni della densità e delle temperature locali, capaci di generare i gradienti che spiegherebbero la forma e il movimento di questa zona dell'atmosfera. Qualcosa di simile è presente anche sulla Terra con le shear-gravity waves  nelle nubi note come cirri (vedi anche "onde di gravità atmosferiche").

Non si può dire che la genesi dell'esagono saturniano sia stata del tutto compresa ma sono stati aggiunti alcuni tasselli con cui creare modelli teorici applicabili, in prospettiva, anche per la comprensione di fenomeni atmosferici terrestri.
Per un riepilogo della missione Cassini fino al suo inabissarsi finale dentro Saturno vi rimando ad un articolo precedente -->"Cassini. In attesa del gran finale"

Fonte
- Multilayer hazes over Saturn’s hexagon from Cassini ISS limb images
A. Sánchez-Lavega et al. (2020) Nature Communications, 11, 2281 


Sulle lune di Saturno potrebbe interessarvi il seguente video

zzz

Missione compiuta. La cronistoria del primo lancio (e rientro) di SpaceX con equipaggio umano

In questo articolo, in continuo aggiornamento, riporterò i momenti principali della missione Crew Demo-2. Una missione molto importante per una serie di ragioni:
  • Era dal 2011 che mancavano da Cape Canaveral (anzi, dal territorio USA) il lancio di razzi con astronauti a bordo. Tutte le missioni finalizzate al trasporto di astronauti verso la ISS sono stati delegati alla Russia grazie sfruttando la Soyuz.
  • Si tratta del primo lancio commerciale con equipaggio umano. Commerciale in quanto gestito da una azienda privata (SpaceX) sebbene in stretta sinergia con la NASA (dal sito di lancio all'equipaggio).
  • Una missione strategica che dimostra la capacità di aziende private di investire ingenti risorse nella R&D (e ad un costo frazionale di quello che le aziende governative avrebbero speso) sviluppando tecnologie nuove per contenere i costi. Un esempio è il riciclo del razzo Falcon 9 - il primo stadio - che dopo il distacco è in grado di atterrare autonomamente su una piattaforma posta al largo della Florida). Ne avevo scritto in un precedente articolo --> Test di rientro del Falcon Heavy.
  • Il successo della missione, e in particolare della sinergia operativa tra NASA e aziende private, spalanca le porte al ritorno sulla Luna (Programma Artemis) oltre che ai viaggi su Marte.
Chartering a dedicated 747 flight around the world costs less than buying
a small, single engine turboprop plane. In the same way, a giant reusable
rocket flight is way cheaper than a tiny expendable rocket used only once
” 
(Elon Musk)

*** Cronistoria della missione *** 
I due astronauti, Bob Behnken e Doug Hurley (-->SpaceX)

 15 maggio

Mancano pochi giorni alla CREW DEMO-2 MISSION, primo lancio di casa SpaceX con equipaggio umano, un tassello chiave del percorso intrapreso anni fa dall'azienda della Silicon Valley.
La capsula Crew Dragon Endeavour, da montare sul razzo Falcon9, sotto (credit: SpaceX)
Il logo NASA, rimodernato, impresso sul razzo Falcon 9 (credit: SpaceX)
SpaceX, è stata fondata nel 2002 da quel geniaccio di Elon Musk con lo scopo di sviluppare moderne tecnologie aerospaziali ad un costo frazionale di quelli standard, e trasportare merci e persone verso la ISS prima e in futuro verso Marte.
Una scelta imprenditoriale ancora più importante dopo l'ottusa (strategicamente) decisione della NASA di chiudere il programma Shuttle che ha reso de facto l'obsoleto vettore Soyuz l'unica alternativa possibile per andare nello spazio agli astronauti americani.
A sottolineare la scarsa lungimiranza politica della Casa Bianca di inizio millennio, l'attivazione di programmi spaziali da parte di Cina e India e con essi il rischio geo-politico ed economico di una marginalizzazione tecnologica di quello che era stato il fiore all'occhiello della strategia spaziale voluta con forza da JFK.
Fortunatamente il tessuto imprenditoriale americano è da sempre vivace e pronto a cogliere sfide (quindi opportunità) e anche qui non si è smentito, con la nascita di una serie di consorzi privati ch hanno investito risorse nella scommessa spaziale, facendo leva sul know-how di snellezza, efficienza e gestione oculata dei costi.
I capitali di rischio come si sa possono fallire e infatti alcune di queste aziende si sono ritirate o fuse in consorzi più grandi
La NASA nel frattempo, consapevole della propria struttura elefantiaca e del dipendere da fondi federali sempre meno ricchi, ha saggiamente optato per delegare ai privati la R&D di vettori affidabili, concentrandosi su missioni più ambizione come quelle su Marte. Ha mantenuto una totale azione di controllo sulla sicurezza fornendo in cambio personale, addestramento, consulenze e usufrutto di aree di lancio, . Grazie a questa sinergia SpaceX, l'azienda che più di tutte ha investito, è stata in grado di riqualificare uno dei siti di lancio di Cape Canaveral ad una frazione del costo e del tempo di quelli che avrebbe usato la NASA.
Nel frattempo alcune aziende si sono concentrate sulla missione Luna e altre hanno preferito focalizzarsi sul lancio di satelliti o per turismo spaziale (Virgin Galactic)
Negli anni ho seguito l'evoluzione progressiva di SpaceX che in modo cauto ma continuo ha continuato ad alzare l'asticella della sfida che doveva affrontare, consolidando il fattibile e imparando dagli errori. Tentativi che alla NASA sarebbero costati 10 volte tanto probabilmente. Il tutto condito dalla bravura mediatica di Musk capace di calamitare l'attenzione con trovate tipo un finto astronauta alla "guida" di una Tesla montata sul razzo  
La Tesla montata sul Falcon Heavy (vedi articolo precedente -->"Una Tesla nello spazio"


La NASA non si è intromessa nella fase di sviluppo dei razzi né ha indagato sulla loro affidabilità (in fondo non sono soldi loro) ma è diventata occhiuta per quello che riguarda ogni possibile malfunzionamento che potesse causare danni ad astronauti o a strutture "terze". 

Poco importa se il razzo non raggiunge l'orbita, ma nel momento stesso in cui un vettore cargo come il Dragon deve avvicinarsi e attraccare alla ISS, deve essere in grado di farlo senza alcun rischio per la stazione stessa e il suo equipaggio. In questi casi la NASA assume il pieno controllo preventivo, con controlli ferrei, prove di fattibilità e una oculata analisi della documentazione tecnica a supporto.

Quando poi si fa un ulteriore passo, come sta avvenendo ora, è ci si sposta da un "semplice" volo cargo ad un volo con equipaggio NASA (gli astronauti Bob Behnken e Doug Hurley), la certificazione richiesta aumenta di diversi ordini di grandezza. E qui immagino ci siano state molte scintille nelle riunioni tra la NASA, con burocrazia di tipo governativo, e una aziende in stile "just do it".
Doug Hurley e Bob Behnken (Credit: NASA/Bill Ingalls)
Bob e Doug salutano salutano i familiari prima di dirigersi verso la navetta
(photo via Evening Standard)

Uno dei test chiave di sicurezza è avvenuto alla fine di gennaio con il lancio dell'ensemble Falcon9-Crew Dragon, senza equipaggio, fatto esplodere volto. Lo scopo era testare il sistema di sgancio  rapido della navetta in caso di malfunzionamento del razzo subito dopo il lancio (ci ricordiamo tutti la tragedia del Challenger).
Il video che segue mostra il lancio del Falcon 9 con il modulo Crew Dragon che viene fatto esplodere poco dopo il lancio. La procedura di emergenza testata prevedeva il distacco del modulo abitativo dal razzo e la discesa in sicurezza nell'oceano dove veniva recuperato da una nave.

Il sistema di emergenza si basa sull'attivazione automatica della espulsione ad alta velocità della capsula, per metterli a distanza di sicurezza dal booster e dal secondo stadio del razzo così in caso di loro esplosione. 
Analoghe misure di sicurezza sono state predisposte a terra con vie di fuga rapide nel caso in cui il malfunzionamento si manifesti prima del lancio.

Con il superamento di tutti i test di sicurezza la NASA ha dato il via libera al lancio del 27 maggio, ore 11:29 (ora italiana).
Il countdown è iniziato.

Questa simulazione al computer mostra lo scopo per cui Crew Dragon è stata pensata. Trasportare in assoluta sicurezza ed efficienza materiali e astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale.


Per la timeline dettagliata,  ivi compresa una descrizione tecnica delle diverse fasi vi rimango all'ottimo sito (in italiano) astronautinews.it
Una preview della timeline dettagliata presente sul sito astronautinews a cui vi rimando e che ringrazio per l'eccellente lavoro che fanno da sempre.
Altro elemento innovativo è la tuta, vista in anteprima ai tempi del lancio di Starman
Dettagli su SpaceX e più in dettaglio sull'ottimo space.com

*** 27 maggio ***

Lancio ufficialmente poco dopo l'orario previsto a causa di condizioni meteo non ottimali a garantire la sicurezza dei piloti (già a bordo e in attesa del via libera da parte del direttore di lancio).


Il momento dell'annuncio durante la diretta LIVE su -->youtube
Lancio posticipato di tre giorni, corrispondente allo slot successivo per intercettare il passaggio della ISS.

*** 30 maggio ***

 Condizioni meteo positive e conseguente OK al lancio.
Lancio avvenuto in perfetto orario
Credit: AP
I primi 10' della missione, dal lancio al raggiungimento dell'orbita, condensati in 4'

Il video LIVE originale da cui è stato tratto il precedente lo trovate -->NASA live 


Alcune istantanee della missione
Lo spostamento della piattaforma "I Still Love You" durante le fasi di recupero del primo stadio (il razzo Falcon9)
Credit: SpaceX, NASA
La piattaforma gemella "Just read the instructions" si trova nell'oceano Pacifico 

Il rientro del razzo Falcon 9 minuti dopo il lancio e 7 minuti dopo il distacco dalla Crew Dragon (screenshot sito missione e video)
Il rientro del razzo Falcon 9 sulla Terra dopo il distacco dalla Crew Dragon
(credit:  NASA)

All credits to NASA/SpaceX

La fase di atterraggio sulla piattaforma mobile, vista dal Falcon 9

Missione compiuta. Il razzo ritorna alla base (credit: SpaceX / NASA)


Possiamo avere una idea delle fasi immediatamente successive al lancio usando una figura della missione Starlink (finalizzata alla "semina" di satelliti di comunicazione) eseguita da SpaceX con un altro lancio pochi giorni dopo (3 giugno) l'arrivo degli astronauti sulla ISS
Per dettagli su Starlink vi rimando alla pagina su --> SpaceX


Il tempo di viaggio per raggiungere la ISS non è breve e questo consentirà agli astronauti di riposarsi e di fare una serie di test aggiuntivi per verificare la funzionalità dei sistemi. Si tratta di una fase molto critica in cui non sono ammessi errori o malfunzionamenti. Il rischio qui non riguarda "solo" la navetta e il suo equipaggio ma l'incolumità dei 3 astronauti a bordo della ISS (due russi e un americano) e l'integrità della stazione stessa.

In attesa dell'attracco alla stazione orbitale, consiglio di provare il simpatico simulatore messo a disposizione da SpaceX.
screenshot della pagina del simulatore (credit: SpaceX)
La traiettoria di avvicinamento alla ISS (dettagli su SpaceX)

*** 1 giugno ***
19 ore dopo il lancio la Crew Dragon attracca alla ISS. Ci vorranno poi altre 2 ore per il completamento della procedura (pressurizzazione del punto di collegamento etc) perché il trasbordo avvenga.

Le fasi di avvicinamento alla ISS (credit:NASA)

Il video della fase di avvicinamento e docking
Credit: NASA via C-SPAN


... e dopo quasi 3 mesi il rientro a Terra.
Prima con l'undocking dalla ISS (andate diretti a 2h23'10" per vedere il momento)



e poi con lo l'ammaraggio al largo della Florida







Fonti
- CREW DEMO-2 MISSION
Former astronaut and SpaceX consultant on creating a new crewed spacecraft: ‘We were really the underdogs’
The Verge 11/05/2020
- Mission DM2
NASA
forumastronautico
Missione conclusa con successo (astronautinews.it)
- SpaceX Crew Dragon undocks from space station to bring NASA astronauts home for 1st time
space.com




La luna Europa come non l'avevamo mai vista

(Ultimo aggiornamento novembre 2020)

La NASA ha recentemente pubblicato "nuove" immagini di Europa, una delle lune di Giove, scattate nel 1990 dalla sonda Galileo.
(Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute)
 
Non si tratta però di una operazione di amarcord fotografico ma della rielaborazione dei dati di allora (un segnale digitale) con gli algoritmi e la potenza di calcolo attuali.
La differenza tra le vecchie immagini e quelle "nuove" si vede e non è meramente estetica. Le immagini rielaborate evidenziano una superficie che i tecnici della NASA hanno definito il terreno del caos (chaos terrain), qualcosa che sembra un incrocio tra lastre irregolari di ghiaccio e una superficie graffiata.

Nelle vecchie immagini di Europa la percezione era di un'ampia superficie ghiacciata intervallata da zone "canaliformi" a tinte scure difficili da interpretare (conosciamo bene gli abbagli che immagini poco risolute possono generare anche nelle menti brillanti, vedi i canali marziani visti da Schiapparelli).
L'immagine di Europa prima della recente rielaborazione (credit: NASA / Jet Propulsion Lab-Caltech / SETI Institute)
 
Le immagini rielaborate dopo 20 anni mostrano una superficie coperta da lunghe scanalature che procedono a zig-zag, incrociandosi tra loro.
La zona è detta Chaos Transition in quanto mostra una zona di transizione tra il "terreno del caos" a blocchi, a sinistra e le pianure ondulate a destra. Alcuni blocchi sono interpretati come pezzi di materiale superficiale preesistente, rotto e ruotato individualmente. Le loro ombre indicano che anche alcuni di questi blocchi si sono inclinati. Ben visibile una cresta che attraversa il centro dell'immagine (Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute)

L'interesse degli scienziati planetari per queste immagini è nel cercare di comprendere le dinamiche che hanno dato origine ad una superficie la cui età, stimata tra 40 e 90 milioni di anni, è ben più giovane della stessa Europa, formatasi assieme al sistema solare 4,6 miliardi di anni fa. In effetti, Europa ha la superficie tra le più giovani del sistema solare.
L'ipotesi più verosimile è che le lunghe creste e le bande lineari che attraversano la superficie di Europa siano la "risposta" della crosta ghiacciata della luna quando, durante la sua orbita, le forze mareali di Giove la allungano e la stirano. Le creste si formerebbero quando una crepa nella superficie si apre e si chiude ripetutamente, originando "rilievi" di poche centinaia di metri e larghi qualche chilometro, ma che possono estendersi per migliaia di chilometri.
Uno "stress" quello di Europa tutto sommato blando se guardiamo alla luna Io, che è l'oggetto più geologicamente attivo del sistema solare (leggasi vulcani, lava e pennacchi  di vapori a base zolfo che si proiettano fino a 500km dalla superficie). Il tutto a causa sia della maggiore abbondanza di silicati (le altre lune sono più ricche di ghiaccio) che della azione mareale congiunta di Giove e delle altre lune che quando entrano in risonanza provocano forti stravolgimenti della struttura di Io.
Un vicino "ingombrante". Ad ogni orbita Europa è stiracchiata e allungata con ovvi effetti sulla superficie. Nel disegno si vede Giove sullo sfondo e l'altra luna IO con uno "sbuffo" vulcanico (credit: NASA/JPL-Caltech)

Le bande invece dovrebbero essere i punti in cui le crepe hanno continuato a separarsi orizzontalmente, producendo aree ampie e relativamente piatte.
La zona del chaos terrain conterrebbero blocchi che si sono spostati lateralmente, ruotati o inclinati prima di congelarsi nelle nuove posizioni.

Immagine della Chaos Transition con blocchi e creste formatesi per la fratturazione della superficie causata dalle forze mareali di Giove (Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute)
Questa immagine mostra il terreno del caos in cui i blocchi di materiale si sono spostati, ruotati, inclinati e congelati. I ricercatori della NASA lo usano come un puzzle per ricostruire i cambiamenti della superficie di Europa. L'area è stata chiamata Chaos Near Agenor Line per la sua vicinanza alla omonima banda nella parte inferiore dell'immagine. (Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute)


Naturalmente questo è solo un assaggio di ciò che la nuova sonda, Europa Clipper, ci fornirà quando diventerà operativa. Bisognerà purtroppo aspettare ancora qualche tempo visto che il lancio che doveva avvenire quest'anno è stato spostato al 2024.
Per altre informazioni sulla missione Clipper vi rimando ad un precedente articolo su questo blog --> "Atterrare su Europa non sarà uno scherzo"

 *** Aggiornamento 11/2020 ***

Uno scenario aggiuntivo che potrebbe spiegare almeno alcuni dei pennacchi (plumes) che prorompono di tanto in tanto dalla superficie ghiacciata di Europa propone che questi possano essere originati da sacche d'acqua incorporate nel guscio ghiacciato (vale a dire dall'interno della crosta ghiacciata) piuttosto che dall'acqua spinta verso l'alto dall'oceano sottostante.
Il nuovo modello (pubblicato il 10 novembre su Geophysical Research Letters) delinea un processo per cui l'acqua arricchita di sale (una sorta di salamoia) che si muove all'interno del guscio ghiacciato della luna possa arrivare a formare sacche d'acqua a maggior concentrazione salina, pronte per essere espulse (vuoi dalla pressione del "pack", vuoi per forze mareali del pianeta).

Come originino i pennacchi non è una mera questione accademica ma definisce se vi sono o meno le condizioni per forme di vita: l'acqua proveniente dalla crosta ghiacciata è considerata meno ospitale per la vita rispetto a quella nell'oceano interno perché manca verosimilmente dell'energia (ad es. sorgenti idrotermali sul fondo oceanico) che è un ingrediente necessario per la vita. Poiché effettuare analisi o in futuro perforazioni per raggiungere l'oceano sottostante è molto complicato, avere a disposizione plumes sulla superficie che originano direttamente dall'oceano fornirebbe uno strumento già pronto all'uso. Se esistono diversi tipi di plumes allora diventa fondamentale capire quali sia quelle da studiare e quelle no per evitare falsi negativi.
E' stato grazie alle immagini raccolte dalla sonda Galileo che i ricercatori hanno potuto formulare questa ipotesi alternativa/complementare sulle plumes, come conseguenza di una serie di eventi di congelamento e pressurizzazione che danno origine al crio-vulcanismo i cui prodotti vengono poi scagliati nello spazio circostante.
L'analisi si è focalizzata su Manannán, un cratere di 29 chilometri originato da un impatto una decina di milioni di anni fa. Da simulazioni al computer si è calcolato che la collisione ha generato un enorme calore, che avrebbe prima causato lo scioglimento del ghiaccio poi risolidificato mantenendo una sacca d'acqua pressurizzata all'interno del guscio ghiacciato.

Il cratere Manannán (credit: USGS)

Le sacche d'acqua così formatesi potrebbero spostarsi lateralmente "lungo" la supeficie ghiacciata causando lo scioglimento delle aree che vengono in contatto, un processo che aumenta la salinità della sacca, consentendone il mantenimento allo stato liquido)
Secondo il modello, quando una di queste sacche si è venuta a trovare nel centro del cratere di Manannán, si è arrestata iniziando nel contempo a congelare; questo ha provocato un rapido incremento di pressione che è poi sfociato nell'emissione del pennacchio alto oltre 1,6 chilometri. La cicatrice dell'eruzione ricorda la forma di un ragno ed è quella fotografata dalla sonda Galileo.


Qualunque sia la conclusione (potrebbero esserci più tipi di pennacchi), i risultati suggeriscono che il guscio di ghiaccio di Europa è molto più dinamico del previsto.

Missioni come Europa Clipper aiutano hanno un ruolo chiave nel campo dell'astrobiologia, sebbene non progettate e costruite (ovvero attrezzate) per questo fine. Un progetto che dovrà essere portato avanti dalle prossime missioni.

Un video dello scorso anno prodotto da NASA/Goddard sulle plumes di Europa



PhoCromeleon. Un inchiostro programmabile con la luce

PhoCromeleon è un inchiostro riprogrammabile capace di assumere qualunque colore come fosse un camaleonte.
Credit: MIT CSAIL HCI Engineering Group
Non ci vuole molta immaginazione per ipotizzare che questa novità venga dai geniacci del MIT impegnati anche nello sviluppo della intelligenza artificiale e dei mini-droni (vedi gli articoli sulle robo-api).

Detto in parole semplici PhoCromeleon (Photo-Cromeleon il nome intero) è una miscela CYB (cioè i tre colori ciano, magenta e giallo, usati in molte stampanti) che può essere spruzzata o verniciata sulla superficie di un determinato oggetto. 
Il colore finale dipenderà dall'illuminazione con luce ultravioletta (che causa l'attivazione e la comparsa del colore) e da una modulazione operata dalla luce visibile (che induce la disattivazione). Nelle prossime righe risulterà chiaro che è la luce visibile il vero modulatore cromatico,  capace di disattivare in modo selettivo e con diversa potenza i cromofori.

Andiamo per gradi.
Quando la miscela viene attivata mediante luce UV (con il risultato di saturare tutti e 3 i colori), il risultato sarà un nero (vedere l'immagine sotto, a destra).
A sinistra l'effetto della luce UV sul cromoforo (di base sono trasparenti)
Credit: MIT CSAIL HCI Engineering Group

Per ottenere colori diversi dal nero, è sufficiente disattivare uno o più canali di colore sfruttando la diversa assorbanza dei tre alle varie lunghezze d'onda.
Sempre guardando il cerchio cromatico della figura sopra è facile prevedere il colore risultante disattivando (totalmente o parzialmente) uno o più cromofori. Ad esempio disattivando il ciano il risultato sarà il rosso, dato dal giallo e dal magenta.

Facciamo un passo avanti e vediamo come modulare in modo mirato il risultato cromatico agendo su una miscela completa dei 3 cromofori. Per capirlo teniamo a mente il grafico sottostante in cui le linee continue sono le curve di assorbimento di ciascun cromoforo che qui coincidono con il loro profilo di disattivazione (massima assorbanza uguale massima disattivazione); le linee tratteggiate indicano la luce incidente ad una particolare lunghezza d'onda che coincide con il profilo di disattivazione.
Il picco di assorbimento di ciascun colorante fotocromatico è a lunghezze d'onda diverse. Per dirla semplice, la linea tratteggiata indica la luce incidente capace di disattivare il cromoforo.
Credit: MIT CSAIL HCI Engineering Group
Per disattivare singolarmente ciascun cromoforo si sfrutta il fatto che il picco di disattivazione (ovvero il picco di assorbimento) ha una lunghezza d'onda diversa. Grazie al fatto che tutte le lunghezze d'onda di disattivazione sono all'interno dello spettro del visibile (390 - 790 nm), per ottenere il profilo voluto sarà sufficiente usare i LED RGB di un normale proiettore.
In altre parole per disattivare un fotocromo specifico, basterà usare la componente R, G o B e il risultato sarà la riduzione della saturazione di quel particolare canale cromatico:
  • La luce blu brillante disattiverà il giallo, 
  • la luce verde disattiverà il magenta
  • la luce rossa disattiverà il ciano.

Naturalmente è possibile ottenere colori intermedi di diversi livelli di saturazione disattivando solo parzialmente ciascun canale.
La procedura: una volta preparata la miscela si dipinge (o spruzza) sull'oggetto designato. L'utilizzo combinato di lampada UV e di un proiettore LED permette di ottenere l'effetto cromatico voluto.
Credit: MIT CSAIL HCI Engineering Group

Il dato più interessante è che questo processo è reversibile e può essere ripetuto un numero indefinito di volte.

Per ottenere il risultato finale sono necessari dai 15 ai 40 minuti

Di seguito un video indicativo del risultato.


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Fonte
- Photo-Chromeleon: Re-Programmable Multi-Color Textures Using Photochromic Dyes 
 Yuhua Lin et al, ACM Symposium (10/2019) 
Laboratory web site




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