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La sindrome del savant: molto più complessa di quanto la serie "The Good Doctor" mostra

In questi giorni Rai 1 sta trasmettendo la serie Tv "The good doctor",  la cui trama ruota intorno ad chirurgo affetto da autismo (per quanto come vedremo poi si tratta di un termine generico e poco utile). Anche la definizione di savant non si adatta nel dettaglio al personaggio rappresentato nella serie ma ne è una tipologia nota.
Vale quindi la pena spendere qualche parola per evitare generalizzazioni o confusione diagnostica.
Cominciamo con il dire che la definizione di "autistico" è troppo generica in quanto, come avevo spiegato in un precedente articolo, si tratta di una patologia talmente eterogenea sia nella eziogenesi che nelle manifestazioni da essere meglio definibile come "disturbi dello spettro autistico" (ASD - Autism Spectrum Disorder). Sotto questo ombrello categorico vengono raccolte manifestazioni molto diverse della malattia con alcuni tratti comuni come:
"Persistent deficits in social communication and social interaction across multiple contexts, as manifested by the following, currently or by history"
(da DSM-V < Autism Spectrum Disorder 299.00 (F84.0) < Diagnostic Criteria). Il DSM-V è la quinta edizione (2014) del "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali ",  usata dai medici di tutto il mondo per la classificazione dei vari disturbi mentali su base sintomatica.
Così come le manifestazioni possono essere diverse, lo è anche l'entità. Alcuni soggetti scopriranno solo in età adulta di essere "catalogabili" come autistici (sintomi blandi e non tali da compromettere la vita sociale) mentre altri manifesteranno fin dalla primissima infanzia una totale incapacità di vita autosufficiente con nulla capacità di relazionarsi con il mondo esterno.
Una delle caratteristiche più spesso associate all'autismo, dai non addetti ai lavori, è quella riferita a soggetti autistici dotati di capacità fuori dal comune, generalmente nell'ambito della matematica o delle arti. Anche qui l'intensità del disagio è estremamente variabile andando da un estremo di persone capaci di incanalare queste capacità in un lavoro coerente (ad esempio diventando fisici teorici o matematici) ma con sufficienti capacità relazionali da avere una vita del tutto nella norma (fatto salvo magari la comune accezione del matematico "con la testa sempre nei suoi calcoli"), ad altri capaci magari di calcolarti in poche decine di secondi una moltiplicazione "impossibile" o di memorizzare perfettamente qualche migliaio di libri (riga per riga) ma assolutamente incapaci di svolgere alcuna altra azione pratica, anche il solo allacciarsi una scarpa; una inabilità mentale, non dettata cioè da problemi motori. Per quest'ultima categoria fu coniato nel 1789 dal dottor Benjamin Rush il termine idiot savant ("saggio idiota") ad indicare un individuo con quoziente intellettivo inferiore a 25, ma con un’enorme capacità di memoria (--> QUI per approfondimenti). 
Nota. Come al solito il termine descrittivo usato va contestualizzato con l'epoca in cui fu formulato. A differenza di oggi dove il termine "idiot" non sarebbe più utilizzato in quanto politicamente non corretto, all'epoca il focus era la descrizione della patologia che vedeva una persona con deficit intellettivi molto gravi ma capace di fare una cosa in modo straordinario anche se totalmente "inutile", come il memorizzare un libro nell'arco di minuti ma senza comprenderne il contenuto (fosse anche quello di una favola per bambini). Quindi prima di esternare il nostro moderno disappunto per tali "etichette" io penserei all'enorme lavoro di comprensione della malattia fatto da questi medici su soggetti fino ad allora "nascosti" alla società o citati come il classico "scemo del villaggio". Oggi quando si parla di sindrome del savant si intende una persona con evidenti disabilità mentali ma che possiede doti fuori dal comune (o anche uniche) in attività dove è centrale la memoria
Tra le capacità mnemoniche si va dal memorizzare mappe, elenchi telefonici e interi calendari ad abilità meccaniche e spaziali che li portano a misurare distanze senza l'aiuto di alcuno strumento.
Il soggetto studiato da Rush, Thomas Fuller, aveva come peculiarità il contrapporre uno stato descritto come "non capiva nulla, né di teorico né di pratico, più complesso del contare", all'essere un genio del calcolo riuscendo a calcolare a mente in meno di due minuti quanti secondi ci fossero in 1,5 anni.
Da allora vengono inclusi sotto tale categoria individui con memoria prodigiosa (o visualizzazione di schemi mnemonici) limitata però a un ambito specifico, associata però a gravi deficienze/limitazioni a carico della maggior parte delle funzioni mentali.
Il numero di savant maschi è 4 volte superiore a quello delle savant femmine.

A memoria direi che circa il 10% dei soggetti autistici manifesta tratti da savant. Quindi sebbene si possa dire che tra i soggetti autistici alcuni siano savant, non si può dire il contrario cioè che avere la sindrome del savant comporta essere autistici. Infatti circa il 50% circa dei savant sono invece affetti da altri disordini di tipo psicologico o da malattie mentali (una persona su 2000 tra quelle con disordini mentali è un savant).   
La sindrome del savant NON va confusa con la sindrome di Asperger (e qui siamo in effetti nell'ambito della serie TV o di Greta) che raggruppa soggetti "dotati" in qualche campo, anche molto specifico, ma privi di gravi compromissioni dell'intelligenza e dell'autonomia. Semplificando potremmo dire che questi soggetti hanno un disturbo dello spettro autistico "ad alto funzionamento" (per approfondimenti --> "C'è differenza tra Asperger e autismo ad alto funzionamento?").

Circa le cause del ASD non si ha ancora una risposta definitiva. Esiste chiaramente una predisposizione genetica (e sono noti più di una decina di geni coinvolti) e  qualche effetto ambientale (virus? sostanze naturali?) ma la eterogeneità della malattia ha reso improbo isolare e caratterizzarla in dettaglio (sono necessari individui con esattamente la stessa patologia se si vuole isolare i geni alterati soprattutto in quei casi in cui la penetranza genetica è bassa).
Quello che è certo invece, e bisogna continuare a sottolinearlo dato il trend antiscientifico da social, che non esiste invece alcun legame tra autismo e vaccinazioni. Il che avrebbe dovuto essere ovvio se si considera che si tratta di una anomalia che attiene allo sviluppo embrionale nella componente neurone, quindi precedente la vaccinazione, che avviene DOPO che il bambino ha iniziato a sviluppare il proprio sistema immunitario, dopo il sesto mese. Mai visto un agente causale "retroattivo".
Nel caso dei savant il discorso si complica ulteriormente in quanto sebbene in genere si "nasce con la sindrome di savant", alcuni casi in letteratura medica hanno riportato il "diventare savant" in seguito ad un trauma cranico. Nel caso dei savant, il consensus medico è che l'area di malfunzionamento si trova nel lobo antero-temporale sinistro.

Risulterà spero più chiaro contestualizzare il caso descritto in "The Good Doctor" ai limiti del credibile. Nel senso che le sue capacità mnemoniche (cosa diversa da analitiche e progettuali) lo "etichettano" come savant più che come Asperger (o autismo ad alto funzionamento) il che rende difficile ipotizzare il potere ricoprire un ruolo delicato come quello del chirurgo.
Difficile ma non impossibile data la varietà della casistica, anche se suona più come un escamotage narrativo utile ai fini della cosiddetta tv educativa centrata sul negare l'esistenza di diversità (viviamo in una società in cui si definisce un cieco "diversamente vedente" ... cosa che fa sempre infuriare il mio vicino di casa che ha perso la vista qualche anno fa).
Tra i maggiori esperti del campo c'è Darold Treffert che ha studiato oltre 300 casi di sindrome del savant in tutto il mondo.
Ecco alcuni dei casi più celebri di savant descritti in letteratura medica che aiuteranno a comprendere la varietà fenomenologica:
  • Kim Peek (1951-2009). Immagino tutti si ricordino del film Rain Man, ispirato proprio a Kim Peek. Il suo fu uno dei casi clinici più celebri della sindrome del savant dovuta all'enorme contrasto tra le sue singolari abilità intellettuali e la sua incapacità a svolgere i compiti più basilari della vita. Peek nacque con una macrocefalia, ed era palesemente invalido benché avesse una memoria prodigiosa: riusciva a ricordare i 12 mila libri che aveva letto; era capace di leggere due pagine in otto secondi e impiegava appena un'ora a memorizzare un libro. Era capace di ricordare con precisione informazioni su diversi temi, dati storici, geografia, letteratura... Tuttavia, aveva difficoltà ad abbottonarsi la camicia e non era una persona autonoma. Non aveva attitudini musicali, ma riusciva immediatamente a suonare al piano qualsiasi canzone ascoltata per la prima volta. Era anche in grado di identificare l'autore di migliaia di brani musicali dopo averne ascoltato l'interpretazione per qualche secondo. Nella sua testa aveva un calendario di 10 mila anni ed era capace di associare la data di nascita di una persona con il giorno della settimana in cui era nata. Tutti questi prodigi erano dovuti alla sua capacità di intessere i dettagli appresi in una rete mentale composta da migliaia di associazioni e interconnessioni distinte e personali.
  • Orlando Serrell (1968-) è famoso per essere uno dei pochi casi di savant acquisito. Nella fanciullezza era un bambino come tanti, senza alcuna predisposizione particolare, finché all'età di dieci anni subi un trauma cranico causato dal violento impatto con una palla da baseball che lo colpì sul lato sinistro della testa. Cadde a terra, ma si rialzò e continuò a giocare senza dire nulla ai genitori. Cominciò però a soffrire di mal di testa con in più la particolarità che a partire dal giorno dell'incidente ricorda esattamente tutto quello che è avvenuto, giorno per giorno, comprese le condizioni meteo. A questa memoria si aggiunge la capacità di realizzare calcoli molto complessi riguardanti il calendario tipo in che giorno della settimana cadrà  un giorno qualsiasi tra molti anni. Serrell è un caso di sindrome del savant acquisita e senza gravi invalidità associate.
  • Leslie Lemke (1952-) venne al mondo prematuramente e come spesso avviene con i nati "troppo" prematuri manifestò seri problemi neurologici, sia alla vista che di paralisi cerebrale. Una infermiera dell'ospedale lo adottò e allevò amorevolmente. Non riuscendo a masticare ai suoi problemi si aggiunsero quelli nutritivi; fino ai dodici anni non fu in grado di reggersi in piedi e non imparò  a camminare prima dei quindici anni! Tuttavia, fin da piccolo manifestò una profonda attrazione per la musica e il ritmo finché a a sedici anni la madre adottiva scopri le sue doti straordinarie sorprendendolo a suonare al pianoforte il concerto n. 1 di Cajkovskij: lo aveva ascoltato in televisione e aveva pensato di suonarlo! A partire da quel momento, Lemke iniziò a suonare ogni genere musicale e ha compiuto diverse tournee internazionali come concertista.
  • Daniel Tammet (1979-) è uno scrittore autistico savant "funzionale" (quindi direi più un Asperger). Tra i suoi scritti, iniziati sotto forma di diario, ha raccontato di come l'epilessia (anche quella!!), la sinestesia e la sindrome di Asperger lo abbiano accompagnato per tutta la sua infanzia, e come si vive con la sindrome del savant. La sua storia, quella di un giovane molto capace, con un mondo di amicizie e di affetti e un lavoro, ha permesso di sfatare l'immagine che comunemente si ha dei savant come geni altamente disabili. L'abilità associativa di Tammet gli ha consentito di imparare in una sola settimana l'islandese, una lingua molto complessa, che si è aggiunta ad altre 11 lingue parlate. E' stato capace di memorizzare il numero pi greco fino al 22500 decimale, impresa che ha preso 5 ore solo per e riuscire a recitarla a memoria. Nessun campione dell'arte mnemonica (che si basa su "trucchi" mnemonici associativi) si avvicina anche solo lontanamente a questi valori. Nel caso di Tammet, il suo "trucco" mnemonico si basa sulla sinestesia, un curioso incrocio dei sensi che consente di assegnare ai numeri forme, suoni, colore e struttura.
  • Gloria Lenhoff (1955-) è un soprano affetta da sindrome di Williams caratterizzato da un grave ritardo mentale. E' incapace di uscire da sola, di eseguire una semplice addizione o di collocare dei bicchieri in una credenza, ma possiede un'abilità musicale portentosa e una notevole capacità espressiva verbale. Oltre ad allietare con la sua voce, Gloria è capace di suonare con perizia vari strumenti musicali (ad esempio la fisarmonica) e cantare a memoria oltre 2000 canzoni in 25 lingue.


Per approfondimenti
--> "Asperger’s Disorder and Savant Syndrome"
Wisconsin Medical Society

La recensione di The Good Doctor dal punto di vista di chi è affetto, veramente, da autismo
--> "My review of 'The Good Doctor' as an adult with autism"




Trapianto di trachea: confermate le accuse al chirurgo inventore della tecnica

A distanza di due anni dall'articolo che avevo dedicato sui sospetti di "scientific misconduct" a carico del chirurgo italo-svizzero ideatore della innovativa tecnica di trapianto, è arrivata nelle settimane scorse la conclusione dell'indagine da parte del Karolinska Institute, presso cui il chirurgo lavorava. Si tratta in verità della seconda indagine partita dopo che la prima, iniziata forzatamente dalla bufera mediatica, aveva scagionato l'operato del chirurgo; ora dopo il cambio ai vertici dell'istituto (con persone totalmente estranee ai fatti, anche solo per conoscenza diretta) la nuova e definitiva sentenza che ha portato al ritiro di due articoli pubblicati sulla rivista Lancet e alla dichiarazione di corresponsabilità per altri 7 coautori di studi sull'argomento. Altri 31 coautori dei vari articoli sono stati invece indirizzati di una nota di biasimo per mancato controllo ma scagionati da accuse di falso scientifico (scientific misconduct).

Vi rimando al precedente articolo per informazioni sul caso --> "Lo scandalo del trapianto di trachea"

Fonte
- Disgraced trachea surgeon — and six co-authors — found responsible for misconduct

- Lancet ha ritirato due articoli scientifici di Paolo Macchiarini, il “mago dei trapianti di trachea”

Un antiasmatico abbassa il rischio Parkinson?

Non è la prima volta (e non sarà l'ultima) che un farmaco ampiamente utilizzato in clinica per una data patologia rivela inattese funzionalità. 
In alcuni casi si va oltre il semplice ampliamento terapeutico con il "ripescaggio" di vecchi farmaci dismessi a causa degli effetti collaterali o soppiantati da nuove e migliori versioni. Anzi a volte è proprio la scoperta di un effetto collaterale inatteso a "scoperchiare" inattese modalità di azione del farmaco che una volta appositamente indirizzate forniscono innovativi ed efficaci trattamenti. L'esempio classico è il Viagra, il cui principio attivo (Sildenafil) fu sviluppato nel 1989 come contrasto all''alta pressione e all'angina. I suoi indesiderati effetti collaterali (che lascio alla vostra immaginazione) resero il farmaco inutilizzabile nelle terapie cardiovascolari ma permisero di lanciare un vero e proprio farmaco blockbuster contro la disfunzione erettile
 (vedi gli articoli precedenti sul tema "nuove indicazioni per vecchi farmaci" --> QUI).
Veniamo così al nuovo caso di farmaco in uso che ha mostrato inattese (e benefiche) potenzialità. 
Il salbutamolo, un farmaco per l'asma agente come agonista del recettore adrenergico β2, ha mostrato, sebbene indirettamente, la capacità di ridurre il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson (PD). Il PD è una patologia neurodegenerativa che distrugge progressivamente le cellule produttrici di dopamina nel cervello, a causa (ma non solo) dell'accumulo nei neuroni di aggregati della proteina α-sinucleina che con il tempo portano alla morte cellulare.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, è il risultato di uno studio con il quale i ricercatori hanno testato l'azione di 1126 farmaci in uso (per patologie diverse dal PD) su un modello cellulare del Parkinson. L'idea era quella di verificare se qualcuno di questi farmaci avesse la capacità di ridurre l'espressione di α-sinucleina. Tra i farmaci che hanno mostrato una azione in tal senso, quelli più efficaci (in grado di ridurre l'espressione del 35%) erano gli attivatori dei recettori β-adrenergici, come sono ad esempio gli anti-asmatici. Ottenuta la prova iniziale, i ricercatori sono andati a testarne l'efficacia in modelli in vivo, cioè nei neuroni dopaminergici dei topi. Tali principi attivi non solo funzionavano anche nei topi ma erano dipendenti dalla presenza dei recettori beta-adrenergici (test fatto sui topi ingegnerizzati per essere privi di tali recettori), il che è il miglior indizio del nesso di causalità.
In altre parole la riduzione della alfa-sinucleina avviene attraverso l'attivazione dei recettori β-adrenergici, evento che contestualmente proteggeva le cellule dopaminergiche.

Dato che i farmaci attivanti tali recettori, come il salbutamolo, sono in uso da molto tempo in clinica, si aveva a disposizione anche una enorme casistica spalmata su decadi con la quale verificare l'esistenza di un effetto protettivo su coloro che avevano assunto gli anti-asmatici per anni.
L'analisi epidemiologica condotta su 4 milioni di norvegesi che hanno usato il farmaco ha mostrato che l'incidenza del PD era inferiore di un terzo rispetto ai controlli che non hanno mai usato il farmaco. Viceversa, i soggetti che avevano usato il propranololo, un antagonista del recettore β2 indicato nel trattamento della pressione alta, avevano il doppio delle probabilità di sviluppare la malattia neurodegenerativa.
Nota. Uno studio recente ha mostrato come le persone affette da diabete di tipo 2 hanno un rischio aggiuntivo del 32% di sviluppare il PD rispetto alle persone sane (--> UCL/news). Un dato utile per ricordarci come l'esito di malattie complesse come cancro e patologie neurodegenerative sia spesso frutto di molteplici situazioni che sommandosi tra loro, spiegano perché tra le persone senza familiarità per quella malattia alcune si ammalino e altre no.
I dati sono molto importanti ma è bene sottolineare che non si tratta di studi che dimostrano un nesso causale diretto in quanto il farmaco non mira alle cellule dopaminergiche ma in qualche modo ha un effetto a cascata su di esse. Nondimeno la scoperta è importante in quanto delinea il percorso per lo sviluppo di terapie mirate alla riduzione del rischio PD e, ma questo è ancora tutto da capire, se il trattamento sia anche utilizzabile per chi è nelle fasi iniziali della malattia (quando i sintomi compaiono la maggior parte delle cellule dopaminergiche sono già morte e non sono sostituibili quindi è ben difficile ipotizzare una qualsiasi efficacia sulle persone con sintomi oramai evidenti).

Altra cosa da fare sarà verificare se la correlazione tra uso di farmaci attivanti il recettore β-adrenergico e la diminuzione rischio PD, sussista anche in altre popolazioni oltre a quella norvegese.
Altri esempi di farmaci in uso o dismessi per cui è stata trova una funzione è presente nella tabella in fondo all'articolo seguente -->qui

Fonte
- β2-Adrenoreceptor is a regulator of the α-synuclein gene driving risk of Parkinson's disease.
Mittal S. et al, (2017) Science 357(6354):891-898






Il raggio traente da costruire a casa

"Beam me up, Scotty"o "portami su, Scotty" è un una frase ben nota a chiunque abbia "vissuto" l'universo di Star Trek. La usava il capitano Kirk quando chiedeva al suo ingegnere capo di essere teletrasportato a bordo della astronave Enterprise.

Tra le tante cose immaginate in quel telefilm di fine anni '60 molte sono oggi realtà. Certo non il teletrasporto (dimostrato tuttavia sperimentalmente sebbene per ora solo su un fotone … ) ma comunicatori, tricorder, l'assistente virtuale sono oggi una realtà evidente negli smartphone, in sensori/scanner e in Siri, rispettivamente. A questa lista di "fattibilità" va ora aggiunto anche il raggio traente, usato tra l'altro anche in Star Wars e nel recente Arrival.
Caratteristica comune a tutte le varie declinazioni fantascientifiche del raggio traente è quello di essere un raggio di natura non meglio precisata capace di intrappolare cose e persone e di trascinarle verso l'emettitore del raggio.
Un gruppo di ricercatori dell'università di Bristol ha dimostrato che non solo è possibile creare un raggio traente sfruttando le onde sonore ma che è possibile crearne una versione semplificato mediante materiali facilmente reperibili, per un costo complessivo inferiore alle 70 sterline.

La descrizione del progetto è in un articolo pubblicato sulla rivista Applied Physics Letters.
Credit: A. Marzo & B. Drinkwater
Image via bristol.ac.uk/news
Lo strumento utilizzato (vedi figura a lato) è un modulatore passivo di onde acustiche, capace di alterare le onde trasmesse o riflesse. La cosa curiosa è che la stessa funzionalità può essere ottenuta in vari modi, sia usando un insieme di tubi di diversa lunghezza oppure una superficie appositamente sagomata. Punto chiave è che in entrambi i casi la forma desiderata è facilmente prodotta grazie alla stampa 3D, quindi un processo oggi alla portata di tutti.
La versatilità dello strumento è dipendente dalle onde sonore che gestisce. Una sola forma d'onda è sufficiente ad esercitare la trazione; con due onde è possibile manipolare (ruotandolo) l'oggetto. 
Semplificando il tutto al massimo si può pensare al sistema come a "gabbie" sonore 3D che possono assumere la forma (in senso lato) di dita o pinzetta, oppure come vortici entro cui l'oggetto viene intrappolato. Così come gli ologrammi non sono altro che il risultato di onde luminose interferenti, queste "gabbie" sono date dall'interferenza  tra onde sonore.

Il sistema è più semplice a vedersi che ad essere descritto (soprattutto per chi non è un ingegnere) ed è per questo che l'autore dell'articolo ha postato un video su YouTube con tutte le istruzioni per creare il "raggio traente fai da te".

Se non vedi il video --> YouTube



e non vedi il video --> YouTube

Siamo ancora lontani dalle energie necessarie per intrappolare non dico un'astronave ma oggetti di dimensioni "umane". Per il momento la creazione del raggio è adatta a spostare piccoli oggetti e necessita di una serie di amplificatori perché il raggio abbia energia sufficiente.
Nello studio sono stati utilizzati 64 miniamplificatori per emettere onde sonore ad alta intensità e frequenza, capaci di trattenere, muovere o ruotare biglie di polistirene di 3 mm di diametro.
Una serie di microamplificatori genera onde sonore capaci di sostenere un oggetto
(credit: A. Marzo, B. Drinkwater & S. Subramanian)
Nondimeno le potenzialità sono interessanti: campioni di tessuti o gocce di sangue potrebbero essere fatti levitare ed ispezionati senza bisogno di maneggiarli; composti chimici fatti interagire a piacere e in sicurezza e magari anche facilitare l'espulsione dei calcoli renali attraverso i dotti senza bisogno della chirurgia.

Fonti
- Realization of compact tractor beams using acoustic delay-lines
A. Marzo et al, (2017) Applied Physics Letters, 110, 014102

- Holographic acoustic elements for manipulation of levitated objects
A. Marzo et al, (2015) Nature Communications volume 6, Article number: 8661

Vedi anche le pagine dedicate sul sito web del capo progetto (Bruce Drinkwater)
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Come sarebbe il clima terrestre se il nostro pianeta ruotasse al contrario?

I ricercatori del Max Planck Institute di Amburgo hanno sviluppato un modello computazionale molto raffinato capace di predire il clima attuale se la Terra avesse iniziato a ruotare in senso opposto all'attuale.

Supponiamo che un evento cosmico, per esempio, un impatto con un asteroide, avesse provocato l'inversione della rotazione terrestre nella notte dei tempi trasformando la rotazione da prograda o diretta in retrograda.
Ipotesi solo in parte fantasiosa nel senso che se è vero che un impatto del genere avrebbe avuto conseguenze devastanti sull'integrità del pianeta, d'altra parte impatti del genere sono avvenuti come ben dimostra la (probabile) origine della Luna, in seguito allo scontro tra una proto-Terra e un pianeta delle dimensioni marziane chiamato Theia. Sono inoltre noti pianeti con rotazione retrograda o molto strana sia all'interno del sistema solare (--> Venere e soprattutto Urano) che in altri sistemi (--> WASP-17b).
La simulazione al computer ha preso in esame solo una frazione del tempo geologico terrestre, gli ultimi 7 mila anni, in pratica poco dopo l'ultima glaciazione. Le ragioni di questa ridotta finestra temporale sono molteplici e vanno dalla necessità di creare modelli la cui molteplicità di dati fosse gestibile dai computer, fino alla possibilità di vedere cosa sarebbe cambiato in un arco di tempo ben definito e di cui abbiamo molti riscontri. Inoltre prendere in considerazione tempi "planetari" avrebbero portato verosimilmente alla formazione di una Terra ben diversa geologicamente dall'attuale in quanto la direzione della rotazione ha un effetto anche sulla tettonica. Da qui la scelta di come sarebbe cambiata la Terra ipotizzando l'inizio della rotazione retrograda a 7 mila anni fa.

Per creare la versione "alternativa" di una Terra retrograda i ricercatori hanno "dato in pasto" al computer i dati sul movimento atmosferico e delle correnti marine, pesati per la forza di Coriolis (quella che "trascina" i corpi in movimento su un pianeta rotante).

I risultati, presentati alla assemblea generale annuale della European Geosciences Union, sono molto interessanti, prevedibili in alcuni aspetti e sorprendenti per altri. 
Invertire la rotazione terrestre ha un ovvio effetto sul moto atmosferico e quindi sul connubio clima-geografia, quindi non sorprende scoprire che il clima dell'Europa occidentale sarebbe diventato simile a quello della Russia orientale (cioè la Siberia) e all'opposto i venti da est avrebbero creato un clima temperato sulla costa atlantica degli Stati Uniti. La sorpresa è stato però lo scoprire che il deserto del Sahara era sparito, il Medio Oriente godeva di ampie precipitazioni mentre gli USA sudorientali e gran parte del Brasile e dell'Argentina erano diventati deserti. 
Credit: A. Winkler et al via weather.com)
Le differenze climatiche avrebbero inoltre prodotto un effetto biologico non tanto sulla distribuzione di animali e piante (le forme selezionate sono quelle adatte al clima) ma sui cianobatteri (un tempo chiamati impropriamente alghe azzurre), organismi fondamentali per l'esplosione della vita sulla Terra, in quanto responsabili dell'ossigenazione avvenuta circa 2,5 miliardi di anni fa.
Nella "nostra" Terra i pur abbondanti cianobatteri diventano evidenti anche ai nostri occhi solo quando si verificano condizioni particolari come l'accumulo di fertilizzanti (nitrati e fosforo) nelle acque, insieme ad un aumento di temperatura e pH locali (vedi ad esempio --> le fioriture in alcuni laghi italiani).
Nella simulazione al computer l'oceano Indiano sarebbe divenuto l'epicentro di una massiccia proliferazione cianobatterica a causa di un mix di cause tra le correnti oceaniche e la maggiore profondità media (quindi scarsa ossigenazione generale). La scarsa ossigenazione avrebbe spinto i microorganismi presenti ad usare i nitrati che consumati in tempi relativamente brevi (in assenza di inquinanti) avrebbero spianato la strada a batteri che non hanno bisogno dei nitrati per proliferare, come appunto i cianobatteri.

In un certo senso la Terra sarebbe stata (ammesso che fosse sopravvissuta all'impatto) un posto climaticamente migliore, con 11 milioni di chilometri quadrati in meno di deserti. Ma si sa che queste simulazioni lasciano il tempo che trovano, soprattutto se si considera che l'arco temporale valutato sono gli ultimi 7 mila anni a partire da un ipotetico tempo zero dalla nuova rotazione.

Più che i risultati teorici, quello che importa è osservare la quantità di informazioni ricavabili con modelli adeguati e, cosa ancora più importante, la consapevolezza della labilità del nostro status climatico.

Fonte
-  Reversing Earth’s Spin Moves Deserts, Reshapes Ocean Currents 
EOS magazine (Transactions, American Geophysical Union) 2018


Leggere il "pensiero" di una musica. I progressi delle neuroscienze

L'ascolto della musica produce in noi molto più che un semplice apprezzamento estetico.
credit: pixabay
Dalla capacità di indurre emozioni, anche contrastanti, al rievocare ricordi che si pensava seppelliti nella memoria, possiamo dire che l'ascolto non è praticamente mai un evento passivo; magari non conscio ma sicuramente non passivo da un punto di vista neurale.
Non sorprende quindi l'interesse delle neuroscienze in tale ambito: indagare cosa succede nel nostro cervello quando ascoltiamo la musica ci permette di capire il legame tra aree funzionalmente diverse come quelle sensoriali, analitiche e di memoria.

Dalla analisi delle reazioni emotive ad una particolare musica alle ragioni per cui non riusciamo a "liberarci" dal canticchiare un motivetto ascoltato una sola volta per radio, c'è solo l'imbarazzo della scelta per chi voglia studiare l'effetto della musica sul cervello.

Ma cosa succede quando "sentiamo" la musica nelle nostre teste? Al netto dei casi patologici (tipici di alcune schizofrenie in cui i pazienti sperimentano vere e proprie allucinazioni uditive) il fenomeno non è infrequente anche tra chi non si occupa professionalmente di musica. Se chiudiamo gli occhi possiamo sentire il nostro motivetto preferito senza nemmeno canticchiarlo; una "dote" particolarmente sviluppata nei musicisti e in particolar modo nei compositori, capaci di creare/ricreare nella mente brani molto complessi e solo poi codificarli per iscritto su uno spartito.

I ricercatori svizzeri della EPFL si sono concentrati proprio su questo aspetto, cioè il capire cosa avviene nel nostro cervello quando ricreiamo mentalmente la musica. La speranza è che una volta sviluppati strumenti capaci di leggere prima il segnale cerebrale della musica "pensata" e tradurlo poi in suono reale, questi potranno essere utilizzati per aiutare le persone che hanno perso la capacità di parlare. La "cattura" del pensiero musicale è un punto di partenza ideale in quanto ha il vantaggio di essere universalmente compresa mentre il linguaggio necessita di sovrastrutture ben più difficili da decodificare.

L'elaborazione neurale di un suono è un fenomeno complesso, per il numero di passaggi necessari alla cattura (apparato uditivo esterno ed interno, con la coclea che scompone e analizza i suoni a diversa frequenza generando infine il segnale nervoso) e alla elaborazione cerebrale del segnale elettrico veicolato dal nervo uditivo.
Per avere una idea della quantità di informazioni elaborate è sufficiente pensare al numero di processi che avvengono pressoché in contemporanea durante l'ascolto: il cervello è in grado di capire la direzione del suono dalla comparazione tra il segnale percepito dall'orecchio sinistro e destro, interfacciarsi con gli altri sensi per individuarne l'origine, scomporlo in modo da isolare la parte vocale dal rumore di fondo, identificare una voce in particolare tra le tante presenti, capirne il senso (alcune lesioni cerebrali fanno perdere questa capacità nonostante l'udito e le capacità intellettive siano normali) e non ultimo riconoscere l'identità dell'interlocutore nonostante le variabili tonali del caso.
La tecnologia ha fatto passi da gigante negli ultimi anni ma come evidente dalle difficoltà che spesso riscontrano le AI presenti sui nostri telefoni, c'è ancora molto da fare soprattutto se si pensa che si tratta solo di analisi vocali incapaci di analisi semantiche.

Mentre l'analisi di un suono è tutto sommato un processo diretto, cosa ben diversa è la lettura dei segnali cerebrali associati al suono e soprattutto la identificazione del suono "pensato", che sposta il target analitico da una analisi funzionale di un suono "reale" ad una vera e propria analisi del pensiero.
Vedi articolo precedente --> "MRI e lettura del pensiero"
Se durante l'analisi dell'attività cerebrale su un individuo che sta ascoltando musica la correlazione suono-attività neurale è di "facile" rilevazione, quando la musica è solo nella nostra testa, quel suono in realtà non esiste quindi i potenziali errori interpretativi sono molteplici. Non basta che un soggetto dica "sto ricreando il motivetto centrale della Carmen di Bizet", bisogna innanzitutto capire quanto il pensiero di quella data musica sia coerente con l'originale (esempio classico è la distonia tra l'essere stonati e il non accorgersi di esserlo).

Per ovviare a tali problemi i ricercatori necessitavano di un soggetto "affidabile", nel senso di un individuo con competenze musicali (teoriche e pratiche) adeguate. Persona individuata in un pianista esperto quando si rivolse ai medici per cercare di trovare rimedio ad una epilessia refrattaria ai trattamenti standard.
Perché non cercare direttamente musicisti senza aspettare che venisse un paziente "adatto"? Il problema è nell'invasività delle tecniche analitiche necessarie per identificare i circuiti neurali interessati. Non sarebbe stato etico farlo su dei volontari mentre su un paziente che già di suo doveva sottoporsi ad una serie di esami molto approfonditi per identificare le aree epicentro degli attacchi epilettici, l'analisi non avrebbe comportato interventi aggiuntivi se non quelli legati al test. Resta inteso che anche qui è centrale (e non forzata da situazioni contingenti) la volontarietà del soggetto a partecipare allo studio.
Al paziente fu chiesto per prima cosa di suonare un brano musicale su una tastiera con il suono attivato. Questo passaggio serviva per registrare l'attività cerebrale derivante dall'ascolto della musica che il pianista stava (consapevolmente) producendo. Creata la base di comparazione, si chiese  al paziente di ripetere lo stesso pezzo con il volume della tastiera disattivato, pensando alla musica che stava eseguendo. Niente di più semplice e naturale per un musicista.
Anche in questo caso l'attività cerebrale venne registrata associandola alla musica che veniva (silenziosamente) prodotta dalla tastiera. Il procedimento venne ripetuto con diversi brani in modo da avere una sorta di "traduttore" del segnale cerebrale per la musica o più semplicemente il legame tra un suono "pensato" e un dato segnale neurale.
all credit to: Stephanie Martin et al, Cerebral Cortex (2017)
La tecnica analitica usata è la elettrocorticografia, una procedura ben più invasiva della risonanza magnetica funzionale (usata in test simili) in quanto richiede l'impianto di sottili elettrodi in profondità nel cervello del paziente allo scopo di mappare le regioni attivate dal processo in esecuzione. La tecnica è usata principalmente per il trattamento di pazienti epilettici laddove la farmacologia sia inefficace; da qui la scelta di aspettare di trovare un soggetto adatto (un musicista) per cui fosse già prevista la elettrocorticografia.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cerebral Cortex. I risultati sono chiaramente preliminari e ben lungi dall'essere applicabili per la creazione di "convertitori" della musica pensata in sonorità complesse ma la prova di fattibilità è stata superata.
Ci vorrà invece ancora molto tempo prima di sviluppare elaboratori vocali del pensiero (o meglio di una frase pensata). La lingua è un sistema molto più complicato della musica in quanto l'informazione linguistica non è universale ed avviene in molteplici passaggi.
Altro limite della tecnica qui usata è la sua invasività, accettabile solo perché contingente ad altri interventi ma impensabile nella quotidianità.
Il primo passaggio sarà cercare di replicare questi risultati con i pazienti afasici - persone che hanno perso la capacità di parlare - e verificare se, e quanto affidabilmente, i suoni pensati potranno essere ricreati.

Fonte
-  Neural Encoding of Auditory Features during Music Perception and Imagery
Stephanie Martin et al, (2017) Cereb Cortex. 1-12

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