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Visualizzazione post con etichetta TMS e cervello. Mostra tutti i post
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Stentdrode. Un elettrodo cerebrale per fare muovere i tetraplegici e molto altro

Modificare l'attività cerebrale senza incidere la calotta cranica è possibile grazie ad una tecnica nota come stimolazione magnetica transcranica (TMS) di cui ho già scritto in passato (vedi la serie --> TMS e cervello).
Una procedura utile ma con un punto debole nella dimensione dell'area interessata che è maggiore del bersaglio su cui idealmente bisognerebbe agire. Un limite intrinseco dovuto sia alla taglia della "piastra" da cui emerge il campo magnetico che alla architettura dei circuiti neuronali in cui regioni prossimali possono avere funzioni molto diverse.
all credits to: MAYO clinics

In alcuni ambiti questo non provoca problemi, ma in altri è cruciale focalizzarsi solo su aree (quindi popolazioni cellulari) estremamente ristrette e per tempi prolungati. In questi casi la procedura di elezione è la stimolazione cerebrale profonda (DBS) consistente nell'impianto chirurgico di elettrocateteri nelle aree del cervello prescelte (ad esempio quelle per il controllo dei movimenti) e di un dispositivo medico che ne controlla "le scariche". Un metodo innovativo ampiamente utilizzato nella terapia sintomatica di patologie neurodegenerative (Parkinson) e nel trattamento del dolore cronico.
all credit: sci.utah.edu
L'impianto non è tuttavia una "passeggiata".
Una soluzione in tal senso viene dallo studio condotto da ricercatori australiani (pubblicato su Nature Biomedical Engineering) che hanno sviluppato un elettrodo di 4 mm di diametro (chiamato Stentrode) che viene veicolato attraverso un vaso sanguigno nella zona di azione e li lasciato a tempo indefinito,  come richiesto per malattie croniche e/o degeneranti come il morbo di Parkinson e dell'epilessia.

A differenza della DBS che richiede un intervento chirurgico con apertura di uno o più fori nella scatola cranica lo Stentrode viene portato in posizione attraverso una vena del collo; quasi come fare una angiografia, procedura che richiede competenza e accuratezza ma decisamente meno invasiva di un buco nel cranio.

Le prove di fattibilità dello Stentrode hanno superato senza problemi il passaggio oobligato dei test su animali (test di sicurezza e di efficacia condotti su pecore) e ci si sta preparando ai test clinici.

Tra le molteplici applicazioni ipotizzabili (e testate già in uno studio del 2016) lo Stentrode potrebbe essere usato per catturare i segnali corticali e convertirli in segnali di controllo su un esoscheletro. A che scopo? Ad esempio una imbragatura che avvolge gli arti delle persone paralizzate consentendo ad esse di muoversi in autonomia. 
credit: The Vascular Bionics Laboratory (medicine.unimelb.edu.au)

Di seguito un video intervista risalente alle prime fasi del test nel 2016


Altro esempio di utilizzo dello Stentrode, il monitoraggio dell'attività neuronale anomala che di solito precede un attacco epilettico, contrastandola con stimoli elettrici di segno opposto.



Fonti
- Minimally invasive endovascular stent-electrode array for high-fidelity, chronic recordings of cortical neural activity
Thomas J Oxley et al, Nature Biotechnology (2016) 34, 320–327

 - Focal stimulation of the sheep motor cortex with a chronically implanted minimally invasive electrode array mounted on an endovascular stent
Nicholas L. Opie et al, Nature Biomedical Engineering (2018) 2, 907–914
 - Stentrode developed for brain treatments without major surgery
 University of Melbourne / news

Stimolazione cerebrale profonda senza intervento chirurgico

[Aggiornamento 2025] I risultati di uno studio clinico volto a testare una variante della stimolazione cerebrale profonda (DBS) basata su una sorta di pacemaker, sono promettenti.

***
I neuroni trasportano i segnali da un estremo all'altro del proprio "corpo" grazie ad impulsi elettrici generati dalla differenza di potenziale tra aree adiacenti e "in serie" della membrana cellulare. La trasmissione del messaggio verso altre cellule (siano esse neuroni o cellule muscolari) necessita di mediatori chimici capaci di indurre una depolarizzazione o una iperpolarizzazione della membrana post-sinaptica; a seconda del caso si avrà l'innesco o l'inibizione, rispettivamente, di un nuovo segnale elettrico.
In verità esistono anche sinapsi elettriche ("gap junctions" ), molto più veloci di quelle chimiche proprio per l'assenza di "intermediari". Sono tuttavia molto rare nell'organismo adulto.
Facile allora immaginare come una qualunque anomalia capace di alterare il flusso di corrente (o la sua "facilità di innesco") nei neuroni abbia conseguenze sul funzionamento del sistema nervoso, tanto maggiori quanto più estesa e/o critica è la regione coinvolta. Tra le patologie che meglio riassumono le conseguenze di tali alterazioni, un caso emblematico è quello legato alla perdita della guaina mielinica che avvolge i prolungamenti dei neuroni che veicolano il segnale in uscita (gli assoni); una configurazione non troppo diversa da quella di un isolante che protegge il segnale dei cavi elettrici, solo che qui ha la doppia funzione di massimizzare la velocità di trasmissione del segnale e di conservarlo integro sulle lunghe distanze (alcuni neuroni raggiungono lunghezze superiori al metro e la velocità del segnale "inguainato" può raggiungere i 120 metri al secondo). In caso di alterazioni della guaina è il distretto coinvolto a determinare tipologia, sintomi e decorso della malattia; per fare qualche esempio la sclerosi multipla e la sindrome di Guillain-Barré sono la conseguenza della demielinizzazione di neuroni del sistema nervoso centrale e di quello periferico, rispettivamente.
Le guaine mieliniche nel SNC e nel SNP


Nel caso di altre patologie il problema non è legato alla conducibilità ma è da ricercarsi nella integrità strutturale del  circuito stesso (vedi neurodegenerazioni o lesioni) o nella generazione di segnali anomali (vedi epilessia). Nel caso del morbo di Parkinson, è il deficit di un neurotrasmettitore chiave come la dopamina a produrre a cascata un "firing"  anomalo nella rete di neuroni a valle, fondamentali nella regolazione fine del movimento muscolare; da qui la comparsa del tipico tremore parkinsoniano.

Ripristinare il corretto funzionamento di un circuito alterato è complesso ma sperimentalmente possibile, a patto che le cellule bersaglio siano integre. Tra le metodiche possibili vi è l'impianto di elettrodi in specifiche aree del cervello o, a livello periferico, di stimolatori che agiscono come modulatori del segnale (un approccio questo particolarmente utile nella terapia del dolore cronico). La letteratura scientifica è piena di esempi che illustrano le potenzialità di questi trattamenti capaci di agire su distretti anche molto specifici (in grado di evocare ad esempio la percezione di un sapore definito o anche di stati emotivi.

L'evidente limite di tali approcci è nella invasività e nella intrinseca grossolanità dell'area bersaglio; sebbene in laboratorio (o su un nervo periferico) sia possibile attivare una singola cellula, una volta posizionato l'elettrodo, per quanto piccolo, modificherà l'attività di un'area del cervello contenente un certo numero di cellule, potenzialmente appartenenti a distretti funzionali diversi. Questo è il motivo per cui durante gli interventi di posizionamento degli elettrodi (o prima della rimozione di un'area ad attività anomala) il paziente viene tenuto in sedazione cosciente in modo che possa fornire al chirurgo "le coordinate" precise della regione da "colpire".

Tornando al caso dei tremori parkinsoniani fatto in apertura, uno dei trattamenti oggi in uso è la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation - DBS) consistente nell'introduzione di elettrocateteri nelle aree deputate al controllo dei movimenti, collegati ad un dispositivo esterno che ne regola l'attività. Un trattamento che come dice il termine implica la creazione di un foro nel cranio per potere inserire gli elettrodi; una procedura invasiva quindi ma ad oggi è anche l'ultima opzione per quei pazienti che non rispondono (più) al trattamento farmacologico ma sufficientemente "sani" perché il rischio connesso all'intervento sia accettabile.

Per rispondere alla necessità di minimizzare l'invasività di tali approcci sono stati sviluppati negli anni tecnologie come la stimolazione magnetica transcranica grazie alla quale è possibile modificare l'attività elettrica neuronale sfruttando un campo magnetico esterno.  Tale approccio, di cui ho parlato in precedenza (--> QUI), si fonda sul legame magnetismo-elettricità ben descritto già nel '800 da Hans Christian Ørsted prima e da James Clerk Maxwell poi.
--> Mayo Clinic
Il metodo, per quanto innovativo, ha una intrinseca limitazione nei distretti che può raggiungere (tipicamente le parti più esterne come la neocorteccia) e, elemento non secondario, nel coinvolgimento di un numero di cellule maggiore rispetto a quelle raggiungibili da un elettrodo ottimamente posizionato.

I ricercatori del MIT hanno recentemente pubblicato i risultati di un nuovo approccio (Temporal Interference stimulation - TIS) in grado di eliminare la componente chirurgica grazie ad elettrodi impiantabili sul cuoio capelluto invece che all'interno della scatola cranica. I test, condotti sui topi, hanno dimostrato la capacità di attivare in modo specifico i neuroni dell'ipotalamo (un'area sita nella parte più interna e di difficile accessibilità del cervello, avente un ruolo centrale nei processi cognitivi e di memoria).
In estrema sintesi il metodo consiste nell'inserimento di due coppie di elettrodi sulla cute, da cui partono due scariche elettriche in direzione dell'area di interesse. Data l'alta frequenza di emissione i neuroni lungo il percorso di ciascuna scarica non "rispondono" al segnale che prosegue inalterato fino al "punto di fuoco", in cui converge l'altra scarica. Qui la combinazione delle due genera una frequenza compatibile con la risposta neuronale che quindi verrà attivata in modo estremamente specifico.
In un certo senso non è molto diverso dalla procedura nota come gamma-knife che in oncologia viene usata per generare un impulso letale per le cellule solo nel punto di fuoco di due raggi gamma separati e convergenti.
Altro elemento importante è che mentre la DBS standard impone al chirurgo di spostare gli elettrodi se vuole spostare il bersaglio, nel caso della TIS  è sufficiente che l'operatore modifichi i parametri delle frequenze delle due correnti in modo da spostare il "punto di fuoco" in altra posizione.
Credit: Nir Grossman et al, (2017)


Secondo i ricercatori il prossimo passo sarà affinare la tecnica in modo da renderla capace di operare in qualunque area del cervello si voglia e con qualunque fine (spegnimento o stimolazione dell'attività elettrica dei neuroni). Tra gli obiettivi vi è quello di riuscire a raggiungere l'area nota come nucleo subtalamico, un'area chiave nella sintomatologia del Parkinson.

Articoli precedenti sul tema --> "Una scarica per ricordare" e "TMS per trattare l'anoressia".
Prossimo articolo sul tema --> Stentdrode

Fonte
- Noninvasive Deep Brain Stimulation via Temporally Interfering Electric Fields
 Nir Grossman et al, (2017) Cell, Volume 169, Issue 6, p1029–1041

Risonanza magnetica e lettura del pensiero

L'idea di potere leggere la mente evoca inevitabilmente i maghi delle fiere di un tempo o nei più ansiosi l'esistenza di chip cerebrali con cui i poteri forti controllano il comportamento degli sventurati sotto il loro influsso.
di Sahakian & Gottwald
La verità è che sebbene nella realtà siamo molto lontani dall'immaginario cinematografico, esistono già oggi degli strumenti che permettono di indagare i pensieri del volontario analizzato. Meglio chiarire subito che si tratta di tutto fuorché di strumenti invisibili (occupano una stanza) e capaci di visualizzare su uno schermo l'immagine nitida del nostro pensiero. Si tratta invece del miglioramento di tecniche in uso da qualche anno e che sono ampiamente usate nella diagnostica per immagini, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI). L'indagine scientifica delle potenzialità di questi strumenti, capaci sicuramente di svelare le emozioni e il contenuto "oggetto" dei pensieri, è riassunta nel libro "Sex, Lies, and Brain Scans: How fMRI reveals what really goes on in our minds" scritto a quattro mani da Julia Gottwald e Barbara Sahakian.

Un libro interessante non solo per l'analisi dello stato dell'arte nei modi per rilevare e comprendere i dati della complessa rete neurale ma anche di interrogarsi su quali siano i limiti (intrinseci alla tecnica e quelli eventualmente da fissare) di queste tecniche. Un conto è infatti l'analisi della funzionalità cerebrale (normale e patologica) e un altro è quello di una potenziale invasione della memoria e, perché no, una modifica dall'esterno della stessa (vedi le potenzialità insite nella tecnica nota come Stimolazione Magnetica Transcranica).

Un esempio di analisi al fMRI
Non si tratta di un limite facilmente delimitabile in quanto molti sono i casi in cui il confine potrebbe (e dovrebbe) essere superato; pensiamo alla rimozione o neutralizzazione di memorie "dannose" che è una delle possibilità terapeutiche per le persone affette da stress post-traumatico oppure al monitoraggio delle persone incapaci di comunicare con il mondo esterno e di cui oggi si può solo dire che hanno attività corticale (quindi sono vivi) ma null'altro. O ancora pensiamo ad un modo semplice, veloce e indolore per interrogare un sospetto.

Ed è  proprio alla rilevazione delle bugie, e all'evoluzione dei metodi di indagine, che viene dedicata una parte del libro. Se in una prima fase gli studi si erano focalizzati sulla identificazione delle aree cerebrali attivate durante "la bugia" oggi si è passati all'identificazione vera e propria della bugia usando la fMRI come una macchina della verità "migliorata". Il tutto grazie allo sviluppo di algoritmi capaci di imparare dalle risposte preparative e in grado di tenere conto della variazione di parametri non percepiti nemmeno dal soggetto in esame, come le emozioni che parole o immagini sono in grado di scatenare.
fMRI
Nei test condotti finora si è osservato che gli algoritmi "evoluti" si sono dimostrati in grado di distinguere tra bugie e verità nel 90 % delle risposte contro il 70 % ottenibile con i test alla macchina della verità. Ancora troppo bassa perché abbia un valore legale non solo per il 10 % di falsi positivi o negativi ma soprattutto perché il vero obiettivo è distinguere le memorie  vere da quelle false, queste ultime spesso condizionate dalle proprie credenze. Una persona potrebbe essere veramente convinta di avere commesso un crimine e questa convinzione apparirebbe come reale durante l'analisi.

Non da ultima c'è l'analisi dei limiti oltre i quali queste indagini non possono spingersi se non vogliamo cadere nell'incubo di un Grande Fratello onnisciente. Un problema che per il momento non sussiste dato che gli strumenti per la fMRI sono tutto fuorché invisibili e richiedono per essere utilizzati sessioni di studio di parecchie ore e in fase di immobilità: per impedire la lettura ti basterebbe infatti muoverti appena durante la scansione per rendere illeggibili i dati.

Al netto di queste tematiche c'è sempre da ricordare che la fMRI non è una sfera di cristallo e che c'è ancora molta strada da fare prima che esca dall'ambito clinico o della ricerca. Tuttavia nei sempre più politicamente corretti USA c'è qualche società che ha pensato di usarla per assumere solo persone prive di pregiudizi inconsci verso una qualunque delle minoranze, credenze o mode in voga al momento (è noto infatti che lo spauracchio di cause legali sul luogo di lavoro sono da anni una delle principali cause di licenziamento).

***
Un esempio delle potenzialità della fMRI. Di seguito una comparazione tra l'immagine vista dal soggetto in studio e l'immagine ricostruita al computer semplicemente scansionando l'attività cerebrale

dettagli nell'articolo



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Indurre il sonno REM con un fascio di luce laser

Un ipnotizzatore può farti addormentare ma un fascio di luce laser ben diretto riesce a mandare nel mondo dei sogni i topi.

Tra le tecniche utilizzate da illusionisti e prestigiatori l'ipnosi è quella che in passato ha riscosso maggior successo in quanto non basata su un trucco scenico.
La capacità di indurre nel volontario di turno la "spinta" a fare cose al di fuori della propria volontà (ma fino ad un certo limite), e senza serbarne ricordo, è stata usata anche come elemento narrativo portante in molti film (ad esempio La maledizione dello scorpione di giada di Woody Allen), sebbene sviluppato in modo altamente fantasioso.
Al netto della non partecipazione di complici a queste scenette da palcoscenico, il trucco non è ... un trucco, ma un metodo usato dagli psicologi per fare emergere ricordi traumatici dalle profondità del subconscio di un individuo "preparato" all'uopo attraverso l'induzione di uno stato di trance.
Nota. A differenza di quanto  si crede, le persone sotto ipnosi non sono "spente" ma, al contrario, "iper-concentrate" su una data immagine, auto-creata o suggerita dall'ipnotizzatore, senza esserne cognitivamente consapevoli. Tra le aree cerebrali particolarmente attive durante lo stato ipnotico vi è il precuneo, sito nel lobo parietale superiore e coinvolto nei processi di elaborazione visual-spaziale. Per approfondimenti suggerisco due articoli, uno in italiano (--> su Focus) e uno in inglese (--> What Hypnosis Really Does to Your Brain).
Il miraggio della disponibilità di un interruttore "magico" in grado di attivare o spegnere un dato circuito neuronale legato a ricordi, emozioni o comportamenti ha guidato per anni il lavoro di molti neuroscienziati spinti dalla consapevolezza sperimentale che il modo migliore per valutare la funzione di una data area cerebrale fosse quello di testarne il rapporto causa-effetto, qualunque fosse l'effetto: dal semplice muovere un dito all'induzione di una emozione.
Fino a non molto tempo fa l'unica modalità per esplorare nel dettaglio "chi facesse cosa" nel cervello dipendeva da due approcci, uno clinico (basato sulla correlazione tra lesioni cerebrali e funzionalità alterate) e l'altro sperimentale (basato sull'attivazione/repressione di particolari aree). L'inserimento di microelettrodi nella calotta cranica è un tipico esempio di approccio sperimentale multi-funzionale, utile sia per identificare l'attivazione di una data area (in modalità "sensore") che per indurre una risposta nel soggetto (in modalità "stimolatore"); l'importanza del metodo è tale da essere ampiamente usato dai neurochirurghi sul paziente in sedazione vigile per monitorare la localizzazione di aree funzionali ed evitare così di lesionarle durante l'intervento.
Con gli anni le tecniche si sono affinate (complementandosi più che soppiantandosi) fino a rendere possibile modificare temporaneamente la funzionalità di una area specifica dall'esterno del cranio, come avviene con la stimolazione magnetica transcranica. Un metodo utile, in quanto totalmente non invasivo, ma grossolano quando lo scopo è caratterizzare nel dettaglio la funzionalità di poche decine di neuroni. 
optogenetica
 Ed è qui che entra in gioco una tecnica estremamente potente chiamata optogenetica grazie alla quale è possibile, mediante un fascio di luce coerente portato da microfibre ottiche, modificare l'attività elettrica di neuroni in cui è stato introdotto il gene per un recettore esogeno sensibile alla luce (che funziona sulla falsariga di un fotorecettore retinico); il nome della tecnica riassume il suo modus operandi essendo il risultato di Optical-control e Genetica. Il gene per il fotorecettore può essere inserito in due modi: 1) creando animali transgenici, caratterizzati dal fatto che tutte le cellule possiedono il gene "alieno" ma solo un ristretto numero lo esprime; 2) sfruttando il più moderno e meno costoso trasferimento mediato da virus, che funziona qui come una nave cargo per trasferire (senza mai replicarsi) il gene solo in cellule specifiche (Per informazioni più dettagliate rimando ai siti --> Neuroscience Fundamentals e --> optogenetics.weebly.com).
Pur di fondamentale importanza e incredibile potenza conoscitiva tale metodo ha il grosso limite di essere utilizzabile esclusivamente sui topi, dato che è imprescindibile dall'utilizzo di alterazioni genetiche create ad hoc. L'animale deve infatti possedere neuroni che producono il fotorecettore; una modifica che in condizioni normali non ha alcun effetto sull'animale per il semplice motivo che dentro la calotta cranica non vi è luce e quindi il fotorecettore è costantemente inattivo. Una volta però introdotto un micro-cavo in fibra ottica in grado di illuminare una piccolissima area del cervello, si potrà studiare in modo estremamente dettagliato l'effetto che l'attivazione (o inibizione a seconda del tipo di fotorecettore usato) di uno o pochi neuroni specifici ha su una data funzionalità.
Nota. La variazione di attività del neurone successiva alla illuminazione si basa sulla variazione del potenziale di membrana della cellula conseguente all'attivazione/repressione del fotorecettore. Il gene introdotto codifica in genere per una proteina con funzioni di canale ione-specifico, in grado di aprirsi/chiudersi una volta illuminato. L'apertura del canale permette il rapido transito di un certo numero di ioni sufficiente a depolarizzare (attivare) o iperpolarizzare (inibire) il neurone, inducendo così l'effetto sulla rete neurale a valle.
La procedura in sé è allo stato attuale delle tecnologie di "facile" implementazione con un enorme ritorno da un punto di vista informativo sulla conoscenza del funzionamento del cervello.
Per comprenderne la portata pensate alla quantità (e qualità) delle informazioni ottenibili avendo la possibilità di attivare uno o pochi neuroni tra i miliardi presenti associando poi l'effetto indotto da tale attivazione con anomalie neurologiche umane associate a malattia ad eziologia sconosciuta.

Raggio laser e sonno REM
Se associamo la potenza di questa tecnica allo studio del sonno, un argomento da sempre centro gravitazionale dell'interesse di molti neuroscienziati, arriviamo al tema dell'articolo odierno.

Nella nostra società il numero di persone che soffre di disturbi del sonno è tale che le ricadute socioeconomiche sono rilevanti e non un argomento di mero dibattito accademico. Un problema aggravato dalla sostanziale sottostima del problema sia per le abitudini di vita odierne che per la conoscenza superficiale dei meccanismi neurologici.
L'optogenetica ha permesso ai neuroscienziati dell'università di Berkeley di fare un passo in avanti nel comprendere i meccanismi del sonno trasformandoli in ... tecno-ipnotizzatori. Come?
I ricercatori sono riusciti a mettere a nanna un topo semplicemente usando un fascio di luce laser. O meglio non lo hanno fatto semplicemente addormentare ma hanno indotto la fase del sonno nota come REM.
Nota. REM, acronimo inglese per "rapidi movimenti oculari", è una fase intermittente del sonno la cui durata aumenta mano a mano che ci si avvicina al momento del risveglio. Circa l'80 % del nostro dormire avviene nella fase nota come non-REM caratterizzata da disconnessione sensoriale e bassa attività corticale. I neuroni in questa fase hanno attività intermittente (on/off) che si traduce in ampie onde lente facilmente registrabili con elettrodi posizionati sulla cute del cranio. E' noto che questa attività on/off interferisce con la trasmissione di informazioni tra diverse aree del cervello; da qui la sostanziale disconnessione con l'esterno e il non sognare.
Durante la fase REM, il cervello è invece "quasi sveglio", come evidenziato dall'attivazione della corteccia, sebbene anche qui sconnesso dal mondo circostante mediante una messa in sicurezza grazie alla paralisi totale dei muscoli scheletrici (per evitare di muoversi durante il sogno). In un precedente articolo si era già parlato di come la perdita di tale "messa in sicurezza" sia uno dei tratti predittivi di anomalie neurologiche in fieri (clicca --> "Disturbi del sono come predittori di malattie neurologiche"). Nella fase REM l'attività on/off dei neuroni è concentrata in alcune aree corticali chiave (sensoriali e motorie) e questo spiega perché si sogni pur rimanendo sconnessi e "paralizzati".
L'esperimento
Il punto di partenza è stato creare topi modificati che esprimessero l'interruttore optogenetico nei neuroni GABAergici situati nel midollo allungato, la parte più antica del cervello. Una volta "creato" il sensore è stato sufficiente illuminarlo con una fibra ottica ultra-sottile per indurne (a seconda dell'esperimento e del sensore montato) l'attivazione o la repressione del segnale.
L'attivazione mediata dalla luce induce il sonno REM
Credit: Franz Weberd
Dopo l'attivazione sono bastati pochi secondi per far piombare un topo già addormentato direttamente nella fase REM. La conferma inequivocabile di avere identificato esattamente i neuroni "interruttore" la si è avuta eliminandoli: il sonno REM non compariva più nemmeno durante il sonno naturale.
Particolarmente interessante il fatto che non era solo la capacità di sognare ad essere persa durante il sonno ma anche la paralisi muscolare e l'attività corticale. Per il resto il topo era normale.
Curiosamente se questo interruttore veniva attivato durante la fase di veglia, ad essere stimolato era il senso di fame nel topo; una possibile spiegazione è che tali neuroni siano importanti in attività "piacevoli" come la toelettatura e il mangiare e che essi agiscano in opposizione ad altre cellule di tipo noradrenergiche.

Questi neuroni rappresentano una piccola rete nei circa 70 milioni di neuroni che compongono il cervello di un topo (Suzana Herculano-Houzel et al, PNAS, 2006) e i circa 20 miliardi nell'Homo sapiens (Steven M. Platek et al, 2009), ma sufficienti per prendere la decisione di indirizzare la regolare la comparsa del sonno REM.

E' certo che le informazioni ricavabili da questi studi permetteranno di capire più in dettaglio le problematiche legate al sonno negli esseri umani, identificando dove possibile le cellule su cui agire in modo selettivo con nuove terapie mirate.



Fonte
- Control of REM sleep by ventral medulla GABAergic neurons.
Franz Weber et al, Nature (2015) 526, pp. 435–438
- Researchers find neural switch that turns dreams on and off
UC Berkeley/news


Qualche scarica ... per ricordare

Il caro vecchio elettroshock a dispetto della pessima fama acquisita negli anni '60 trova nuovi seguaci. Chiariamo NON si tratta di reiterare l'utilizzo di un metodo tristemente noto grazie  alla visione di film come "Qualcuno volò sul nido del Cuculo". Il principio è lo stesso ma le modalità di esecuzione sono ben diverse: sotto anestesia; a minor intensità e con un rigoroso monitoraggio dei parametri fisiologici.
Un approccio concettualmente simile (scariche elettrica per variare l'attività neuronale) è quello basato sull'utilizzo di elettrodi sottilissimi posizionati a diretto contatto con il bersaglio e di un generatore (poco più grande di una scatola di fiammiferi), posizionato esternamente o sottocute, dotato di una ampia autonomia (superiore all'anno e quando necessario ricaricabile mediante trasduzione magnetica).
I risultati ottenuti nel corso degli anni con questi strumenti sono più che lusinghieri e spaziano su diversi fronti: dalla terapia del dolore al Parkinson fino al miglioramento delle capacità mnemoniche (vedi in proposito gli studi di Itzhak Fried del Cognitive Neurophysiology Laboratory presso la UCLA). 
Se nel caso della terapia del dolore la stimolazione è a livello spinale, nel caso si voglia agire sulle funzionalità cognitive il bersaglio sarà ovviamente cerebrale e la tecnica conosciuta come Deep Brain Stimulation. Mediante la somministrazione di scariche elettriche in aree specifiche del cervello si è riusciti a migliorare le performance cognitive in pazienti nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, aprendo così un nuovo percorso per il trattamento sintomatico di patologie neurodegenerative e/o del dolore cronico, attualmente non trattabili.

Maggiori informazioni sull'argomento sono reperibili sul sito della UCLA.

Ti potrebbe anche interessare --> "Bio-robot e chip per la memoria umana".
Articolo successivo sul tema Alzheimer --> "Terapia anti-androgenica e rischio Alzheimer".
Sulla stimolazione transcranica --> "Un approccio neurologico contro l'anoressia"
Possibile leggere il pensiero con la scansione attività cerebrale? --> QUI


 Fonte
-  Memory strengthened by stimulating key site in brain
UCLA/news (2012)
- Deep brain stimulation for enhancement of learning and memory.
Neuroimage. 2014 Jan 15;85 Pt 3:996-1002
-  Trattamenti Chirurgici: la DBS - Deep Brain Stimulation
Parkinson Italia onlus e Istituto Clinico Humanitas

Per chi volesse approfondire l'argomento in modo professionale
L'edizione più "economica" è quella del 2012 --> Deep Brain Stimulation


Stimolazione transcranica per combattere l'anoressia

L'anoressia è una disfunzione di tipo neurologico che getta le sue basi, spesso, con la banale decisione di perdere i chili di troppo (veri o presunti che siano) ma che può degenerare in disturbi comportamentali fobici nei confronti del cibo in generale insieme alla dissociazione percettiva tra la realtà della propria forma fisica e quella "vista" allo specchio; in altre parole il soggetto anche quando chiaramente sottopeso vedrà una immagine distorta di sé come se si osservasse attraverso uno specchio deformato.
Il fatto che sui milioni di persone attenti alla dieta vi sia solo una percentuale decimale di soggetti affetti da un disturbo alimentare compulsivo, è indice che non si tratta solo della conseguenza di una moda ma che ci sono soggetti più a rischio di altri (per età, cultura, sesso e condizione psicologica) di ammalarsi. Le fasce più a rischio sono le ragazze tra i 15 e 25 anni, a causa sia dei cambiamenti fisiologici del corpo durante l'adolescenza che delle aspettative (proprie o altrui) di conformità ad uno standard creato dai media.
Il percorso di recupero non è breve né esiste un approccio universalmente valido. Perché abbia successo è necessaria sia la collaborazione fattiva del malato che un approccio multidisciplinare gestito da professionisti diversi tra cui psicologi, nutrizionisti e medici; gli approcci fai da te sono fortemente sconsigliati per il semplice motivo che l'anoressia è una malattia e non un "capriccio" e come tale va trattata in modo clinico.
Il tasso di mortalità "prematuro" riconducibile alle disfunzioni organiche indotte dall'anoressia è superiore al 20 per cento. Un numero che però sottostima le complicanze di lunga durata (sia mediche che sociali) che l'anoressia inevitabilmente produce; dall'osteoporosi ai danni a denti e gengive, dall'interruzione del ciclo agli scompensi cardiaci fino alla estesa gamma dei problemi sociali e, perché no, di efficienza sul lavoro o nello studio.

Un aiuto alla terapia comportamentale potrebbe venire dalla modulazione di specifici circuiti cerebrali in modo assolutamente non-invasivo, grazie alla stimolazione magnetica transcranica (TMS). Il metodo in sé è stato approvato dalla FDA americana in diverse situazioni in cui la chimica farmaceutica o altri approcci non si siano dimostrati risolutivi. Il concetto è semplice e si basa sulla capacità di un campo magnetico di indurre una corrente elettrica locale; dato che i circuiti neuronali si basano sulla trasduzione del segnale con un susseguirsi di chimica (neurotrasmettitori) e corrente elettrica (potenziali di azione), la possibilità di fare un reset o di rimodulare circuiti neurali con attività anomala è apparsa da subito come un approccio molto interessante in disturbi neurologici resistenti ai trattamenti chimici (ad esempio la depressione).
Il metodo è assolutamente non invasivo. Attorno alla testa del paziente viene posta una bobina di ceramica all'interno della quale viene fatta circolare della corrente che crea un campo magnetico il quale influenzerà l'attività elettrica dei neuroni bersaglio. Il trattamento dura in genere 10' e il paziente non percepirà nulla, se non in alcuni casi un arrossamento della cute. Il numero di sedute complessive è variabile (7-10 nel caso della depressione resistente ai farmaci). L'accuratezza della zona trattata viene facilitata dal monitoraggio mediante risonanza magnetica. Diversa cosa è la stimolazione cerebrale profonda (elettrica) che necessita di posizionare un elettrodo all'interno del cervello, condizione questa necessaria in quelle patologie in cui le regioni coinvolte sono troppo in profondità (esempio di utilizzo --> Parkinson)
 I potenziali vantaggi della TMS nel trattamento dell'anoressia nervosa sono stati illustrati in un articolo pubblicato sulla rivista PLoS ONE da un gruppo del King's College di Londra. Si tratta del primo studio randomizzato per valutare i rischi-benefici della TMS nella terapia dell'anoressia.
La zona bersaglio della stimolazione è la corteccia prefrontale dorsolaterale, l'area alla base della pianificazione e organizzazione dei comportamenti complessi e delle capacità cognitive superiori.

I risultati mostrano che una singola sessione di TMS induce un rilassamento della "urgenza" di limitare l'assunzione di cibo e un minor senso di sazietà, della percezione di "grassezza" e delle fobie correlate, facilitando nel contempo un processo decisionale "logico" che incoraggia la paziente a continuare le terapie ricostituenti.
L'effetto "percettivo" è stato testato in due tempi, 20' e 24h dopo il trattamento, esponendo le pazienti a stimoli visivi di cibi appetitosi e chiedendo loro di valutare sia l'aspetto percettivo (sapore, odore e aspetto) che la voglia di mangiarli.
La capacità decisionale è stata anche valutata in senso più esteso monitorando l'intensità dei comportamenti prudenti e di lungo periodo rispetto a quelli di gratificazione istantanea. Anche qui si è osservato che rispetto al placebo le scelte erano spostate verso quella di lungo periodo, ad indicare una maggiore attività del controllo prefrontale.
I risultati sono da considerarsi preliminari in quanto il numero di soggetti testati è troppo basso perché si possa ricavare una statistica affidabile.
E' tuttavia un passo in avanti nello sviluppo di terapie adatte ad una piaga sempre più diffusa nelle ragazze e giovani donne.

Video riassuntivo dello studio (by King's College London)



Fonte
- A Randomised Controlled Trial of Neuronavigated Repetitive Transcranial Magnetic Stimulation (rTMS) in Anorexia Nervosa 
Jessica McClelland et al,  PLoS ONE, (2016) 23;11(3)

Indurre il movimento in un altro individuo con il solo pensiero? Tecnicamente fattibile

Ricercatori dell'Università di Washington hanno sviluppato il primo collegamento non invasivo tra i cervelli di due esseri umani.
In parole povere sono riusciti a fare si che l'output/ordine "cerebrale" connesso all'atto di muovere una mano proveniente dal soggetto A, registrato e trasmesso via internet, potesse essere captato e decodificato dal soggetto B che, con sorpresa, si trovava a muovere la propria mano.

Non preoccupatevi, non sono diventato improvvisamente un fan della parapsicologia e dell'arte di piegare i cucchiaini con il pensiero. La notizia si riferisce alle innovazioni, non meno strabilianti, che in futuro permetteranno di usare il pensiero per facilitare attività lavorative (ad esempio mediante il controllo di esostrutture) e/o per rendere più semplice la vita delle persone disabili.

L'esperimento è stato condotto presso la University of Washington a Seattle, dal duo Rajesh Rao (professore di ingegneria e informatica) e Andrea Stocco (professore associato), uno dei tanti italiani che hanno scoperto all'estero la possibilità di realizzare l'irrealizzabile in Italia.
Diagramma riassuntivo dell'esperimento (®Rajesh Rao, Un. of Washington)

La tecnologia alla base dell'esperimento si fonda su tecniche non invasive quali la registrazione della attività elettrica cerebrale nel soggetto A, seguita dalla trasmissione dei dati via web ed infine la "consegna", mediante stimolazione magnetica, dell'ordine impartito al soggetto B (Andrea Stocco) localizzato in un altro edificio del campus. Il tutto grazie ad una "cuffietta" dotata di sensori/trasduttori del segnale.
Risultato: in risposta al comando mentale del responsabile del progetto, Rajesh Rao. il dito (non un dito a caso) di Stocco inizia a muoversi sulla tastiera. 
Fossimo in Italia si potrebbe pensare ad un condizionamento psichico indotto dal ben noto rapporto barone/aiutante ma fortunatamente questo non è il caso. A parte le battute (tristi ma vere) non bisogna sottovalutare quello che ad un primo sguardo potrebbe apparire come un risultato banale: "muovere un dito".
Questo "semplice" risultato è la somma di una serie di eventi tutt'altro che semplici quali captare, codificare  trasportare e quindi "consegnare" l'ordine mentale (il pensiero di un movimento).
E' bene precisare che non si tratta di esperimenti del tutto nuovi visto che in precedenza i ricercatori della Duke University avevano dimostrato la fattibilità sperimentale nei ratti, mentre i ricercatori di Harvard avevano visto che era possibile "connettere" un umano e un ratto. Quello della Washington University è tuttavia il primo esperimento documentato di interfacciamento uomo-uomo.

Quello che segue è il video che documenta l'esperimento. Si tratta della versione "breve" per rendere il senso sperimentale. La descrizione completa dell'esperimento è visibile sul link riportato a fondo pagina.

Alcune note tecniche sull'esperimento.
Entrambi i ricercatori sono dotati di una cuffietta con elettrodi, ma con alcune differenze importanti. Mentre quella di Rao è stata progettata per rilevare i segnali elettrici (come in una elettroencefalografia), la cuffietta del ricevente è dotata di una bobina, posizionata sopra la corteccia motoria, necessaria per tradurre il segnale in una stimolazione transcranica. Il suo effetto (cioè quali neuroni vengono attivati) dipende da dove la bobina viene posizionata. Il posizionamento della bobina nell'emisfero sinistro indurrà una azione sul lato destro del corpo (e viceversa).
Nell'esperimento Rao guarda un videogioco e immagina (senza muovere le mani) di effettuare un movimento con la mano, tipo premere "enter".
Attenzione! Immagina solo di premere il tasto, quindi il nervo e i muscoli dedicati non vengono stimolati.
 In contemporanea a questo pensiero di azione, Stocco, posizionato in un altro edificio e isolato dal rumore ambientale, inizia a muovere il dito.
"La sensazione provata", afferma Stocco,"è simile a quella di un tic involontario, una azione su cui io non avevo controllo. Quasi come la "fusione mentale" di vulcaniana memoria".
Precisa Rao, " In un certo senso è stato eccitante e inquietante potere guardare un'azione immaginata dal mio cervello ma trasferita e tradotta in una azione reale da un altro cervello. Ovviamente non è nemmeno lontanamente paragonabile alla fusione mentale [di cui parla Stocco] visto che qui non sono i pensieri ad essere captati ma ordini legati al movimento. Ordini molto semplici e ben definiti".

Prospettive.
Il limite sperimentale intrinseco nell'esperimento è nella unidirezionalità del flusso. Il prossimo passo sarà quello di una interazione bidirezionale tra due individui (cervelli).
Un giorno si potrebbe addirittura arrivare ad interfacciarsi in caso di emergenza (e SEMPRE mediante strumentazioni apposite) al personale di volo non abilitato alla guida di un aereo per fare atterrare il velivolo per indisponibilità del pilota.
Fantascienza? Solo per ora.

(Articolo precedente nel blog sul tema "lettura" del pensiero, qui)


Fonti
- Direct Brain-to-Brain Communication in Humans: A Pilot Study
University of Washington, pagina di Rajesh Rao, qui 

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