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Visualizzazione post con etichetta parassiti. Mostra tutti i post
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E se la prossima pandemia venisse da un fungo?

E se la prossima pandemia (perché ci sarà) venisse da qualcosa di ben diverso da un virus, il parassita per antonomasia, ad esempio da un fungo?
Questo è l’argomento che esplora il libro “Blight: fungi and the coming pandemic”. Non un romanzo ma un saggio scientifico che esplora una minaccia emergente per la salute pubblica figlia sia della globalizzazione che del riscaldamento globale.
In verità non si tratta di una minaccia mai sentita essendo stata descritta sia in videogiochi/serie TV (The last of us), che in libri di SF (The Genius Plague). Ma, come si suol dire, la realtà supera di molto la fantasia come ben evidente in Natura, dove abbiamo funghi che zombificano le formiche  per renderle vettori di disseminazione delle spore o, in tutt'altro scenario, l’ecatombe dei castagni americani, descritta anche nel bel libro di bryson “Una passeggiata nei boschi”.

Delle formiche zombie ne ho scritto in dettaglio in un precedente articolo a cui vi rimando (vedi QUI), mentre sui castagni ne riassumo ora gli eventi.
Nell’estate del 1904 i castagni americani (Castanea dentata) del Bronx, dove ha sede il famoso zoo, cominciarono a mostrare evidenti alterazioni. Le foglie, tipicamente sottili e di un verde brillante, mostrarono prima bordi arricciati per poi diventare gialle; su rami e tronchi comparirono in alcuni casi strane chiazze color ruggine. Dal momento della rilevazione dei primi sintomi fu sufficiente 1 anno perché tutti tutti gli alberi di castagno nei dintorni risultassero moribondi. Passa qualche decennio (siamo intorno al 1940) e tutti i castagni americani nativi (siti nella zona orientale degli USA, lungo la catena degli Appalachi) erano oramai morti o moribondi.
Un castagno infetto
Il colpevole era un fungo (Cryphonectria parasitica) causa del cancro corticale del castagno, importato casualmente insieme ad esemplari di castagni giapponesi.
I castagni americani sono invece più resistenti ad un altro fungo, Phytophthora cambivora, di cui soffrono i castagni europei e che causa il cosiddetto mal dell'inchiostro.
I castagni giapponesi, evolutisi per contrastare un parassita endemico, funsero da "portatori sani" del fungo che una volta approdato nel nuovo mondo si trovò di fronte delle "vittime" prive di difese finendo così per soccombere, tranne in alcune aree isolate (lontane dalla minaccia fungina) come il Rock Creek Park.
Nelle foreste un tempo dominate da castagni maestosi, alti come un edificio di 9 piani, sopravvivono (a tempo) alcuni castagni immaturi nati dalle radici ancora vive di alberi morti. Purtroppo per loro questi germogli non hanno alcuna speranza di sopravvivere fino all’età adulta per svettare; il fungo è ancora lì pronto a colonizzare gli alberelli nel momento in cui germogliano.

Il destino del castagno americano è solo un esempio della devastazione che i funghi possono provocare,
Il libro prima menzionato ci offre un resoconto illuminante, e a volte macabro, delle malattie fungine che minacciano pini, banane, rane, pipistrelli e, sempre più, le persone.
Sia chiaro, non tutti i funghi sono nocivi come ben dimostrano le forme commestibili (o che aiutano nella preparazione di cibi e bevande come i lieviti) e soprattutto i funghi saprofiti, fondamentali nella decomposizione degli organismi morti, rimettendo i circolo gli elementi essenziali per la vita. Ad esempio il legno degli alberi defunti, tra i materiali più resistenti alla decomposizione, rimarrebbe li per “sempre” se non fosse per l’azione combinata di di batteri e (su tutto) funghi.
Il problema è quando organismi non autoctoni si trovano trapiantiati (trasportati insieme alle merci) in posti in cui non hanno né nemici naturali né competitori. Se questo vale per animali e piante “aliene”, vale ancora di più per organismi microscopici ben più difficili tra controllare. Le conseguenze possono essere catastrofiche
Esempi in tal senso (dette specie aliene ... per un dato territorio) sono purtroppo innumerevoli e vanno dallo scoiattolo grigio al pitone in Florida (ne ho scritto QUI), dai gamberetti ai funghi, ... . QUI un elenco più esaustivo.

Fortunatamente*, noi mammiferi siamo troppo caldi per essere appetibili per la maggior parte dei funghi. Un dato ben evidente da chi ha esperienze di laboratorio, che sa che i funghi crescono preferenzialmente a 30 gradi, mentre le cellule di mammifero e i batteri di uso comune (derivati non a caso da ceppi colonizzanti l’intestino, come E. coli) necessitano di 37 gradi. I nostri corpi sono l’equivalente della Valle della Morte per molti funghi. Laddove le condizioni siano "permissive" per i funghi, ecco che gli animali sociali come formiche e termiti applicano procedure di rimozione drastiche per gli infetti.
* una affermazione che è implicitamente vera, ricalcante il famoso principio antropico: se non fosse così (i funghi non avessere questo punto debole) noi non saremmo qui a parlarne ma come mammiferi saremmo diventati loro cibo preferito fin dai tempi della comparsa del "sangue caldo" nei vertebrati
Altro ostacolo per i funghi viene dal nostro sistema immunitario abile (ancora, ha DOVUTO diventarlo) nel riconoscere e respingere i potenziali invasori fungini che nella maggior parte dei casi rimangono confinati nella loro azione su mucose, cute e unghie). Protezione che dura almeno fintanto che il sistema immunitario funziona a dovere come ben sanno le persone con immunodeficienze esposte ad attacchi molto pericolosi da parte di funghi come la Candida che nei soggetti sani sono al più un fastidio.

Ma non si tratta di una protezione perenne come la certezza che un batteriofago (virus batterici) che per quanto abbondanti ( nel mare se ne possono trovare fino a 10^7 fagi/ml) non potranno mai e poi mai, qualsiasi siano le mutazioni, diventare capaci di infettare una cellula eucariote.

I cambiamenti climatici sono oggi una variabile di cui si deve tenere conto. Il riscaldamento globale ha già reso possibile la migrazione di specie in territori prima a loro preclusi (vedi il mar mediterraneo e le specie tropicali) e i funghi potrebbero essere forzati ad adattarsi a temperature più elevate, diventando così meno “intolleranti” alle nostre temperature.
Cito la Candida auris che nell’ultimo decennio si è adattata diventando capace di infettare le persone fino a diventare un fattore di rischio concreto nelle strutture sanitarie (vedi qui), già prone per loro natura a facilitare la selezione e diffusione dei superbatteri. Anche altre infezioni fungine umane, come la coccidioidomicosi potrebbero presto seguire in questo adattamento.
Un rapido sguardo sulle pandemie fungine che oggi colpiscono altre specie ci offre una lezione sul loro potenziale effetto devastante, se avvenissero in tempi rapidi, senza dare il tempo al “bersaglio” di sviluppare contromisure.
Chiaro che, in un arco di tempo sufficiente, le piante e gli animali colpiti possono adattarsi per gestire meglio i nemici fungini come avvenuto per le rane nel Parco Nazionale di Yosemite, che nonostante siano infette non mostrano più i segni della malattia, oppure i pini dalla corteccia bianca (Pinus albicaulis) degli Stati Uniti occidentali che, a differenza dei cugini pini bianchi della costa orientale,  hanno geni per la resistenza alla malattia nota come ruggine del pino bianco (endemica nell'area da circa un secolo)

Potrebbe aiutare anche l’ausilio di tecniche di ingegneria genetica, come stanno cercando di fare alcuni ricercatori, mediante l’inserimento di geni per la resistenza presi dai resistenti (come i castagni giapponesi) per inserirli nei cugini americani,

In caso di pandemia umana potremmo non avere il tempo necessario per "adattarci" e di sicuro non potremmo godere di tecniche di ingegneria genetica per renderci resistenti. Quindi meglio che non accada


Libri suggeriti sul variegato universo dei funghi ... a cominciare da "Funghipedia"


Formiche zombie. Il risultato di una lotta tra formiche e funghi vecchia di milioni di anni

[originale 08/2013. Aggiornato 09/2023]
Ogni giorno, da milioni di anni, le formiche operaie lasciano il nido la mattina e con le compagne vanno alla ricerca di cibo e di materiali utili. 
Ogni giorno, nelle zone tropicali, all'interno di questo flusso ininterrotto di pendolari potremmo scorgere delle formiche che invece di muoversi speditamente sui rami, vagano senza meta apparente e in modo goffo, inciampando di frequente. 
Ogni giorno intorno a mezzogiorno queste formiche "confuse", come in risposta ad un rintocco lontano, seguiranno un preciso programma comportamentale che le condurrà alla fase finale della loro vita di "non morti". Si agganceranno con le mandibole alla parte inferiore di una foglia posta a circa 25 cm di altezza dal suolo e in coincidenza con una vena succosa, e lì moriranno.
Formica zombificata da cui esce il fungo che dissemina le sue spore sul terreno sottostante... pronte per colonizzare altre formiche (image: Kim Fleming via Wired)
Ho usato non a caso il termine "non-morte" per queste formiche. Si tratta di formiche infettate, e oramai condannate, i cui movimenti sono controllati da un organismo parassita. 

Torniamo alla scena della formica che si aggancia alla foglia e li, con la mascella bloccata, si lascia morire. Come in una variante della serie "Alien", pochi giorni dopo l'infezione dalla testa della formica emergerà il gambo di un fungo che giunto a maturazione rilascerà nell'area sottostante le spore. Ogni tanto qualcuna di queste spore verrà raccolta dalle formiche di passaggio e questo perpetuerà il ciclo infezione - "zombificazione" - diffusione delle spore.

A scrivere una trama del genere in un libro di fantascienza-horror si correrebbe il serio rischio di sfidare l'incredulità del lettore, ma come scrisse qualcuno anni fa "solo dalla letteratura si pretende la verosimiglianza, la vita è di per se molto più incredibile".

Il fenomeno sopra descritto è ben documentato da anni. Il termine di formiche-zombie per le formiche infettate è dovuto al loro essere del tutto prive del controllo dei movimenti, quasi come dei morti che camminano. Le prime descrizioni presenti nella letteratura scientifica risalgono al 19mo secolo e furono documentate in Indonesia da Alfred Russell Wallace.

Il termine "zombie", tuttavia, pur suggestivo non è del tutto corretto (a meno di non usare come riferimento i zombie-rabbiosi ma vivi de "La città verrà distrutta all'alba" di George Romero). Non si tratta infatti di formiche resuscitate dalla morte ma di un meccanismo parassitario fungino estremamente sofisticato che opera prendendo il comando del sistema nervoso della formica in modo da trasformarla nel terreno di coltura ideale per la propria crescita. Una volta che il fungo ha preso il controllo, "costringe" la formica a cercare la posizione ideale (per il fungo ovviamente), e lascia la formica a morire. Quello che serve al fungo ora è procedere spediti nella fase finale della maturazione, una fase in cui l'integrità strutturale della formica non è più importante.
La posizione della formica e l'altezza della foglia sono entrambi ideali visto che si trovano ad una altezza sufficiente dal suolo perchè le spore possano diffondersi facilmente nella zona senza che le altre formiche si accorgano del pericolo.
Primo piano del fungo che emerge dalla parte posteriore della testa (®David Hughes, Penn State University)

Credit: Nat. Geogr.

Gli attori di questa danse macabre sono il fungo Ophiocordyceps (un parassita obbligato) e le formiche carpentiere del genere Camponotus. Un duetto che continua da milioni di anni (le tracce fossili nell'ambra fanno pensare ad una disfida che dura da almeno 48 milioni di anni) e che, ovviamente, ha visto la nascita di rapporti specifici fra molte specie di funghi e altrettante specie di formiche. In un articolo del 2011 pubblicato sulla rivista PLoS ONE, i ricercatori  Harry EvansSimon Elliot e David Hughes del Dipartimento di Biologia Animale presso l'Università Federale di Vicosa in Brasile, hanno descritto quattro nuove specie del fungo Ophiocordyceps trovate in un piccolo tratto di foresta pluviale nel sud-est del Brasile. Ognuna di queste specie di funghi parassita solo una delle specie di formiche Camponotus, a denotare un elevato grado di specializzazione.

Non è tutto. Un ecosistema naturale in equilibrio prevede che i predatori siano loro stessi soggetti alla possibilità di essere predati. In questo caso il fungo stesso può essere parassitato da altri funghi.
Ricercatori danesi (Andersen et al, PLoS ONE, maggio 2012) hanno trovato sul cadavere di una formica parassitata una specie di fungo del tutto diversa. Questo ulteriore parassita, detto iperparassitaimpedisce al fungo originale di emettere le sue spore, di fatto sterilizzandoloL'iperparassita sfrutta quindi il primo parassita, e si riproduce al suo posto. Non stupisce quindi che anche questi iperparassiti abbiano una forte preferenza sul tipo di organismi da parassitare e siano essi stessi dei parassiti obbligati.
Oltre ai funghi i ricercatori hanno trovato anche piccoli insetti della famiglia Cecidomyiidae intenti a deporre le uova nel cadavere della formica infetta. Le larve crescendo si nutriranno del fungo.
Un vero e proprio micro-ecosistema che in ultima analisi ha permesso alle formiche di sopravvivere. Dato che il secondo fungo impedisce la sporificazione del primo, il numero di spore da esso prodotte (quindi la capacità di infettare le formiche) viene fortemente ridimensionato. La formica in se è diventata la "irrilevante" vittima sacrificale che garantisce la sopravvivenza delle sue sorelle. L'iperparassita infatti NON è in grado di infettare direttamente le formiche.
 David Hughes, professore associato di entomologia e biologia alla Pennsylvania State University, ha aggiunto in un articolo del 2011 su Ecology BMC, nuovi dettagli sulla fase infetta della vita della formica. I primi indizi di una infezione in atto si hanno quando la formica si allontana, barcollando come fosse ubriaca, dalla zona asciutta e elevata di un albero per dirigersi verso quella più umida del suolo. Il movimento della formica appare casuale e sono frequenti le convulsioni che la fanno cadere. 
Ed è in questo frangente che la formica smette di essere tale. Non è più una formica! 
Nel momento stesso in cui appaiono i sintomi, questi sono la conseguenza dell'attivazione dei geni fungini che hanno preso possesso del sistema nervoso della formica e la guidano come un oggetto telecomandato. Della formica a questo punto esiste solo il corpo. Come se il sistema operativo della macchina vivente formica fosse stato cancellato e al suo posto fosse stato caricato quello di un programma hacker. Da qui la denominazione zombie usata per i computer sotto controllo di malware esterni. 
Secondo Harry Evans il responsabile diretto del controllo è una tossina prodotta dalle cellule fungine. Dall'analisi della formiche nelle diverse fasi del processo infettivo si è in effetti scoperto che al momento della comparsa del movimento scoordinato, le cellule fungine hanno di fatto colonizzato la testa dell'insetto. Una disseminazione per nulla casuale visto che il cervello in gran parte rimane libero, così come le ghiandole e i muscoli. Le cellule fungine si distribuiscono in modo altamente specifico, così da controllare e condizionare; una distribuzione molto diversa da quella che ci si aspetterebbe se fosse in atto una "semplice" invasione dei tessuti da parte di un parassita.
Tutto è finalizzato a rendere la fase di sporificazione la più efficiente possibile. 
La posizione, l'ora, la modalità con cui la formica si aggancia alla foglia e perfino l'orientamento (invariabilmente nord-nordovest) sono il risultato della attività fungina, un comportamento totalmente assente nelle formiche sane.
Un esempio chiarificatore. E' sempre il fungo che induce l'atrofia delle cellule muscolari della mandibola; di conseguenza quando la formica "morderà" come ultimo atto la vena della foglia nel cosiddetto "aggancio mortale" la mandibola si bloccherà definitivamente lasciando la formica li a morire (entro 6 ore), il fungo a germogliare (due-tre giorni dopo) e le spore a diffondersi da una posizione ideale.
Dal momento in cui inizia a germogliare alla maturazione completa passano alcune settimane. Una crescita relativamente lenta che può interrompersi e reiniziare in un secondo momento.

Di seguito un video prodotto dalla PennState sulle formiche "zombie".

Un secondo video prodotto dal famoso documentarista Richard Attenborough e dalla BBC.
Perchè un meccanismo così complesso per infettare le formiche? In fondo al fungo basterebbe che la formica infettata morisse all'interno del nido, facilitando la diffusione delle spore a tutte le sorelle. questo avverrebbe senza dubbio se non fosse che i le formiche hanno una attenzione maniacale per l'igiene del loro formicaio. I ricercatori hanno ipotizzato che quella del fungo sia stata una contromossa evolutiva per evitare di essere "smaltito" come sporcizia. Ogni formica malata o deceduta viene infatti prontamente uccisa o rimossa dal nido. Un comportamento che impedirebbe di fatto al fungo di germogliare e di infettare nuove formiche. Il fungo porta la formica laddove la maturazione potrà avvenire senza inconvenienti ma in un luogo prossimo al tragitto quotidiano delle sue consimili.

Una lotta quella tra funghi e formiche che risale quasi all'epoca dei dinosauri. La prova, come accennato prima, è in un dato pubblicato nel 2010 su Biology Letters, in cui si descrive una foglia fossile trovata in Germania vecchia di 48 milioni, che porta le cicatrici distintive di un morso di formica sulla sua vena principale. Un'epoca in cui il clima del territorio tedesco era tropicale.
I ricercatori hanno descritto la scoperta come "il primo esempio fossile di un comportamento manipolato". 


Sia Evans che gli altri ricercatori coinvolti continuano la loro caccia alla ricerca di organismi opportunisti sempre più bizzari.
Studiare le formiche-zombie ed i funghi responsabili non è un semplice esercizio scientifico (anche se questa definizione è incomprensibile per chi non si occupa di scienza). Ogni informazione ottenuta su questi ecosistemi complessi potrebbe infatti fornire nuovi strumenti naturali per lo sviluppo di trattamenti naturali contro i parassiti in agricoltura.

Un altro esempio di variazione comportamentale indotta da un parassita lo si ha con la malaria. Non solo il plasmodium altera la percezione olfattiva della zanzara rendendola più o meno "mordace" sugli esseri umani a seconda dello stadio di sviluppo del protista, ma si è evoluto "spingendo" la zanzara ad acquisire sempre più abitudini alimentari diurne rispetto al classico comportamento notturno. Le conseguenze sono state pesanti per le persone che vivono in un ambiente dove la malaria è endemica, a causa della perdita di efficacia delle reti protettive notturne poste intorno ai letti che avevano contribuito nel ridurre di molto le nuove infezioni. 
Se pensate che la manipolazione del comportamento causata da un parassita non riguardi noi vertebrati, l'esempio tipico sono i topi infettati dal Toxoplasma Gondii che fa li rende indifferenti alla presenza dei gatti ... con conseguenze facilmente immaginabili. Il vantaggio del parassita è che favorendo la predazione del loro ospite murino potranno infettare i gatti, condizione essenziale per completare il loro ciclo riproduttivo. Ma i gatti vivono a contatto con noi, e il toxoplasma non si fa problemi a 1) infettarci e 2) a alterare il nostro comportamento.
L'effetto dell'infezione da toxoplasma sul comportamento umano
Per articoli sul curioso fenomeno di simil-zombie in natura (senza nulla di soprannaturale) --> QUI

Fonti
Zombie Ants Have Fungus on the Brain, New Research Reveals
 PennState, news  

Fungus that controls zombie-ants has own fungal stalker
  Nature (2012) doi:10.1038

"Zombie Ant" Fungus Under Attack—By Another Fungus
  National Geographic News, May 4, 2012

Hidden Diversity Behind the Zombie-Ant Fungus Ophiocordyceps unilateralis: Four New Species Described from Carpenter Ants in Minas Gerais, Brazil
Evans HC et al, PLoS ONE 6(3), 2011

-  Disease Dynamics in a Specialized Parasite of Ant Societies.
 Andersen SB et al, PLoS ONE 7(5), 2012

Undead-End: Fungus That Controls Zombie-Ants Has Own Fungal Stalker
  Scientific American, October 29, 2012

Anche l'esercito in guerra contro i vampiri volanti

 L’università della Florida difende i soldati dalle zanzare.

Nell’ambito di un progetto finanziato dal programma Deployed Warfighter Protection del dipartimento della Difesa, i ricercatori hanno lavorato ad un sistema di protezione che non richieda calore o elettricità o l’essere applicato sulla pelle. 
Tra i rischi del mestiere di soldato c’è anche l’operare in ambienti ricchi di insidie volanti o acquatiche. Le zanzare sono il miglior esempio di organismi universalmente detestati contro i quali si provano da anni rimedi che vanno da quello tramandato dalla nonna a braccialetti con (improbabili) funzioni di amuleto. Quando questi rimedi devono essere usati dai soldati è evidente che devono essere privi di effluvi che li rendano individuabili.
Il nuovo dispositivo sperimentale, che un giorno magari sarà presente anche nelle tasche dei civili, è a forma di tubo e lungo circa 2,5 cm. Contiene due tubi più piccoli riempiti di un insetticida potente ma sicuro per chi non è una zanzara, la transflutrina.
Credit: University of Florida
I test sono consistiti nell’installare 70 di questi dispositivi all'interno di un grande accampamento militare, seguiti dall'immissione nell’area diverse specie di zanzare allevate allo scopo. I risultati sembrano positivi nel senso che entro 24 ore dall’inizio i vampiri volanti sono stati respinti o annientati e la protezione è durata per 1 mese. 
Vantaggio principale l’avere eliminato la necessità di spruzzare l’insetticida nell’area contaminando così le piante circostanti e, a cascata, gli impollinatori e altri insetti. 

Fonte
Small, convenient mosquito repellent device passes test to protect military personnel


Di seguito due articoli pubblicati precedentemente sul tema "lotta ai vampiri volanti". Li ripropongono tali e quali per comodità di lettura

***

Le zanzare ti troveranno. Sempre.
 Le basi neurologiche della loro efficienza 
Tempo fa avevo affrontato il tema delle basi scientifiche (spesso assenti) di alcuni rimedi antizanzara, palesando la difficoltà intrinseca nel difendersi da questi vampiri volanti (l'articolo è riportato in calce al presente).
Oggi torniamo sul tema per grazie ad un articolo pubblicato poche settimane fa sulla rivista Cell, centrato sulla neurofisiologia del sistema di rilevamento umano delle zanzare. 

Quando le zanzare femmina cercano un essere umano da usare come autogrill, si basano sulla rilevazione di un cocktail unico di odori corporei che noi diffondiamo. Le molecole "odorifere" stimolano i recettori  presenti nell'antenna delle zanzare attivando a cascata il segnale che dirotta la sanguisuga volante verso il bersaglio.
Modalità d'azione dei repellenti per insetti. (A) Artropodi come le zanzare usano segnali chimici (in verde) per trovare un ospite e nutrirsi. I repellenti topici (in rosso) agiscono a distanza ravvicinata o al contatto interrompendo il comportamento di attrazione. I repellenti spaziali esibiscono il loro effetto a distanze molto maggiori. (B) Alcuni repellenti come il DEET (N,N-diethylmeta-toluamide) interagiscono con più gruppi di recettori sensoriali (recettore dell'odore, OR; recettore gustativo, GR e recettore ionotropico, IR) distribuiti su varie appendici di artropodi. È possibile che i futuri repellenti per insetti saranno disegnati per interagire con altre famiglie di recettori 
(image credit: Jonathan D Bohbot)

Gli autori dell'articolo hanno provato ad eliminare i recettori preposti a specifiche (e note per fungere da segnale) molecole allo scopo di verificare se tali modificazioni rendessero gli umani invisibile alla zanzara. Il risultato ha evidenziato una importante differenza rispetto ai nostri neuroni olfattivi; mentre la maggior parte degli animali ha neuroni olfattivi mono-funzione (i neuroni esprimono un solo tipo di recettore e la capacità di percepire molti odori è legata alla varietà neuronale) quelli delle zanzare sono ad ampio spettro.
Nello specifico pur avendo eliminato il recettore per la molecola (tipicamente umana) 1-otten-3-olo, questi recettori rimanevano capaci di riconoscere altri segnali "umani" (di tipo amminico) attivando la zanzara verso il bersaglio.
L'evoluzione ha dotato questi animali di sistemi ridondanti nel loro sistema olfattivo che ne assicurano la funzionalità.

Qualsiasi tentativo di sviluppare repellenti (ad esempio molecole in grado di bloccare i loro recettori "umani") deve fare i conti con questa ridondanza funzionale

Sistemi simili (pluri-recettori) sono presenti in altri insetti come i moscerini della frutta.

(a) Aedes aegypti e Toxorhynchites sono evolutivamente separati da 40 milioni di anni . Entrambi gli insetti possono utilizzare l'octenolo in contesti diversi e sovrapposti. La zanzara propriamente detta ha sviluppato la capacità di rilevare gli umani (credit: Nature)


Fonte
- Non-canonical odor coding in the mosquito
Margaret Herre et al, Cell, 2022; 185 (17): 3104


***

Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo
(29/4/18)

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa. 

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati. 
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.

Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news

***

Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa. 

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati. 
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.


Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news

La resistenza alla peste in cambio di un aumentato rischio del morbo di Crohn

In un precedente articolo (a cui rimando) avevo trattato della peste bubbonica da un punto di vista storico e la presenza odierna del batterio in alcune aree dell'Asia centrale. In calce avevo citato alcuni studi su come tali epidemie abbiano plasmato geneticamente la popolazione europea attraverso la selezione di individui meno sensibili all'infezione del patogeno.
Yersinia pestis
Torniamo sul tema grazie alla pubblicazione sulla rivista Nature di un nuovo studio in cui non solo vengono meglio caratterizzate le varianti genetiche "protettive" ma le si correla ad alcune malattie attuali secondo il vecchio dogma che "la protezione non è mai a costo zero".

Il succo dell'articolo in una frase? L'epidemia nota come Morte Nera ha selezionato gli individui con varianti geniche a carico dei geni ERAP2 e TICAM2, ma le stesse varianti oggi mettono i portatori più a rischio di sviluppare una malattia autoimmune come il morbo di Crohn.

La pressione selettiva a vantaggio di queste varianti era importante se si pensa che aumento del 40% la probabilità di sopravvivenza durante l'epidemia. Un tale evento selettivo non è un caso isolato, essendo un dato scientificamente validato che le malattie infettive sono tra i più forti selettori evolutivi
Gli esempi a riguardo sono innumerevoli. Si va dalla migrazione dei Sapiens in Europa quando l'incrocio con i Neanderthal conferì loro i tratti di resistenza necessari alla sopravvivenza in un ambiente nuovo (più freddo e con patogeni "mai incontrati" in Africa) alla (maggiore) resistenza a malaria e al colera con l'effetto collaterale di talassemia e fibrosi cistica, rispettivamente.
La peste nera, altrimenti nota come peste bubbonica e causata dal batterio Yersinia pestis, rappresentò un potente selettore se si pensa che uccise tra il 30 e il 50 % della popolazione europea nell'arco di soli 4 anni (1346-1350). 

Allo scopo di identificare le differenze genetiche emerse tra i sopravvissuti i ricercatori hanno analizzato il DNA prelevato da resti umani dell'epoca (reperiti a Londra e in Danimarca) di individui morti poco prima, durante o qualche anno dopo che l'epidemia era terminata. Il focus dell'analisi genetica si è concentrato sui geni coinvolti nelle difese immunitarie, non tanto quelli propriamente immunitari (le immunoglobuline o i recettori delle cellule T) in quanto per definizione altamente variabili durante la vita di un individuo, ma quelli che permettono associati al riconoscimento e alla cattura (e successivo processamento) degli antigeni non self che le pattuglie immunitarie raccolgono durante i loro giri di perlustrazione.
L'ipotesi sperimentale da verificare era che se la variante genica trovata avesse effettivamente svolto un ruolo cruciale (positivo o negativo) nella resistenza al patogeno, la frequenza allelica nella popolazione doveva essere cambiata durante gli anni a cavallo dell'epidemia.
Delle 245 varianti trovate nel campione inglese, 4 sono state trovate anche nel campione danese. Di questi 4 quelle riferite ai geni ERAP2 e TICAM2 (in verità non geniche ma prossimali ai geni e capaci di alterarne quantitativamente l'espressione) sono quelle qui di interesse in quanto associate ad una aumentata sensibilità (odierna) al morbo di Crohn.
L'essenziale sui due geni le cui varianti conferirono maggior probabilità di sopravvivenza ai portatori:
  • ERAP2 è attivo nelle cellule che presentano l'antigene, come i macrofagi, deputati a mangiare e scomporre gli agenti patogeni nelle parti costituenti così da presentare un identikit molecolare di alcune sue parti (antigeni) che verranno riconosciuti dalle cellule immunitarie effettrici come i linfociti.
  • TICAM2 codifica una proteina adattatrice per una proteina di superficie dei macrofagi chiamata TLR4, che rileva i batteri gram-negativi estranei nel corpo.
Per testare l'effetto di tali varianti i ricercatori hanno prelevato i monociti dal sangue di individui portatori di queste e altri varianti, esponendoli poi al batterio della peste. I macrofagi con le varianti che aumentavano l'espressione di ERAP2 erano più efficienti nell'eliminare il batterio.

Da un punto di vista meccanicistico, quando il batterio si trova a 37°C (quindi all'interno del corpo) attiva un processo che porta a rimuovere dalla sua superficie il lipopolisaccaride (LPS) uno dei marcatori ricercati attivamente dalle cellule immunitarie (grazie al recettore TLR4) come identificativo di "nemico batterico", rendendosi così invisibili.
Per dirla semplice, dal momento in cui lo Yersinia pestis entra nel corpo inizia il conto alla rovescia perché il processo di occultamento si compia e con esso ogni possibilità da parte dell'organismo di evitare la comparsa della malattia.
Il batterio "invisibile" infetta principalmente i macrofagi trasformandoli in una sorta di trasportatori zombi che usano (costringendoli) per raggiungere i linfonodi dove il batterio inizia a moltiplicarsi (da qui i bubboni caratteristici della Peste Nera).


Le varianti geniche in ERAP2 e TICAM2 presenti nei sopravvissuti facilitano il rilevamento del batterio e con esso la resistenza. Non si tratta invero di una vantaggio limitato a questa infezione ma è utile anche contro altri patogeni, sebbene la spinta selettiva sia venuta dalla Peste Nera dato l'impatto sulla popolazione.
Il lato oscuro di questo vantaggio è che la maggiore espressione (principalmente) di ERAP2 rende più probabili disturbi autoimmuni come il morbo di Crohn, una malattia che per quanto penalizzante nella qualità di vita di chi ne soffre non è paragonabile al rischio associato al batterio della peste, e quindi non è mai stata controselezionata. Da qui la presenza di questo allele in oltre il 50% della popolazione geneticamente europea.

Ci si trova in una situazione simile a quella che ha innescato la comparsa di malattie come l'anemia mediterranea (talassemia) e la fibrosi cistica. Nel primo caso l'allele anormale che provoca la malattia nei soggetti che hanno ereditato l'allele da entrambi i genitori (omozigoti) conferisce negli eterozigoti resistenza alla malaria, una malattia endemica per secoli in molte aree e che ha selezionato i soggetti più resistenti (scomparsa la malaria è rimasto l'allele). Nel secondo caso la variante del canale del cloro permetteva una maggiore resistenza a patogeni come il batterio del colera.


Fonte
- Evolution of immune genes is associated with the Black Death.
Jennifer Klunk et al, Nature volume 611, pages 312–319 (2022)



Le zanzare ti troveranno. Sempre. Le basi neurologiche della loro efficienza

Tempo fa avevo affrontato il tema delle basi scientifiche (spesso assenti) di alcuni rimedi antizanzara, palesando la difficoltà intrinseca nel difendersi da questi vampiri volanti (l'articolo è riportato in calce al presente).
Oggi torniamo sul tema per grazie ad un articolo pubblicato poche settimane fa sulla rivista Cell, centrato sulla neurofisiologia del sistema di rilevamento umano delle zanzare. 

Quando le zanzare femmina cercano un essere umano da usare come autogrill, si basano sulla rilevazione di un cocktail unico di odori corporei che noi diffondiamo. Le molecole "odorifere" stimolano i recettori  presenti nell'antenna delle zanzare attivando a cascata il segnale che dirotta la sanguisuga volante verso il bersaglio.
Modalità d'azione dei repellenti per insetti. (A) Artropodi come le zanzare usano segnali chimici (in verde) per trovare un ospite e nutrirsi. I repellenti topici (in rosso) agiscono a distanza ravvicinata o al contatto interrompendo il comportamento di attrazione. I repellenti spaziali esibiscono il loro effetto a distanze molto maggiori. (B) Alcuni repellenti come il DEET (N,N-diethylmeta-toluamide) interagiscono con più gruppi di recettori sensoriali (recettore dell'odore, OR; recettore gustativo, GR e recettore ionotropico, IR) distribuiti su varie appendici di artropodi. È possibile che i futuri repellenti per insetti saranno disegnati per interagire con altre famiglie di recettori
(image credit: Jonathan D Bohbot)

Gli autori dell'articolo hanno provato ad eliminare i recettori preposti a specifiche (e note per fungere da segnale) molecole allo scopo di verificare se tali modificazioni rendessero gli umani invisibile alla zanzara. Il risultato ha evidenziato una importante differenza rispetto ai nostri neuroni olfattivi; mentre la maggior parte degli animali ha neuroni olfattivi mono-funzione (i neuroni esprimono un solo tipo di recettore e la capacità di percepire molti odori è legata alla varietà neuronale) quelli delle zanzare sono ad ampio spettro.
Nello specifico pur avendo eliminato il recettore per la molecola (tipicamente umana) 1-otten-3-olo, questi recettori rimanevano capaci di riconoscere altri segnali "umani" (di tipo amminico) attivando la zanzara verso il bersaglio.
L'evoluzione ha dotato questi animali di sistemi ridondanti nel loro sistema olfattivo che ne assicurano la funzionalità.

Qualsiasi tentativo di sviluppare repellenti (ad esempio molecole in grado di bloccare i loro recettori "umani") deve fare i conti con questa ridondanza funzionale

Sistemi simili (pluri-recettori) sono presenti in altri insetti come i moscerini della frutta.

(a) Aedes aegypti e Toxorhynchites sono evolutivamente separati da 40 milioni di anni . Entrambi gli insetti possono utilizzare l'octenolo in contesti diversi e sovrapposti. La zanzara propriamente detta ha sviluppato la capacità di rilevare gli umani (credit: Nature)


Fonte
- Non-canonical odor coding in the mosquito
Margaret Herre et al, Cell, 2022; 185 (17): 3104


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Alimenti come repellenti per zanzare? Solo fumo
(29/4/18)

Con l'arrivo della bella stagione iniziano le visite di ospiti volanti indesiderati: le zanzare.
Sia che si stia facendo un giro in bici prima del crepuscolo che si opti per il leggere un libro nella penombra dell'appartamento, arriverà il fastidioso ronzio a cui seguirà la comparsa di bitorzoli sulla cute. 
Credit: University of Sidney
E' innegabile che alcune persone siano più a rischio di altre come bersaglio e questo ha dato adito a modi di dire come "il tuo odore non piace" o "hai il sangue non di loro gradimento". In tutto c'è un fondo di verità come ben sanno coloro che durante l'assunzione dei farmaci si trovano improvvisamente risparmiati (o bersagliati  in altri casi) da queste sanguisughe volanti.
Prima dell'avvento dei repellenti chimici ad uso topico (alcuni dei quali molto efficaci se usati correttamente, vedi l'Autan Xtreme da me usato in Vietnam) si faceva affidamento o a rimedi della nonna (erbe e unguenti) o a consuetudini alimentari ancora oggi suggerite dal conoscente di turno, capaci di rendere il nostro odore sgradito alle preferenze culinarie della zanzara.
Certamente l'idea di sfuggire al vampiro ronzante solo mangiando l'equivalente dell'aglio per i vampiri ha un che di affascinante e molti sono pronti a giurare che nel loro caso tale approccio funzioni.
Per chi fosse nemico di ogni trattamento repellente sulla pelle, sia esso spray o unguento, sembrerebbe esserci solo l'imbarazzo della scelta (condizionale d'obbligo perché l'efficacia reale è meno che opinabile). Basta fare un giro sulla rete per trovare braccialetti antizanzara, fumigatori e dispositivi ad ultrasuoni, fissi o portatili, che promettono meraviglie; se fate un giro sullo store di Android troverete perfino delle app che promettono di trasformare il vostro smartphone in un emettitore di onde capaci di fare fuggire gli insetti (--> The Indipendent). Gli unici efficaci sono i fumigatori.
I ricercatori australiani dell'università di Sidney hanno cercato di capire quanto ci fosse di vero nella capacità di alcuni alimenti di tenere lontane le zanzare. Cominciamo da un dato di fatto cioè che più che una dieta particolare ad essere determinanti sono i nostri genitori, cioè il background genetico; è innegabile che alcune persone sono, a parità di altre variabili ambientali e culinarie, nettamente più a rischio di altre di essere punte.
Fatta tale premessa, analizziamo alcuni cibi o bevande a cui è stata in passato attribuita una capacità protettiva.

Un gin & tonic al giorno toglie la zanzara di torno?
credit: NotFromUtrecht
C'è stato un tempo in cui questo ameno trattamento aveva una sua indubbia utilità specialmente per combattere le febbri malariche. Più che sul versante alcolico la sua azione era legata all'acqua tonica tra i cui ingredienti, in passato, figurava il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino ha ricevuto conferma scientifica della sua efficacia negli anni '60 dopo secoli di utilizzo (importato nel '600 in Europa dalle americhe da un gesuita). Sebbene sia stato oggi soppiantato dalla clorochina come trattamento di prima linea è tornato in auge dopo la comparsa di ceppi di plasmodio resistenti ad essa.

È importante sottolineare che sebbene la "tonica" fosse tossica per il plasmodio veicolato dalla zanzara, non ci sono evidenze sulla sua capacità deterrente contro la zanzara stessa. Se a questo aggiungiamo il dato che nell'acqua tonica oggi in commercio la quantità di chinino è molto inferiore e sotto i livelli "terapeutici" possiamo ragionevolmente accantonare questa opzione.
Nota. Se volete monitorare la presenza di chinino nell'acqua tonica è sufficiente illuminare la bottiglia con una luce ultravioletta; se compare fluorescenza questa è dovuta al chinino, eccitato a quella particolare lunghezza d'onda.
Un apericena per la zanzara
Di sicuro l'alcol può diminuire la tua sensibilità alla puntura ma solo perché diminuisce la tua percezione della puntura e NON perché la zanzara rifugga l'alcol. Anzi probabilmente avviene proprio il contrario; studi condotti in Africa hanno dimostrato che bere birra rende le persone più a rischio di puntura rispetto ai controlli a cui era stata data da bere acqua.
La ragione non è chiara ma si è escluso che l'effetto sia correlato a variazioni anche minime di temperatura cutanea (l'alcol provoca vasodilatazione) o di anidride carbonica emessa. Qualcuno ha suggerito anche che la coevoluzione millenaria uomo-zanzara abbia favorito l'attrazione delle seconde verso le persone ubriache in quanto ... meno capaci di percepire la zanzara e quindi di ucciderla. Una ipotesi strampalata fino a un certo punto se si pesano debitamente le forze in gioco nell'evoluzione.

Banane
Uno degli alimenti che la vulgata associa all'aumentato rischio puntura è la banana. In realtà non è stata trovata alcuna conferma, anche solo indiretta, di tale nesso.

Aglio
Vero che noi equipariamo le zanzare a mini vampiri volanti ma a differenza del conte transilvano, le zanzare non sono così schifiltose da evitare i mangiatori di aglio. Vero che il nostro alito puzzerà un poco dopo un pasto a base di aglio, ma uno studio ha dimostrato che al più terremo lontani gli amici ma non le zanzare. Il che, a volte e con alcune persone, potrebbe essere una ottima idea.

Vitamina B
Tra i rimedi moderni più di moda vi è quello di assumere integratori o cibi ricchi di vitamina B. Rapporti aneddotici in tal senso abbondano ma le evidenze scientifiche sono meno che scarse. Già studi risalenti agli anni '40 non erano riusciti a fornire alcuna evidenza di protezione, un dato confermato più recentemente da uno studio del 2005 confrontando gruppi di volontari che avevano o meno assunto integratori a base di vitamina B. Questo non sembra turbare il marketing come evidenziato dall'abbondanza di "pillole anti zanzare" tra gli scaffali dei supermercati.
I prodotti commercializzati come repellenti ad uso orale per insetti non hanno mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale da alcuna agenzia governativa, data la mancanza di prove convincenti a sostegno di tale effetto.

La realtà è che le zanzare sono vere intenditrici e che l'unica ragione per cui decidono di non usarci come banchetto self-service è la percezione di anomalie ematiche o di farmaci tali da farci uscire dal loro menù. Fino a quando non si scoprirà quale è il "driver" che ci rende bersagli preferiti rispetto ad altri l'unica salvezza sarà nell'utilizzare repellenti testati o, se uno preferisce le soluzioni non chimiche, fare come alcuni animali (ma anche alcuni indigeni che vivono in aree ad alto rischio) cioè cospargersi di terra e fango in modo da coprire il nostro aroma.
Pittoresco di sicuro, ma per il momento preferisco uno spray e magari un gin&tonic.

Fonte
-  What can I eat to stop mosquito bites?
The University of Sidney / news


Fuga biologica da una azienda biotech cinese a causa di errori in procedure base

Di nuovo un caso Cina.
Vero che il detto recita "solo chi non fa, non commette errori" ma in Cina si devono dare una regolata. 
In passato si è scritto su queste pagine del problema locale attinente la resistenza agli antibiotici, il rilascio di inquinanti ambientali da fabbriche "fantasma" o, molto banalmente, il caso covid19 di cui scrissi in tempi non sospetti (gennaio 2020).

Cosa è successo questa volta?
Tutto nasce in una biotech cinese impegnata nella produzione di un vaccino contro la brucellosi, una infezione animale causata da un batterio Gram negativo, importante economicamente per l'impatto sugli allevamenti di mammiferi (bovini, ovini, ...  mentre non mi risulta comune in quelli avicoli). Essendo un batterio non si fa grossi problemi nell'infettare anche gli umani, sebbene avvenga raramente e solo nelle persone a diretto contatto con gli animali. La sintomatologia è variabile ma in genere non eccessivamente preoccupante  letalità inferiore al 2%); il rischio maggiore è nelle complicanze e nella cronicizzazione dell'infezione.

Credit: CNN
Batterio causa della brucellosi (fonte: CNN)
Nota. Negli anni '80 la brucellosi era ampiamente diffusa in Cina. Da allora la sua diffusione è stata contenuta grazie all'utilizzo di vaccini e a una migliore prevenzione attraverso il controllo del bestiame allevato. A livello globale negli ultimi decenni sono  stati rilevati vari focolai, come nel 2008 con le 1000 persone infettate in Bosnia e il conseguente abbattimento massiccio degli animali da allevamento. La malattia ha tuttavia  molti serbatoi naturali. Ad esempio il 60% delle femmine di bisonte del Parco nazionale di Yellowstone è positivo al batterio.
Sei sono le specie note di batteri appartenenti al genere Brucella causanti la malattia : B. melitensis, B. aboutus, B.suis, B. canis, B. ovis, B. neotomae, di cui primi 4 sono noti per avere causato infezioni in esseri umani. Il latte non pastorizzato è uno dei mezzi di infezione anche se nel caso cinese la via di diffusione è stata aerea.

La terapia umana prevede antibiotici quali doxiciclina e rifampicina per un tempo di circa 6 settimane, tempo molto più lungo del normale per una terapia antibiotica, spiegabile con la tendenza del batterio a causare malattie croniche se non del tutto eliminato (riesce a sfuggire al controllo del sistema immunitario rifugiandosi dentro le cellule).

Ovviamente il costo per gestire questi problemi negli allevamenti diventa importante soprattutto oggi quando è vieppiù importante operare per minimizzare l'utilizzo degli antibiotici negli allevamenti intensivi per prevenire la comparsa di batteri resistenti.

La soluzione ideale per contenere il rischio brucellosi passa quindi dall'utilizzo di uno dei vaccini anti-brucellosi disponibili. La fase produttiva del vaccino era proprio quello a cui era dedita l'azienda cinese;
ovviamente per produrre il vaccino serve il patogeno di riferimento (anche se poi vengono usati loro derivati strutturali).
Tutto nella norma e codificato dalle linee guida ministeriali (oltre che dalle varie GLP e GMP) di qualunque paese evoluto.

Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo hanno capito già nel 2019 quando le autorità sanitarie hanno notato una impennata di malati umani tra gli addetti e nelle vicinanze dell'azienda sita nel nord-ovest della Cina. La notizia è trapelata solo nell'ultimo mese ed è stata riportata dalla CNN in seguito ad un comunicato della Commissione Sanitaria di Lanzhou, capoluogo della provincia di Gansu.
In sintesi sono 3245 le persone che hanno contratto la malattia mentre 1401 sono quelle risultate positive al test ma non malate. Lo screening ha coinvolto 21847 persone su 2,9 milioni di abitanti della città.

Le autorità hanno identificato l'origine della contaminazione nell'attuazione di procedure non adeguate.
Il che detto così può sembrare un errore umano e come un rischio insito quando le procedure di controllo non sono adeguate a prevenire o neutralizzare questi eventi.
In realtà è molto peggio. L'origine di tutto nasce dall'avere usato disinfettanti scaduti che vuol dire sterilizzare un ambiente in cui si è manipolato un patogeno usando poco più dell'acqua fresca.
I batteri sono passati direttamente nei liquidi di scarico e nelle condotte di ventilazione che davano sull'ambiente esterno. Sarebbero stati in particolare i gas di scarico, sotto forma di aerosol, il principale veicolo di infezione. 
I primi ad essere colpiti sono stati i dipendenti della vicina clinica veterinaria di Lanzho a partire da novembre con poi una forte accelerazione. Entro la fine di dicembre, almeno 181 persone dell'istituto erano state infettate. L'epidemia si è poi diffusa anche alla estremità nord-orientale del paese, mediante  13 persone infettatesi mentre lavoravano alla clinica veterinaria.

Le autorità hanno in seguito revocato all'impianto le licenze di produzione di vaccini e ritirato vari lotti. Questo è uno dei tanti rischi inevitabili che si hanno quando si opera al di sotto di standard di sicurezza talmente basilari da non essere considerabili errori ma "faciloneria" assurta a sistema.




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