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Il cane robot va in Ucraina?

Spot, il cane robot della Boston Dynamics.
Image credit: foreignpolicy.com
Vi ricordare il cane della Boston Dynamics di cui avevo scritto qualche tempo fa?
Articolo --> qui
Dal suo futuribile impiego nell'esplorazione delle grotte marziane, si passa ad un utilizzo molto terrestre, come lo sminamento in alcune zone critiche dell'Ucraina.

Il robot, pensato per muoversi in autonomia anche in zone impervie, può infatti essere riconvertito per scovare e rimuovere piccoli ordigni esplosivi e, molto comuni nei teatri di combattimento, componenti inesplose delle bombe a grappolo.

Uno dei due robot affidati all’esercito USA potrebbe infatti essere ceduto alla ong americana HALO Trust (sebbene io dubiti fortemente del suo essere una vera ONG), intenta a sminare le aree vicino a Kiev, occupate nelle prime fasi della guerra dalle forze russe.

Spot, il cane robot, è stato testato con successo sul campo l‘anno scorso, dopo che gli è stata impiantata nella zona della “testa,” un braccio robotico, con cui può trascinare le munizioni inesplose fino a fosse contenenti altre munizioni, per essere poi neutralizzate facendole esplodere.





In Asia centrale (attuale Tagikistan) il "punto zero" da cui deflagrò l'epidemia di peste nera del XIV secolo

Lo studio delle caratteristiche e dell'origine della pandemia che flagellò l'Europa (e non solo) medievale ha una importanza cruciale sia nell'analisi storica che epidemiologica.
La peste nera (in inglese nota come black death) ebbe effetti che vanno ben oltre il periodo di massima diffusione dell'epidemia (1346-1353) con periodiche ricomparse nei secoli successivi 
Sufficiente qui citare le epidemie "regionali" del XVI secolo e quella che è nota come  terza "ondata" dell'epidemia verificatasi in Cina nel 1855. La peste nera e la peste bubbonica del XVII sec. sono oggi accettati come eventi causati dallo stesso patogeno batterico. Alcuni ricercatori negli anni passati avevano invece ipotizzato che la seconda fosse stata di natura virale data le complicazioni polmonari.
L'impatto demografico sull'Europa fu devastante con la morte di circa il 30% della popolazione e conseguente crisi produttiva che si trascinò per molti decenni (ma che fu anche volano di nuove possibilità per molti).
30% è solo una media che comprende punte di mortalità come quelle registrate a Venezia e in alcune zone della Toscana dove si raggiunsero punte del 70%. 
Da un punto di vista storico il grilletto pandemico fu premuto durante l'assedio di Caffa in Crimea del 1344 (rimando alla nota di fine pagina per i dettagli) ma è evidente che il batterio Yersinia pestis, l'agente patogeno, non era comparso dal nulla. Come nel caso di Ebola, il patogeno prospera, "invisibile" a noi, in serbatoi animali dove, solitamente, non causa patologie gravi essendosi evoluto un mutuo adattamento. Quando si verifica però il contatto con animali (tra cui gli umani) permissivi all'infezione il risultato può essere una patologia acuta e ad alta morbidità.
Image credit: R. Barbieri et al
In (a) e (b) foto al microscopio di una pulce normale e una infettata con Y. pestis.
(image credit: Matteo Riccò via researchgate)
Nel caso del batterio della peste questo il serbatoio e il vettore di diffusione sono le pulci dei roditori, il cui contatto con mercanti, eserciti e pastori nomadi che transitavano nelle steppe asiatiche era un evento possibile. Contatti del genere sono verosimilmente sempre avvenuti; a fare la differenza è sempre il numero di "bersagli", il tempo necessario per raggiungere o entrare in contatto con altri umani e la virulenza del ceppo batterico. Queste variabili determinano esiti che vanno dall'autoestinzione del focolaio (guarigione o morte dei portatori) alla progressiva migrazione del patogeno lungo le vie carovaniere.
Dove fosse questo "punto zero" (prima che comparisse in Crimea) è sempre stato oggetto di ipotesi, con un consensus generale verso le steppe dell'Asia Centrale il che non dice in realtà molto data la vastità territoriale.
Image credit: R. Barbieri et al
Un aiuto sostanziale arriva da uno studio pubblicato pochi giorni fa sulla rivista Nature, che riporta l'identificazione del genoma batterico e il suo sequenziamento da 7 resti umani prelevati da un cimitero del Kirghizistan e risalenti al 1338-39
La scelta del sito non è stata casuale. Evidenze archeologiche e resoconti storici indicavano la zona prossimità del lago Issyk-kul come un'area colpita da un picco di decessi anomalo. Le iscrizioni sulle pietre tombali indicavano come "pestilenza" la causa della morte. Il Kirghizistan non è (considerando anche i tempi di spostamento dell'epoca) così vicino alla Crimea ma la distanza coperta tra questi decessi e l'epidemia in Crimea è compatibile con spostamenti di eserciti e di mercanti.
L'analisi genetica non solo ha confermato la presenza del batterio Yersinia pestis (permettono così di datare a questa data l'inizio pandemico) ma anche di ricostruire il genoma così da potere confrontarne le caratteristiche sia con i ceppi europei che con quelli ancora oggi esistenti nell'area del Tien Shan. La correlazione genetica tra questi resti e quelli rinvenuti in Europa non implica un diretto legame temporale ma ne evidenzia la "parentela" e il probabile percorso compiuto dal patogeno. Ad oggi l'ipotesi più accreditata è il batterio sia partito circa un secolo prima degli eventi in Crimea. 

L'albero genealogico basato sulla somiglianza genetica tra i batteri della peste rinvenuti nei resti umani prelevati da diversi luoghi (e tempi) geografici (credit: M. Spyrou et al.)

Vale la pena ricordare che la peste non è mai scomparsa come si può ben vedere dalla casistica globale nell'ultimo decennio.
Credit: R. Barbieri et al (2020)



Fonte
-The source of the Black Death in fourteenth-century central Eurasia. 
 M. Spyrou et al. (2022) Nature

- Yersinia pestis: the Natural History of Plague
R. Barbieri et al, (2020) Clinical Microbiology Reviews, 34(1) 

***
La peste bubbonica (batterio Yersinia pestis) arrivò in Europa nel 1347 veicolata dalle pulci presenti sui roditori "imbarcatisi" assieme agli italici (genovesi, veneziani, ...) in fuga dalla Crimea. L'anno è noto con precisione in quanto coincide con l'assedio di Caffa (l'attuale Feodosia, allora una colonia genovese) da parte dei Tartari. 
Durante il lungo (e infruttuoso) assedio i tartari cominciarono però a morire a centinaia, e non solo durante gli assalti alle mura della città. La morte arrivava a causa di un morbo sconosciuto nelle cause ma di cui si avevano notizie lungo tutta la Via della Seta, la tratta carovaniera che collegava la lontana Cina all'Impero Bizantino prima e Ottomano poi. Le voci erano univoche per quanto poco dettagliate e raccontavano di come il morbo avesse sparso morte e desolazione nei villaggi e città sperdute nelle immense steppe. Fu in questa fase che gli assedianti pensarono di utilizzare i cadaveri degli appestati come arma biologica (per quanto questa definizione sia moderna) lanciandoli con le catapulteal di là delle mura.
Per quanto efficace come strumento a fuggire per primi furono i Tartari, falcidiati dall'epidemia. Per quanto salva la città, gli assediati sfruttarono l'opportunità per imbarcarsi sulle navi in direzione Bisanzio prima e i porti italici poi. Seguiti dalle pulci.
Messina fu la prima città europea in cui il nuovo morbo si manifestò, seguita a ruota da Venezia.
Nell'autunno del 1347 una galera veneziana arrivata da Caffa portò in dote i topi e relative pulci e con essa la malattia. Nei diciotto mesi che seguirono morì di peste più della metà della popolazione. Dei 110 mila abitanti, si stima che il numero di morti sia stato tra 37 e 70 mila. L'inadeguatezza delle misure messe in atto (per quanto moderne e intelligenti) tipo la traslazione dei defunti su isole disabitate e la muratura delle case infette con rogo delle suppellettili, portò alla "invenzione" nel 1456 (mutuata in verità da una strategia usata a Ragusa, l'odierna Dubrovnik) della quarantena per chi arrivava da lontano  e un'isola deputata a lazzaretto.
Nel 1349 l'epidemia aveva oramai raggiunto anche il Nord Europa. I morti totali si stimano in circa 20 milioni sui 60 milioni allora presenti.
Illustrazione della sepoltura delle vittime della peste in Belgio (FL. 1340-1360)
(credit: WIKIMEDIA COMMONS)

Noi Europei siamo i discendenti di questi sopravvissuti. Uno studio interessante pubblicato qualche anno fa analizza le tracce genetiche che ci portiamo dietro, risultato di questa selezione**

Il batterio è sensibile ad antibiotici come streptomicina, tetraciclina e cloramfenicolo


** Aggiornamento sul tema in un articolo pubblicato a dicembre 2022.


Un orecchio nuovo creato con una "bio-stampante" 3D

Ricostruzione dell'orecchio umano utilizzando un impianto di tessuto vivente biostampato in 3D in una prima sperimentazione clinica umana

3DBio Therapeutics (3DBio) ha annunciato di aver iniziato ufficialmente la sperimentazione clinica di fase 1/2A (sicurezza ed efficacia) su un impianto auricolare molto ma molto particolare, noto come AuriNovo™.
Cosa ha di particolare? Si tratta di una ricostruzione dell'orecchio umano fatta usando una "biostampante" e come "inchiostro" e impalcatura, idrogel di collagene che incapsula i condrociti, le cellule della cartilagine auricolare del paziente. Il risultato è un impianto che cresce con il tempo, passando da un abbozzo di orecchio alla sua forma definitiva.
I partecipanti, volontari, alla sperimentazioni sono soggetti affetti da microtia, una rara malformazione congenita che colpisce l'orecchio esterno impedendo la formazione completa del padiglione auricolare (quindi tutta "componentistica" e il "cablaggio" interno dell'orecchio sono a posto). La microtia si presenta alla nascita in circa 1 bambino su 10 mila.

In questo prima fase i partecipanti al test sono 11 ragazzi, di cui il primo in assoluto è stata una ragazza di 20 anni che ha ricevuto un impianto modellato nella forma di quello sano. L’immagine che segue mostra l'orecchio della ragazza prima dell'intervento e 30 giorni dopo l'impianto.
Image credit: 3DBio

Il nuovo metodo è un'alternativa alla tradizionale ricostruzione chirurgica fate mediante innesti di cartilagine presi dal paziente a cui si aggiungono altri materiali sintetici. 
Il principale vantaggio della biostampa è la minor invasività e, grazie all'utilizzo delle stesse cellule del paziente, il rischio di rigetto è quasi azzerato. A questo aggiungiamo che essendo il ricevente un bambino, l'utilizzo di un impianto "vivo" permette di minimizzare il numero di "ritocchi" in quanto questo seguirà la crescita del ricevente.


Fonti
- https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04399239

- https://3dbiocorp.com/patients/



La materia oscura "accese" le prime stelle?

Le prime stelle nell'universo potrebbero essere state innescate e alimentate dall'annichilazione della materia oscura
Credit: universetoday.com
Nell'universo attuale la materia oscura non sembra capace di fare molto pur essendo un componente dell'universo (27% della massa-energia totale) che contribuisce a definire il valore di densità che farà spostare l'ago della bilancia "evolutivo" verso un universo piatto, chiuso o aperto. Mattone essenziale, certo, ma di fatto ignoto nella sua identità e non previsto fino agli anni 60 quando sorse il problema della "materia mancante". Importante ma "elitario" dato che non interagisce con la materia standard (fotoni inclusi) e con una densità troppo bassa per potere interagire con se stesso.
Ottima introduzione divulgativa alla materia oscura
Agli albori del cosmo (stavo per scrivere "all'inizio dei tempi", ma questo è un termine quanto mai sdrucciolevole dati i concetti di spazio-tempo, come ben ci insegna anche il film Interstellar) tuttavia, le condizioni erano del tutto diverse e non è immotivata l'idea che esistessero sacche in cui la materia oscura aveva una densità sufficientemente elevata da fungere da innesco per la formazione di stelle molto particolari chiamate dark stars (stelle oscure)
Attenzione a non confondere questo termine con quelle ipotizzate a fine XVIII secolo da John Mitchell, precursori dell'idea dei buchi neri, la cui "idea" risale alla prima metà del XX secolo (vedi il precedente articolo sul tema). Le dark stars ora ipotizzate sono stelle innescate dalla materia oscura (dark) ma composte prevalentemente da materia ordinaria (l'anno scorso un articolo aveva postulato che l'origine dei buchi neri supermassici fosse da ricercare nel collasso della materia oscura)
Nei modelli più semplici di materia oscura questa fa ben poco, dato il suo non interagire con praticamente nulla (perfino meno di quanto facciano gli elusivi neutrini). I segni della sua esistenza ci arrivano dalla azione gravitazionale su scale dimensionali non inferiori a quelle di una galassia.

Questa immagine semplicistica della materia oscura presenta però alcuni problemi che si palesano quando gli astrofisici eseguono simulazioni al computer sulla formazione delle galassie, e devono introdurre tra gli "ingredienti" della ricetta anche la materia oscura: se si "disegnano" queste particelle in modo eccessivamente inerte, le simulazioni restituiscono un quadro non coerente con l'osservazione, ad esempio galassie molto più dense e con troppe galassie satellite.
Aumentando un poco la sua capacità interattiva (non interagisce con materia standard e fotoni ma può, in condizioni opportune, con se stessa) il risultato delle simulazioni migliora.
L'interazione non può essere però troppo forte, altrimenti la materia oscura si sarebbe aggregata e/o annichilita molto tempo fa.
Utilizzando questo scenario e applicandolo ad un universo "in fasce" (cento milioni di anni) i risultati ottenuti si fanno piuttosto interessanti.
A quel tempo l'universo era molto diverso da oggi: molto più denso, con tutta la materia oggi esistente stipato in un volume molto più piccolo, trasparente alla luce (in contrasto con la dark age iniziata poi)  ma ancora privo di stelle. 
Credit: National Geographic
L'universo era composto da materia oscura (qualunque cosa sia), fotoni e atomi neutri di idrogeno ed elio. Lentamente, nel corso del tempo, tutto quel materiale iniziò a collassare gravitazionalmente, formando strutture sempre più grandi. Le prime protostelle iniziarono come densi ammassi non più grandi di un millesimo della dimensione del Sole.
Nell'immagine tradizionale della formazione delle prime stelle, quei grumi crebbero costantemente fino a diventare colossi centinaia di volte più grandi del Sole, alimentati dalla fusione nucleare resa possibile al suo interno dal collasso gravitazionale della materia e il raggiungimento di densità e temperature sufficienti.

La modellistica prima citata ha però fatto sorgere il dubbio ad un team di astrofisici che questa visione fosse alquanto lacunosa. Le loro ipotesi sono state pubblicate come preprint su arXiv. 
Il punto centrale è che se la materia oscura riesce ad interagire con se stessa in condizioni di densità adeguata, da queste "collisioni" si libera un po' di energia. Ogni collisione non ne produce molta, ma nelle condizioni esistenti in quell'epoca la quantità di collisioni locali potrebbe essere stata sufficiente affinché la materia oscura abbia avuto un ruolo importante nella formazione delle stelle.
In questo scenario, le prime stelle non furono alimentate dalla fusione nucleare, ma dall'annichilazione  della materia oscura nei nuclei proto-stellari. Il nome "stelle oscure" è in realtà fuorviante perché per la maggior parte erano composte da materia normale, mentre la materia oscura funse "solo" da innesco.

Queste stelle non esistono nell'universo moderno, perché oggi (leggasi un universo di dimensioni non così piccole come allora) la materia oscura ha una densità troppo bassa perché possa interagire con se stessa; inoltre le stelle allora formatesi sono da lungo tempo "defunte" (le prime stelle avevano masse ben superiori alla media attuale il che si traduce in emivita di pochi milioni di anni).
Le prime stelle erano fatte da solo idrogeno e uno "zicco" di elio
Credit: NASA/WMAP Science Team


I ricercatori sperano che il James Webb Space Telescope, progettato specificamente per studiare l'universo primordiale e le prime generazioni di stelle (guardando lontano, quindi indietro nel tempo), possa cogliere qualche indizio dell'esistenza di queste stelle.
Un eccellente articolo divulgativo sulla possibile correlazione PBH (buchi neri primordiali) e materia oscura la trovate su "Dark horses in the cosmos"

Fonte
- Dark Stars Powered by Self-Interacting Dark Matter
Youjia Wu et al, (2022), arXiv:2205.10904







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