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Dopo le formiche, saranno i topi i prossimi ospiti della stazione spaziale internazionale

Tra gli ospiti invitati a bordo della stazione spaziale internazionale (ISS), i topi saranno i prossimi "astronauti"

In un recente articolo ho scritto delle formiche astronauta e del perché lo studio del loro comportamento in condizioni di microgravità sia essenziale per sviluppare algoritmi in grado di rendere gli automi (tipo quelli inviati in esplorazione negli edifici in fiamme) perfettamente operativi in condizioni di assenza di comunicazioni. Esperimenti difficilmente ottenibili sulla Terra.
Dopo il felice trasbordo delle formiche sulla ISS, ecco che un nuovo gruppo di astronauti terrestri ma non umani si prepara ad "andare la dove nessun … topo è mai stato prima".  
Avete letto bene!
I prossimi astronauti che andranno a fare compagnia ai residenti sulla ISS (tra cui, per i prossimi sei mesi, la nostra Samantha Cristoforetti) sono proprio dei topi, mammiferi con consolidata versatilità nel colonizzare ambienti nuovi.

La missione dei 180 topi del Berkeley Lab è fornire informazioni sulle alterazioni che lo spazio (leggasi microgravità, radiazioni cosmiche, illuminazione "innaturale", etc) induce su sistema immunitario, sviluppo embrionale e post-natale e riproduzione nel corso delle generazioni.
Una missione fondamentale dato il sempre maggiore tempo di permanenza nello spazio del Homo e dell'aumento, per numero e tipologia (per sesso, età e ovviamente stato di salute), di chi ambisce a viaggiare nello spazio.
Viaggiare nello spazio non è una condizione per la quale l'evoluzione ci ha preparati. I rischi, senza considerare quelli operativi, sono solo parzialmente noti e i dati raccolti finora sono di fatto limitati alla permanenza di pochi mesi nello spazio peri-terrestre, una regione ben più protetta dalle radiazioni di quella in cui si troverebbe una navicella come ad esempio i due Voyager che hanno da poco valicato le colonne d'Ercole del sistema solare (vedi sotto il link per i rischi dei viaggi spaziali e QUI per l'articolo sulla posizione dei Voyager).
Tra i rischi ancora totalmente inesplorati, quelli sulle conseguenze a carico delle cellule germinali e della organogenesi sono i più critici. E' evidente infatti che è ben più rilevante valutare il rischio aggiunto sui bambini concepiti dopo (o anche durante) il viaggio e su gravidanze spaziali (organogenesi in assenza di gravità) rispetto al "solo" monitorare l'incidenza di malattie negli astronauti nei decenni successivi alla missione. Le donne sono, chiaramente, i soggetti più a rischio. Si tratta di "buchi neri" informativi estremamente critici dato che il XXI secolo vedrà verosimilmente l'inizio dei tentativi di colonizzazione di Marte e con esso una nuova sfida per la nostra biologia (vedi QUI per le missioni marziane).

"Una cosa che sappiamo da tempo è che la permanenza nello spazio colpisce il sistema immunitario degli astronauti. Ma come tali alterazioni possano ripercuotersi su crescita, sviluppo di organi e capacità riproduttiva è una questione ancora irrisolta" ha detto Janice Pluth, responsabile della Lab’s Life Sciences Division a Berkeley. "I topi potranno aiutarci a capire meglio cosa succede".

Perché proprio i topi?
I topi sono soggetti ideali per fare questi studi per una serie di motivi:
  • sono animali la cui fisiologia e genetica è nota nei dettagli;
  • hanno una elevatissima capacità di adattamento;
  • tempo gestazionale di 21 giorni. Già 6 settimane dopo la nascita i topi raggiungono la maturità sessuale e sono quindi pronti per creare una nuova generazione.
  • La vita media è di circa 1-2 anni, sufficientemente corta per monitorare eventuali anomalie nell'invecchiamento.
Questi sono i numeri che spiegano perché studiare i topi permetterà di avere informazioni che coprono più generazioni in un tempo limitato. Informazioni come vita media (e quindi malattie tra cui quelle tumorali) e fertilità derivanti UNICAMENTE dall'avere vissuto per un certo periodo di tempo in orbita. Per massimizzare le informazioni ottenute, i topi scelti appartengono a ceppi con diversa sensibilità alle radiazioni: alcuni estremamente resistenti e con bassissima frequenza di tumori spontanei e altri invece naturalmente più sensibili alle radiazioni.
Anche gli esseri umani, come facilmente prevedibile, hanno una diversa sensibilità ad agenti mutageni come le radiazioni o altri fattori ambientali. Questo è uno dei motivi per cui ad esempio tutti noi conosciamo forti fumatori vissuti fino ad una età molto avanzata senza mai avere sviluppato una singola neoplasia polmonare, ed altri, magari solo fumatori occasionali, che hanno sviluppato neoplasie anche prima di avere raggiunto la mezza età
La permanenza sulla ISS non rappresenta la condizione ideale per questi test, in quanto orbita in una zona relativamente protetta dalle radiazioni cosmiche grazie al campo magnetico terrestre, ma nondimeno rappresenta un primo test molto importante.

Questo studio è uno dei  26 progetti presentati ad agosto dalla NASA nell'ambito del programma Space Biology (vedi QUI). I progetti saranno condotti a bordo della ISS, e coinvolgeranno sistemi biologici molto diversi tra cui microorganismi, piante e appunto animali come formiche e topi.

Non si tratta solo di rispondere a quesiti connessi con i futuristici viaggi spaziali umani; molti dei test sono infatti finalizzati a testare nuove tecnologie o strumentazioni da usare sulla Terra.

La data di lancio per i topi astronauti non è ancora stata fissata.

(articolo precedente sul tema "Viaggi spaziali e rischi per la salute")

Fonte
- How Does Space Travel Affect Organ Development?
Berkeley Lab, news

I cani ascoltano le parole e non solo le voci (o quasi)

Chiunque abbia convissuto con un cane sarà pronto a testimoniare che il suo amico peloso era in grado di capirlo quando gli si parlava.
I più dubbiosi ribatteranno però che è il tono della voce, più che il contenuto verbale, ad essere percepito dal cane.
E su questo dibattito è difficile prendere una posizione data sia la tendenza generale ad umanizzare l'animale che per l'effettiva capacità di molti cani (anche se ho dubbi su quelli chiassosi e nevrastenici di piccola taglia) di riconoscere parole diverse (tipo "pallina", "rossa" e "prendi") e associarle ad una azione.
Chaser e gli oggetti che riconosce
(credit: The Independent)
Un esempio oramai classico è quello di Chaser, un border collie della Carolina del Sud che si è dimostrato capace di riconoscere fino a 1022 parole (vedi il sito), il tutto validato da test associativi condotti da esperti.
Al di là delle esperienze personali, l'unico modo per giungere a risultati affidabili è l'analisi dei circuiti cerebrali che vengono attivati da parole specifiche e l'influenza della tonalità nella trasmissione del messaggio. Sappiamo bene infatti quanto la stessa frase detta con tonalità diversa (neutra o emozionalmente ricca) venga da noi percepita in modo diverso; l'esempio classico è quello di un testo letto da un computer che ci "suona" come altamente dissonante anche se le singole parole sono pronunciate correttamente (vi ricordate i vecchi annunci alla stazione?).

Proprio su questo tema vale la pena segnalare uno studio pubblicato su  Current Biology, da un team della università del Sussex, il cui autore principale, Victoria Ratcliffe, è la giovane dottoranda ripresa nella foto qui a lato.

Negli esseri umani la "comprensione" delle parole è il risultato di un processamento distinto operato dai due emisferi cerebrali. L'emisfero sinistro analizza la parte verbale di una parola mentre l'emisfero destro lavora sia sulla componente emotiva legata al tono della frase che nella identificazione del sesso della voce di chi parla, oltre a svolgere un ruolo centrale nel comprendere una musica.
Comprendere le differenze funzionali associate a ciascun emisfero deve molto allo studio di quegli sfortunati individui che in seguito ad un incidente si sono trovati a dover convinvere con anomalie percettive estremamente peculiari. Ad esempio l'incapacità di comprendere il significato di una parola ascoltata e a loro nota (rimanendo però in grado di nominare tale termine se l'oggetto viene loro mostrato) oppure di capire dal tono della voce l'intenzione sottesa dell'interlocutore. La correlazione tra il sito della lesione e l'anomalia percettiva è stata la chiave per mappare funzionalità specifiche nei due emisferi o in regioni molto specifiche degli stessi.

A questo proposito bisogna ricordare che dato che l'orecchio destro si interfaccia direttamente all'emisfero sinistro del cervello, è l'orecchio destro quello che ha un ruolo dominante nell'elaborazione rapida del significato dei suoni; viceversa, l'orecchio sinistro domina nel comprendere il contenuto tonale (emozionale) di un suono.
Studi oramai classici hanno dimostrato come questa dicotomia funzionale non sia una esclusiva umana ma è presente anche in altri mammiferi. Nessuno aveva però finora studiato in dettaglio il fenomeno negli animali domestici e in particolare per quanto riguarda la capacità "eventuale" di comprendere la vocalizzazione tipica della propria specie.

Lo studio è consistito nell'analisi comportamentale (niente di intrusivo) di cani di tutte le razze per un totale di 250 animali. Ciascuno di essi è stato posizionato in modo tale da avere un altoparlante su ciascun lato della testa; sono state quindi prodotte combinazioni di parole (sensate o con suono simile ad una parola sensata ma del tutto prive di senso) e di intonazioni (dal neutro prodotto da un computer a quello emotivo di un essere umano) come quello associato a un rimprovero.
Per capirci alcune combinazioni erano parole che suonano come "vieni" e "qui" e in parallelo "niesi" e "qui"; sia in tono giocoso che con una pronuncia neutra o da elaboratore vocale.
In contemporanea ad ogni comando verbale si registrava la direzione verso la quale il cane volgeva la testa, cioè verso il diffusore sinistro o verso il diffusore destro (ricordo che il suono è in stereo e quindi la torsione della testa era solo indice dell'emisfero "operativo").
Il modello che è emerso da questi test è abbastanza chiaro: quando il cane gira la testa a destra è perché è il suo emisfero sinistro ad avere giocato il ruolo chiave nella elaborazione del suono. Viceversa quando si gira verso destra. Nel dettaglio, quando un cane sentiva una parola "sensata" (cioè una parola che ha imparato ad associare ad una azione/oggetto), nell'80% dei casi girava la testa verso destra, segno che era stato l'emisfero sinistro a svolgere l'azione dominante. Quando invece nel comando prevaleva la componente emotiva, la testa si voltava verso sinistra.
Il dato mostra indubbiamente una capacità di distinguere sequenze di suoni significativi da quelli insignificanti. Attenzione però, ci si riferisce sempre e solo a parole che il cane aveva precedentemente imparato a "riconoscere" e non a sequenze di parole nuove o non ancora fissate nella loro memoria associativa. Utilizzare parole "sconosciute" ha il solo effetto di mandare i cani in confusione dato che si tratta di input per loro privi di senso (anche se per noi lo hanno). In quest'ultimo caso è probabile che la componente emotiva (tonale) è l'unica riconoscibile dal cane.
Quando si interagisce con un cane ha quindi ben poco senso fare discorsetti di rimprovero o di congratulazione (tipico della mia vicina di casa), dato che pur "cercando di capire" cosa diciamo, il nostro povero amico capterà solo un profluvio di suoni privi per lui di significato e sicuramente "ansiogeni" 
Negli esseri umani la elaborazione è ovviamente più complessa. Nella comprensione di una frase intervengono in contemporanea molte aree specifiche del cervello, tra cui quelle coinvolte nel linguaggio. Vedere a riguardo le conseguenze associate a lesioni nelle aree di Broca e di Wernicke.


Tra i test futuri, il primo che mi viene in mente è quello di analizzare cani (ma non solo) selvatici, non "condizionati" quindi dall'uomo quando ancora cuccioli; questo dovrebbe permetterci di capire se e quanto questa capacità (soprattutto il riconoscimento tonale) sia presente in natura.
Altro punto chiave è il ricordare che il cane è il prodotto di una selezione operata dall'essere umano in migliaia di anni. Una selezione che ha di fatto creato una specie ben diversa da quella originaria. La selezione ha di fatto favorito solo quei cani che non solo hanno dimostrato di potere adattarsi a convivere con l'Uomo ma che erano dotati di una adeguata responsività (e comprensione) agli ordini.  

Fonte
- Orienting asymmetries in dogs' responses to different communicatory components of human speech" 
Victoria Ratcliffe and David Reby,  Current Biology, 26 novembre 2014.

Nane brune. Stelle invisibili nel cielo, alcune molto antiche e altre vicine a noi

Le tante stelle invisibili nel cielo ...

Grazie ai dati ottenuti dal Wide-Field Infrared Survey Explorer (WISE), il telescopio spaziale ad infrarossi lanciato dalla NASA nel 2009,  gli astronomi sono riusciti ad individuare due nane brune vecchie di 10 miliardi di anni mentre vagano nello spazio ad una velocità di circa 150 km/sec
Nel cerchietto una delle prime nane brune osservata grazie al telescopio WISE nel 2010
Credit: berkeley.edu

L'importanza dell'osservazione deriva dalla oggettiva difficoltà di osservare stelle che non emettono luce; non a caso le nane brune sono dette anche "stelle fallite" in quanto troppo piccole per "accendersi" attivando le reazioni di fusione nucleare ma troppo grandi per essere considerate pianeti (il nostro Giove è stato anche definito una "nana bruna fallita").
Rimando al sito su wikipedia come punto di partenza per capire cosa sono e perché si formano le stelle dette nane brune (QUI).
Una ricostruzione di come apparirebbe il nostro vicinato se osservato da una distanza di 30 anni luce. I cerchi blu sono le nane brune note, i cerchi rossi identificano le nane brune scoperte grazie al WISE. (Image: NASA/JPL-Caltech/berkeley.edu)

Le stelle identificate, note come WISE 0013+0634 e WISE 0833+0052, sono sia piccole (massa pari al 7% di quella solare) che freddine per essere delle stelle. Temperature tra i 250 e i 600 gradi sono infatti ben lontane da quelle necessarie ad una stella per attivare le reazioni di fusione nucleare (il sole ha una temperatura di circa 5600 gradi). Fortunatamente è una temperatura sufficientemente alta per essere rilevata da un telescopio ad infrarossi. L'osservazione ha permesso di rilevare elementi più pesanti, oltre ai caratteristici idrogeno ed elio, che non possono essersi chiaramente formati all'interno della stella nella fase iniziale della sua vita quando la temperatura era sicuramente superiore. Gli elementi pesanti si formano tipicamente all'interno di stelle massiccie o durante l'esplosione di una supernova. Si traccia quindi di elementi formatisi in epoche molto più antiche (da stelle oramai scomparse) e "riciclati" nella fase di "addensamento" del disco di gas che precede la formazione di una stella.
Una rappresentazione di una nana bruna
(wikipedia)
L'affermare che qualcosa è difficile da osservare non vuol dire, automaticamente, che quel qualcosa sia raro. Semplicemente sono mancati finora strumenti sufficientemente sensibili (o posizionati in modo da funzionare in modo ottimale come i telescopi orbitali) per poter individuare questi oggetti. Questo è proprio il caso delle nane brune, il cui studio ha ricevuto un notevole impulso dalla messa in orbita del WISE.
Giusto per rendere l'idea della differenza tra numero reale e numero finora percepito, se immaginassimo di osservare la volta celeste captando solo la radiazione infrarosse, il cielo apparirebbe ricco di deboli puntini rossi. Molti di questi puntini corrispondono in realtà a galassie e il resto a nane brune.
Il vero problema è stato identificare le nane brune tra tutti questi puntini. Impresa riuscita grazie al lavoro di decodifica dei dati svolto dal team di David Pinfield.

Studiare queste stelle è come fare archeologia spaziale andando indietro nel tempo della nostra galassia

Fonti
-  The Galaxy's ancient brown dwarf population revealed
Royal Astronomical Society, news
- The galaxy’s ancient brown dwarf population revealed
Astronomy magazine
- Ancient and Stealthy: Methuselah Brown Dwarfs Found
news.discovery.com
- Il sito del WISE
http://wise.ssl.berkeley.edu/index.html
- Due nane brune a un passo da noi
Istituto Nazionale di Astrofisica, news

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 ... alcune delle quali vicine a noi

Una nana bruna fredda come il Polo Nord era difficile da prevedere, eppure è stata scoperta e per di più non è molto distante (su scala stellare) dal nostro sistema solare.
L'osservazione, risultato dei dati ottenuti grazie al WISE e al telescopio spaziale Spitzer, ha permesso di identificare a soli 7,2 anni luce di distanza un corpo celeste che emetteva una tenue radiazione ad infrarossi. La distanza rende questa stella "invisibile" la quarta stella più vicina a noi.
Le stelle vicine a noi. Credit: Janella Williams, Penn State University.

"E' molto eccitante scoprire di avere un vicino di casa così interessante e inatteso" ha detto Kevin Luhman, del Center for Exoplanets and Habitable Worlds - Pennsylvania State University. "La sua temperatura "glaciale" potrà aiutarci a capire meglio l'atmosfera di pianeti le cui temperature sono spesso altrettanto estreme".

Le prime osservazioni a riguardo sono state fatte grazie al debole infrarosso captato dal WISE e solo successivamente, grazie all'analisi della velocità si è dedotto che l'oggetto doveva essere vicino al sistema solare. Una conferma ottenuta dopo avere puntato il telescopio in orbita Spitzer e quello terrestre a Cerro Pachon in Cile.

Lo spostamento della nana bruna nel corso di 6 mesi
Credit: NASA/JPL/IPAC e psu.edu

Il nome attribuito alla stella è alquanto impervio (J085510.83-071442.5 WISE) e voglio immaginare che gli addetti ai lavori usino un altro nome più "umano" quando ne discutono. Per il momento quello che è noto è che il nostro vicino detiene il record della nana bruna più fredda ad ora identificata, con una temperatura tra -48 e -13 gradi Celsius.
La massa è 3-10 volte quella di Giove e questo fa della stella la più piccola nana bruna nota. Sono proprio le dimensioni che fanno storcere il naso ad alcuni astronomi che ipotizzano invece che si tratti di un pianeta espulso dal suo sistema. Ipotesi che altri respingono in base alla temperatura troppo elevata per un pianeta disperso. Al momento il consensus generale è che sia in effetti una nana bruna,

Fonte
-  Star Is Discovered To Be a Close Neighbor of the Sun and the Coldest of Its Kind
Penn State University (science.psu.edu/news-and-events)
- NASA's Spitzer, WISE Find Sun's Close, Cold Neighbor
Jet Propulsion Laboratory (CalTech), news
- Sito della missione WISE

Autismo. Nuovi dati su genetica e coinvolgimento dei microesoni neuronali

Perché un altro articolo sull'autismo e genetica?

Comprendere la malattia autismo è fondamentale non solo per l'aspetto scientifico (che potrebbe interessare solo gli addetti ai lavori) e umano (che interessa tutti) ma è necessario per porre un argine al dilagare di idee totalmente fantasiose quando non criminali (per le conseguenze che ingenerano) sull'origine di questa patologia a carico dei processi di sviluppo neurologico (il termine inglese è molto più significativo "neurodevelopmental disorder"). Alcune delle idee farlocche riguardo la eziopatogenesi dell'autismo saranno citate nei prossimi paragrafi e ne ho discusso ampiamente in passato. Chiariamo subito che si tratta delle invenzioni su un preteso legame tra vaccinazione e autismo. LEGAME INESISTENTE.
Tra gli articoli già apparsi in questo blog segnalo "Nessun Legame Vaccinazione-Autismo", "Una Patologia Eterogenea" o più semplicemente cliccate il tag "autismo" nel pannello qui a destra.

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Recenti osservazioni sulla genetica dell'autismo

1) La genetica identifica i potenziali geni responsabili di una anomala neurogenesi in utero.
Due articoli appena pubblicati mostrano che le cause dell'autismo (ASD) sono da ricercare durante la gravidanza e che la componente genetica è importante. Entrambe le ipotesi sono note da anni e note a tutti gli addetti ai lavori ...
(tranne a qualcuno ... ad esempio lo psicologo che pochi anni fa aveva identificato (?!?) la causa della malattia in una carenza di cure parentali. Una idiozia abissale e criminale per l'impatto che questa ipotesi generava su famiglie già colpite da un problema spesso più grande di loro)
... ma mancava ancora quella che gli anglofoni chiamano la "pistola fumante", cioè quale/i fossero i geni coinvolti. Questi due articoli aiutano a comprendere il problema.
Si parte da un dato acquisito, cioè lo sviluppo precoce ed eccessivo del cervello - evento comune nei soggetti autistici - in particolare nelle regioni corticali e subcorticali, tra cui la corteccia prefrontale e la corteccia temporale.

Il primo lavoro, sviluppato da Stoner e collaboratori, si è basato sull'analisi autoptica della corteccia di 22 bambini morti per cause naturali e di età compresa tra 2 e 15 anni, la metà dei quali affetta da autismo. L'analisi dei livelli di RNA si è centrata su 25 geni che già si sapeva essere espressi a livelli diversi nei diversi strati corticali. Risultato: si sono osservate ampie differenze nei livelli di espressione tra soggetti sani e autistici. Sommando il fatto che tali differenze riguardavano tutti gli strati corticali analizzati e che lo sviluppo corticale avviene in utero, la logica deduzione fu che l'origine dell'anomala espressione genica era da ricercarsi prima della nascita.
Le regioni frontali (associate alla comunicazione sociale e alla comprensione) e la regione temporale della corteccia (associata al linguaggio) sono le aree in cui tale differenza di espressione tra normali e malati è più evidente. Un dato non casuale, secondo gli autori, che riflette i sintomi osservati negli autistici.

Nel secondo studio, il team guidato da James Sikela si è focalizzato su DUF1220, un dominio proteico presente in un centinaio di proteine. Caratteristica centrale di questo dominio, la cui funzione è poco compresa, è che il numero di copie presenti va, da un punto di vista evolutivo, di pari passo con l'ingrandimento del cervello osservabile nel passaggio tra primati non umani e essere umano. Sikela parte dall'ipotesi che DUF1220 svolga una attività importante nella neurogenesi (come tempistica e tasso di proliferazione) e che qualora il tasso di neurogenesi sia eccessivo i neuroni vengono prodotti troppo rapidamente per potere essere collegati in modo da creare una rete neurale funzionante.
A conferma della possibilità di questa ipotesi i ricercatori hanno scoperto che CON1 (un sottotipo di DUF1220) ha nella popolazione generale una distribuzione gaussiana con frequenze comprese tra 56 e 88 copie. Un elemento che rende possibile la presenza di un ampio continuum di variazione fenotipica. A conferma della relazione tra numero di copie superiore all'intervallo di normalità ed autismo, l'osservazione che nei soggetti affetti da ASD il numero di copie di CON1 è linearmente correlato con la gravità dei tre principali sintomi caratterizzanti l'ASD: alterata interazione sociale; ridotta capacità comunicativa e aumento dei comportamenti ripetitivi.
Il prossimo obbiettivo di Sikela è verificare come si comportano gli altri cinque sottotipi di DUF1220 per vedere se sono anche essi associati con l'ASD.

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2) Autismo e presenza di microesomi anomali nei trascritti neuronali
Altro articolo interessante sul tema riferisce di una correlazione tra eventi di splicing anomali nelle cellule cerebrali e stato autistico.
Sebbene sia noto da anni che le cellule neuronali sono caratterizzate da un genoma particolarmente "instabile" a causa dell'alta mobilità di elementi noti come trasposoni (residui non funzionali di retrovirus intrappolati nel genoma dei vertebrati - e non solo - da milioni di anni) e che la variabilità che ne deriva gioca un ruolo chiave nella evoluzione in generale e nella plasticità neuronale in particolare, poco si sapeva su un'altra fonte di variabilità, quella legata allo splicing.
I geni degli eucarioti superiori sono caratterizzati da porzioni codificanti (esoni) inframmezzati da zone non codificanti (introni) il tutto associato ad elementi regolatori della trascrizione generalmente (ma non sempre) non trascritti. Al momento della trascrizione, gli enzimi deputati alla lettura del DNA e alla scrittura del filamento di RNA copiano in blocco tutta la sequenza genica. Solo in un secondo momento, durante la fuoriuscita del RNA dal nucleo, vengono tagliati fuori - ricucendo le estremità - le porzioni non codicanti, dando luogo al filamento la cui sequenza definisce la sequenza della proteina. Esiste tuttavia una variabilità (programmata) del tipo di esoni che vengono mantenuti a seconda del tipo di cellula. Avremo così che il gene A potrà formare la proteina A1 nelle cellule epiteliali della cute, A2 in quelle intestinali e A3 magari in quelle neuronali (mentre sarà assente in altri tessuti), ciascuna delle quali sarà una isoforma della stessa proteina, cioè una proteina di sequenza diversa in una o più regioni. Questo permette, partendo da una stessa informazione di generare proteine con funzioni parzialmente diverse nei diversi tessuti.
Nelle cellule neuronali dei soggetti autistici si è scoperto che i trascritti contenenti microesoni (lunghi tra 3 e 27 nucleotidi) sono molto più frequenti; nei soggetti sani invece queste porzioni vengono "tagliate" nel processo di maturazione del RNA. Tale anomalia sembra essere causata da livelli particolarmente bassi di nSR100, una proteina con ruolo chiave nella regolazione dello splicing di queste sequenze.
Rimane da capire ora se tale anomalia trascrizionale sia un epifenomeno o se svolga un ruolo chiave nella eziologia dell'autismo. Altra domanda chiave è ovviamente capire la causa dei bassi livelli di nSR100.  

Vale la pena sottolineare ancora una volta come da un punto scientifico siano folli (in quanto non esiste alcuna evidenza scientifica) le ipotesi lanciate nel recente passato da pseudo-scienziati sull'associazione vaccino-autismo e della preminenza delle cure parentali come fattori scatenanti la malattia. Una su tutte: come è possibile che una vaccinazione che per sua natura è postnatale possa essere correlata ad una malattia la cui insorgenza è dimostrata già in utero?!?! Solo questa contraddizione sarebbe sufficiente a respingere in blocco molte delle leggende metropolitane sui danni dei vaccini (leggi QUI per nuovi spunti di riflessione)

Devo purtroppo segnalare che troppo spesso mi devo interfacciare a persone che usano la recente sentenza (contestata da TUTTA la comunità scientifica) di un giudice italiano su autismo-vaccino, come la riprova di una correlazione negata.
Nota. Come era ovvio attendersi la corte d'appello ha, alla fine di febbraio 2015, mandato al macero (con un giudizio netto e duro) la precedente insensata sentenza di cui sopra. Bene. Ma il danno, ancora una volta, era già stato fatto e resta il punto grave di un giudice che, palesemente, si è pronunciato su un argomento al di fuori delle sue competenze e quindi con una capacità di giudizio poco attendibile. Non si chiede nulla di strano alla magistratura se non un giudizio basato su fatti e non su convinzioni personali.
E' purtroppo vero il contrario come ci hanno ben insegnato le vicende Di Bella, Stamina, etc: tutti casi in cui qualche giudice ha preteso di andare contro quanto stabilito dalla comunità scientifica stabilendo qualcosa che non è compito del giudice stabilire non avendo i mezzi e le conoscenze per farlo. Solo il ministero e gli organismi superiori di sanità possono esprimersi in merito. E i dati sulla relazione autismo-vaccino parlano chiaro: non esiste alcuna correlazione (come potrebbe dato che l'autismo PRECEDE la vaccinazione e che si tratta di fenomeni diversi?); il medico che anni fa lanciò questa ipotesi venne successivamente radiato dopo che si scoprì la falsità (NON l'errore) dei dati creati appositamente; il fatto che l'articolo fu lui stesso ritirato - una delle cose più gravi che un ricercatore può dover fare- fu la riprova della sua condotta deontologicamente aberrante.

Concludo citando i dati ottenuti da uno studio australiano che, l'apparente maggiore incidente di ASD nella popolazione è appunto "apparente". Il dato emerge dal confronto dei casi segnalati annualmente a partire dal 1990. Due i fattori alla base dell'errata percezione: la scarsa conoscenza del fenomeno (come identificare i soggetti) negli scorsi anni e il trend attuale di catalogare sotto ASD patologie diverse (vedi University of Queensland, news).

Articolo successivo sul tema "genetica e autismo --> qui)

Fonti
- Patches of disorganization in the neocortex of children with autism
R. Stoner et al, The New England journal of medicine (2014) Vol 370 pp1209-1219

- DUF1220 Dosage Is Linearly Associated with Increasing  Severity of the Three Primary Symptoms of Autism 
Jonathan M. Davis PLOS Genetics 2014 (10) 3

- A Highly Conserved Program of Neuronal Microexons Is Misregulated in Autistic Brains
Manuel Irimia et al, Cell (2014) Volume 159, Issue 7, p1511–1523

Wanderers. La visione di un video-artista sui futuri viaggi spaziali

Uno dei video più belli visti negli ultimi mesi sulle "scampagnate" spaziali che saranno fruibili dalle generazioni di un futuro non così lontano.
Futuri passeggiatori sui ghiacci di Europa con vista Giove (solo un esempio delle immagini presenti nella galleria ---> erikwernquist.com) Immagine a solo scopo esemplificativo del contenuto del sito.
All credits to erikwernquist.com
Escursioni sui ghiacci di Europa, viaggi attraverso gli anelli di Saturno e altro sono il tema su cui si centra questa opera di fiction. Il tutto, sia chiaro, basato su situazioni e luoghi reali nel nostro sistema. Beh quasi tutto dato che l'immagine delle stazioni spaziali è ben lontano dall'essere reale.
Il video è stato creato da Erik Wernquist che l'ha gentilmente messo a disposizione di tutti (anche per scaricarlo), ovviamente il minimo che si può fare è fare un salto sul sito dedicato e gustarsi a schermo pieno le immagini di cosa i nostri discendenti potranno vedere dal vivo.
Chi è Erik Wernquist? E' un artista svedese che fa del digitale la sua tavolozza dei colori e dello schermo la sua tela.
Bando alle ciance e gustiamoci il video
 





La missione delle formiche astronauta

"Houston, abbiamo ... . No, no, tranquilli. Nessun problema. Solo per dire che le formiche sono arrivate e stanno bene"
Forse questa è una delle frasi scambiate tra la stazione spaziale internazionale (ISS) e il centro di controllo a terra durante le fasi immediatamente successive all'arrivo sulla Stazione del razzo con astronauti non umani, missione decollata a bordo di uno dei periodici vettori di approvvigionamento privi di equipaggio che partono periodicamente alla volta della ISS.
La Stazione Spaziale Internazionale (©wikipedia)
Le formiche sono infatti tra i primi animali "superiori" ad aver guadagnato il privilegio (invero non richiesto) di vedersi assegnare uno dei costosissimi biglietti per un viaggio sulla ISS.
Motivo della missione, analizzare l'adattamento delle formiche alle condizioni di microgravità, analisi necessaria per sviluppare dei robot (meglio se miniaturizzati) in grado di operare sia in orbita che durante i futuristici voli interplanetari.

Nel dettaglio, una mini-colonia costituita da 600 formiche nere (il tipo che vive comunemente sui nostri balconi) è stata inviata "là, dove nessuna formica è mai stata prima", cioè sulla stazione spaziale internazionale in orbita intorno alla Terra. Il progetto nasce da una idea di Deborah Gordon, dell'università di Stanford.
Come accennato, le formiche sono tra i primi - ma non i primi - organismi imbarcati "deliberatamente" (la navicella, ricordo, non è un luogo sterile, quindi di sicuro molti batteri hanno già sperimentato l'ebrezza del volo) per condurre esperimenti chiave non riproducibili sulla Terra. Esperimenti fondamentali per meglio comprendere le alterazioni biologiche conseguenti alla permanenza nello spazio e per sviluppare sistemi adeguati per il sostentamento degli astronauti del futuro - tra cui la crescita di piante nello spazio - che dovranno affrontare missioni di mesi o anni(o generazioni nel caso di missione extra-solari) senza potere contare su rifornimenti dalla Terra.
Per avere una idea dei test condotti finora con esseri viventi (al 99% microorganismi) trovate una lista QUI e QUI per le piante.  Chiaramente non ho nemmeno preso in considerazione i test assolutamente pionieristici condotti negli anni '50 dai sovietici senza i quali, oggettivamente, la missione di Yuri Gagarin non avrebbe potuto avere luogo.
Perché le formiche?
Le formiche possiedono un algoritmo comportamentale che rende possibile lo sviluppo di gruppi sociali complessi. E' noto che variando gli input esterni, le formiche mostrano una considerevole capacità di adattamento; se si riuscisse quindi a decodificare in un algoritmo la loro capacità di rispondere ad ambienti "difficili" e mai sperimentati, questo potrebbe essere utilizzato per programmare automi in grado di espletare funzioni varie all'interno di una stazione orbitante o durante il volo spaziale.
Nota. I membri di una colonia svolgono funzioni estremamente precise, dalla ricerca di cibo all'esplorazione del territorio, dall'identificazione di una minaccia alla manutenzione del formicaio. Ciascuno di questi ruoli è, a differenza di quanto si riteneva fino a pochi anni fa, riprogrammabile a seconda delle necessità (vi rimando ad un precedente articolo su "eusocialità nelle formiche", QUI); una plasticità presente a diversi livelli nelle diverse specie di formiche. Le attività esplorative e di pattugliamento delle formiche sono basate principalmente sull'odore e sul contatto reciproco delle antenne, dato il loro debole senso visivo. A complicare il tutto, il fatto che non esiste una gerarchia di ordini ma ciascuna formica è responsabile della attività di ricerca. Nel corso delle decine di milioni di anni della loro evoluzione (esistevano già all'epoca dei dinosauri!) hanno sviluppato algoritmi comportamentali che in base alla frequenza dei contatti tra membri della colonia, permettono a ciascun membro di "capire" la densità di consimili nell'area e in base a questo regolare il raggio di esplorazione di nuove aree. In altre parole via via che i contatti diventano più radi la formica deduce di essersi allontanata a sufficienza e modifica il tipo di traiettoria. Per essere più precisi, quando i contatti antenna-antenna sono frequenti, le formiche percepiscono che la zona è densamente popolata e iniziano una esplorazione su traiettorie circolari limitate. Mano a mano che i contatti diminuiscono la traiettoria tende ad una linea retta, comportamento questo finalizzato ad esplorare più in profondità il territorio circostante. Questo particolare algoritmo è noto come rete di ricerca in espansione (expandable search network --> pdf) ed ha trovato applicazioni in diversi campi tecnologici come i protocolli che regolano le comunicazioni delle reti cellulari. Un'altra applicazione, in fase sperimentale, è quella legata a flotte di piccoli robot da usare in missioni di esplorazione di edifici pericolanti o da monitorare prima dell'invio di personale (vedi in azioni di anti-terrorismo). Come vero in tutte le reti di comunicazione il punto operativo critico è nell'interruzione dei nodi di controllo; ad esempio come rendere autonomi robot inviati alla ricerca di sopravvissuti in un edificio in fiamme qualora si trovassero isolati dal contatto radio. In queste situazioni dovrebbero sapere "prendere decisioni" in modo autonomo. Un problema, l'assenza di informazioni, a cui le formiche hanno imparato a rispondere. Per argomenti analoghi sulla Swarm Intelligence consiglio di cercare in rete partendo da QUI.
Durante l'esperimento orbitale 70 formiche sono state liberate dai loro contenitori all'interno di aree delle dimensioni di un computer portatile, ciascuna delle quali suddivisa in tre sezioni. Grazie a telecamere collegate a computer sono state registrate le traiettorie delle formiche in condizioni di microgravità; obiettivo principale era vedere la variazione del pattern di esplorazione del territorio mano a mano che le sezioni divisorie nel settore venivano abbassate, con conseguente diminuzione della densità di formiche e aumento della estensione del territorio.
I contenitori delle formiche durante la loro permanenza in orbita (©NASA by Un. of Colorado). Per un ingrandimento ---> QUI
L'esperimento era stato già condotto sulla Terra e aveva mostrato quanto prima descritto, cioè il passaggio da traiettorie circolari a linee rette. L'esperimento nello spazio ha permesso di aggiungere una variabile, la microgravità e questo è equivalente alla interruzione dei contatti radio che un robot in esplorazione sperimenterebbe durante un incendio. In condizioni di microgravità le formiche faticano a tenersi adese alla superficie e ciò interrompe la loro capacità di interagire fisicamente e condividere informazioni. Comprendere il "protocollo" seguito per superare i problemi indotti da questa variabile è utile per capire come programmare i robot.

Non contenti, e per aumentare la mole di dati disponibili i ricercatori hanno pensato di coinvolgere sulla Terra interi gruppi di studenti amanti della scienza affinché riproducessero questi esperimenti (senza la microgravità, ovviamente) con le formiche presenti sul loro territorio. Dato che esistono 12 mila specie di formiche, la gamma di comportamenti è alquanto variegata e sarebbe molto dispendioso fare una analisi comparativa tra le diverse specie. Coinvolgere gli studenti è invece un modo economico e utile in prospettiva didattica per raccogliere molti dati.
Per fare un esempio delle diverse caratteristiche delle formiche, quelle che troviamo nelle nostre cucine sono in genere molto brave nella attività di ricerca rispetto ad altre che vivono in ambienti naturali dove il cibo è più facilmente reperibile.
La guida data ai ragazzi dalla NASA su come fare i test
(credit: NASA)

Il video delle formiche in orbita


E le formiche astronauta?
Rimarranno sulla stazione spaziale a godersi una vista incomparabile. Gli astronauti umani comunque non dovranno temere di trovare la ISS infestata. Per la missione spaziale sono state usate solo formiche operaie sterili.

Riguardo alle missioni umane, vedere l'articolo su Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano.
(prossimo articolo su animali astronauti ---> topi e test spaziali).


Fonte
- Stanford University, news
- Ants in space
- All Together Now—A Lesson from Space Station “Ant-stronauts”

Monitorare in tempo reale le epidemie (e non solo) con Wikipedia

L'era digitale ci ha messo a disposizione uno strumento di indagine per monitorare la diffusione delle malattie nel mondo, di basso costo e facile utilizzo.
Uno strumento utilizzabile sia dall'Organizzazione Mondiale della Sanità che da piccoli istituti decentrati: l'analisi delle pagine consultate su Wikipedia
Nel dettaglio, l'analisi delle informazioni correlate a "numero di click" e tipologia di pagine visualizzate, la chiave per avere indizi su quale sia la malattia fonte di preoccupazione per una data area, prima ancora che il problema diventi evidente alle autorità sanitarie
all credit to ulia Forsythe (Nov. 2012)
Se fino a pochi anni fa questo sarebbe suonato strano e al più limitato ai paesi "addicted" alla tecnologia come il Giappone, oggi con la massiccia diffusione degli smartphone anche nei distretti più sperduti di molti paesi come India e anche Africa, la mole e qualità delle informazioni così ricavabili è molto aumentata.
Questo è quanto emerge da una analisi condotta da un gruppo di ricerca del Los Alamos National Laboratory. A tal proposito Sara Del Valle, la coordinatrice, aggiunge:  "un sistema di previsione globale delle malattie è il modo migliore per coordinare le risposte prima che l'emergenza diffonda alle aree circostanti". In un certo senso il concetto è quello di modificare l'approccio dei funzionari della sanità su uno schema di controlli di routine da fare ogni giorno così come si controllano le previsioni del tempo; monitorare l'incidenza (o la variata percezione della popolazione) di uno stato patologico più o meno nuovo equivale ad avere dati in tempo reale. 

Il team della Del Valle hanno messo alla prova l'efficacia di questo sistema di rilevazione indiretto (non basato cioè sulle segnalazioni ufficiali al CDC, ad esempio) per seguire il diffondersi di malattie come l'influenza (in USA, Polonia, Giappone e Thailandia), la dengue (Brasile e Thailandia) e la tubercolosi (Cina e Thailandia). 
I risultati sono stati più che positivi. La diffusione delle malattie sono state non solo identificate in tempo reale ma nel caso della tubercolosi in Cina, i dati hanno mostrato con 28 giorni di anticipo la comparsa di focolai "ufficiali", cioè accertati dalle autorità sanitarie.
Il significato di questa osservazione è ovvio cioè le persone si mettono alla ricerca di informazioni su una data patologia prima di rivolgersi al medico e quindi prima che inizi la catena di trasmissione dell'informazione.
Due sono, in aggiunta a quanto sopra, i vantaggi di questo sistema: è open-source e quindi sfruttabile a costo praticamente zero; la possibilità di sfruttare i dati ottenuti in una data regione, altrove in modo da migliorare l'efficacia di intervento.

Fonte
Nicholas Generous et al, PLOS Computational Biology, 13 novembre 2014

Quanti individui infetti (Ebola) sfuggiranno ai controlli aeroportuali? Un modello matematico aiuta a calcolarlo

(articolo precedente sul tema  QUI o seleziona tag "virus" nel pannello a destra)

I ricercatori dell'università di Liverpool si sono chiesti quanto siano efficaci i controlli aeroportuali per controllare la diffusione dell'epidemia di Ebola. Una preoccupazione ancora maggiore dato che si prevede un picco di diffusione in gennaio che potrebbe avere un ulteriore impulso a causa dei massicci movimenti natalizi.
Chiaramente l'indagine si è centrata su UK e USA e non sui paesi colabrodo come quelli mediterranei, dove l'Italia spicca per pressapochismo (la vicenda delle diverse decine di algerini scomparsi a Fiumicino - uno degli aeroporti più monitorati in Italia - prima del controllo ai varchi è sparita dal radar delle notizie ... per ovvi motivi (l'ultima notizia a riguardo qui).
Quanto è emerso dalla simulazione al computer è, come si suol dire, buono a metà: lo screening in atto risulta efficace nell'identificare e isolare i soggetti con sintomatologia sospetta ma è un arma spuntata per quelli asintomatici a causa del lungo periodo di incubazione (fino a 21 giorni mentre per l'influenza bastano 2-3 giorni). Questo ha una conseguenza immediata, cioè che alcuni malati riusciranno a passare e fungeranno da inneschi, anche solo verso il proprio nucleo famigliare, dell'epidemia.

Per dettagli e proiezioni vedere sezione specifica su healthmap.org (figura da ®economist.com del 26/11/14)
Questo in estrema sintesi il sunto dell'articolo pubblicato su Lancet, in cui viene descritto il modello matematico usato per testare la probabilità di entrata (in USA o UK) di viaggiatori infetti provenienti dall'Africa occidentale.
Per un grafico sul traffico aereo da e per i paesi epicentro (e il numero di viaggiatori medi) guardate il precedente articolo sull'argomento ---> qui.

Il team ha esaminato il tasso di crescita attuale dell'epidemia in Africa occidentale, lo ha associato alle rotte aeree che interessano le zone critiche e infine ha valutato la possibilità che persone (inconsapevoli di essersi infettate ma ad alto rischio) possano decidere di prendere uno di questi voli.
Il numero che emerge è 29, cioè il numero di persone infette che lasceranno l'Africa occidentale in aereo entro la fine dell'anno; di queste, 10 sono quelle che riusciranno a passare il filtro aeroportuale nel paese di partenza in quanto asintomatiche. Dei restanti 19  si stima che 1-2 saranno dirette in UK e fino a 3 negli USA; in entrambi i casi si stima che uno solo, al massimo, mostrerà i sintomi della malattia all'arrivo e potrà quindi essere fermato. Gli altri arriveranno sul territorio e, come avvenuto nel caso di Duncan o del medico rientrato a New York dopo la missione in Africa, entreranno inevitabilmente in contatto con altre persone.
Il numero che risulta è un numero tutto sommato gestibile dai paesi avanzati per l'attivazione delle procedure di identificazione e messa in isolamento dei soggetti entrati in contatto con l'infetto nelle 24 ore precedenti la comparsa dei sintomi (sebbene il rischio sia molto basso fino alla loro comparsa questo è un ragionevole intervallo di sicurezza).
La "sostenibilità" dell'emergenza non toglie che sia meglio incentrare gli sforzi affinché questa sostenibilità non sia messa alla prova. Come afferma uno degli autori, l'epidemiologo Tom Solomon "il modo più efficace per limitare la diffusione globale di Ebola è quello di controllare la malattia alla fonte, in Africa occidentale, dato che i filtri negli aeroporti di destinazione non sono perfetti".
Due sono i modi per controbilanciare la fallacità intrinseca dei controlli aeroportuali: intervenire massicciamente sul posto per implementare le procedure di sicurezza e limitare i voli da e per le zone a rischio ai soli voli militari e ufficiali.
La procedura è stata già attivata dai paesi confinanti i tre ora epicentro dell'epidemia ed ha finora impedito la diffusione a stati ad alta densità umana come la Nigeria.

Fonte
- Study predicts likely Ebola cases entering UK and US through airport screening
University of Liverpool, news

- Effectiveness of screening for Ebola at airports.
Jonathan M Read et al, The Lancet, Early Online Publication, 13 November 2014

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