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Misurare la glicemia dal cerume?

In un articolo tra i più letti in questo blog ("I giapponesi pensano che noi puzziamo ... e hanno ragione") concludevo la disamina fisiologica citando come test veloce ed economico (sostitutivo del test genetico) per capire se si è portatori dell'allele "puzzolente" o no, l'osservazione del proprio cerume (secco o umido). 

Niente di più di una curiosità in quel caso. Uno studio recente ha invece posto le basi per l'utilizzo del cerume a fini diagnostici nell'ambito delle malattie metaboliche che si manifestano con, tra le altre cose, una iperglicemia. Un problema tanto più diffuso in un'epoca come la nostra dove obesità e eccessi alimentari (o semplicemente errata alimentazione) sono diventati comuni perfino in paesi dove la penuria di cibo era una realtà fino a pochi anni fa.

Lo studio pilota, portato avanti da ricercatori della  UCL, descrive un dispositivo capace di misurare il livelli di glucosio con una affidabilità di quasi il 60% superiore rispetto alle tecniche esistenti. Vero vantaggio del dispositivo è il potere essere utilizzato a casa senza supervisione medica, una opzione che nella realtà del distanziamento sociale è qualcosa di più di un optional.

Secondo recenti stime valide su scala globale, un adulto su due affetto da diabete di tipo 2 non è ancora diagnosticato come tale; probabile che questa situazione sia peggiorata nell'ultimo anno complice il maggior tempo trascorso a casa e con esso minor moto ed eccessi alimentari.
Poiché la diagnosi di questo tipo di diabete avviene in genere dopo la comparsa di complicazioni va da sé che prima si fa la diagnosi meglio è.

Il test di routine richiede un campione di sangue e, specie quando si utilizzano strumenti basati su micro-prelievi, non è del tutto affidabile in quanto utilizza le proteine ​​del sangue come proxy per calcolare la glicemia effettiva.
Il nuovo strumento, simile per forma ad un tampone di cotone, si basa sul prelievo di campioni di cerume dall'orecchio. È perfino dotato di un "freno" che impedisce al più distratto degli utenti di andare troppo in profondità nel canale auricolare con il rischio di danneggiare il timpano (rischio non remoto che spiega perché oramai i cotton fioc siano andati in disuso). La punta del tampone è coperta da una spugna di materiale organico imbevuta di una soluzione adatta per "catturare" il campione.
Gli strumenti per l'autoprelievo del cerume
(credit: ucl.ac.uk)

Lo studio ha coinvolto 37 partecipanti sani (non diabetici) il cui livello di glucosio è stato misurato in due fasi ad un mese di distanza. Nella prima visita il campione prelevato è stato analizzato con metodi classici mentre alla visita successiva si è usato il nuovo strumento di misurazione. In contemporanea è stato prelevato del sangue, sia in condizioni di digiuno che dopo avere assunto un pasto standardizzato secondo il protocollo, come test di riferimento. 
La glicemia è stata valutata sia come glucosio libero (variabile durante la giornata) che come emoglobina glicata o HBA1C (un indicatore dei livelli di glucosio di lungo periodo). L'analisi del cerume ha mostrato una efficienza analitica del 60% superiore rispetto alla glicata nel rilevare i livelli di glicemia media del mese precedente.

Un approccio simile è stato utilizzato per misurare il cortisolo, ormone dello stress, indicatore importante per monitorare la depressione (quindi l'efficienza dei farmaci usati).
I ricercatori sono all'opera per cercare di capire se il test possa essere esteso alla rilevazione di anticorpi contro il coronavirus; queste ultime due idee saranno sviluppate dalla Trears, una società creata appositamente.

Fonte
- A Novel Earwax Method to Measure Acute and Chronic Glucose Levels
Andrés Herane-Vives et al, Diagnostics 2020, 10(12), 1069





Il punto sul dibattito scientifico (e non) circa l'origine del SARS-CoV-2

Propongo oggi uno tra i migliori articoli letti sulla ipotesi ampiamente dibattuta che il Sars-CoV-2 sia stato creato in laboratorio vs. l'ipotesi standard di zoonosi (in verità le due non sono antitetiche). L'autore, da sempre scettico sulla prima, analizza punto per punto la cronologia degli eventi e del dibattito innestandoli sui dati scientifici contro (molti) e in favore o almeno dubbi (alcuni non di poco conto) su questa ipotesi.

Ovviamente è ricco di termini tecnici, necessari per affrontare l'argomento in modo scientifico. Ripeto SCIENTIFICO. Tra i fatti citati che ignoravo, il caso H1N1 è quello che mi ha colpito maggiormente.

Riassumerlo farebbe un torto all'articolo originale per cui vi rimando direttamente all'originale, pubblicato sul sempre ottimo medium.com
L'autore è Donald G. McNeil Jr., giornalista del NYT, responsabile dell'area scientifica.


Aggiornamento novembre 2021
Il primo caso (ricostruito a posteriori) di covid19 risalirebbe al 10 dicembre 2019 a carico di una persona impiegata al banco alimenti del mercato di Wuhan.

Un sistema solare alieno ... "messo in musica"

Trappist-1 è una stella del tipo nana rossa distante 40 anni luce.
Uno come tanti, certamente, ma interessante sotto alcuni aspetti, tra cui spicca l'ospitare 7 pianeti di dimensioni e densità terrestri. Il fatto che orbitino talmente vicino alla stella, tra 10 e 150 milioni di km, da avere periodi orbitali compresi tra 1 e 18 giorni non è di suo un fatto inusuale per le nane rosse date le ridotte dimensioni e massa, e una temperatura superficiale ben inferiori a stelle di tipo solare (circa il 10% e poco meno della metà, rispettivamente). Queste caratteristiche permettono ai pianeti in orbite prossimali di non fare la fine di un pollo messo sul grill.
Tra questi, Trappist-1e sembra il più "terrestre"
Credit: NASA
Proprio questa loro longevità le aveva rese oggetti di studio preferenziali nella ricerca di civiltà aliene. Con una vita così lunga e una sorgente di energia imperitura (rispetto ai miserrimi 10 miliardi di anni di vita "utile" che ha il Sole tra la "culla" e la fase di gigante rossa) ci sarebbe tutto il tempo, stante un ambiente adatto come elementi chimici planetari, perché la vita si formi.
In verità uno dei problemi delle nane rosse è che, per quanto stabili sul lungo periodo, vanno incontro a fluttuazioni periodiche della sua attività che vanno dalla comparsa di enormi macchie stellari (capaci di abbassare del 40% l'energia emessa) a imponenti brillamenti che possono sterilizzare tutto ciò che si trova nelle vicinanze; vero anche che questa loro instabilità pare limitata al primo miliardo di anni della fase di nana rossa dopo il quale ha l'eternità a disposizione.
Esempio di brillamenti "letali" per i pianeti troppo vicini
(image credit: NASA)
Questo premesso la ragione per cui menziono oggi Trappist-1 è che data la sua "vicinanza" è stato possibile misurare i dettagli delle orbite dei singoli pianeti scoprendo così la loro sincronicità, risultato di un effetto di risonanza, simile a quanto avviene nelle lune di Giove.
Orbite in risonanza delle lune galileiane
(credit: planetary.org)


Per dare l'idea il secondo pianeta del sistema Trappist-1 completa cinque orbite nel tempo necessario al primo per farne otto, il terzo pianeta completa tre orbite per ogni cinque orbita del secondo pianeta, e il quarto pianeta fa due orbite per ogni tre orbita del terzo, etc 

Come convertire questa risonanza in un effetto facilmente percettibile anche a chi rifugge da ogni matematica? Trasformando la risonanza in musica, cosi da ottenere il primo sistema stellare "musicale". L'idea è venuta a Matt Russo, un astrofisico di professione con la passione della musica.
Se non vedi il video --> youtube.

Fonte
- Convergent Migration Renders TRAPPIST-1 Long-lived
Daniel Tamayo et al (2017) ApJL 840 L19



+10 applicazioni curiose della tecnica di ingegneria genetica CRISPR

Il termine CRISPR è diventato (quasi) di uso comune dopo il recente Nobel per la chimica a Doudna e Charpentier, e prima ancora per la famigerata creazione di bambini geneticamente modificati, ad opera da He Jankui nel 2019 di cui ho già scritto.
Chi è del campo non ha bisogno di conoscere i dettagli del funzionamento di questa tecnica e chi non lo è potrebbe facilmente perdersi nei meandri dei dettagli molecolari che ne spiegano il funzionamento.
Mi limito quindi ad una definizione generica tale da essere compresa da più persone, iniziando dalla versione ultrasintetica: tecnica, mutuata dal sistema di difesa antivirale dei batteri, con la quale è possibile  modificare in modo mirato e "semplice" l'informazione o espressione di uno o più geni bersaglio in qualunque cellula animale o vegetale.
Manuale del 2016 reperibile su Amazon scritto dal Nobel J. Doudna

Ampliamo la definizione aggiungendo qualche dettaglio in più, ma sempre semplificando il concetto sottostante. 
La CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) è una tecnica di ingegneria genetica (ovvero finalizzata a modificare uno o più bersagli nel genoma) mutuata dal sistema di difesa antivirale presente nella maggior parte degli Archaea e in molti batteri. Un sistema che somiglia sotto alcuni aspetti all'immunità adattativa presente nei vertebrati, vale a dire il sistema che sviluppa armi di difesa (anticorpi e cellule nei vertebrati) solo dopo avere incontrato per la prima volta il futuro bersaglio.
Mentre le difese innate sono pronte all'uso e generiche (ad esempio la risposta contro il LPS presente nella membrana di tutti i batteri Gram-negativi o i sistemi intracellulari che si attivano quando trovano un RNA a doppio filamento), l'immunità adattativa necessita di una esposizione alla minaccia e una decina di giorni prima di montare una risposta adeguata. Nei vertebrati superiori il compito di riconoscimento  viene svolto da macrofagi e APC (che catturano il bersaglio e preparano l'identikit) e da cellule effettrici come i linfociti che attraverso una complessa fase di riarrangiamento di alcuni geni porta alla produzione di anticorpi e di cellule citotossiche specifiche per un solo bersaglio.
I batteri sono organismi unicellulari per cui non possono delegare a cellule specializzate il compito attinente la difesa adattativa per aggiornare le difese contro nuovi virus o varianti di virus già incontrati. 
Alcune classi di batteri hanno optato per un meccanismo "empirico" per cui ogni volta che un virus penetra nella cellula, ne catturano e digeriscono il suo DNA, i cui mini frammenti (purché non omologhi a sequenze batteriche) verranno incorporati all'interno di "cassette", regioni specifiche del DNA batterico, in "coda" alle sequenze catturate in precedenza dalle cellule "ancestrali". Possiamo pensarlo come uno schedario in cui sono allineate tante foto segnaletiche le cui fotocopie vagano dentro la cellula trasportate da miniveicoli (le proteine Cas); se trovano il bersaglio il veicolo attiva immediatamente la risposta neutralizzante il DNA o RNA alieno.
Nota. La "foto" segnaletica, detta guida a RNA (lunga circa 20 nucleotidi) è adiacente ad una stringa  nota come PAM (protospacer adjacent motif) di 2-6 nucleotidi che serve per massimizzare la specificità evitando il "fuoco amico", cioè il rischio di colpire anche il proprio genoma. Grazie a questo sistema CRISPR il "primo" batterio infettato e sopravvissuto porterà "memoria" di questo incontro che i suoi discendenti utilizzeranno come difesa. Una informazione che viene condivisa anche con batteri di altre specie. 
Il sistema ha una certa eterogeneità tra i vari batteri tanto che ad oggi è categorizzabile in 6 tipi di CRISPR-Cas (I-VI) raggruppabili in due classe generali (1 e 2). Il termine Cas (CRISPR associated protein) indica la proteina con funzione effettrice, in genere una endonucleasi. 
Una immagine che schematizza i 6 tipo di CRISPR la trovate QUI. Se siete più tecnici vi rimando ad una review abbastanza recente.
Tra questi, il CRISPR-Cas di tipo II (con una Cas derivata dal batterio Streptococcus pyogenes) è quello più usato come modello nello sviluppo di tecniche di ingegneria genetica, su cui vengono apportate di volta in volta modifiche per renderlo adatto agli scopi desiderati. 
La foto segnaletica è la porzione blu del gRNA, veicolata dal complesso Cas9. Quando intercetta il suo bersaglio (segmento azzurro del dsDNA) attiva l'endonucleasi e procede al taglio. Esistono varianti Cas9 da altri batteri che eseguono il taglio solo su un filamento e altre "Cas" come Cpf1/Cas12a che eseguono il doppio taglio "sfalsato". 

Raffigurazione più "realistica" di come la proteina Cas9 (in bianco) alloggia sia la foto segnaletica (gRNA) che il DNA bersaglio prima di attivare il taglio enzimatico
(image credit: Thomas Splettstoesser (www.scistyle.com)

Se lo scopo è invece "bersagliare" un RNA allora la proteina migliore appartiene alla famiglia Cas13


L'utilizzo della CRISPR nella ricerca scientifica e, in prospettiva, nella terapia è variegata. Andiamo dalla correzione di un singolo nucleotide all'interno di un gene, alla sostituzione di pezzi "danneggiati" con altri normali fino alla modifica della espressione genica senza però apportare modifiche ma solo veicolando in sito delle proteine regolatrici. Scopi molteplici che implicano varianti della tecnica. L'esempio più semplice è trasformare l'apparato predisposto al taglio del bersaglio rimuovendone l'attività enzimatica (la proteina così mutata è nota come dead Cas o dCas); il risultato sarà un complesso CRISPR che continua a riconoscere il bersaglio ma dopo averlo agganciato non fa altro che bloccarne l'accesso al macchinario trascrizionalee "sedendocisi" sopra; molto utile quando si vuole solo spegnare un gene  temporaneamente
In alternativa alla mutazione della proteina Cas si può optare per la scelta di altre versioni della stessa originate da altri batteri, con funzionalità consone allo scopo.

 ***

Finita questa doverosa introduzione molto terra terra (semplificazione necessaria altrimenti sarebbe stato come scrivere in sanscrito) dedico il resto dell'articolo ad alcune applicazioni (non necessariamente cliniche ma "curiose") tra le tante che continuano ad emergere dalla fervida mente dei ricercatori. Come per tutto quello che attiene la scienza, è il buon senso (o meglio la capacità di predire le conseguenza a lungo termine) che discrimina un utilizzo sensato da uno avventato ed eticamente discutibile, per quanto a prima vista utile.


Selezione di animali da compagnia
I proprietari di animali domestici sono molto ricettivi (leggasi sono le fondamenta di un mercato potenziale enorme) alla possibilità di usare le ultime tecnologie per aiutare i loro pets. I servizi di test genetici per testare la salute o anche certificarne la "purezza" di cani e gatti sono aumentati negli ultimi anni e questi in molte razze (pastore tedesco in primis) sono test "obbligati" date le malattie genetiche che si portano dietro per l'eccessivo inbreeding e la poca selezione di allevatori senza scrupoli o di proprietari inconsapevoli. 
La tecnologia CRISPR potrebbe presto aggiungersi ai test canonici ma con in più la possibilità di agire direttamente sui geni difettosi invece della sola analisi genetica per individuare chi fare accoppiare e chi no. 
In Cina sono disponibili anche servizi per la clonazione (per il mercato giapponese anche se non so se per motivi di costo o di divieto) mediante tecniche simili a quelle sviluppate anni  fa con la clonazione della pecora Dolly. Qualcosa che, a mio modesto avviso, ha senso per gli animali da carne o da produzione ma che quando si parla di pets mi richiama ... Pet Sematary (e chi scrive ha avuto cani ma mai penserebbe di clonare il defunto sperando di riaverlo. E' illogico oltre che poco rispettoso per l'unicità del "compianto"). A titolo d'esempio vi rimando alla descrizione sul sito dell'Istituto Roslin (in cui Dolly fu creata) del perché animali clonati (un gatto ad esempio) possano apparire molto diversi dall'originale.
Usare la CRISPR per rimuovere gli alleli deleteri è sensato e potrebbe risolvere il problema di cani fatti nascere "handicappati"; vi dicono nulla le difficoltà respiratorie che affliggono tutti i cani brachicefali tanto da necessitare interventi chirurgici correttivi?
Oltre a questo esempio estremo, cito come animali potenzialmente beneficiari di questa terapia genica i dalmata, tutti portatori di una mutazione genetica (a carico del gene codificante per il trasportatore dell'acido urico) che li rende a rischio di calcoli alla vescica, o il bellissimo pastore svizzero bianco che oltre al rischio displasia dell'anca sono portatori (leggasi alta frequenza nella loro popolazione) di un allele del gene SOD1 che se presente li espone ad una malattia terribile molto simile alla sclerosi laterale amiotrofica già intorno ai 5 anni.
Un articolo di qualche tempo fa su MIT Technology Review analizza il caso di un allevatore di dalmata che ha pianificato interventi genetici correttivi, e dalla cautela espressa dall'organo di vigilanza FDA.
Tra i progetti più borderline cito la creazione di maiali in miniatura adatti per la vita in appartamento e di carpe koi (le classiche carpe giapponesi "domestiche") fatte in dimensioni, colori e modelli personalizzati.

Alimenti anallergici
Le allergie alimentari colpiscono un'ampia fetta della popolazione con disturbi che vanno dal mero fastidio allo shock anafilattico. La CRISPR potrebbe qui tornare utile per generare latte, uova o arachidi privati della componente allergenica. A memoria ricordo che nell'uovo sono 4 le proteine ​​presenti nell'albume associabili alle allergie. Qualche altro ardito in Australia sta pensando di agire direttamente sul proprio genoma  rimuovendo la parte che riconosce l'allergene.
Un altro gruppo di ricerca, nei Paesi Bassi, sta lavorando per produrre grano senza glutine, adatto quindi ai celiaci. È improbabile tuttavia che ciò sia utilizzabile in ambito UE a causa della rigida regolamentazione sull'editing genetico a carico di piante ad uso alimentare.

"Registratori a nastro" DNA
Ricercatori di Harvard hanno usato la CRISPR per creare uno strumento molecolare chiamato CAMERA, abbreviazione di apparato di registrazione multi-evento analogico mediato da CRISPR (CRISPR-mediated Analog Multi-Event Recording Apparatus). Lo strumento funge da registratore di eventi nel corso della vita di una cellula, come l'esposizione ad antibiotici, nutrienti, virus e luce.
Per giungere a questo scopo CRISPR è stato implementato nelle cellule in modo che una specifica modifica del DNA si attivi solo "a comando", vale a dire in presenza di un ben determinato segnale che qui equivale alla "esposizione". Contando la frequenza delle modifiche generate dalla CRISPR è perfino possibile determinare la durata e la forza dello stimolo (trigger). Il sistema funziona sia su cellule batteriche che su cellule eucariotiche tra cui quelle umane e cosa ancora più interessante è possibile attivare la registrazione di più tipologie di segnale contemporaneamente.
Sul lungo termine, questi approcci potrebbero aiutare gli scienziati a rilevare sul campo gli inquinanti ambientali o tracciare, in ambito biomedico, quali sono i segnali che determinano il cosiddetto commitment di una cellula staminale quando si avvia lungo un determinato percorso differenziativo (un vero collo di bottiglia negli di studi di biologia cellulare).

Chicchi di caffè decaffeinati
All'inizio c'era il caffè Hag come simbolo del decaffeinato. Il procedimento classico, non del tutto economico (lo si vede dal costo del caffè) necessita l'immersione dei chicchi verdi all'interno di un bagno di vapore arricchito di anidride carbonica e successiva cottura.
Oggi si potrebbe risolvere il problema caffeina alla fonte modificando le piante, o meglio i geni coinvolti nella via biosintetica della caffeina. Diverse sono le aziende intente all'opera, tra queste la britannica Tropic Biosciences ha creato una varietà genetica di chicchi di caffè decaffeinati naturalmente.
Oltre al vantaggio economico, partire da chicchi decaffeinati in partenza permette di preservare sapore e caratteristiche nutrizionali del caffè. 
Nota aggiuntiva. La stessa azienda lavora ad una versione migliorata delle banane, necessaria alla loro stessa sopravvivenza. La banana comune (nota come Cavendish) è infatti molto sensibile ad un fungo sempre più diffuso. Già a meta secolo scorso ci fu una crisi che porto alla scomparsa dell'allora banana "comune" (alias, da supermercato), nota come Gros Michel. Si vuole evitare che questo accada di nuovo, magari migliorando nel contempo anche la stabilità di un frutto noto per essere deperibile.

Combustibili (più) verdi
Obiettivo di Synthetic Genomics è utilizzare l'editing genetico per rendere piu efficiente la produzione di biocarburante da parte delle alghe. Per farlo sono stati creati ceppi modificati in un gene di controllo rendendoli capaci di produrre il doppio della materia grassa (olio); la componente grassa è infatti il substrato di partenza per il biodiesel ma anche un fattore limitante data la carenza di grassi nelle piante, fattore che rende questa produzione economicamente svantaggiosa. L'interesse per la ricerca è tale che perfino colossi come Exxon Mobil sono interessati e contano di riuscire, finanziando queste ricerche, a produrre 10 mila barili al giorno di biocarburante derivati da alghe entro il 2025.
Per una panoramica di altri approcci CRISPR per giungere allo stesso scopo vi rimando all'articolo su Microbial Research.

Pomodori piccanti
Obiettivo dichiarato è creare il primo pomodoro naturalmente piccante, ottenibile attivando il percorso metabolico che porta alla sintesi della capsaicina; procedimento non complicatissimo in quanto la maggior parte dei geni necessari sono già presenti (retaggio evolutivo?) per cui bisogna "solo" agire sui tasselli mancanti. A che pro? A differenza dei peperoncini, difficili da coltivare su vasta scala e con rese basse (lo vediamo dai prezzi), la coltivazione dei pomodori è semplice e adatta a molte ambienti. Sul tema OGM e cibo vi rimando ad un precedente articolo.

Eradicazione specie infestanti
Con buona pace degli attivisti capaci di indignarsi perfino per la soppressione dei pitoni che stanno distruggendo l'ecosistema della Florida, il problema delle specie infestanti è serio sono molto spesso conseguenza di introduzioni accidentali o non ponderate di specie provenienti da altre parti del globo. 
L'assenza di predatori naturali le rende dominanti provocando gravi danni all'ambiente e una diminuzione della diversità ecologica. Esistono beninteso specie infestanti del tutto native ma vettori di malattie infettive. La CRISPR potrebbe aiutarci a controllare il numero di specie animali che trasmettono malattie infettive o che sono invasive in un particolare ecosistema. Tipico esempio di tale approccio la creazione di "unità" portatrici di un dato allele che renda tutta o parte della loro progenie non fertile o non vitale; sufficiente a questo punto liberare i portatori nell'ambiente per assicurare un controllo delle nascite "sterilizzando" de facto gli accoppiamenti con la popolazione naturale.
Esempio recente di sperimentazione entrata nella fase operativa il rilascio di zanzare maschio (del genere associato alla diffusione di malaria, etc) la cui progenie femminile muore durante lo sviluppo il cui risultato netto è un abbattimento della loro popolazione.
Approcci simili sono allo studio per combattere i ratti invasivi che devastano l'ecosistema delle isole con specie in via di estinzione e quelli per limitare i danni causati dai gatti selvatici in Australia.

Cavalli da corsa più veloci
L'azienda argentina, Kheiron-Biotech, lavora per modificare il genoma dei cavalli da corsa con il fine di creare razze più veloci, forti e con meno problemi di salute. Un approccio oggi possibile dopo che la Federazione internazionale per gli sport equestri ha revocato il divieto per i cavalli clonati di partecipare a competizioni internazionali. Ad oggi sono molti i cavalli clonati che partecipano a sport come il polo contribuendo alla vittoria della propria squadra. Con l'editing genetico si passa ad un livello successivo che non è più finalizzato a preservare le caratteristiche vincenti di un cavallo ma creare ex novo un vincente. Nulla esclude che un giorno questi saranno la norma anche nelle competizioni olimpiche.

Pesce più nutriente
Del salmone modificato ottenuto con tecniche di ingegneria pre-CRISPR ne ho scritto molti anni fa. Un esempio tra i tanti è il salmone canadese (nel senso di creato in Canada) che cresce due volte più velocemente del salmone normale. Con l'avvento della CRISPR la ricerca è andata oltre producendo salmone sterile, che ha il vantaggio di crescere meglio e di ammalarsi di meno. Oltre a questi vantaggi fattuali c'è ne è uno importante legato alla non "contaminazione" della popolazione naturale qualora fuggisse dagli impianti di acquacoltura.
Altri approcci mirano a migliorare il contenuto di omega-3

De-estinzione
Con questo brutto neologismo si intende "riportare in vita" animali oggi estinti partendo dal DNA dei loro più stretti cugini modificandone i geni diversi (quindi niente a che vedere con le tecniche previste da Michael Crichton in Jurassic Park). Per quanto questo possa sembrare strano bisogna ricordare che le differenze genetiche tra specie molto simili sono uguali o inferiori allo 0,1% (perfino due specie chiaramente diverse come Homo e scimpanzè sono uguali al 99% con mutazioni fondamentali in geni chiave per lo sviluppo corticale e non solo --> sezione dedicata ai geni dell'articolo linkato). Tra i primi candidati alla "resuscitazione" c'è il piccione viaggiatore, che fino a poco piu di un secolo fa popolava in milioni di esemplari il nordamerica (sterminato dagli agricoltori).
La strategia ipotizzata dai ricercatori prevede l'utilizzo della CRISPR per introdurre i geni dei piccioni viaggiatori nel suo parente moderno, il piccione Patagioenas fasciata. Gli ibridi saranno allevati per diverse generazioni fino a quando il DNA della prole non corrisponderà a quello della specie estinta. La prima generazione di neo-piccioni era pianificata per il 2022 ma dubito sia fattibile dato l'appena vissuto biennio pandemico.
A seguire potrebbero esserci i mammut sebbene qui il problema di riportare in vita il pachiderma lanoso ponga una serie di quesiti etici dato il clima sempre meno adatto e gli spazi di cui avrebbero bisogno per una vita degna di tale nome.
Mio modesto consiglio è che, anche sulla base di alcuni progetti di utilizzo della CRISPR (che ho omesso) forse dovremmo usare questa tecnic per riattivare circuiti neuronali chiaramente difettosi in alcuni scienziati e politici.

Riduzione colesterolo
Un team di ricercatori di Verve Therapeutics ha usato la CRISPR per abbassare i colesterolo ematico nelle scimmie; il lavoro è stato pubblicato su Nature. L'approccio si basa sull'esistenza di persone con una varianti del gene PCSK9 associata ad aumentata produzione di proteina nel fegato interferendo con la funzione di rimozione LDL ematico operata da specifici recettori epatici. Gli approcci basati su farmaci non hanno finora dato i risultati sperati per cui si è pensato di agire direttamente alla radice del problema, cioè il gene anomalo. I 
Nella sperimentazione su scimmia si è veicolato il macchinario preposta per la CRISPR sotto forma di mRNA contenuto dentro nanoparticelle lipidiche mediante singola iniezione intra-epatica. Dopo solo 1 settimana dal trattamento il livello della proteina PCSK9 era sceso di circa il 90% e la LDL di circa il 60%. Una correzione mantenuta per almeno 10 mesi di follow up senza evidenti effetti collaterali.
I ricercatori affermano che i dati sono sufficienti per iniziare i test su umani sebbene le autorità regolatorie esitino per intrinseche ragioni di sicurezza; il trattamento infatti si basa su una inattivazione definitiva del gene per cui bisogna prima escludere effetti a lungo termine che un off-targeting su altri tessuti.

DIAGNOSTICA
Chiudo con una applicazione "bonus" della CRISPR-Cas.
Pensavate che la CRISPR servisse solo per modificare l'informazione del gene o alterarne l'espressione?
Invece no, può essere utilizzata anche a scopo diagnostico per rilevare (perfino in modo quantitativo) la presenza di un dato virus nel sangue o altri fluidi, con una sensibilità tale da permettere di discriminare tra varianti virali diverse. Il tutto grazie alla specificità della molecola di RNA che funziona come "esca" (nota come sgRNA) per un dato bersaglio; se progettata in modo appropriato permette di distinguere mutazioni su un singolo nucleotide e a cascata, a seconda della sonda usata, ottenere non solo il dato sulla presenza del genoma virale ma anche quale sia la variante.
Una volta avvenuto il "contatto" (alias l'ibridazione) si attiva l'endonucleasi della Cas che agisce (anche) su una molecola reporter presente nella soluzione (un RNA associato ad un fluoroforo) con il risultato dell'attivazione del fluoroforo.

Domanda banale: perché non usare come metodo diagnostico la ben più routinaria RT-PCR? La ragione è che necessita di strumenti non facilmente trasportabili. Al contrario una diagnosi fatta con la CRISPR-Cas necessita di circa mezz'ora, con pochi reagenti già pronti all'uso e i risultati (intensità luminosa all'interno della provetta) possono essere analizzati usando la fotocamera dello smartphone. 
image credit: news.berkeley.edu
I test diagnostici in fase di sviluppo sono molti, tra tutti i due più famosi sono SHERLOCK e DETECTR sotto schematizzati.  Inutile qui fare una descrizione dettagliata, cosa che sarebbe troppo tecnica. Una lista complete dei metodi in fase di sviluppo la trovate QUI
Image credit: Biological Procedures Online v.22, a.22 (2020)



Articolo successivo sul tema --> "In futuro useremo la CRISPR anche per l'obesità?"

Alla ricerca di terapie per la malattia di Huntington

La malattia di Huntington è una malattia genetica di tipo neurodegenerativo, i cui primi sintomi consistono in una progressiva perdita della coordinazione muscolare, a cui si deve il nome originario di "corea di Huntington" dove per córea si intendono i movimenti involontari. A questo quadro si associa un inesorabile declino cognitivo associato a problemi psichiatrici.  Secondo le stime fornite da Telethon la malattia riguarda circa 5-10 individui ogni 100 mila.
L'aspettativa di vita dopo la comparsa dei primi sintomi, generalmente dopo la mezza età, è di circa 20 anni. Tra le complicanze descritte, verosimilmente a causa della minore autonomia del soggetto vi sono polmonite, malattie cardiache e infortuni vari (ad esempio cadute).
La malattia è autosomica dominante, vale a dire che è sufficiente una copia alterata del gene huntingtina per indurre la malattia. Dato che il gene non altera la fitness genetica (definita come capacità di generare individui fertili ed in grado di raggiungere l'età riproduttiva in condizioni psicofisiche ottimali) l'essere dotati di una copia del gene mutato non è stato contro-selezionato evolutivamente a livello di popolazione: l'individuo manifesta infatti la malattia solo molto dopo che ha generato la progenie, e quindi ha trasmesso l'allele alterato o predisponente (vedi sotto). Per questo motivo i figli di un individuo portatore (verosimilmente eterozigote) hanno il 50% di probabilità di avere ricevuto l'allele mutato.
La mutazione consiste in una amplificazione, oltre un certo valore soglia di 36 sotto il quale i sintomi non si manifestano, della tripletta CAG corrispondente al codone 18 del gene; ne deriva un aumento di residui aminoacidici consecutivi di glutamina, come detto in posizione 18 della proteina, il cui numero può superare i 60 nei casi più gravi. A causa di questa anomalia della sequenza la proteina viene destabilizzata e acquista una funzionalità anomala. La penetranza genetica, vale a dire la probabilità che l'avere una certa mutazione si traduca in malattia, è nulla per ripetizioni inferiori a 35, sale considerevolmente tra i 36 e 39, e raggiunge valori alti al di sopra i 40. In particolare mentre nei soggetti con più di 40 ripetizioni la malattia comparirà in qualche momento della propria vita, ma in genere non prima della mezza età, i soggetti portatori di una huntingtina con più di 60 ripetizioni presentano un quadro clinico ancora più grave caratterizzato da una precoce insorgenza dei sintomi (Huntington giovanile).

Tabella riassuntiva
n(CAG)18 Classificazione Malattia
<28 Normale NO
28–35 aumento rischio figli NO
36–39 Bassa penetranza rara
>40 Penetranza completa SI

Non entro in dettaglio ai meccanismi con cui si generano queste amplificazioni; diciamo semplicemente che la presenza di ripetizioni può indurre degli errori di copiatura a causa di veri e propri scivolamenti della DNA polimerasi durante la duplicazione del DNA. Se il templato da copiare contiene già un certo numero di ripetizioni, la probabilità che la polimerasi scivoli sono maggiori.
Lo "scivolamento" della polimerasi (©Un. Colorado)

Questo il motivo per cui è praticamente nulla la probabilità che nascano figli "futuri malati" se il numero di triplette è inferiore a 27; d'altra parte soggetti con pre-alterazioni (aventi cioè da 26 a 35 ripetizioni) pur non essndo loro stessi a rischio di malattia sono invece a rischio di trasmettere gameti "iper-amplificati" alla progenie.  
Alcune delle patologie in cui si manifesta un
alterato numero di "triplette" (©Un. of Arizona)

Purtroppo da un punto di vista terapeutico non esiste al momento una cura. Le terapie in uso sono sintomatiche e prevedono l'uso di antidepressivi e di farmaci in grado di ridurre i problemi connessi alla perdita di coordinazione motoria; nessuno di questi è in grado di rallentare la progressione della malattia .  

La ricerca apre delle speranze per il futuro come si legge dall'articolo apparso sulla rivista scientifica Cell Reports, ad opera di una equipe del Lawrence Berkeley National Laboratory. Le potenzialità di questa scoperta sono molte come dice Cynthia McMurray, la responsabile del progetto. "Il composto testato si è rivelato di grande successo sul modello animale testato. Sono necessarie ulteriori ricerche, ma ha il potenziale reale di avere un impatto nel trattamento di patologie neurodegenerative".   
Ma facciamo un passo indietro.
E' noto che molte malattie di tipo neurodegenerativo sono in modo più o meno diretto una conseguenza di un danno ossidativo legato alla respirazione cellulare (cioè il metabolismo energetico che sfrutta l'ossigeno come accettore di elettroni). Le centraline energetiche delle cellule, i mitocondri, generano nel loro lavoro incessante prodotti potenzialmente tossici come i radicali liberi, rimossi dai vari sistemi di sicurezza cellulari. Una eccessiva produzione di queste sostanze e/o una deficitaria velocità di rimozione possono ripercuotersi sugli stessi mitocondri e a cascata sulle cellule. In particolare le cellule neuronali sono particolarmente sensibili a queste "intossicazioni", da qui la genesi di una parte delle malattie neurodegenerative. L'area maggiormente colpita è quella dello striato.
La huntingtina ha tra le altre funzioni quella di proteggere le cellule dalla apoptosi, il meccanismo che "suicida" le cellule quando i "sensori" rilevano danni rilevati o pericoli imminenti (ad esempio presenza di virus o alterazioni tumorali). Probabile allora che la proteina alterata abbia una ridotta funzionalità di freno dell'apoptosi e che i danni ben tollerati dalla maggior parte dei soggetti siano invece percepiti come pericolosi dai possessori della mutazione. Risultato: attivazione impropria dell'apoptosi.
Una delle vie perseguite dai tanti ricercatori attivi in questo campo è stato quello di verificare se trattamenti in grado di proteggere i mitocondri dalle molecole chimicamente reattive da loro stessi prodotti potessero avere una qualche efficacia. La prima cosa testata fu quella di vedere se gli antiossidanti naturali come la vitamina E e il coenzima Q fossero in grado di attenuare gli effetti nocivi delle specie reattive dell'ossigeno su mitocondri. Il risultato, in parte atteso, è che i benefici erano tutto sommato marginali. Ci voleva qualcosa di più specifico e che non venisse "disperso" nel corpo anche sulle cellule meno sensibili a questi danni.
Per tale scopo il passo successivo è stato quello di sviluppare e testare antiossidanti sintetici specifici per i mitocondri. Tra questi la molecola XJB-5-131 che h mostrato nei topi portatori di una mutazione similare di sopprimere i sintomi della malattia. Il composto ha non solo migliorato la funzione mitocondriale e migliorato la sopravvivenza dei neuroni ma si è rivelato efficace nel bloccare la perdita di peso e il declino delle abilità motorie. In breve, i topi apparivano e si comportavano come topi normali.
A livello del DNA mitocondriale, il composto ha mostrato di abbassare drasticamente il numero di lesioni sul DNA (un chiaro segno di protezione dai danni ossidativi) e, cosa ancora più importante
di riportare il numero di mitocondri a livelli normali anche quando il loro numero era sceso sotto il livello di guardia.
I ricercatori sono ora all'opera per cercare di capire esattamente in che modo il composto esplichi il suo effetto, una condizione preliminare per potere iniziare in tutta sicurezza la sperimentazione clinica.

Un risultato che è bene sottolinearlo non sarebbe mai stato possibile senza la sperimentazione animale. O forse c'è qualcuno che avrebbe voluto testare le centinaia di prodotti sperimentali direttamente sui pazienti? Se si, queste persone abbiano il coraggio di dirlo direttamente al paziente sulla sedia a rotelle.

(articolo sui rischi connessi al nascente turismo delle staminali)

Aggiornamento 2021: un articolo su Nature cita un approccio molto promettente basato sulla terapia genica con oligonucleotidi antisenso finalizzata ad impedire al messaggero del gene Huntington difettivo di produrre la sua proteina 
Credit: Nature (2021)

Passano poche settimane e arriva la doccia fredda. Gli studi clinici sono stati interrotti a causa dei risultati deludenti ----> "Failure of genetic therapies for Huntington’s devastates community"



Fonti
- Targeting of XJB-5-131 to Mitochondria Suppresses Oxidative DNA Damage and Motor Decline in a Mouse Model of Huntington’s Disease
Zhiyin Xun et al, Cell reports, (2012) 2, Issue 5, p1137  d
- Berkeley Lab Scientists Help Develop Promising Therapy for Huntington’s Disease
 Lawrence Berkeley National Laboratory/news

La conferma di un risultato anomalo sui muoni mette in fibrillazione i fisici teorici

È di alcune settimane fa la notizia che particelle elementari note come muoni non sono esattamente come previsto data la discrepanza del momento magnetico misurato sperimentalmente con quello previsto dal modello standard. Se tale discrepanza venisse confermata da esperimenti indipendenti, sarebbe la prima volta in cinquant'anni, cioè dalla nascita del modello a metà anni 70, in cui si rileva una falla predittiva. 
Lo strumento (Muon g-2 ring) usato nell'esperimento
(credit: Fermilab)

Un risultato più che sufficiente per mandare in fibrillazione i fisici teorici sia perché inserisce una crepa in un modello capace di unire le 4 forze fondamentali (gravità esclusa) che per le prospettive legate alla necessità di trovare il tassello mancante. Il tutto amplificato dalla sostanziale assenza di scoperte (attenzione scoperte, NON conferme tipo il bosone di Higgs o le onde gravitazionali) negli ultimi decenni.

A quanto ammonta la discrepanza?
Il valore misurato è stato 0,00116592040 mentre quello previsto era 0,00116591810. Una differenza che per noi comuni mortali (ovvero coinvolti in sperimentazioni con sistemi biologici o più in generale sistemi macroscopici) appare risibile, ma che nella fisica delle particelle ha lo stesso impatto della sirena di una nave quando avvista un iceberg inatteso. Delle due l'una, o è un problema di misurazione o di metodo, oppure della teoria sottostante. Poiché non sono state rilevate anomalie procedurali, anzi, come vedremo poi, questo esperimento nasce per confermare un dato anomalo ottenuto 20 anni fa, diventa palese la ragione dell'eccitazione montante tra i fisici.

Ok, bene ma cosa ci sarà mai in questa misura di strano?
I muoni possono essere considerati la versione pesante di un elettrone (massa 200 volte maggiore). 
Volendo fare una catalogazione appena meno superficiale sono particelle elementari appartentente alla famiglia dei fermioni (l'altra famiglia è quella dei bosoni) e al gruppo dei leptoni carichi a cui appartengono anche elettroni e tauoni
image credit: CC BY 3.0 (wikipedia9


I muoni, a differenza degli elettroni, a causa della loro massa sono fortemente instabili e decadono a formare altre particelle. 
Per quanto instabili sono ovunque intorno a noi. Si formano in genere quando una particella ad alta energia come un protone colpisce l'atmosfera terrestre generando altre particelle, tra cui i muoni.
Se hanno una breve emivita come fanno allora a raggiungere la superficie terrestre dove sono rilevati da appositi sensori? Il tutto nasce dalla loro velocità relativistica il cui primo effetto è che il tempo "visto da noi" e quello "visto dal muone" sono molto diversi, quindi il "loro" tempo di decadimento è sufficientemente lungo per farli arrivare sulla superficie. 
Non si tratta beninteso di particelle che "nascono e muoiono" nella testa e nelle formule dei fisici teorici; un esempio di applicazione pratica la abbiamo con lo studio dell'interno delle piramidi dopo avere posizionato un rilevatore ad una estremità per catturare le particelle cha avevano attraversato la struttura (vedi muons reveal hidden void in egyptian pyramid).

Per studiarli non è necessario andare a caccia di quelli formatisi nell'atmosfera ma possono essere "comodamente" creati per fini sperimentali usando gli acceleratori di particelle come quello del CERN o, nel caso di questo esperimento, quello del Fermilab vicino a Chicago.

Data la presenza di carica e di movimento i muoni si comportano come piccoli magneti le cui caratteristiche (ad esempio la loro risposta all'interno di un campo magnetico esterno) sono calcolabili. 
Facendo transitare i muoni attraverso un forte campo magnetico, questi mostrano oscillazioni attorno al loro asse di rotazione, quantificate da un valore noto come g-factor le cui caratteristiche sono funzione sia di proprietà intrinseche che del campo magnetico esterno
Altro modo per ripetere quanto scritto è che la forza del magnete interno determina la velocità di precessione del muone quando si trova un campo magnetico esterno; il momento magnetico e il momento angolare derivanti sono descritti da un numero che i fisici chiamano g-factor. 
In queste condizioni i muoni si trovano ad interagire con la cosiddetta schiuma quantistica di particelle subatomiche che appaiono e scompaiono dall'esistenza (in senso letterale) in frazioni di un istante 
Per quanto questo possa apparire strano è un fenomeno noto da decenni ed è, tra le altre cose, alla base dell'ipotesi della radiazione di Hawking quando questi eventi avvengono a ridosso dell'orizzonte degli eventi di un buco nero.
Le interazioni con queste particelle effimere modificano il valore del g-factor, causando la precessione del moto dei muoni. Il modello standard prevede nel dettaglio questo "momento magnetico anomalo". 
Da qui il fatto che se il valore ottenuto sperimentalmente è diverso da quello teorico, questo implica l'esistenza all'interno della schiuma quantistica di forze o particelle non contabilizzate dal modello standard (particelle ipotetiche tipo leptoquark o Z' bosone).
Esattamente quanto verificatosi.

Se a questo aggiungiamo che l'esperimento era stato pensato per validare (o confutare) anomalie nelle misurazioni ottenute nel 2001 presso il Brookhaven National Laboratory, ne deriva che diventa sempre più difficile pensare ad un errore procedurale in questo e nell'esperimento di 20 anni fa. Ci deve essere un tassello mancante nell'impianto predittivo.

Mettendo insieme i risultati ora ottenuti al Fermilab con quelli al Brookhaven la significatività dei risultati raggiunge un valore pari a 4,2 sigma, molto alta ma non ancora a livello del 5 sigma che per gli scienziati sperimentali implica che il risultato assurge al grado "scoperta" (confusi? Leggetevi l'articolo Le Scienze "Il 5 sigma questo sconosciuto"): un valore anche "solo" pari a 4,2 sigma significa che la probabilità che i risultati siano frutto di fluttuazione statistica è pari a 1 su 40000. Quindi decisamente convincenti.

I valori teorici per il muone erano:
fattore g = 2,00233183620 ; momento magnetico anomalo = 0,00116591810
La media ottenuta dagli esperimenti del 2001 e del 2021 indica: 
fattore g = 2,00233184122 ; momento magnetico anomalo = 0,00116592061

Poco probabile che la differenza tra risultati sperimentali e predizione sia frutto del caso
(credit:B. Abi et al, /PRL 2021 via sciencenews ) 



L'impatto prodotto da questi dati sulla comunità dei fisici è, potenzialmente, maggiore dell'effetto, pur eclatante, della identificazione del bosone di Higgs.
Tale particelle era infatti prevista dal modello e l'esperimento tanto a lungo atteso serviva per confermare sperimentalmente un modello che funzionava su tutto il resto.
Il risultato attuale rivela invece un mancanza inattesa nella teoria. In ambito scientifico le anomalie vanno spiegate e se il modello in essere non può essere spiegato allora bisogna cambiare modello. 

Queste dunque le ragioni delle possibili ripercussioni sulla teoria nota come supersimmetria, anche nota come SUSY.  

Video riassuntivo della scoperta edito dal Fermilab


Fun Fact. Questa potrebbe essere la rivincita del Fermilab nella famosa sfida (fittizia) tra loro e il Caltech mostrata nell'episodio "The Confirmation Polarization" in "The Big Bang Theory", quando Sheldon Cooper si aggiudica la paternità della teoria della "superasimmetry" nella diatriba con i 2 ricercatori del Fermilab. (Nota a margine. La superasimmetria non esiste ma fu proposta dal consulente scientifico della serie come l'unica vera scoperta in grado di fare guadagnare un Nobel in tempi brevi in quanto antitetica alle attuali teorie fondate sulla simmetria) 


Fonti
- Measurement of the Positive Muon Anomalous Magnetic Moment to 0.46 ppm
B. Abi et al, Phys. Rev. Lett. 126, 141801 – 7 April 2021

- First results from Fermilab’s Muon g-2 experiment strengthen evidence of new physics

- What’s next for physics’ standard model? Muon results throw theories into confusion

- Is the standard model broken? Physicists cheer major muon result

- The Groundbreaking New Physics Experiment





Un coniglietto di plastica fatto con la stampante 3D ha nel DNA le istruzioni per "duplicarsi"

Utilizzare il DNA come alternativa ai classici strumenti per immagazzinare memoria digitale non è una novità per quanto siamo solo agli albori delle sue potenzialità (vedi il precedente articolo --> DNA al posto della pendrive?).
Oggi riporto una sua curiosa applicazione sotto forma di una statuetta di un coniglio in poliestere creata con la stampante 3D che contiene al suo interno, sotto forma di DNA, le istruzioni per ricrearne copie a volontà. 
(credit: ETH Zurich / Julian Koch)

L'esperimento è frutto della collaborazione tra due team di ricerca, uno presso l'ETH (Istituto federale svizzero di tecnologia) e l'altro quello di una azienda israeliana attiva nello sviluppo di sistemi di storage delle informazioni sotto forma di DNA.

Più che la creazione in sé il dato rilevante è nel potenziale utilizzo del DNA per memorizzare le informazioni per la produzione di oggetti di uso quotidiano.

Il DNA contenente le informazioni (corrispondenti a circa 45 kilobyte) è stato inserito in microsfere di vetro e poi incorporato nella plastica con cui è stato costruito il coniglietto. Una volta ottenuta la statuetta si è messo alla prova l'accesso alle istruzioni rimuovendo un pezzetto di plastica dall'orecchio, isolandone le sferette con il loro carico di DNA che una volta sequenziato e tradotto il codice, ha fornito una stringa di informazioni sufficienti alla stampante 3D per riprodurre l'oggetto stesso, ivi compresa l'informazione dell'assemblaggio e decodifica dell'informazione nella stringa di DNA.
Il processo è stato ripetuto 4 volte partendo ogni volta dalla statuetta appena prodotta, l'ultima delle quali conservata per nove mesi per dimostrare la stabilità dell'informazione.

In un prossimo futuro la produzione di oggetti base per la casa o i pezzi di ricambio per vari macchinari verranno prodotti direttamente sul luogo minimizzando così la catena distributiva e il conseguente inquinamento ambientale. Va da sé che siamo ancora lontani da questi traguardi pratici.
Su temi correlati potrebbe interessarti anche l'articolo "La foto segnaletica derivata dal DNA"
Fonte
- A DNA-of-things storage architecture to create materials with embedded memory
Julian Koch et al, (2020) Nature Biotechnology volume 38, pp. 39-43


Xenobot ovvero l'incontro tra cellule embrionali di rana e intelligenza artificiale

Sull’onda del dibattito embrione ibrido uomo-scimmia, vale la pena ripescare un lavoro uscito a fine 2020 sugli xenobot, da alcuni definiti un poco arditamente come la prima “macchina vivente” essendo il risultato della fusione tra IA e cellule di rana.
Uno degli xenobot progettati in silico
(image credit:  Douglas Blackiston via The Guardian)

Già il nome xenobot è tutto un programma capace di evocare (in me) le immagini dello xenomorfo per antonomasia, cioè Alien. Certo la mia sarà stata una “visione” estrema ma spiegabile con il messaggio che il suffisso xeno- veicola se associato ad organismi “disegnati” dalla IA. In verità xeno- qui ha una valenza diversa essendo derivato dal nome della rana (Xenopus laevis), animale per antonasia nella ricerca biomedica e genetica il cui nome indicava “zampa strana”.

Espletato il dovere della premessa vediamo in cosa consiste lo studio.
Lo xenobot è il risultato di cellule prelevate dalla pelle di embrioni di rana, riassemblate in una struttura organizzativa non esistente in natura “progettata” sulla base di algoritmi; il che per alcuni equivale a dire il prima prodotto organico creato dalla IA.
Immagine tratta dall'articolo che riassume la fase di progettazione in silicon e il risultato finale
(image credit:Sam Kriegman et al, PNAS, 2020)
In una fase preliminare l'algoritmo genera molti progetti di forme basate sul caso. Nella fase successiva, vengono selezionate le forme più adatte ad uno scopo aggiungendo dettagli, e così via in una sorta di evoluzione indirizzata fino ad ottenere una forma che appare adatta allo scopo. E' a questo punto che entrano in gioco i biologi che modellano queste figure usando le cellule adatte allo scopo; se si vuole aggiungere una funzione contrattile si aggiungono cellule muscolari a quelle epiteliali embrionali.

Non parliamo di organismi macroscopici essendo fatti da circa 2 mila cellule per una dimensione complessiva sotto il millimetro. Sono però capaci di spostarsi verso un bersaglio in modo indipendente e collettivo. 
Per essere precisi non è nemmeno corretto definirli organismi essendo privi di organi o tessuti. Sono un ammasso di cellule organizzate in una data forma.
A che scopo? Ad esempio in un prossimo futuro per trasporare in un sito prefissato del corpo del paziente il farmaco necessario per facilitare il processo di guarigione delle ferite. Certo per questi scopi forse sono più adatti i nanorobot già messi alla prova nella vescica di topo ma siamo solo all’inizio della sperimentazione degli xenobot.

Questi assemblati cellulari sono abbastanza resistenti, potendo sopravvivere in piena funzionalità per circa 10 giorni in assenza di “cibo”. Per prolungarne la vita basta fornire un poco di zucchero alla soluzione perché si raggiungano i 4 mesi, tempo che è durato l’esperimento. Nota importante, l’estensione della vita non implica crescita dimensionale o del numero di cellule componenti.
A fare veramente la differenza rispetto ad approcci analoghi, l’avere utilizzato la potenza di calcolo di supercomputer dedicati per progettare in silico il “miglior” xenobot.
I sistemi usati per la progettazione al computer non sono molto diversi da quelli usati dai programmatori di videogiochi come Fortnite e Minecraft.
Ottenuto il progetto, le cellule embrionali sono state fatte assemblare in vitro (alias colture cellulari) e poi testate dai biologi della Tufts University.

Tra i test condotti, quello in “arena” disseminata di piccole particelle di ossido di ferro in cui si è dimostrata la loro capacità di ripulire l’area dai detriti. Xenobot dotati di una appendice simile a una forcella o ad uno spazzaneve nella parte anteriore sono stati in grado di "spazzare via" in una sola notte le particelle sciolte in una capsula di Petri, depositandole in mucchietti ai lati. 
I "solchi" lasciati dagli xenobot mentre ripuliscono la piastra di Petri in autonomia
(image credit:  Douglas Blackiston via The Guardian)



Altri xenobot sfruttano appendici simili a gambe per spostarsi sulla superficie del piatto. Altri ancora nuotano sfruttando il battito delle ciglia, appendici tipiche di alcuni tessuti epiteliali, oppure si incontrano, "interagiscono" e poi tornano a muoversi in direzioni opposte

Credit: Tufts University

Una “proof of concept” per potenziali utilizzi di bonifica come la rimozione di rifiuti microscopici di varia natura (radioattivi, plastica) da un liquido, trasportare medicinali all'interno dei corpi umani e persino raschiare la placca dalle nostre arterie.

Come nelle migliori scene di SF poteva forse mancare la loro capacità di rigenerarsi? Certo che no, questa è una loro capacità intrinseca nell'essere embrionali, quindi molto flessibili nel riparare danni da usura o lesioni. 

Come sempre non bisogna mai dimenticare chi in tempi oramai lontani aveva prefigurato questo potenziale pur essendo allora impossibile testare l'idea 

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.


Fonte
- A scalable pipeline for designing reconfigurable organisms
Sam Kriegman et al, (2020) PNAS, 117(4)1853-1859





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