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Le immagini del Sole in HD

In attesa che la sonda Parker raggiunga la distanza operativa per potere studiare la corona solare (prima di tuffarsi al suo interno), l'High-Resolution Coronal Imager (Hi-C) continua a regalarci immagini in HD, tra cui quelle dei filamenti di plasma emessi dalla corona solare.
Nota. In realtà sotto il nome Hi-C si raggruppano più missioni (quindi lanci) del rilevatore orbitale. Ad oggi sono tre i lanci effettuati, uno dei quali fallito.  
Fino a pochi anni fa della corona solare, lo strato più esterno dell’atmosfera del Sole, si sapeva molto poco. Da qui la necessità di inviare sonde in zona per raccogliere informazioni. Cosa semplice da pensare, molto meno da realizzare se si pensa alle proibitive condizioni locali (temperatura, radiazioni, attrazione gravitazionale, getti di plasma ... e tutto quello che vi può venire in mente su come distruggere la sonda o le apparecchiature di rilevamento e trasmissione dati).

Le ultime immagini rese disponibili dai ricercatori della NASA e della inglese UcLan (pubblicate sulla rivista The Astrophysical Journal) si sono rivelate utili, oltre che affascinanti, nel disvelare alcuni segreti sulla composizione della corona.
Credit: University of Central Lancashire via INAF
Ingrandimento della precedente immagine (Credit: University of Central Lancashire via INAF)
L'immagine precedente è stata "scattata" durante il terzo passaggio suborbitale (29/05/2018) ed è, ad oggi, l'immagine a più alta risoluzione dell'atmosfera solare.
Come spiega uno dei ricercatori intervistato dall'INAF "[il miglioramento equivale] a passare da una visione [vista su una vecchia TV] di verde  uniforme del prato di un campo di gioco al distinguere ciascun filo d'erba [su una TV OLED 8k]".
In questo caso i "fili" hanno un diametro di 500 km e sono dei filamenti magnetici all’interno dei quali fluisce gas ionizzato a temperature di milioni di gradi
Ricordo che la corona solare è nettamente più calda della sottostante "superficie" (definizione in verità alquanto superficiale ... passatemi la battuta) che si attesta a poco meno di 6000 K.

Credit video: media INAF

Come si formino resta un mistero e su questo dovranno indagare le prossime missioni Hi-C. Per ottimizzare la quantità di dati ricavabili, l'idea è di fare coincidere queste osservazioni con quelle delle due sonde in rotta verso il Sole, cioè la Parker Solar Probe (NASA) e il Solar Orbiter (ESA, lanciato 2 mesi fa).
Articolo precedente sul tema "Il suono del vento solare registrato dalla sonda Parker"

Fonti
Is the High-Resolution Coronal Imager Resolving Coronal Strands? Results from AR 12712.
Thomas Williams et al. (2020) - The Astrophysical Journal

Il Sole in ultra Hd
INAF

**Aggiornamento luglio 2020** 
Pubblicate alcune immagini del Sole prese dal punto più vicino mai raggiunto da una sonda

Le fotografie ritraggono a un'incredibile risoluzione gli strati inferiori dell'atmosfera solare. La superficie del Sole appare costellata da migliaia di piccole esplosioni, un miliardo di volte più piccole delle eruzioni solari già note, battezzate dai ricercatori come campfires.
L'esistenza di questi "fuochi da campo" (grandi centinaia di chilometri) potrebbero spiegare uno dei misteri associati al Sole cioè la temperatura della corona solare, che con il suo milione di gradi supera nettamente la temperatura alla superficie della stella (5500 gradi). La risposta potrebbe venire dall'elevato numero di queste mini-eruzioni.
video credit: ESA


Batterie pieghevoli made in Svizzera

L'avvento di smartphone pieghevoli è solo il primo, e forse il meno utile, step di un percorso il cui fine è ottenere schermi (o più il là nel tempo tablet e TV) arrotolabili quando non in uso.
(Credit: ETH Zurich / Peter Rüegg)
A parte l'effetto "wow" che in tecnologia dura poco, l'utilità potenziale di tali prodotti è innegabile; pensiamo a schermi estendibili su cui leggere il giornale (o documenti di lavoro) anche all'aperto o una tv con maxi schermo che inutilizzata scomparirebbe dalla visuale arrotolata come una tendina qualsiasi.
Di prototipi in tal senso ne sono apparsi duranti i passati CES a Las Vegas ma nessuno ha superato le forche caudine della produzione. Tra i tanti problemi da risolvere c'è quello di rendere piegabili componenti "rigide" per antonomasia come le batterie.
Una innovazione in tal senso viene da ricercatori del Politecnico Federale di Zurigo che hanno sviluppato una batteria flessibile e sottile che può essere allungata, piegata e anche attorcigliata senza che questo alteri l'erogazione di energia.
(credit: Niederberger group, ETH Zurich)

La struttura è basata su un polimero di carbonio conduttivo e nella parte interna un sottile strato di lamelle d’argento micronizzate, organizzate come fossero le tegole di un tetto, capaci di non perdere contatto tra loro anche quando la batteria viene allungata 
Ricorda in un certo qual modo la struttura della vescica il cui epitelio, quando rilassata, a strati sovrapposti mentre quando si riempie e si deve espandere mantenendo la pressione a valori accettabili, questi strati scivolano gli uni sugli altri adattandosi al nuovo volume.
Mentre nel caso della vescica questa (in casi estremi) si può rompere, in questa batteria la capacità di estensione "funzionale" è così ampia che qualora le lamelle d’argento perdessero contatto, la corrente potrebbe ancora fluire grazie allo strato di carbonio. 
Credit: M. Niederberger, ETH Zurich via advancedsciencenews

Altro aspetto interessante è l’elettrolita, attraverso cui gli ioni di litio si muovono durante il funzionamento (o la ricarica) della batteria. Si tratta di un gel basato su acqua e sali di litio, privo di tossicità e non infiammabile come le batterie attuali.

Video by ETH Zürich (se non lo vedete --> youtube)

Fonti
- A battery with a twist
 Eidgenössische Technische Hochschule Zürich
- Fully Integrated Design of a Stretchable Solid‐State Lithium‐Ion Full Battery
 Markus Niederberger et al, (2019) Advanced Materials



Scoperto un pianeta di dimensione e temperatura giuste vicino a una nana rossa (in parte "giusta")

Ci voleva una novità per tornare sul tema, invero affascinante, della ricerca di esopianeti che in questo ultimo decennio ci ha regalato suggestioni prima appannaggio della fantascienza.
Abbiamo “visto” pianeti con due soli, giganti caldi (hot Jupiters), pianeti di diamanti, altri dove piove  vetro fuso e pianeti oceano. (--> qui alcuni dei pianeti più bizzarri trovati finora). Tutti affascinanti ma poco attraenti come luoghi di colonizzazione, vuoi per l’essere “inferni incarnati” (data la temperatura), gassosi o con altre caratteristiche non adatte alla vita.
Qualche tempo fa quei burloni della NASA hanno immaginato locandine pubblicitarie di una futuribile agenzia di viaggi pensata per turisti spaziali (ne ho scritto in un precedente articolo --> "Agenzia di viaggio NASA").
Ma forse ora c’è qualcosa di interessante. Uno dei pianeti entrato da poco nel catalogo degli esopianeti confermati, Kepler-1649c, è roccioso, ha dimensioni terrestri, ha caratteristiche (vuoi per l’orbita, vuoi per la temperatura stimata) compatibili con la presenza di acqua allo stato liquido e cosa ancora più interessante è a "soli" 300 anni luce da noi.
Immagine artistica di Kepler-1649c
(Credit: NASA/Ames Research Center/Daniel Rutter)
Il pianeta ha però una particolarità che lo differenzia da noi: la stella attorno a cui orbita è una nana rossa, quindi più fredda, meno luminosa (25% in meno del Sole) e con spettro emesso virante al rosso. In particolare la loro longevità e abbondanza le rende candidati ideali per la ricerca di forme di vita (la loro "vita" media è stimata essere 1000 volte maggiore di quelle di stelle longeve come il  Sole il che darebbe ad un pianeta nei dintorni, dotato di condizioni ideali, tutto il tempo per  esperimenti biotici). Tuttavia pur essendo stabili hanno l’inconveniente di essere soggette a brillamenti violenti (assenti invece nelle giganti rosse che vivono molto meno). In questi sistemi stellari un pianeta "ideale" dovrebbe orbitare a distanza di sicurezza per evitare i brillamenti ma sufficientemente vicino da ricevere energia sufficiente da una stella "debole" come la nana rossa per evitare di trasformarsi in un ghiacciolo di roccia.
Credits: NASA/Ames Research Center/Daniel Rutter
Nota. Così come gli organismi evolutisi sul nostro pianeta si sono adeguati al tipo di luce proveniente dal nostro Sole, una ipotetica forma di vita capace di fotosintesi su un pianeta orbitante intorno ad una nana rossa dovrà avere sviluppato "clorofille" adatte a lunghezze d'onda centrate intorno al rosso (meno energetiche). Pagina interessante sul tema --> Plants under Alien Suns. Alcuni scienziati tuttavia dubitano che la banda spettrale proveniente da queste stelle sia "energicamente" idonea a supportare la fotosintesi --> Habitable planets around red dwarf stars might not get enough photons to support plant life.
L’orbita di Kepler-1649c è molto vicina alla stella per i canoni del nostro sistema (19,5 giorni il loro “anno”) ma questo è una diretta conseguenza delle minore dimensioni e radiazioni stellari che fanno si che la zona abitabile sia molto più prossima alla stella che nel caso del sistema solare.

Visto che le nane rosse sono comuni e che in precedenza sono stati identificati altri esopianeti in questi sistemi c'è da chiedersi il perché dell'articolo dedicato a Kepler-1649c apparso qualche giorno fa su The Astrophysical Journal Letters.
Quanto sono comuni le nane rosse?
(credit: spaceanswers.com)


L'elemento chiave è che è tra i pochi pianeti identificati ad avere entrambi i requisiti minimi, cioè l’orbita nella fascia di abitabilità e una temperatura “terrestre” (leggasi non un pianeta di lava e non un freezer). Invero lo studio è del tutto preliminare in quanto mancano informazioni chiave come la presenza (e caratteristiche) dell'atmosfera e sappiamo bene dall’esempio di Venere (il gemello della Terra) quanto la sua composizione questo possa cambiare il destino di un pianeta trasformandolo in un forno corrosivo.
La relativa vicinanza a noi dovrebbe permettere di ottenere maggiori informazioni sulle caratteristiche del pianeta nel corso dei prossimi mesi.

I dati sono stati ottenuti dal telescopio orbitante Keplero sfruttando il transit method (--> Qui trovate un riassunto dei metodi in uso per la ricerca degli esopianeti ). Il numero attuale di esopianeti confermati è 4151 distribuiti su 3077 sistemi stellari. Per avere il numero aggiornato al momento in cui leggi clicca su --> exoplanetarchive - Caltech o il Exoplanet Search Program.


Precedenti articoli tematici sul blog riguardo la ricerca degli esopianeti --> QUI

Fonte
- Earth-Size, Habitable Zone Planet Found Hidden in Early NASA Kepler Data
NASA 

- A Habitable-zone Earth-sized Planet Rescued from False Positive Status
Andrew Vanderburg et al, (2020). The Astrophysical Journal Letters


Il mistero delle strutture fatte con ossa di mammut risalenti al paleolitico

La scoperta risale a diversi anni fa ma ancora oggi gli archeologi non concordano sulla reale funzione di un "insediamento" (di seguito il perché del virgolettato) umano nell'odierna Russia occidentale risalente all'ultima glaciazione (20 mila anni fa) in pieno paleolitico.
Credit: AE. Dudin via smithsonianmag.org

Quello che è certo è che il loro materiale costruttivo fatto da migliaia di ossa di mammut (tra una sessantina di teschi interi insieme ad ossa di altri mammiferi allora abbondanti) è qualcosa di unico e ci proietta in un tempo in cui questi giganti pelosi erano una costante in Europa e avevano lo stesso ruolo che i bisonti ebbero per i Sioux, cioè il sostentamento degli ancora radi gruppi di Sapiens, di Neandertal (in realtà molto improbabile in quanto scomparsi circa 40 mila anni fa) e magari di Denisova.
Credit: AJE Pryor via smithsonianmag.org
Si tratta di strutture circolari alte fino a 9 metri la cui funzione ipotizzata finora era quella "abitativa". Una ipotesi ora messa in dubbio da un team di studiosi anglo-americani, la cui ricerca, apparsa sulla rivista specializzata Antiquity, non fornisce però indicazioni su quale potesse essere il loro scopo reale. Magazzini per il cibo? Templi? Difficile dirlo e i 20 mila anni trascorsi dalla loro creazione rende difficile sperare di trovare indizi più chiari sebbene ne siano state scoperte diverse decine nella zone tra l'attuale Ucraina e la Russia europea.
Difficile ipotizzare l'utilizzo "casuale" delle ossa come materiale trovato in zona, se si pensa che le osse di mammut, pesanti e molto difficili da posizionare per le tecniche dell'epoca, sono state usate in modo costante per tutte le strutture in modo da formare un circolo continuo privo di un ingresso evidente. 
Credit: AE Dudin via smithsonianmag.org
Nella parte centrale della struttura sono presenti tracce di legno bruciato (cosa che aveva fatto pensare ad abitazioni o rifugi) ma un esame più attento non ha trovato conferme all'ipotesi di residenze di lungo periodo. Il che non avrebbe nemmeno avuto senso per un popolo di cacciatori-raccoglitori se non come insediamenti temporanei durante i duri inverni glaciali (l'agricoltura si affermò solo 12 mila anni fa e in regioni diverse).
Potrebbero avere avuto funzione rituali anche se non per il culto dei defunti data l'assenza di ossa umane.

Articolo su argomento correlato --> "Come dormivano i veri Flintstones?"

Fonti
- The chronology and function of a new circular mammoth-bone structure at Kostenki 11
Alexander J.E. Pryor et al, Antiquity 17 March 2020

- A Mysterious 25,000-Year-Old Structure Built of the Bones of 60 Mammoths

- This Mysterious Ancient Structure Was Made of Mammoth Bones
NYTimes (marzo 2020)







Guardando dentro un ammasso di galassie alla ricerca delle particelle ALP

Se nell'ultimo articolo abbiamo dato uno sguardo ad un lontano (in senso spazio temporale) universo in cui la tavola periodica è costituita da un massimo di 3 elementi, oggi seguiamo alcuni recenti ricerche che l'INAF riassume con il titolo emblematico "alla ricerca di una nuova fisica nel cuore di Perseo"
L’ammasso di Perseo ai raggi X e nel riquadro il buco nero
(credit: Nasa/Cxc/U. Cambridge/C. Reynolds et al. via INAF) 
Il tutto nasce da 5 giorni di osservazioni fatte con il telescopio spaziale della NASA in direzione di Perseo, un ammasso di galassie distante da noi 240 milioni di anni luce. Osservazioni miranti a rilevare particelle esotiche note come ALP (axions-like particles), che purtroppo, come spesso avviene nella ricerca, hanno dato esito negativo.
Il tutto rientra nella ambizione (e necessità) della comunità scientifica di giungere alla cosiddetta “teoria del tutto”, il modello che dovrebbe unificare tutte le forze, le particelle e le interazioni conosciute. Tra i modelli finora proposta, menzione particolare (in quanto a  notorietà) va alla teoria delle stringhe, mai stata smentita ma nemmeno mai, empiricamente, confermata
Una precisazione quest'ultima non banale. Nella scienza le teorie sono valide finché non vengono smentite da altri dati; una teoria non è un dogma ma è costantemente sottoposta alla verifica sperimentale e finché non ci sono evidenze che la negano viene considerata "accettabile". Un cambio di prospettiva rispetto alla fine del '800 quando si era convinti che la fisica newtoniana da sola bastasse a spiegare l'universo... finché un certo Einstein prima (e la meccanica quantistica poi) fecero capire tali certezze erano solo una approssimazione valida al più per la nostra vita quotidiana.
Un passo avanti in questa ricerca viene dalle osservazioni al telescopio spaziale a raggi X Chandra. Obiettivo dichiarato dello studio era trovare prove dell'esistenza di alcune particelle nei segnali elettromagnetici prodotti dagli ammassi di galassie. Gli assioni, questo il nome delle particelle, sono predette dalla teoria delle stringhe per cui identificare loro è sinonimo del dare solidità teorica alla teoria suddetta (come avvenuto in altro ambito con la rilevazione qualche anno fa delle elusive onde gravitazionali).

Come anticipato, la studio ha dato esito negativo ma nella ricerca questo non equivale ad una pietra tombale sulla teoria come avverrebbe ad esempio se si fossero trovate particelle in totale contrasto con l'impianto teorico (in un certo senso vale qui il detto "nessuna nuova, buona nuova … o quasi).
La ragione della (parziale) soddisfazione dei ricercatori è che il non essere riusciti ad identificare quelle particelle consente di porre vincoli alle caratteristiche che queste particelle dovrebbero possedere se esistessero.

Una delle ragioni della elusività di queste particelle (ipotetiche) è che dovrebbero avere una massa talmente bassa da fare apparire l'elettrone un gigante: parliamo di valori che vanno da zero (in fisica esistono particelle senza massa) a 1 milionesimo della massa dell'elettrone. Qualunque valore superiore a zero fornirebbe indizi per "gettare luce" sul mistero della materia oscura.

Tra le proprietà predette degli assioni, quella di potersi convertire in fotoni durante il passaggio attraverso campi magnetici  (vero anche l'opposto, fotoni in assioni, in particolari condizioni).

Il quadro è complicato dalla presenza (ipotizzata da alcuni fisici) delle ALP, particelle di massa ultra-bassa, dotate di maggiore libertà nella transizione a fotone.
La ricerca di di tracce di conversione delle ALP in fotoni è il razionale dell'osservazione prolungata della zona centrale dell'ammasso di Perseo, in cui si trova un buco nero supermassiccio. Il risultato negativo pur in presenza di misurazioni estremamente accurate porta con se la spiegazione che se queste particelle esistono devono per forza avere massa inferiore a 10−15 volte quella di un elettrone, il limite di risoluzione degli strumenti montati su Chandra.
Ecco perché un risultato negativo è stato molto informativo.

Se non vedi il video-->youtube

Fonte
- Astrophysical limits on very light axion-like particles from Chandra grating spectroscopy of NGC 1275
Christopher S. Reynolds et al. The Astrophysical Journal (2020)




*** per chi vuole saperne di più***




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