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Visualizzazione post con etichetta HIV. Mostra tutti i post
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Un farmaco per l'HIV utile per la riabilitazione dopo ictus

Torno sul tema della scoperta di nuove applicazioni per vecchi farmaci (articoli precedenti --> NewOldDrugs) per aggiungere come nuovo esempio quello della nuova vita di un farmaco, oggi in uso per il trattamento del HIV, nella terapia dei pazienti colpiti da ictus.

L'ictus è una delle principali cause di disabilità a lungo termine e come tale ha attratto ricercatori impegnati a capire come migliorare la condizione dei pazienti e con essa minimizzare i costi (umani ed economici) che stato e famiglie si trovano ad affrontare.
Gran parte degli approcci oggi in uso si fondano su tecniche riabilitative più che su trattamenti farmacologici, semmai diretti per contrastare possibili recidive. Ma queste tecniche sono più utili per il recupero motorio (quando possibile) mentre poco si può fare per le lesioni che impattano su apprendimento e memoria.
Il recupero motorio successivo a lesioni cerebrali deve molto alla plasticità sinaptica, cioè la rimodulazione delle connessioni nervose e la riprogrammazione di aree cerebrali. I pazienti in terapia motoria devono a tutti gli effetti "reimparare" a camminare (o a parlare) come fanno i bambini nel primo biennio di vita.
Se si potesse facilitare la plasticità neuronale reimpostandola sulle potenzialità tipiche del cervello giovane, i tempi e l'efficacia terapeutica ne avrebbero grande giovamento.

Uno studio pubblicato sulla rivista Cell da Thomas Carmichael va in questa direzione con la scoperta che la proteina di membrana CCR5 oltre ad essere il bersaglio naturale per la terapia anti-HIV (essendo il co-recettore che usa il virus  per agganciarsi alla cellula) è anche un target per il trattamento riabilitativo successivo a ictus o trauma cranico.
Una scoperta importante perché permette di usare da subito quanto già scoperto finora, in termini di molecole terapeutiche e sicurezza farmacologica, grazie alla sperimentazione sul HIV.

Come anticipato nei precedenti paragrafi, i meccanismi molecolari e cellulari coinvolti nel recupero successivo ad una lesione cerebrale, cioè la plasticità sinaptica, sono simili a quelli utilizzati nell'apprendimento e nella memoria. L'analisi mediante imaging cerebrale funzionale conferma che i pazienti in riabilitazione dopo un ictus hanno un pattern di attivazione simile a quello di chi sta imparando a camminare e parlare.

Il dato che ci interessa qui è che le ricerche condotte su modelli animali di ictus hanno dimostrato come l'inibizione del segnale mediato da CCR5 migliori il processo di apprendimento e la plasticità neuronale nei circuiti ippocampali (memoria) e corticali (motoria e sensoriale). 
I topi sani hanno, in quelle regioni, un segnale derivante da CCR5 sotto il limite di rilevamento. Al contrario l'espressione della proteina CCR5 nei neuroni corticali aumenta in modo significativo una decina di giorni dopo l'ictus e si mantiene stabile per circa 1 mese; probabilmente un effetto legato alla lesione e all'attivazione del sistema immunitario locale.
Spegnendo il gene, con opportuni farmaci (ad esempio il maraviroc, un antagonista del CCR5 utilizzato nella clinica per il trattamento dell'AIDS), entro la prima settimana si nota un netto miglioramento delle capacità di recupero motorie del topo.
Più in dettaglio si è osservato che se somministrato quotidianamente a partire da 24 ore dopo l'ictus e per 9 settimane, la funzionalità motoria era chiaramente migliorata rispetto ai controlli già a partire dalla terza settimana.
Inoltre il maraviroc si è rivelato efficace anche nell'ictus cronico, somministrato a partire dalla terza settimana. Questo è uno degli aspetti più interessanti in quanto oggi le uniche terapie approvate per l'ictus devono essere somministrate entro 24 ore dall'ictus, un limite di efficacia molto pesante per le capacità di recupero dei pazienti.

Andando un poco più nel dettaglio, lo spegnimento del gene CCR5 favorisce la "germinazione" (sprouting) assonale successiva alle lesioni, cioè la formazione di nuove connessioni in grado di aggirare l'area danneggiata. Nei fatti sia ha un aumento del numero totale di spine dendritiche nella corteccia pre-motoria e un aumento della rigenerazione assonale.

In un precedente articolo riguardante il razionale teorico (ma scientificamente ed eticamente fallace) dietro la creazione dei bambini GM in Cina (--> qui) avevo parlato degli individui con naturale protezione al virus HIV (o almeno ad alcuni ceppi del virus) grazie all'essere portatori di una mutazione inattivante nel gene CCR5 (mutazione delta32). La loro relativa abbondanza (circa 1% nelle popolazioni europee è omozigote per questa mutazione) ha permesso di fare uno studio retrospettivo sui pazienti colpiti da ictus dato che su 446 pazienti, 68 erano portatori della mutazione. La valutazione refertuale dello stato cognitivo nelle settimane successive all'evento mostra che i pazienti portatori della mutazione guarivano meglio degli altri a parità di terapie ricevute e di fattori di morbilità.

Poiché il maraviroc è un farmaco attualmente in uso, la traslazione clinica del trattamento anche per i soggetti colpiti da ictus dovrebbe essere relativamente veloce in modo da verificare, su un campione statisticamente idoneo, l'utilità del trattamento dopo l'ictus

Fonte
- CCR5 is a therapeutic target for recovery after stroke and traumatic brain injury. 
Joy, M. T. et al. (2019) Cell. v176, pp. 1143–1157

I bambini "OGM" avranno una vita più breve del normale

Aggiornamento ottobre 2019
Circa 1 mese dopo la pubblicazione di questo post, gli autori dell'articolo qui citato (Xinzhu Wei & Rasmus Nielsen), hanno rilevato errori nella metodologia analitica usata per identificare le mutazioni nel database con la conseguenza di una sottostima degli individui portatori. Hanno quindi deciso di fare una ritrattazione ufficiale dell'articolo perché le conclusioni non erano più supportate (--> QUI). Errori metodologici come questo non sono rari nella scienza ed è sempre un ottimo segno quando l'errore viene prontamente rilevato dalla comunità scientifica e l'autore, riconoscendolo come tale, chiede lui stesso il ritiro del lavoro.
Ho deciso di lasciare integra la discussione qui sotto sia per ragioni di trasparenza "storica" sia perché la sostanza rimane immutata: cambiare il genoma di un individuo, specie a livello embrionale, in modo permanente ed ereditabile espone a rischi ignoti sul lungo periodo che per essere accettabili DEVONO avere ragioni di urgenza e necessità. Nessuno di questi fattori era presente nella sperimentazione di He Jiankui.
He Jankui è stato condannato a 3 anni di prigione da un tribunale cinese (--> NYT)

***

Torniamo sul caso dei bambini cinesi modificati geneticamente da He Jiankui, di cui ho trattato nell'articolo --> La distopia è realtà
Oltre alle gemelle, il terzo pargolo potrebbe essere nato a luglio.  Le coppie che sono entrate nella sperimentazione, alcune senza capirne le implicazioni, sono 8 ma si ignora quante gravidanze siano giunte a termine (vedi --> le notizie più censurate in Cina).
image credit: Mon Oo Yee (via genengnews.com)
Riassumiamo il caso in poche righe. 
Con lo scopo di rendere immuni al HIV bambini "pianificati" da donne sieropositive, He Jiankui ha modificato geneticamente l'embrione (risultato della fecondazione in vitro) prima di impiantarlo in utero, "cancellando" il gene che codifica per la proteina che funge da porta di ingresso per le varianti più comuni del virus. Ne sono risultati embrioni knock-out per il gene CCR5
Nota. Knock-out è un termine tecnico per indicare cellule o organismi in cui sono state inattivate o rimosse le due copie di un determinato gene ereditate da ciascun genitore.
Modificare geneticamente un essere umano causa criticità a più livelli, in primis di natura etica e di ragionevolezza sperimentale. "Correggere" un allele deleterio (causante una malattia invalidante o letale), meglio se agendo solo in alcuni distretti corporei, è già stato fatto ma è cosa ben diversa dal rimuovere un allele normale da tutte le cellule dell'individuo, comprese quelle germinali. Si tratta di una modifica permanente che verrà trasmessa a tutte le generazioni future. 
Nota. I geni non sono elementi accessori ma mattoni informativi parte integrante del patrimonio genetico, risultato di una selezione positiva condotta dall'evoluzione: i geni (o le varianti dello stesso gene, cioè gli alleli) dannosi vengono di solito eliminati insieme all'organismo che li porta mediante riduzione della fitness genetica. Alleli deleteri ma che possono diventare utili in particolari condizioni rimangono nel "paniere genetico" della popolazione a frequenze "sopportabili", grazie all'effetto della selezione positiva che si contrappone a quella negativa (esempio tipico sono le mutazioni geniche che causano la talassemia, malattia letale se non trattata, se presenti in doppia copia, ma che conferiscono resistenza alla malaria in singola copia). Geni "inutili" (né dannosi, né vantaggiosi) vengono persi con il passare delle generazioni perché non ci sarà nessuna pressione selettiva a contrastare l'insorgenza di mutazioni al loro interno. Riassumendo, non ci sono nel genoma geni funzionanti che sono inutili. Cancellare un gene può avere effetti imprevedibili che potrebbero comparire sul lungo periodo o al verificarsi di determinate condizioni ambientali.
Cancellare un gene non è mai un "pasto gratis". A supporto dei dubbi sulla sensatezza scientifica di tale approccio, sono stati da poco pubblicati dati che suggeriscono che se da una parte l'ablazione funzionale di CCR5 fornisce la resistenza al HIV (ma solo ad alcuni ceppi), dall'altra potrebbe diminuire l'aspettativa di vita.
L'informazione viene da una analisi retrospettiva in cui si sono incrociate le caratteristiche genetiche di migliaia di individui della popolazione generale con i dati sulla loro vita media. In sintesi, le persone che hanno entrambe le copie del gene CCR5 "naturalmente" inattive (vedi sotto), hanno il 21 % di probabilità in più, rispetto alle persone con almeno una copia attiva, di morire prima dei 76 anni.
L'analisi si basa sui dati genetici e sanitari di quasi 410 mila persone iscritte al progetto di ricerca Biobank nel Regno Unito.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Medicine.

Resistenza naturale al HIV
La scoperta di tale fenomeno venne dall'identificazione di persone che non contraevano l'infezione nonostante appartenessero a categorie ad altissimo rischio oppure, pur infette, non progredivano verso la fase "patologica" della malattia (AIDS) in quanto il corpo riusciva a contenere l'infezione ad un livello basale.
Lo studio di questi soggetti portò alla identificazione di mutazioni nel gene CCR5 (la più comune è CCR5-Δ32); da qui si iniziarono ricerche per sviluppare farmaci in grado di bloccare la proteina CCR5, utili soprattutto nelle primissime fasi dell'infezione per bloccare l'entrata del virus nelle cellule, dando tempo al sistema immunitario di neutralizzare l'invasore. Un esempio dell'effetto protettivo di tali mutazioni anche nelle fasi avanzate della malattia lo si è visto nei recenti trapianti di midollo in pazienti con AIDS affetti da leucemia: utilizzando un midollo, compatibile, donato da un individuo con il gene mutato, quindi resistente al virus, si è ottenuta sia la guarigione dalla leucemia che un repentino calo della viremia a livelli inferiori a quelli rilevabili con le tecniche standard, e alla eradicazione del virus (i farmaci oggi in uso permettono di cronicizzare la malattia, cioè di conviverci per decenni).
Nota. La mutazione defunzionalizzante nel gene CCR5 non conferisce resistenza universale al HIV ma solo al ceppo M-trofico R5 (che predilige i macrofagi come cellule bersaglio) il quale usa la proteina CCR5 come "facilitatore" di entrata nella cellula. Il ceppo R5 è la forma predominante nelle fasi iniziali dell'infezione mentre con il tempo il virus predominante è il tipo X4, che sfrutta la proteina CXCR4 come punto di ingresso. 
Ha senso eliminare il gene CCR5 nei bambini?
C'è una netta differenza tra un trattamento clinico volto al blocco del gene CCR5 o al trapianto con cellule prive di CCR5 e bambini privati geneticamente di CCR5.
Nei primi due casi si assiste o ad un blocco temporaneo della funzionalità oppure ad una "cancellazione" limitata ad un tessuto (in questo caso le cellule del sangue) mentre tutto il resto del corpo ha un genoma "normale". Il confronto va fatto con individui privi dalla nascita e su tutte le cellule del corpo del gene funzionante (quindi non una mutazione post-zigotica). I dati appena pubblicati indicano che avere questa mutazione accorcia l'aspettativa di vita.
La ragione non è chiara ma alcuni studi suggeriscono che l'inattivazione della proteina renda le persone più sensibili ad altri virus, come l'influenza e il virus del Nilo occidentale. D'altra parte l'assenza di CCR5 sembra favorire la velocità di recupero nelle persone colpite da ictus e nei topi migliora le capacità di apprendimento e di memoria.

Una riduzione dell'aspettativa di vita sarebbe un prezzo sensato da pagare nel caso di malattie per cui il bambino non trattato avesse la certezza di non superare i primi anni di vita. Il fatto non sussiste nel caso dei bambini cinesi modificati in provetta, per varie ragioni:
  • il rischio di trasmissione del virus durante la gravidanza, nel caso di madre infetta, è oggi minimizzabile; 
  • nel caso malaugurato di infezione, i farmaci antivirali oggi disponibili permettono di vivere fino a tarda età;
  • in un futuro non troppo lontano il trapianto di midollo con cellule modificate per essere resistenti al virus potrebbe diventare una opzione reale nel caso in cui le terapie farmacologiche fallissero.
Per gli embrioni sottoposti a trattamento di disattivazione del gene, l'infezione era solo una possibilità, non una certezza, per cui la decisione di modificarlo a priori si configura più come una scusa per creare il primo umano-GM che per risolvere un problema reale. 

Lo studio che ha messo in evidenza i potenziali effetti negativi del trattamento nasce nelle concitate giornate dell'annuncio della nascita dei bambini-GM da parte di He. In quel periodo alcuni ricercatori di Berkeley stavano lavorando ad uno strumento computazionale capace di analizzare l'imponente volume di dati genetici presente nei database (come quelli della Biobank britannica) per scovarne effetti sulla salute. Poiché nella popolazione generale esistono già individui naturalmente privi di CCR5 funzionante (l'11% della popolazione in UK è eterozigote per questa mutazione), i ricercatori decisero di testare il software per predire l'effetto dell'inattivazione di CCR5.
I risultati hanno fatto scattare il campanello di allarme che va a sommarsi alle criticità di cui sopra. I bambini-GM dovranno convivere con questa spada di Damocle e, indubbiamente, rimarranno sotto monitoraggio medico per anni, non fosse altro per la loro "unicità".

Lo studio californiano ha limiti intrinseci dettati dalle caratteristiche del database usato: i dati provengono da persone di età pari o superiore a 41 anni e questo esclude chiunque sia morto prima o malati che non hanno aderito alla raccolta dati della Biobank britannica.
Tuttavia, fatto salvo il limite del database, lo studio è stato ben condotto e analizzato, e rafforza la domanda sugli effetti a lungo termine negli umani e se questi siano accettabili quando manchino le condizioni di urgenza e necessità.

Fonte
-  CCR5-∆32 is deleterious in the homozygous state in humans.
X. Wei et al, Nature Medicine, 25 (2019) pp. 909–910

 - Gene edits to ‘CRISPR babies’ might have shortened their life expectancy
Nature Medicine

- Gene edits to ‘CRISPR babies’ might have shortened their life expectancy
Scientific American

- China’s ‘CRISPR Babies’ May Be More Likely to Die Young
Smithsonian Magazine





La distopia è realtà: bambini geneticamente (e illegalmente) modificati sono nati in Cina

Chi è He Jiankui? E' il ricercatore che durante una conferenza lo scorso novembre ad Hong Kong si è visto costretto ad ammettere (messo all'angolo da una fuga di notizie pubblicata da Antonio Regalado sul MIT Technology Review) di avere modificato geneticamente embrioni umani poi impiantati in utero. La prima di queste gravidanze ha originato due gemelle, mentre è notizia recente che una seconda donna è nella fase finale della gestazione.

La notizia provocò immediate reazioni indignate da parte della comunità scientifica mondiale per la palese anomalia di metodo e di merito. Nello specifico i punti critici sulla sperimentazione riguardano il non avere ottemperato a principi di trasparenza e metodo sperimentale, e violazioni
  • di una moratoria implicitamente accettata dai ricercatori sul non produrre bambini modificati, o almeno non prima di una analisi specifica del caso.
  • di principi etici base sanciti da accordi internazionali per cui qualunque "studio" su esseri umani deve mettere al primo posto la sicurezza degli stessi, essere ragionevolmente utile o non dannosa (nel caso di test su volontari sani). Vedi in merito il Codice di Norimberga e la Dichiarazione di Helsinki (giunta alla settima revisione nel 2013)
  • Ogni trattamento su essere umano deve essere sempre basato sul consenso informato, cosa già di suo problematica con i minori o le persone non coscienti, figuriamoci su un embrione.
  • Avere come elemento cardine il principio di precauzione. Modificare il genoma anche con approcci miranti ad eliminare una mutazione dannosa espone al rischio di effetti non previsti o non prevedibili quando l'arco temporale è lungo come una vita umana. Non a caso nella fase di approvazione di un farmaco (o di una terapia) l'elemento discriminante è il rapporto tra beneficio legato al suo utilizzo e il rischio (somma del rischio legato al non eseguire una terapia e degli eventuali effetti collaterali della terapia, vedi ad esempio la chemoterapia). 
  • Altro problema è che la notizia dell'avvenuta sperimentazione (quindi ex-post) è avvenuta al di fuori dei canali ufficiali, cioè non attraverso la presentazione di uno studio completo sottoposto al classico processo di peer-review con il quale si valuta la coerenza, fondatezza, logica e conclusioni di una studio scientifico. Tutti criteri fondamentali nella scienza perché fondati su dati certificati e controllati da pari (peer) e non su affermazioni.
  • La giustificazione "teorica" alla base del trattamento non aveva il carattere di urgenza (senza il trattamento il bambino sarebbe certamente nato malato o si sarebbe ammalato a breve), di ineluttabilità (non esiste altro trattamento disponibile) o di sicurezza. Anzi come vedremo, se da un lato la correzione genica potrebbe proteggere l'individuo contro un determinato patogeno (HIV nello specifico), dall'altra ci sono evidenze di un rischio aumentato per altri patogeni e per alcune patologie autoimmuni.
Che in Cina fossero operative linee di ricerca proibite altrove era già emerso nel 2015 come ben ricorda Antonio Regalado in un articolo di qualche settimana fa di cui traduco un paragrafo tratto dal MIT Technology Review:
"...Nel 2015, Huang, un ricercatore presso l'Università Sun Yat-Sen a Guangzhou, riferì per la prima volta di avere usato la CRISPR su embrioni umani. Il suo articolo fu respinto dalle più importanti riviste occidentali per non avere seguito le regole etiche di base e per lacune nel metodo scientifico, ma venne infine pubblicato su una oscura rivista in lingua inglese edita a Pechino (...). " (--> qui l'articolo completo)
Si trattava all'epoca "solo" di studi condotti in laboratorio, non seguiti da impianto in utero ma fecero accendere i riflettori su quello che sarebbe potuto avvenire (o era già in atto) a breve.

Riassumere in poche righe il procedimento genetico utilizzato per renderlo "digeribile" a chi non è un biologo molecolare, è difficile e si corre il rischio di eccessiva semplificazione. Eccessivi tecnicismi implicano il rischio opposto di non fare capire nulla. Per evitare di appesantire il testo, a ciascun termine specialistico ho associato un link di approfondimento per chi volesse saperne di più.

L'impianto di embrioni modificati implica due passaggi, la modifica del genoma e l'impianto. Il secondo punto è oggi di routine essendo la base della cosiddetta fecondazione in provetta; la tecnica di editing genomico impone invece qualche riga di spiegazione.
La tecnica usata è nota come CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats), ed è oggi uno strumento di routine nella gran parte dei laboratori di ricerca per la sua potenza e versatilità operativa. Per comprenderne la portata come strumento di indagine posso affermare senza tema di smentita che la sua implementazione ha generato un punto di svolta (definendo un prima e un dopo) come avvenne a fine anni '80 con la PCR (Nobel a Kary Mullis) e ad inizio duemila con il sequenziamento del genoma umano. La CRISPR ha soppiantato metodi molto meno precisi e decisamente più lunghi e costosi.

Come spesso avviene nella scienza, il metodo è frutto dell'attento studio di meccanismi già esistenti in natura. L'ispirazione per questa tecnica nacque dallo studio di un sistema di difesa antivirale operato da alcuni batteri che usavano "pezzi" del DNA di un virus invasore (a cui erano sopravvissuti) per addestrare le proprie difese enzimatiche a riconoscere e "tagliare" ogni DNA la cui sequenza contenesse quel bersaglio.
Il sistema consta di una "guida" (nella figura sotto è indicata in verde) che riconosce in modo molto specifico (altrimenti il rischio sarebbe di autodigerirsi) la stringa di DNA "scippata" al virus, e di enzimi che una volta individuato il complesso "guida+DNA alieno", si assemblano in loco e tagliano il DNA virale.

In verde è indicato un "pezzo" di DNA del virus catturato dal batterio sopravvissuto e integrato nel proprio DNA all'interno di un sistema di controllo. Questo DNA "alieno" viene processato e sintetizzato come una guida capace di identificare in modo altamente specifico la presenza di DNA virale qualora il batterio dovesse essere nuovamente infettato. Se questo "incontro" si verifica, vengono richiamati enzimi che neutralizzano, distruggendolo, il DNA virale
(Image credit: i-sis.org.uk). Immagine un poco più dettagliata -->qui


E' su questo sistema che le ricercatrici Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier hanno elaborato negli anni una tecnica capace di modificare in svariati modi il DNA bersaglio (e solo quello) nelle cellule di quasi ogni organismo. Non solo inattivazione (utile ad esempio per "spegnere" definitivamente un gene dannoso in quanto mutato o dannoso in un determinato contesto) ma anche attivazione (le proteine assemblate sul bersaglio invece di "tagliare il DNA" richiamano altre componenti cellulari capaci di modulare la trascrizione genica, attivando ad esempio un gene spento) o perfino la correzione di mutazioni ripristinando la sequenza standard.
Riassumendo, la tecnica si basa sull'inserimento nella cellula bersaglio (che possono essere anche molte in una volta): una "guida" specifica per il bersaglio genomico che si vuole modificare e le proteine (o le istruzioni genetiche per produrle) deputate alla azione di modifica. Una volta "in azione" sarà poi la cellula a fare il resto attivando il sistema di riparazione ad esempio.
La guida (verde) dirige il sistema CRISPR verso il target. A seconda della tipologia di proteine usate, si potrà avere la cancellazione del bersaglio, l'inserimento di una sequenza alternativa, la correzione della sequenza o semplicemente una modifica della attività trascrizionale del gene (image credit: Mariuswalter via wikipedia)

Un approccio potente e di enorme valore scientifico che ha permesso di studiare in laboratorio l'effetto di modifiche multiple su uno o più geni contemporaneamente in tempi e a costi nettamente inferiori, di quelli classici, basati su mutagenesi e incroci ripetuti su topi knock-out o transgenici.


Cosa ha fatto He Jiankui?
Ha usato la CRISPR per creare individui resistenti (teoricamente) all'infezione da HIV. 
Nota. L'infezione virale può essere immaginata come l'incontro tra virus in possesso di una chiave molto specifica e cellule dotate di una serratura adatta. Il virus è dotato sulla parete esterna di proteine capaci di interagire in modo specifico con proteine che la cellula espone sulla propria membrana per comunicare con altre cellule o rispondere a segnali. Una volta avvenuto il contatto virus-cellula, il virus viene accolto (o forza l'ingresso) hackerando il sistema di controllo cellulare, sia nella barriera di ingresso che, una volta entrato, nella funzionalità cellulare. Questo spiega perché la maggior parte dei virus sia capace di infettare solo particolari cellule (ad esempio quelle della mucosa respiratoria ma non i linfociti) in uno stesso organismo e che tale tessuto-specificità sia anche specie-specifica (il nostro virus del raffreddore non è capace di attecchire nella gola del cane o gatto di casa, o perché la "chiave non si adatta a quella serratura" oppure perché le sue istruzioni di riprogrammazione non sono comprese o efficaci in quel contesto cellulare). L'efficacia infettiva del virus HIV nasce dall'avere come bersaglio le cellule deputate alla protezione dell'organismo cioè i linfociti e i macrofagi.
Nel caso dell'HIV è noto da tempo che nella popolazione umana esistono soggetti definiti "super-resistenti" all'infezione. Alcuni individui ad altissimo rischio infezione (per stile di vita, per partner già infetti, etc) sembravano immuni al virus o magari pur essendo infetti erano capaci di tenere sotto controllo la viremia senza alcun trattamento esterno con il risultato che o del virus non c'era traccia oppure rimanevano sieropositivi senza mai sviluppare l'AIDS.
Si scoprì poi che alcuni di questi soggetti avevano mutazioni nella "porta d'ingresso" del virus. Ma non nella proteina CD4, il bersaglio del "gancio" virale, ma in una delle proteine accessorie che sono a stretto contatto con la CD4.  Le due proteine ausiliarie sono CCR5 e CXCR4, il cui ruolo "naturale" è di corecettori per la normale funzionalità immunitaria (vedi figura --> QUI). Possiamo immaginare il virus che per riuscire a fermarsi sulla e a penetrare nella cellula bersaglio sia costretto oltre ad "aggrapparsi" alla CD4 ad "afferrare" anche (ma non solo) la CCR5 per riuscire a stabilizzare il legame.
I portatori di mutazioni nel gene codificante per la CCR5 (alterandolo o spegnendolo) hanno una innata resistenza a molti ceppi di HIV, senza che questa mutazione si associ ad evidenti problemi di salute o di funzionalità immunitaria. 
Sottolineo "evidenti" essendo contestualizzato alle condizioni di vita attuali. Se il gene fosse inutile o funzionalmente ridondante sarebbe stato eliminato dalla selezione naturale per mancanza di una pressione selettiva nel corso delle migliaia di generazioni dell'evoluzione dell'Homo sapiens. Tra le ipotesi più accreditate quella che giochi un ruolo nella riduzione del rischio di patologie autoimmuni come ad esempio la sclerosi multipla e nella difesa da altri patogeni. In altre parole la sua assenza non ha effetti nell'immediata probabilità di sopravvivenza ma potrebbe fornire sul lungo periodo (su n generazioni) un vantaggio come fitness genetica.
La summa di queste informazioni spiega perché CCR5 sia al centro di protocolli terapeutici miranti a contrastare la diffusione del virus nell'organismo. L'idea in parole semplici sarebbe di sbarrare le porte di ingresso nelle cellule bersaglio dando così tempo ai linfociti di identificare e distruggere (senza essere loro stessi infettati) il virus.
E' bene ricordare però che come tutti i virus anche l'HIV esiste in varianti, alcune delle quali possono fare a meno di CCR5 per "agganciarsi" alla cellula
Comunque sia è proprio su CCR5 che He Jiankui decise di concentrarsi, per "risolvere alla radice il problema" creando umani geneticamente modificati nel gene CCR5 così da essere resistenti all'attacco virale (o meglio a questo virus). Scelta quantomeno ardita per molte ragioni.
  1. Non ha affrontato un bisogno medico reale.  Decidere di disattivare il gene CCR5 poiché il padre delle gemelle era sieropositivo non ha senso, soprattutto se si considera che le bambine non sono risultate infette. E in casi di gravidanze a rischio la procedura comune è quella di usare gli antivirali già approvati. Anche se si fosse deciso di bloccare CCR5 per minimizzare il rischio infezione, ci sono farmaci sperimentali progettati proprio per questo scopo. 
  2. Manca la logica scientifica per spiegare una procedura così drastica. Disattivare CCR5 non conferisce completa immunità all'HIV per il discorso sulle varianti fatto prima. Sebbene le persone con deficit innati nel gene appaiano sane, ci sono indizi di una loro maggiore sensibilità al WNV (virus del Nilo occidentale) e, cosa più preoccupante, un maggior rischio di complicazioni mortali legate ad una "semplice" influenza. Quindi He ha fornito alle gemelle una resistenza ad un virus che avrebbe potuto essere bloccato (in caso di reale necessità) in altri modi senza esporle a rischi imprevedibili per il futuro.
  3. L'editing genetico non è stato fatto correttamente.
    Da quanto si legge dai resoconti di chi era alla conferenza i dubbi non sono di poco conto. I dati completi sono ora sotto esame dei peer reviewers che dovranno decidere sulla "pubblicabilità" quindi si può solo parlare in base ai rumors. Sembra ad esempio che il ricercatore sia riuscito a modificare solo la metà dei geni CCR5 di una delle gemelle. Due sono quindi le possibilità: la bambina è eterozigote per la mutazione (una copia originale e una modificata) o è un mix di cellule contenenti i due geni parentali modificati e altre con i due geni normali (evento chiamato mosaicismo, comune quando la modifica ha funzionato solo su parte delle cellule trattate). Se siamo nel primo caso allora la bambina non avrà alcuna resistenza all'HIV (esprimerà solo meno CCR5); se siamo nel secondo caso la resistenza reale dipenderà dal caso, cioè se le cellule "editate" sono quelle che hanno originato le cellule del sistema immunitario, sarà resistente, altrimenti (ad esempio sono le cellule muscolari ad essere modificate) non godrà di alcuna protezione
    Cosa ancora peggiore da un punto di vista tecnico, la mutazione introdotta non è quella voluta. Il piano era di eliminare una piccola sezione del gene CCR5, imitando una mutazione naturale (chiamata delta 32) che si trova in circa il 10% degli europei. I dati presentati alla conferenza non mostrano però evidenze di quella mutazione: una delle bambine ha una mutazione CCR5 completamente diversa, e l'altra ne ha due. Sebbene localizzate nello stesso gene, si tratta di mutazioni fuori bersaglio e, a meno che i dati sperimentali non lo provino, è sbagliato presumere che queste avranno lo stesso effetto della mutazione "programmata". L'unico modo per testarlo sarebbe di riprodurre le stesse mutazioni in animali e verificare la funzionalità immunitaria (ed eventuali altri effetti). Esperimenti tardivi e che richiedono mesi se non anni per acquisire dati sufficienti. Ovviamente He Jiankui non ha fatto alcuno di questi test.
  4. Consenso informato?  Non è chiaro se i partecipanti alla sperimentazione fossero effettivamente a conoscenza di ciò a cui avevano accettato di partecipare. Il reclutamento delle coppie candidate è avvenuto tramite una associazione di soggetti infetti da HIV. Il progetto sperimentale venne presentato come finalizzato allo sviluppo di un vaccino contro l'AIDS sebbene nei dettagli del consenso si citasse in effetti la CRISPR e l'editing genetico, ma in un linguaggio molto tecnico. Secondo un resoconto pubblicato dalla rivista The Atlantic, poco tempo dopo lo scoppio del caso una rivista cinese (Sanlian Life Week) pubblicò le interviste ad alcuni dei partecipanti allo studio che si erano ritirati, i quali affermarono di non avere idea né del rischio di effetti collaterali né che la tecnica in questione fosse una tecnologia proibita ed eticamente controversa. L'articolo della rivista venne in seguito cancellato dal sito online della rivista ma le copie digitali si sono salvate e sono state tradotte e divulgate. Cosa forse ancora più imbarazzante, il modulo del consenso informato attribuiva al team di He Jiankui tutti i diritti di immagine sull'utilizzo delle foto dei bambini su riviste, calendari, cartelloni pubblicitari, materiale propagandistico, confezione del prodotto e poster in auto e ascensori ... .
  5. Non ha informato l'università e l'ospedale dei suoi test? Al netto di dinieghi di tali enti per coprirsi le spalle, lo stesso He Jiankui ha detto di avere informato solo l'ospedale ma non l'università. Per fare i suoi esperimenti "in tutta tranquillità" si prese un mese di congedo non retribuito. Una riservatezza la sua che stona con il suo investimento nelle pubbliche relazioni, sia attraverso un PR americano che con la produzione di video (5) su YouTube in cui descriveva lo scopo della sua ricerca. Notare bene, mentre era già attivo nelle attività promozionali, nessuna pubblicazione scientifica (o almeno su riviste definibili tali) sul suo lavoro era disponibile.
  6. Chi sapeva? Sebbene non abbia mai esplicitamente parlato delle sue intenzioni ai vari congressi internazionali a cui partecipò (limitandosi alla discussione dei test in laboratorio e sugli animali) è certo che con alcune persone abbia condiviso le sue intenzioni. Alcuni di questi (tra cui noti ricercatori di Stanford e Berkeley) lo sconsigliarono vivamente dall'imbarcarsi in un progetto così a rischio mentre altri come Michael Deem della Rice University furono più ricettivi (o qualcosa di più visto che Deem aveva una piccola partecipazione nelle due società di He, ed è ora sotto inchiesta negli USA).
  7. Enti di controllo. A differenza di altri paesi, la Cina ha una agenzia che si occupa della supervisione di tutte le ricerche mediche condotte nel paese ed è quindi difficile oggi capire chi e quanto sapesse cosa. Negli altri paesi il controllo avviene o ad opera dei rispettivi enti (ciascuno dotato di un proprio comitato etico, che poi risponde di violazioni alla legge). Negli USA tra l'altro la sperimentazione sugli embrioni non è vietata in modo esplicito tranne nei casi in cui i finanziamenti siano di natura federale; è anche vero però che la sola idea di procedere ad un impianto in utero di embrioni senza l'approvazione della FDA è considerato uguale ad immettere sul mercato un farmaco non approvato, cioè è un crimine federale e come tale in grado di dissuadere anche il più border-line tra i ricercatori. La FED americana considera accettabile in linea di principio un intervento per correggere il genoma embrionale ma solo dopo attento scrutinio. Mai si era superata la linea tra il sapere di poterlo fare e il farlo
In tutto questo ci sono persone che hanno approfittato della notizia per sollevare il problema degli OGM, ma si tratta di questioni molto diverse che afferiscono a domande solo in parte coincidenti. Nel caso degli OGM, le domande a cui i ricercatori devono rispondere è il non provocare danni all'ambiente e al consumatore finale e ad oggi NESSUNO studio scientifico ha mai trovato anche la minima traccia di problemi (per intenderci sono anni che il mangime degli allevatori o la soia è OGM).
Nel caso della modifica del genoma umano le domande da porsi ricadono in un ambito totalmente inesplorato e vertono sulle generazioni future. Il passo dalla correzione di una mutazione dannosa al "confezionamento" di bambini progettati ad hoc (scegliendo il colore degli occhi, il carattere, l'intelligenza, etc etc) è breve ... una volta intrappresa questa strada.
In ogni caso se editing si farà dovrà almeno avere solide basi scientifiche, sia come fine che come metodica usata.
Nota. In tutto questo non potevano mancare i difensori di He, anche se con alcune riserve formali (che però a me suonano come "ha fatto solo alcune leggerezze"). Tra questi George Church di Harvard che in una intervista a Science disse che l'unico errore grave di He è stato nella parte burocratica e nella preparazione di una documentazione adeguata. Commento stigmatizzato da molti ma che non sorprende da uno che forse appartiene alla categoria del "non posso farlo qui perché sennò mi arrestano". Altro esempio, questa volta nostrano, quello del vicedirettore dell'Espresso che dall'alto della sua competenza su cose di scienza (...) ha paragonato la vicenda di He a quella di Galileo (sic!) ... . Una vera perla di saggezza radical-chic
*** aggiornamento maggio 2019***

Come prevedibile il superamento della linea rossa per quanto illegale favorisce la comparsa di emulatori in paesi in cui i controlli etici sono meno che formali. E' di pochi giorni fa la notizia che un ricercatore russo, Denis Rebrikov, si è detto pronto a ripetere l'esperimento usando come attenuante quella di permettere la gravidanza (o meglio lo sviluppo di un embrione non infetto) in una donna sieropositiva (--> Nature). Il suo motto è "I think I’m crazy enough to do it".
Tra le criticità, prima discusse, sono emersi nuovi dati che (--> i bambini-GM rischiano una vita più breve del normale) che, sebbene in seguito ridimensionati, denotano i problemi sottostanti ad un uso "leggero" di questi strumenti. 

Articolo correlato --> I bambini OGM sono tra le notizie più censurate in Cina.


*** aggiornamento aprile 2022***
He Jiankui è stato rilasciato.
Un ruolo ancora tutto da esplorare quello di Michael Deem, il ricercatore americano (finora passato sotto i radar) che ha collaborato con il cinese.



Fonti
- Genome-edited baby claim provokes international outcry
Nature
- CRISPR-baby scientist fails to satisfy critics
Nature
- Ten ways in which He Jiankui violated ethics
Nature Biotechnology

Dal gorilla di pianura il virus che originò due dei sottotipi di HIV-1

Due dei quattro gruppi di virus che ricadono sotto il nome di HIV-1, il gruppo O e P, hanno avuto origine da un virus che infetta i gorilla delle pianure.

 Questo è quanto emerge da uno studio comparativo tra il virus dell'immunodeficienza delle scimmie (SIV) e l'omologo umano (HIV), condotto da un team internazionale di ricercatori della University of Pennsylvania, dell'università di Montpellier e dell'università di Edimburgo. L'articolo è stato pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences - USA).
Albero filogenetico e distribuzione dei vari sottotipi di HIV

La parentela tra SIV e HIV è nota da tempo, così come il diretto rapporto di discendenza della forma umana da quella di scimmia, conseguenza sia della comparsa di mutanti virali parzialmente competenti per l'infezione umana (dalla cui progenie si sono poi via via selezionati virus più efficienti) che dall'aumento dei contatti uomo-primati (successivo al disboscamento) e all'ampliamento della rete di trasporto tra le comunità rurali e i grandi centri abitati. Sappiamo anche che il colpo decisivo che ha trasformato una epidemia ristretta e a scarsissimo impatto nella attuale epidemia globale è legato al diffondersi di trattamenti medici in cui il concetto di sterilità era un optional ... (ad esempio utilizzo di uno stesso ago su più persone).
HIV-SIV-phylogenetic-tree straight.svg
Uno degli alberi filogenetici usati per connettere tra loro i vari sottotipi di SIV e HIV
graphic by Thomas Splettstoesser (www.scistyle.com) by wikimedia
Per comprendere la dinamica dell'epidemia è necessario quindi fare un percorso a ritroso andando a cercare, per ciascun gruppo di HIV, l'animale portatore del SIV correlato.

La presenza di quattro tipi (M, N, O, P) di HIV-1 è indicativa del fatto che il passaggio del virus da scimmia a essere umano è avvenuto in almeno quattro distinte occasioni, ciascuna caratterizzata da diverso "successo".
Mentre il gruppo M è come dice il nome (M = Major) quello che si è maggiormente adattato alla fisiologia umana divenendo responsabile della pandemia di AIDS a livello globale (il 90% dei casi, circa 40 milioni le persone infettate, hanno questo virus), i gruppi N e P sono stati trovati solo in un numero ristretto di individui in Camerun; in particolare il tipo P, identificato solo nel 2009, è quello a maggiore somiglianza con il virus di gorilla (SIVgor), ad indicarne verosimilmente l'origine.
Il gruppo O,  sebbene non così diffuso come il gruppo M, è comunque responsabile di circa 100 mila infezioni nell'Africa centro-occidentale.
Data l'ampia diffusione del tipo M non stupisce che questo abbia a sua volta generato una discendenza eterogenea, rappresentata dai sottotipi A, B, C, D, F, G, H, J e K.
Western lowland gorilla
(©by Greg Hume /Wikipedia)
Di tanto in tanto, in seguito alla contemporanea infezione in un individuo di due sottotipi di HIV-1, si creano le basi per una ulteriore eterogeneità, derivante da eventi di ricombinazione del genoma virale. La maggior parte dei nuovi ceppi non da luogo ad alcuna discendenza a causa di una ridotta o nulla funzionalità, ma alcuni tra i miliardi di virus prodotti durante la fase replicativa avrà la combinazione genica ottimale per superare le forche caudine della competizione con gli altri virus; da qui la comparsa di nuove varianti. 
L'eterogenea progenie virale presente nelle persone con doppia infezione va sotto il nome di CRF (circulating recombinant forms). Dall'identificazione del CRF presente in un paziente è così possibile così risalire all'area geografica di appartenenza (per approfondimenti vedi anche QUI).

Se studi precedenti avevano già chiarito l'origine dei gruppi M e N, identificata nelle comunità di scimpanzé del sud del Camerun, l'origine dei gruppi O e P è rimasta avvolta nell'incertezza. Una lacuna conoscitiva che ha reso necessaria una analisi sistematica per rintracciare il serbatoio naturale da cui questi virus sono originati.
Il capillare lavoro di campionamento per tracciare il passaggio del HIV da scimmia a essere umano (©PNAS)
 Il lavoro descritto nello studio è stato capillare e sistematico, con il prelievo sul campo delle feci di diverse popolazioni di gorilla, quelli di pianura (sia delle zone orientali che occidentali dell'Africa equatoriale) e di montagna (da Camerun, Gabon, Repubblica Democratica del Congo e Uganda).
L'identificazione del SIVgor in quattro dei siti analizzati nel Camerun meridionale ha posto la base teorica per attribuire ai gorilla di pianura occidentali l'origine di alcuni gruppi di HIV.
Nota. Ricordo che a differenza dell'epidemia di Ebola dove il contatto tra virus ed essere umano o primate (tipicamente dopo ingestione di frutta contaminata da escrementi di pipistrelli) porta nella stragrande maggioranza dei casi ad una infezione sintomatica (e fatale senza trattamento nel 90% dei casi), nel caso del SIV non solo l'infezione interspecie è altamente improbabile in quanto poco efficiente ma le scimmie "serbatoio" sono identificabili solo dopo analisi di laboratorio data la bassa patogenicità del virus nelle scimmie (a differenza del HIV negli umani). Lo studio non era quindi finalizzato ad identificare un nuovo focolaio ma per ricostruirne la dinamica di diffusione.
Il sequenziamento del genoma del SIVgor ha provato lo stretto grado di parentela tra questo e i gruppi O e P del HIV-1. In altre parole il gorilla di pianura occidentale può essere visto come il contatto critico avuto dal "paziente zero" infettato da queste forme di HIV.
Nota. Ho volutamente tralasciato ogni accenno sull'origine del HIV-2 in quanto distinta da un punto di vista geografico (centrata su Guinea e Costa d'Avorio), temporale e delle scimmie coinvolte. Ad esempio mentre l'origine del HIV-1 è identificata nei primati antropomorfi (scimpanzé e gorilla), nel caso del HIV-2 l'origine è verosimilmente nei cercocebi. Inoltre sebbene da un punto di vista clinico (AIDS) non ci siano grosse differenze a seconda di quale sia il virus colpevole, dal punto di vista "adattativo" ci sono nette differenze sia nella efficienza di infezione che nel numero di infetti, con i casi dovuti a HIV-2 in netta minoranza e in costante declino anche nelle aree africane in cui è sorto, soverchiato oramai dal HIV-1. Per approfondimenti sull'origine dei due virus vedi l'articolo di Paul Sharp (riferimento a fondo pagina)
Comprendere l'origine di una malattia virale è fondamentale sia per monitorare nuove trasmissioni inter-specie che per studiare le mutazioni che hanno permesso al virus di infettare l'essere umano.

Articolo successivo sul tema HIV --> "HGPV e HIV".
La ricostruzione della via seguita dal virus dalle scimmie alla pandemia  --> "Quando e come HIV arrivò in USA".

***
Molto interessante lo studio apparso su Nature di novembre in cui si ricostruisce la filogenesi del ceppo dominante negli USA, confutando allo stesso tempo l'identità di quello che fino a poco tempo era considerato il paziente ZERO del nordamerica, un assistente di volo canadese. Il ceppo era infatti già presente nei primi anni '70 ed è di origine caraibica.
image credit: M. Worobey et al. (Nature, 2016, ;539(7627):98-101)

Per articoli precedenti sul tema --> HIV

Fonte
- Origin of the HIV-1 group O epidemic in western lowland gorillas
Mirela D’arc et al,  PNAS March 2, 2015 

***

Di seguito una bibliografia essenziale per ripercorre il tragitto evolutivo del virus dalla scimmia alla pandemia globale:
- Origins of HIV and the AIDS Pandemic
  Sharp PM e Hahn BH, Cold Spring Harb Perspect Med. 2011
- "Dating the common ancestor of SIVcpz and HIV-1 group M and the origin of HIV-1 subtypes by using a new method to uncover clock-like molecular evolution".  
   The FASEB Journal 15 (2): 276–78. doi:10.1096/fj.00-0449fje. PMID 11156935.

- Il primo caso umano di cui si hanno tracce di HIV in biopsie (materiale bioptico però di pessima qualità)
 "An African HIV-1 Sequence from 1959 and Implications for the Origin of the Epidemic". Nature
- La ricostruzione della diffusione del ceppo in USA
"1970s and 'Patient 0' HIV-1 genomes illuminate early HIV/AIDS history in North America"
Worobey M. et al. Nature. 2016 Nov 3;539(7627):98-101

Dallo studio dei pazienti resistenti all'HIV, nuove prospettive terapeutiche per l'AIDS

Un team della Miller School of Medicine, University of Miami, ha studiato i rarissimi casi di persone infettate da HIV guarite senza l'ausilio di alcuna terapia anti-retrovirale.

Un fatto non sorprendente per i virologi dato che la presenza di individui resistenti è parte della lotta tra virus e organismo ospite. Del resto noi europei discendiamo dai sopravvissuti alle devastanti epidemie dello scorso millennio. Non mi riferisco solo a epidemie tipo la peste nera ma anche alle, PER NOI oramai sostanzialmente innocue, malattie esantematiche.
Non sorprendente certo, ma da studiare per capire il meccanismo alla base della acquisita resistenza, sperando di poterlo tradurre nello sviluppo di vaccini adeguati.
Ad oggi i casi noti di resistenza naturale all'HIV sono riferibili a classi tipo: 
  • persone sieropositive ma con livelli di virus sotto controllo che quindi non sviluppano l'AIDS (1 caso ogni 300 infettati); 
  • soggetti a rischio che non hanno mai contratto l'infezione pur essendo stati ripetutamente esposti al virus; 
  • pazienti che grazie alla terapia anti-retrovirale non cronicizzano la malattia spegnendo la proliferazione virale (come avviene nella stragrande parte degli individui trattati) ma guariscono completamente avendo neutralizzato il virus.
Alla base di tutto questo c'è ovviamente l'eterogeneità genetica all'interno della popolazione (vedi polimorfismi genici); una eterogeneità che, usando la similitudine del lancio di dadi, può originare una "mano" molto fortunata - in particolari condizioni - grazie ad una combinazione allelica vincente. O meglio per usare termini più corretti, una combinazione allelica meno permissiva per un dato virus.

Lo studio di una particolare categoria di soggetti resistenti all'infezione, noti come "elite controllers", è l'elemento centrale del lavoro, citato in apertura, condotto da David I. Watkins e pubblicato su Nature
I dati ottenuti indicano che gli elite controllers attivano una potente risposta immunitaria cellulo-mediata, dipendente quindi dai linfociti T killer CD8+, che si concentra solo su due o tre piccole regioni antigeniche (epitopi) del virus
Il dato è importante? Direi di si, come conferma il finanziamento di 10 milioni di dollari ricevuto dal team per proseguire nello studio.

Afferma Watkins, "l'attacco immunitario concentrato su queste regioni permette una risposta efficace che tiene sotto controllo il virus". Come durante un cannoneggiamento continuo su un punto specifico di un muro difensivo di una fortezza, i difensori non hanno il tempo di attuare le contromisure (nel caso di un virus vuol dire mutare per rendersi invisibile agli attaccanti).

Dato che circa il 70 per cento degli elite controllers hanno uno dei due determinanti genetici, ma averli non garantisce una buona protezione dopo l'infezione, la domanda fondamentale è qual'è il legame tra il determinante genetico e la capacità dl controllo?
Per trovare la risposta, il team di Watkins ha eseguito un semplice esperimento utilizzando come modello animale la scimmia che ha il grosso vantaggio di riprodurre naturalmente e in modo efficace il fenomeno degli elite controllers. In questo modello circa la metà di animali portatori di un particolare determinante genetico è in grado di controllare la proliferazione della versione scimmiesca del HIV, ovviamente senza alcun intervento farmacologico.
Quando i ricercatori hanno vaccinato questi animali in modo da forzare l'attivazione di quelle cellule CD8+ in grado di riconosce le tre regioni virali precedentemente identificate, il risultato è stato che tutti gli animali vaccinati sono diventati elite controllers.

Secondo Watkins, "il significato più probabile di questo dato è che negli esseri umani le cellule CD8 + che riconoscono tali epitopi sono le vere responsabili del controllo".

Passo successivo?
Scoprire perché queste particolari cellule killer sono così efficaci.

Nota. Allo scopo di completare il quadro delle conoscenze acquisite nel corso degli anni sugli elite controllers, va sottolineato che il complesso MHC-I (e in particolare il sottotipo HLA-B variante 27) gioca un ruolo chiave. Queste proteine sono fondamentali per smascherare problemi "sotterranei" come una cellula anomala (infettata o tumorale). Durante il normale processo di turn-over proteico, una parte dei prodotti di degradazione viene "issata" come una bandiera all'interno sulla superficie cellulare, tenuta in posizione dal MHC. Ogni volta che una cellula immunitaria interagisce con questa cellula "controlla" la bandiera; se questa non è del tipo che ha imparato ad ignorare durante il processo di maturazione linfocitaria, la equiparerà automaticamente ad un "non-self" attivando lo stato di allarme. Tanto più affini sono queste MHC ad interagire con un peptide mai incontrato prima (in questo caso una proteina del HIV) e tanto più velocemente verrà attivata la reazione. La variante 27 funziona esattamente in questo modo e questo spiega per quale motivo i portatori siano così bravi a scovare l'HIV nascosto. Come spesso succede non sono solo rose e fiori. Tale variante è anche associata ad una maggiore predisposizione alla spondilite anchilosante (una malattia autoimmune).

Fonti e letture
- Vaccine-induced CD8+ T cells control AIDS virus replication.
 PA Mudd et al, Nature. 2012 Nov 1;491(7422):129-33

- Breakthrough Discovery in Fight against AIDS
 University of Miami, news

- Researchers identify possible key to slow progression toward AIDS
  UCLA, news


Per chi volesse approfondire lo studio della virologia (e contribuire così alla diffusione della cultura scientifica invece delle troppe leggende metropolitane) consiglio vivamente i due volumi seguenti. Nel primo viene analizzata la parte di biologia molecolare mentre nel secondo i meccanismi patogenetici
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un farmaco antitumorale nella lotta all'HIV

 Qualche settimana fa ho affrontato, seppure per sommi capi, le problematiche insite nella infezione da HIV e i limiti pratici delle terapie attualmente disponibili. Terapie, non dimentichiamolo, che hanno di fatto trasformato una infezione a progressione acuta e inesorabile in una malattia cronica; salvando da morte certa migliaia di persone. Progressi che hanno, purtroppo, il rovescio della medaglia nella sottovalutazione da parte di molti giovani del rischio di contrarre/trasmettere l'infezione: durante la terapia il virus e' nella maggior parte dei casi a concentrazioni ematiche sotto la soglia di rilevazione. In queste condizioni non rilevazione non vuole dire assenza ma semplicemente contenimento. Una sottovalutazione che negli ultimi anni ha causato, nei paesi sviluppati, una preoccupante inversione di tendenza nelle nuove infezioni con un aumento di nuovi infettati fra i più giovani.
Trovare una cura definitiva al posto di un trattamento cronicizzante è prioritario ma, ovviamente, non facile. Sempre nel post precedente scrivevo delle prospettive aperte dalla scoperta di molecole raggruppate solo il nome di bryologs.
Parlo oggi di un farmaco che potrebbe, in futuro, essere utile per l'eradicazione completa della malattia (o meglio dei virus latenti). Si tratta di una molecola già in uso come antitumorale di cui si è recentemente osservata una proprietà interessante: è in grado di riattivare il virus latente (che inizierà a replicarsi) rendendolo tuttavia un facile bersaglio per le terapie anti-virali ora disponibili.
Si tratta del Vorinostat, prodotto dalla Merck Sharp & Dohme, il cui uso attuale e' nel trattamento del linfoma cutaneo e, potenzialmente, del tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in fase avanzata. La molecola agisce su proteine con attività istone-deacetilasica, la cui azione è fondamentale nella regolazione dello stato cromatinico e della espressione genica.
L'effetto, non previsto e ovviamente non voluto, di riattivare l'HIV e' stato confermato sia in vivo che in vitro. Un pericolo in realtà solo nei malati di cancro positivi al HIV.
L'idea ovvia sarebbe di trasformare questo problema in una risorsa. Se il farmaco è in grado di riattivare il virus latente, una terapia anti-HIV standard associata al Vorinostat permetterebbe di colpire e eliminare tutti i virus latenti, eradicando di fatto la malattia.
Non è così semplice dato che questa classe di farmaci ha seri problemi di tossicità intrinseca: una tossicità accettabile nelle terapie di ultima istanza, cioè in tutti quei casi in cui la terapia è l'unica risorsa per malattie ad esito nefasto nel breve termine (come i tumori sopra indicati). Non è questo il caso per i soggetti infettati ma per il resto asintomatici grazie alle terapie in atto. Asintomaticità che come Magic Johnson insegna è pluridecennale.
La ricerca dovrà quindi indirizzarsi su molecole simili al Vorinostat ma a bassa tossicità (con un rapporto danno-beneficio estremamente basso). Solo allora l'eradicazione definitiva della malattia da HIV entrerà nelle sua fasi finali.

(articolo precedente su HIV e nuovi farmaci, qui)


Articolo di riferimento
- Administration of vorinostat disrupts HIV-1 latency in patients on antiretroviral therapy
   Archin NM et al., Nature 487, 482–485 (2012)

Da organismi marini l'idea per nuove molecole contro l'HIV

Nel giro di un decennio il virus responsabile dell'HIV si è trasformato da spietato assassino seriale a soggetto problematico con cui si può condividere la stanza ... purchè assuma in modo regolare le medicine.

Mi si perdonerà questa estrema semplificazione ma il parallelismo è calzante. Se si hanno a disposizione i farmaci l'infezione viene di fatto congelata in una forma cronica e la malattia non evolve (nella maggior parte dei casi) nella sua forma conclamata, l'AIDS. Non si guarisce ma ci si può convivere come Magic Johnson dimostra: scopre l'infezione nel 1991, si ritira dall'attività agonistica e si sottopone ai trattamenti in modo costante e controllato. Ad oggi non ha sviluppato l'AIDS. 
Un trattamento elitario che poteva permettersi solo uno sportivo milionario? No, da molto tempo. Oramai i servizi sanitari nazionali e/o le assicurazioni (in USA) coprono i costi del trattamento. Data l'importanza sociale del trattamento il prezzo che le industrie farmaceutiche chiedono è nettamente inferiore, nonostante gli enormi costi di sviluppo sostenuti, a quello proposta per altri farmaci; un abbattimento del prezzo che nei paesi in via di sviluppo è ancora maggiore grazie alla cessione delle licenze per la produzione dei farmaci ad industrie locali (vedi il caso India).
La vera differenza fra paesi sviluppati e non sta, come vedremo poi, nella diversa capacità di attenersi scrupolosamente alla terapia nei modi e nei tempi previsti per tutta la durata della vita del paziente.

La terapia antiretrovirale (HAART - highly active antiretroviral therapy) utilizza un cocktail di inibitori che agisce sulle diverse fasi della replicazione virale. Il congelamento della replicazione del virus permette al sistema immunitario di ricostituirsi ma non elimina (se non quando muoiono naturalmente) le cellule già infettate. Impedisce a nuovi virus di formarsi ma, come nel caso dell'herpes, il virus è latente e pronto a ricomparire per tutta la vita dell'individuo (ripeto a meno che l'infezione fosse minima e le cellule infettate siano morte nel frattempo) qualora le condizioni siano di nuovo favorevoli al virus. Condizione favorevole vuole dire attivazione delle cellule infettate (generalmente latenti) a causa di sotto-dosaggi del farmaco.
Soggetti che presentano tracce di RNA virale ematico sotto la soglia minima di rilevazione (quindi apparentemente guariti e sostanzialmente non infettivi) rimangono tali fintanto che il controllo farmacologico, e il caso, lo permette. Il trattamento DEVE essere mantenuto e bisogna evitare assolutamente la discontinuità. Pena la comparsa di virus resistenti, come abbiamo imparato con gli antibiotici. Il modo migliore per generare organismi resistenti è fare trattamenti "incompleti".
Per questo motivo nei paesi poveri il problema vero non è la "banale" disponibilità del farmaco ma la conservazione dello stesso in condizioni ottimali e la continuità del trattamento. Entrambe queste condizioni sono di solito carenti in quelle popolazioni che hanno problemi più pressanti del recarsi dal medico di zona, spesso distante, per il trattamento quotidiano.

La ricerca si è indirizzata allora verso lo sviluppo di trattamenti in grado di eradicare il virus e non solo di controllarlo. Diversi gli approcci teoricamente possibili. 
La scelta più ovvia sarebbe quella di associare il trattamento attuale che sappiamo funzionare bene, anche se presenta effetti collaterali, con un trattamento nuovo. Quest'ultimo dovrebbe attivare il virus dormiente integrato nel genoma cellulare (e quindi insensibile e invisibile) in modo tale che la cellula portatrice diventi visibile e quindi eliminabile
Tolta la cellula serbatoio, tolta la possibilità di recidive.

Facile dirlo, un po' meno farlo in modo sicuro ed efficiente. Uno studio di un team della Stanford University coordinato da Paul Wender fa ben sperare. Il lavoro pubblicato su Nature Chemistry di qualche mese fa riporta lo sviluppo dei bryologs (mi rifiuto di italianizzarlo in briologi) una nuova classe di sostanze creata a partire da una molecola presente in natura ma molto difficile da purificare.
Tutto nasce dallo studio sui trattamenti anti-epatite in uso nella medicina tradizionale delle isole Samoa. La molecola attiva, prostratina, presente nella corteccia dell'albero mamala, agisce attivando la proteina kinasi C (PKC) importante nel processo di riattivazione del virus dalla fase latente.
La pianta Mamala (Homalanthus nutans) ®Stanford University
Studi successivi condotti dal National Cancer Institute identificarono una molecola simile ma molto più efficiente (bryostatin) nella Bugula neritina, un organismo bentonico marino sessile appartenente ai Briozoi. La molecola era così interessante da essere stata presa in considerazione per trattamenti contro HIV, cancro e Alzhaimer!! Peccato però per un piccolo particolare: servivano 14 tonnellate di briozoi per purificare 18 grammi di bryostatin. A causa di questo ostacolo insormontabile gli studi clinici pianificati dovettero essere interrotti quasi subito in attesa che qualcuno sviluppasse una strategia di purificazione alternativa. 
Una piccola colonia di Bugula neritina (®Luis A. Solórzano)
Dalla Prostratin ai Bryologs (®C. Melander et al.)
Il lavoro di Wender per l'appunto risponde a questa necessità: descrive la produzione di una classe di analoghi sintetici della bryostatin, chiamati bryologs, fino a 1000 volte più efficiente. I bryologs comprendono 7 diversi composti che hanno in comune due caratteristiche: la regione in grado di interagire con la PKC e il braccio spaziatore che permette al complesso risultante di ancorarsi alla parte interna della membrana cellulare.
Questi prodotti sono sintetizzabili in laboratorio, quindi i poveri briozoi possono stare tranquilli.


Forse ora gli studi clinici potranno ripartire.


Post successivo sull'argomento nel blog, qui
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Articoli sull'argomento

Stanford University news - link
  
Medicinal chemistry: Forcing an enemy into the open
Christian Melander & David M. Margolis  - Nature Chemistry 4, 692–693 (2012)

Designed, synthetically accessible bryostatin analogues potently induce activation of latent HIV reservoirs in vitro
Brian A. DeChristopher et al. - Nature Chemistry 4, 705–710 (2012) 

Organic Synthesis Toward Small-Molecule Probes and Drugs Special Feature: Design, synthesis, and evaluation of potent bryostatin analogs that modulate PKC translocation selectivity
Paul Wender et al -  PNAS 108 (17) 6721-6726 (2011)

The epidemic : a global history of AIDS
Engel, Jonathan (2006) - New York: Smithsonian Books/Collins. pp. 308

I briozoi dal bel blog Notte e Sale, link

HIV: uno sguardo al virus

A volte le immagini sono più suggestive delle spiegazioni.
Quelle che seguono sono alcune immagini ottenute per microscopia elettronica, elaborazione al computer e modellistica strutturale.
Queste immagini sono prese dal sito di una delle più autorevoli riviste scientifiche, Cell, nell'area che, non a caso, si chiama Picture show.
Aggiungo alcune brevi note descrittive per renderle maggiormente godibili. Ricordo che i colori sono o creati al computer o il prodotto della tecnica di rilevazione (ad esempio tag fluorescenti)

By John Briggs, EMBL Heidelberg, Germany
Immagini al microscopio elettronico e le ricostruzioni al computer del virus in sezione (dimensione del virus 120 nm).  In rosso l'RNA.


************
Elaborazione al computer del virus (Ivan Konstantinov © Visual Science @cell.com)
)
Ricostruzione al computer di un virus HIV in sezione. Un involucro "rubato" alla membrana cellulare (grigio) proteggerà il virus fino a che infetterà la prossima cellula. Sulla superficie esterna le strutture che emergono sono proteine sia originate dall'ospite (es. proteine classe MHC) che specifiche del virus. All'interno altre proteine è il materiale genetico del virus (RNA).


 ************
D.McDonald and T. Hope, Case Western and Northwestern Un.

Il momento fatale del contatto. Una cellula dendritica (a sinistra grande) che contiene HIV (marcato in verde) fa il suo "dovere" di presentare l'intruso ad una cellula T (più piccola) per attivare la risposta immunitaria. A causa di questo contatto però la cellula T si infetterà permanentemente.


************

®By Klaus Boller, Paul-Ehrlich-Institute, Germany
 La "nascita".Virus che fuoriescono dalla cellula infettata (ingrandimento 20000X).



************
®Thomas Deerinck, NCMIR, USCD
a destra ingrandimento
In rosso i virus mentre emergono da una cellula in coltura infettata. Le cellule qui usate sono le famosissime HeLa (tumorali e non iil tipo cellulare normalmemte infettato dall'HIV). Per riuscire a cogliere al meglio l'immagine della fuoriuscita del virus, sono stati usati virus mutati in una proteina chiave per il distacco dalla cellula. A causa di tale mutazione il virus rimane "incollato" alla superficie.


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post con argomento simile: Brainbow, mitosi, tubulo seminifero, cellule sensoriali,


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"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper