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Un aspirinetta al giorno ... non fa bene a tutti

Circa un miliardo di persone in tutto il mondo assume quotidianamente l'aspirina nella sua versione light allo scopo di prevenire infarto e ictus.
Ci sono tre versioni di aspirina (Aspirina®, Cardioaspirina® e Aspirinetta®) la cui differenza NON è nel principio attivo (sempre lo stesso, cioè l'acido acetilsalicilico) ma nel dosaggio e nella presenza di gastroprotettori per prevenire il danno alle mucose gastriche. Mentre la dose classica di salicilato di una aspirina è 500 mg, questa scende a 100 mg nel caso di aspirinetta e cardioaspirina. In quest'ultima la pasticca è rivestita da un involucro gastroresistente proprio per evitare il contatto con le pareti dello stomaco.
Che si tratti di un farmaco multivalente è noto da anni e rimane per certi aspetti ancora ineguagliato nel senso che versioni più specifiche del farmaco (capaci di inibire solo una delle isoforme dell'enzima cicloossigenasi, così da eliminare gli effetti collaterali) si sono rivelate meno versatili.
4 sono le attività associabili all'aspirina: antipiretica; antiaggregante; antinfiammatoria; antidolorifica. A queste si sommano attività "di alto livello" (cioè risultante da un effetto a cascata a volte non diretto) come la sua azione protettiva sul sistema cardiovascolare (minore rischio trombi e maggiore fluidità ematica) e una riduzione aneddotica nell'incidenza di alcuni tipi di tumore (ad esempio colon).
Se l'effetto principale (le "4 anti-) è ben noto, l'azione "ad alto livello" è più indiziaria (vedi l'azione antitumorale) e sempre da  tarare per il rapporto beneficio/rischio di effetti collaterali (emorragie gastrointestinali). A questo si  aggiunge la variabilità numerica fornita dagli studi fatti per quantificare l'effettiva capacità di ridurre gli eventi combattuti (cancro e/o patologie cardiovascolari).
Una mancanza di chiarezza che non è però attribuibile alla scarsità di studi clinici ma alla complessità dell'azione prodotta dal farmaco.
L'analisi statistico-epidemiologica necessita non solo di controlli ma di controlli ben calibrati sul campione su cui il farmaco è testato. Il problema è che le variabili presenti all'interno di ciascuna popolazione sono molte e spesso non facilmente identificabili. Non solo due individui si differenziano tra loro per il background genetico (che determina rischi differenziali e diversa capacità di metabolizzare un farmaco) ma anche per fattori come età, sesso, patologie pregresse ... e tra le tante cose anche l'indice di massa. Tutte queste variabili sono "facilmente" gestibili quando il farmaco in esame ha una azione chiara e diretta contro la proteina X direttamente responsabile della patologia Y; sarà facile qui calcolare il dosaggio ideale che dovrà assumere affinché quella determinata quantità di principio attivo (dimostratasi funzionare nella sperimentazione) sia realmente resa disponibile al tessuto bersaglio. Quando invece l'effetto è indiretto iniziano i problemi in quanto aumentano le variabili in gioco.
Un articolo recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet indica proprio nel dosaggio non ottimizzato la causa della estrema variabilità nei risultati di efficacia delle decine di studi clinici finalizzati a validare (o confutare) l'aneddotica sulla reale capacità dell'aspirina di prevenire tumori ed eventi cardiovascolari. I dati ottenuti dimostrano che l'utilizzo dell'aspirina "a dose singola" per prevenire infarti, ictus o cancro, è inefficace o dannoso nella maggior parte delle persone e che è necessaria una strategia più personalizzata.

L'aspirina che viene assunta quotidianamente con il fine di prevenire alcune patologie cardiovascolari (attraverso la riduzione dei coaguli di sangue grazie all'inibizione delle piastrine) produce di fatto solo un modesto decremento sul lungo periodo di infarti e ictus, sebbene rimanga il farmaco antiaggregante più utilizzato nella pratica clinica di routine e di emergenza.
Il sospetto che ha mosso i ricercatori è che la disparità tra l'effetto dell'aspirina sulle piastrine negli studi di laboratorio e i benefici clinici nella pratica, fosse conseguenza dell'approccio "one size fits all" (una dose adatta a tutti gli adulti). Se la finestra terapeutica (la dose utile al di fuori della quale si ha sovradosaggio o nessun effetto) è ristretta e se questa finestra è direttamente correlata a specifiche fisiologiche (la massa) dell'individuo, allora si capisce per quale motivo la dose utilizzata finora abbia dato risultati ben al di sotto delle aspettative.
Una dose (quella "cardiaca") che tra l'altro varia a seconda del mercato di riferimento: 75-100 mg al giorno comune nel Regno Unito e in Europa contro i 325 mg al giorno utilizzati negli USA.
Ne deriva che la dose "europea" è di fatto bassa per le persone di corporatura massiccia (ad esempio nel nord) mentre la dosa USA è a rischio di essere eccessiva per quella fascia della popolazione "non anglosassone" (tipicamente di minore massa) sempre più importante numericamente negli ultimi decenni.
In pratica si è osservato che l'aspirina standard a basse dosi (75-100 mg al giorno) era effettivamente efficace nel prevenire infarti e ictus nelle persone di peso inferiore a 70 kg, mentre i benefici erano pressoché nulli nel 80% degli uomini e 50% delle donne di peso superiore. Dosi più elevate risultavano efficaci per individui di peso superiore a 70 kg ma presentavano un profilo di rischio nettamente superiore per i soggetti di peso inferiore. 
Risultati simili sono stati ottenuti anche per l'azione anti-neoplastica.

La conclusione è il risultato della meta-analisi (raccolta comparata e pesata di studi precedenti) per un totale di 130 mila soggetti.

Si dovranno sviluppare ora strategie per adattare la dose di aspirina alle caratteristiche del singolo paziente. 

Fonte
- Effects of aspirin on risks of vascular events and cancer according to bodyweight and dose: analysis of individual patient data from randomised trials
Peter M Rothwell et al, (2018) The Lancet, S0140-6736(18)31133-4

- One dose of aspirin doesn’t fit all
University of Oxford / news


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