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La risonanza magnetica per capire l'autismo

Comprendere l'autismo vuol dire studiare cosa va storto durante lo sviluppo embrionale e perché.
E' la genetica o l'ambiente a giocare un ruolo chiave? Molto probabilmente si tratta di un concorso di eventi il cui peso relativo non è univoco per tutte le forme dell'ASD (Autism Spectrum Disorder --> qui) data la eterogeneità delle anomalie sottostanti.
Molti sono gli approcci di studio finora usati, da quelli prettamente genetici (ad esempio mediante la comparazione del genoma di gemelli o fratelli in cui almeno un individuo è affetto ASD --> qui) a quelli morfologico-biochimici il cui fine è identificare i circuiti neurali alterati.
A quest'ultimo approccio appartiene lo studio che riassumo oggi, centrato sull'utilizzo della risonanza magnetica funzionale, una tecnica in grado di "fotografare" il funzionamento del cervello di un paziente e compararlo con quello di un soggetto non malato. Un approccio, come vedremo, potenzialmente utile anche per studiare anche altri disturbi come il disturbo ossessivo-compulsivo, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e la schizofrenia.
La MRI è una tecnica in grado di generare una mole impressionante di dati, quindi la sua utilità pratica va di pari passo con la potenza di calcolo dei computer che maneggiano i dati (e ovviamente a software adeguati). Lo sviluppo di una tecnica denominata Brain Wide Association Analysis (BWAS) in grado di elaborare questa enorme quantità di dati ha permesso ad un team di ricerca della università di Warwick di ottenere, in modo totalmente non invasivo e grazie alla comparazione tra centinaia di soggetti sani e con ASD (452 e 523 rispettivamente), un modello in 3D del cervello autistico.
Ho scritto "enorme quantità di dati" non a caso: la tecnica BWAS ha gestito 1.134.570.430 informazioni singole provenienti da 47.636 aree del cervello (voxel). Un passo avanti netto rispetto alle precedenti analisi che potevano gestire solo aree e quantità di dati limitati.

Aree del cervello con anomala funzionalità nel cervello autistico
(immagini da altri studi disponibili al Weizmann Institutequi)
Credit: Cheng et al; Univ. Of Warwick
Dall'analisi sono emerse almeno 20 differenze nelle connessioni funzionali nel cervello autistico, consistenti in una maggiore o minore connettività. Una conferma indiretta della bontà dell'analisi viene dal fatto che le aree identificate sono note per essere sede di alcuni dei processi cognitivi classicamente alterati nei soggetti autistici.
Queste le parole di Jianfeng Feng responsabile del progetto: "Abbiamo identificato nel cervello autistico un'area chiave sita nel lobo temporale della corteccia visiva in cui vi è una ridotta funzionalità corticale. Si tratta di un'area importante per il controllo dell'espressività facciale, attività chiave in un normale contesto sociale. Per di più quest'area ha negli autistici una ridotta connettività con la corteccia prefrontale ventromediale, che agisce tra tramite tra i processi emotivi e la comunicazione sociale".
Un'altra delle aree a funzionalità anomala è stata identificata in un'area del lobo parietale nota per il ruolo nella "gestione" dello spazio circostante.

Due aree che sottintedono due processi notoriamente anomali nei soggetti autistici, l'espressività facciale relativa allo stato emotivo e la gestione del proprio spazio rispetto a quello circostante.

Capire dove è il "danno" potrebbe un giorno aiutare a sviluppare terapie da implementare nella prima fanciullezza (quando il cervello è ancora in fase di sviluppo) per compensare i deficit nella connettività neuronale.
L'approccio descritto potrebbe offrire molte informazioni anche su altri disturbi cognitivi, ancora oggi troppo poco compresi.
Articolo successivo sul tema --> "Infezioni in gravidanza e rischio autismo"


(Articoli precedenti sul tema autismo da questo blog --> qui)

Fonte
- Autism: Reduced Connectivity between Cortical Areas Involved with Face Expression, Theory of Mind, and the Sense of Self
 Cheng W et al, Brain. 2015 May;138(Pt 5):1382-93

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