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Stimolazione cerebrale profonda senza intervento chirurgico

I neuroni trasportano i segnali da un estremo all'altro del proprio "corpo" grazie ad impulsi elettrici generati dalla differenza di potenziale tra aree adiacenti e "in serie" della membrana cellulare. La trasmissione del messaggio verso altre cellule (siano esse neuroni o cellule muscolari) necessita di mediatori chimici capaci di indurre una depolarizzazione o una iperpolarizzazione della membrana post-sinaptica; a seconda del caso si avrà l'innesco o l'inibizione, rispettivamente, di un nuovo segnale elettrico.
In verità esistono anche sinapsi elettriche ("gap junctions" ), molto più veloci di quelle chimiche proprio per l'assenza di "intermediari". Sono tuttavia molto rare nell'organismo adulto.
Facile allora immaginare come una qualunque anomalia capace di alterare il flusso di corrente (o la sua "facilità di innesco") nei neuroni abbia conseguenze sul funzionamento del sistema nervoso, tanto maggiori quanto più estesa e/o critica è la regione coinvolta. Tra le patologie che meglio riassumono le conseguenze di tali alterazioni, un caso emblematico è quello legato alla perdita della guaina mielinica che avvolge i prolungamenti dei neuroni che veicolano il segnale in uscita (gli assoni); una configurazione non troppo diversa da quella di un isolante che protegge il segnale dei cavi elettrici, solo che qui ha la doppia funzione di massimizzare la velocità di trasmissione del segnale e di conservarlo integro sulle lunghe distanze (alcuni neuroni raggiungono lunghezze superiori al metro e la velocità del segnale "inguainato" può raggiungere i 120 metri al secondo). In caso di alterazioni della guaina è il distretto coinvolto a determinare tipologia, sintomi e decorso della malattia; per fare qualche esempio la sclerosi multipla e la sindrome di Guillain-Barré sono la conseguenza della demielinizzazione di neuroni del sistema nervoso centrale e di quello periferico, rispettivamente.
Le guaine mieliniche nel SNC e nel SNP


Nel caso di altre patologie il problema non è legato alla conducibilità ma è da ricercarsi nella integrità strutturale del  circuito stesso (vedi neurodegenerazioni o lesioni) o nella generazione di segnali anomali (vedi epilessia). Nel caso del morbo di Parkinson, è il deficit di un neurotrasmettitore chiave come la dopamina a produrre a cascata un "firing"  anomalo nella rete di neuroni a valle, fondamentali nella regolazione fine del movimento muscolare; da qui la comparsa del tipico tremore parkinsoniano.

Ripristinare il corretto funzionamento di un circuito alterato è complesso ma sperimentalmente possibile, a patto che le cellule bersaglio siano integre. Tra le metodiche possibili vi è l'impianto di elettrodi in specifiche aree del cervello o, a livello periferico, di stimolatori che agiscono come modulatori del segnale (un approccio questo particolarmente utile nella terapia del dolore cronico). La letteratura scientifica è piena di esempi che illustrano le potenzialità di questi trattamenti capaci di agire su distretti anche molto specifici (in grado di evocare ad esempio la percezione di un sapore definito o anche di stati emotivi.

L'evidente limite di tali approcci è nella invasività e nella intrinseca grossolanità dell'area bersaglio; sebbene in laboratorio (o su un nervo periferico) sia possibile attivare una singola cellula, una volta posizionato l'elettrodo, per quanto piccolo, modificherà l'attività di un'area del cervello contenente un certo numero di cellule, potenzialmente appartenenti a distretti funzionali diversi. Questo è il motivo per cui durante gli interventi di posizionamento degli elettrodi (o prima della rimozione di un'area ad attività anomala) il paziente viene tenuto in sedazione cosciente in modo che possa fornire al chirurgo "le coordinate" precise della regione da "colpire".

Tornando al caso dei tremori parkinsoniani fatto in apertura, uno dei trattamenti oggi in uso è la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation - DBS) consistente nell'introduzione di elettrocateteri nelle aree deputate al controllo dei movimenti, collegati ad un dispositivo esterno che ne regola l'attività. Un trattamento che come dice il termine implica la creazione di un foro nel cranio per potere inserire gli elettrodi; una procedura invasiva quindi ma ad oggi è anche l'ultima opzione per quei pazienti che non rispondono (più) al trattamento farmacologico ma sufficientemente "sani" perché il rischio connesso all'intervento sia accettabile.

Per rispondere alla necessità di minimizzare l'invasività di tali approcci sono stati sviluppati negli anni tecnologie come la stimolazione magnetica transcranica grazie alla quale è possibile modificare l'attività elettrica neuronale sfruttando un campo magnetico esterno.  Tale approccio, di cui ho parlato in precedenza (--> QUI), si fonda sul legame magnetismo-elettricità ben descritto già nel '800 da Hans Christian Ørsted prima e da James Clerk Maxwell poi.
--> Mayo Clinic
Il metodo, per quanto innovativo, ha una intrinseca limitazione nei distretti che può raggiungere (tipicamente le parti più esterne come la neocorteccia) e, elemento non secondario, nel coinvolgimento di un numero di cellule maggiore rispetto a quelle raggiungibili da un elettrodo ottimamente posizionato.

I ricercatori del MIT hanno recentemente pubblicato i risultati di un nuovo approccio (Temporal Interference stimulation - TIS) in grado di eliminare la componente chirurgica grazie ad elettrodi impiantabili sul cuoio capelluto invece che all'interno della scatola cranica. I test, condotti sui topi, hanno dimostrato la capacità di attivare in modo specifico i neuroni dell'ipotalamo (un'area sita nella parte più interna e di difficile accessibilità del cervello, avente un ruolo centrale nei processi cognitivi e di memoria).
In estrema sintesi il metodo consiste nell'inserimento di due coppie di elettrodi sulla cute, da cui partono due scariche elettriche in direzione dell'area di interesse. Data l'alta frequenza di emissione i neuroni lungo il percorso di ciascuna scarica non "rispondono" al segnale che prosegue inalterato fino al "punto di fuoco", in cui converge l'altra scarica. Qui la combinazione delle due genera una frequenza compatibile con la risposta neuronale che quindi verrà attivata in modo estremamente specifico.
In un certo senso non è molto diverso dalla procedura nota come gamma-knife che in oncologia viene usata per generare un impulso letale per le cellule solo nel punto di fuoco di due raggi gamma separati e convergenti.
Altro elemento importante è che mentre la DBS standard impone al chirurgo di spostare gli elettrodi se vuole spostare il bersaglio, nel caso della TIS  è sufficiente che l'operatore modifichi i parametri delle frequenze delle due correnti in modo da spostare il "punto di fuoco" in altra posizione.
Credit: Nir Grossman et al, (2017)


Secondo i ricercatori il prossimo passo sarà affinare la tecnica in modo da renderla capace di operare in qualunque area del cervello si voglia e con qualunque fine (spegnimento o stimolazione dell'attività elettrica dei neuroni). Tra gli obiettivi vi è quello di riuscire a raggiungere l'area nota come nucleo subtalamico, un'area chiave nella sintomatologia del Parkinson.

Articoli precedenti sul tema --> "Una scarica per ricordare" e "TMS per trattare l'anoressia".
Prossimo articolo sul tema --> Stentdrode

Fonte
- Noninvasive Deep Brain Stimulation via Temporally Interfering Electric Fields
 Nir Grossman et al, (2017) Cell, Volume 169, Issue 6, p1029–1041

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