L'anoressia è una disfunzione di tipo neurologico che getta le sue basi, spesso, con la banale decisione di perdere i chili di troppo (veri o presunti che siano) ma che può degenerare in disturbi comportamentali fobici nei confronti del cibo in generale insieme alla dissociazione percettiva tra la realtà della propria forma fisica e quella "vista" allo specchio; in altre parole il soggetto anche quando chiaramente sottopeso vedrà una immagine distorta di sé come se si osservasse attraverso uno specchio deformato.
Il percorso di recupero non è breve né esiste un approccio universalmente valido. Perché abbia successo è necessaria sia la collaborazione fattiva del malato che un approccio multidisciplinare gestito da professionisti diversi tra cui psicologi, nutrizionisti e medici; gli approcci fai da te sono fortemente sconsigliati per il semplice motivo che l'anoressia è una malattia e non un "capriccio" e come tale va trattata in modo clinico.Il fatto che sui milioni di persone attenti alla dieta vi sia solo una percentuale decimale di soggetti affetti da un disturbo alimentare compulsivo, è indice che non si tratta solo della conseguenza di una moda ma che ci sono soggetti più a rischio di altri (per età, cultura, sesso e condizione psicologica) di ammalarsi. Le fasce più a rischio sono le ragazze tra i 15 e 25 anni, a causa sia dei cambiamenti fisiologici del corpo durante l'adolescenza che delle aspettative (proprie o altrui) di conformità ad uno standard creato dai media.
Il tasso di mortalità "prematuro" riconducibile alle disfunzioni organiche indotte dall'anoressia è superiore al 20 per cento. Un numero che però sottostima le complicanze di lunga durata (sia mediche che sociali) che l'anoressia inevitabilmente produce; dall'osteoporosi ai danni a denti e gengive, dall'interruzione del ciclo agli scompensi cardiaci fino alla estesa gamma dei problemi sociali e, perché no, di efficienza sul lavoro o nello studio.
Un aiuto alla terapia comportamentale potrebbe venire dalla modulazione di specifici circuiti cerebrali in modo assolutamente non-invasivo, grazie alla stimolazione magnetica transcranica (TMS). Il metodo in sé è stato approvato dalla FDA americana in diverse situazioni in cui la chimica farmaceutica o altri approcci non si siano dimostrati risolutivi. Il concetto è semplice e si basa sulla capacità di un campo magnetico di indurre una corrente elettrica locale; dato che i circuiti neuronali si basano sulla trasduzione del segnale con un susseguirsi di chimica (neurotrasmettitori) e corrente elettrica (potenziali di azione), la possibilità di fare un reset o di rimodulare circuiti neurali con attività anomala è apparsa da subito come un approccio molto interessante in disturbi neurologici resistenti ai trattamenti chimici (ad esempio la depressione).
Il metodo è assolutamente non invasivo. Attorno alla testa del paziente viene posta una bobina di ceramica all'interno della quale viene fatta circolare della corrente che crea un campo magnetico il quale influenzerà l'attività elettrica dei neuroni bersaglio. Il trattamento dura in genere 10' e il paziente non percepirà nulla, se non in alcuni casi un arrossamento della cute. Il numero di sedute complessive è variabile (7-10 nel caso della depressione resistente ai farmaci). L'accuratezza della zona trattata viene facilitata dal monitoraggio mediante risonanza magnetica. Diversa cosa è la stimolazione cerebrale profonda (elettrica) che necessita di posizionare un elettrodo all'interno del cervello, condizione questa necessaria in quelle patologie in cui le regioni coinvolte sono troppo in profondità (esempio di utilizzo --> Parkinson)
I potenziali vantaggi della TMS nel trattamento dell'anoressia nervosa sono stati illustrati in un articolo pubblicato sulla rivista PLoS ONE da un gruppo del King's College di Londra. Si tratta del primo studio randomizzato per valutare i rischi-benefici della TMS nella terapia dell'anoressia.
La zona bersaglio della stimolazione è la corteccia prefrontale dorsolaterale, l'area alla base della pianificazione e organizzazione dei comportamenti complessi e delle capacità cognitive superiori.
I risultati mostrano che una singola sessione di TMS induce un rilassamento della "urgenza" di limitare l'assunzione di cibo e un minor senso di sazietà, della percezione di "grassezza" e delle fobie correlate, facilitando nel contempo un processo decisionale "logico" che incoraggia la paziente a continuare le terapie ricostituenti.
L'effetto "percettivo" è stato testato in due tempi, 20' e 24h dopo il trattamento, esponendo le pazienti a stimoli visivi di cibi appetitosi e chiedendo loro di valutare sia l'aspetto percettivo (sapore, odore e aspetto) che la voglia di mangiarli.
La capacità decisionale è stata anche valutata in senso più esteso monitorando l'intensità dei comportamenti prudenti e di lungo periodo rispetto a quelli di gratificazione istantanea. Anche qui si è osservato che rispetto al placebo le scelte erano spostate verso quella di lungo periodo, ad indicare una maggiore attività del controllo prefrontale.
I risultati sono da considerarsi preliminari in quanto il numero di soggetti testati è troppo basso perché si possa ricavare una statistica affidabile.
E' tuttavia un passo in avanti nello sviluppo di terapie adatte ad una piaga sempre più diffusa nelle ragazze e giovani donne.
Video riassuntivo dello studio (by King's College London)
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Fonte
- A Randomised Controlled Trial of Neuronavigated Repetitive Transcranial Magnetic Stimulation (rTMS) in Anorexia Nervosa
Jessica McClelland et al, PLoS ONE, (2016) 23;11(3)
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