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Esiste il peptide della felicità?

Quali sono le basi neuronali della felicità?
Mentre lo studio dei meccanismi neurologici alla base del sentimento dell'amore nelle sue varie forme (da quello fisico all'innamoramento fino all'amore parentale) è da anni oggetto di approfondite analisi (riassunte nei topic la biochimica dell'amore --> 1 e --> 2), la caratterizzazione neurochimica della felicità è meno avanzata.
Per una serie di motivi importanti, fra tutti la difficoltà nel definire questo stato. Mentre una persona innamorata presenta "sintomi" pressochè universali, una persona felice (pur se Tolstoj nel suo celebre incipit considera questa persona non degna di un racconto) si caratterizza per l'assenza di sensazioni negative
La domanda "sei felice" potrebbe essere sostituita da una più generalmente valida, tipo "hai preoccupazioni o problemi che ti turbano?". Una risposta negativa è già indicativa di uno stato interiore positivo. Si potrebbe certamente obiettare che lo stato di piena felicità è qualcosa di diverso da uno stato di non infelicità. Per caratterizzarlo però bisogna stare attenti a rimuovere i fattori confondenti che rientrano nel sentimento amoroso appagato (ad esempio l'essere insieme).
Del resto la felicità pura è presente anche senza essere innamorati. Il grosso problema incontrato dai ricercatori che in passato abbiano voluto cimentarsi in questo campo era quindi definire questo stato isolandolo dai fattori contingenti. Un lavoro per niente semplice.

Ho letto quindi con interesse lo studio pubblicato su Nature Communications risultato del lavoro di un team di ricercatori della UCLA coordinato da Jerome Siegel. Nell'articolo si riferisce dei valori misurati in vivo della hypocretin (scusate ma io mi rifiuto di tradurre i termini scientifici), un neuropeptide i cui livelli aumentano considerevolmente quando i soggetti testati sono felici e decresce quando sono tristi. Più in dettaglio l'incremento del livello del peptide si ha quando si provano emozioni positive e durante i rapporti sociali.
L'insieme dei dati indica che il rilascio di questo neurotrasmettitore è in grado non solo di modificare positivamente l'umore ma anche di aumentare la capacità di risposta a stimoli esterni. Una persona "felice" è notoriamente più ricettiva di una persona triste
Una osservazione importante in quanto apre la strada a future terapie di patologie derivanti da squilibri neurochimici come la depressione.
Oltre alla hypocretin i ricercatori hanno identificato un secondo peptide ormonale coinvolto, MCH (melanin concentrating hormon). I livelli del MCH variano considerevolmente durante il ciclo sonno-veglia con valori massimi durante il sonno e minimi durante le interazioni sociali.
Interessante? Direi di si data la frequente coesistenza di narcolessia e depressione, un dato che si collega ad un precedente lavoro di Siegel che nel 2000 aveva scoperto come il cervello dei pazienti affetti da narcolessia possedesse il 95% in meno di hypocretin.

Immediata conseguenza dello studio è ipotizzare trattamenti con sostanze agoniste il MCH da usare come "sonniferi naturali", sostanze prive delle complicanze di farmaci come barbiturici e derivati. Studi clinici futuri ci diranno se e quanto questi trattamenti saranno efficaci.

Altri esperimenti condotti sui topi, e tuttora in corso, sono invece diretti a verificare se la somministrazione di hypocretin sia in grado di migliorare l'umore. Condizione che negli animali si valuta attraverso la propensione a rispondere agli stimoli esterni. Test necessari prima della sperimentazione su uomo.

Fonti
- University of California -Los Angeles, news
- Human hypocretin and melanin-concentrating hormone levels are linked to emotion and social interaction
Ashley M. Blouin et al. , Nat. Comm. 2013



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