Progettare un farmaco è in teoria un processo lineare: una malattia; un processo metabolico alterato; un rimedio.
Non sempre è così. A volte capita che si scoprano inattese funzionalità del farmaco o durante la sperimentazione clinica (vedi l'esempio del Viagra, durante i test clinici come cardiotonico) oppure dopo anni di uso consolidato. (vedi anche post precedente qui).
Una volta che un farmaco entra nella pratica medica generale, il numero e soprattutto la varietà (genetica e patologica) di pazienti che ne fanno uso crea condizioni sperimentali "insolite" rispetto alle condizioni note. Questo spiega perché, sporadicamente, alcuni farmaci approvati (quindi valutati dagli enti regolatori come statisticamente sicuri) "improvvisamente" mostrino effetti negativi imprevisti. Spiega anche perché, sebbene più raramente, l'associazione imprevista fra una patologia concomitante a quella bersaglio permetta di scoprire funzionalità aggiuntive del farmaco. Osservazioni queste, che sono il punto di partenza per nuovi nuovi studi clinici finalizzati ad estendere l'ambito terapeutico del farmaco a nuove patologie. Specialmente se si tratta di malattie per cui non esistono terapie efficaci.
Una volta che un farmaco entra nella pratica medica generale, il numero e soprattutto la varietà (genetica e patologica) di pazienti che ne fanno uso crea condizioni sperimentali "insolite" rispetto alle condizioni note. Questo spiega perché, sporadicamente, alcuni farmaci approvati (quindi valutati dagli enti regolatori come statisticamente sicuri) "improvvisamente" mostrino effetti negativi imprevisti. Spiega anche perché, sebbene più raramente, l'associazione imprevista fra una patologia concomitante a quella bersaglio permetta di scoprire funzionalità aggiuntive del farmaco. Osservazioni queste, che sono il punto di partenza per nuovi nuovi studi clinici finalizzati ad estendere l'ambito terapeutico del farmaco a nuove patologie. Specialmente se si tratta di malattie per cui non esistono terapie efficaci.
Il vantaggio dei farmaci da tempo presenti nella farmacopea è che di
questi si conosce molto bene sia la finestra terapeutica, vale a dire il
dosaggio in cui il rapporto beneficio/rischio è molto alto, che gli effetti derivanti dall'assunzione in condizioni non previste dal protocollo originale.
Se un
farmaco di cui è noto l'eccellente profilo di tollerabilità, mostra
potenziali effetti benefici in una malattia altra da quello per cui era
stato progettato, allora i calici si alzano per brindare.
Il Losartan potassico, principio attivo sviluppato da Merck & Co, è uno di questi farmaci che promette nuovi ed inattesi utilizzi. Il farmaco commercializzato in Italia come Lortaan (Merck Sharp & Dohme), Losaprex (Sigma-tau) e Neolotan (Neopharmed), è usato nella terapia della ipertensione arteriosa e dell'insufficienza cardiaca.
I dati emersi dal lavoro congiunto effettuato dalle Università di Bristol, Cambridge e Belfast, sono estremamente interessanti: il Losartan sembra rallentare il progredire del morbo di Alzheimer. Studi retrospettivi hanno infatti mostrato che le persone che hanno assunto nel corso degli anni il losartan mostravano una incidenza minore di Alzheimer, rispetto ai soggetti che avevano assunto altri farmaci anti-ipertensivi.
E' importante usare il condizionale: ogni utilizzo di un farmaco che sia difforme rispetto alle indicazioni per cui è stato approvato necessita di un nuovo iter di studi clinici perché venga approvato per tale scopo. La sperimentazione clinica volta a testare l'effetto protettivo del losartan rispetto all'Alzheimer inizierà a breve.
L'interesse è qui duplice:
- in primis manca al momento una terapia anche solo lontanamente utile per i pazienti di Alzheimer;
- last but not least il farmaco è già in uso da tempo, quindi sono possibili sia studi retrospettivi di efficacia che dati sulla sicurezza.
Come è possibile che un farmaco creato per combattere l'ipertensione sia utile nella terapia dell'Alzheimer? Al momento si possono solo fare ipotesi. Si sa per certo che il losartan agisce bloccando i recettori della angiotensina II, una proteina che, fra le altre cose, attiva una cascata di reazioni che bloccano il rilascio di molecole importanti per la memoria. I ricercatori britannici ritengono che il farmaco potrebbe rallentare il progredire della malattia migliorando il flusso di sangue al cervello e alterando le reazioni chimiche che generano i danni neuronali.
Dati consolidati, derivati da osservazioni condotte su uomo e in animali, mostrano che il ridotto flusso ematico al cervello è un evento precoce della malattia. Agire sul flusso ematico potrebbe quindi rallentare il progredire della malattia, purché il danno non sia tale da essere oramai irreversibile.
Lo studio clinico in partenza si chiama RADAR e coinvolgerà 230 pazienti nei prossimi due anni. Strutturato in doppio cieco, randomizzato e con controllo placebo verrà interamente finanziato dal Medical Research Council e gestito operativamente dal National Institute for Health Research.
La funzionalità del farmaco verrà testata monitorando mediante tecniche di imaging, le variazioni della massa cerebrale; massa che nei pazienti con Alzheimer diminuisce inesorabilmente con il progredire della malattia.
(altro esempio di terapia nuova da farmaco vecchio --> qui)
Fonte
- University of Bristol, news
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Articoli successivi sull'argomento "vecchi farmaci, nuove indicazioni": amebosi; Alzheimer;(1 e 2).
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