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Pesanti indizi di manipolazione dati affondano la "ipotesi amiloide" come causa dell'Alzheimer

In un articolo dello scorso marzo in cui riassumevo gli sforzi (e le difficoltà intrinseche) della ricerca sull'Alzheimer (prevenzione, curarlo non è una opzione in quanto alla diagnosi i danni sono troppo estesi), ricordavo anche quanto l'ipotesi amiloide fosse oggi meno centrale rispetto a qualche anno fa, complice il fallimento di alcuni studi clinici (per dettagli vi invito a rileggere l'articolo "La via tortuosa dei nuovi farmaci").
Oltre ai dubbi sopra esposti circa la validità (nel senso causa-effetto vs. epifenomeno) della teoria amiloide, arriva ora uno studio che mette in dubbio la validità scientifica di alcuni pilastri di questa teoria. 
L'articolo pubblicato su Science
Il caso è deflagrato poche settimane fa (luglio 2021) con un articolo su Science che riporta pesanti anomalie dei dati dello studio seminale (Nature, 2006) che ha indirizzato il campo versa la suddetta teoria. Lo studio indicava Aβ*56 (alias la proteina beta amiloide), oligomero tossico della beta-amiloide, come uno dei mattoni responsabili della formazione nel cervello delle placche amiloidi, tipiche della malattia di Alzheimer (e non solo).
Ad aumentare la gravità del caso, ad essere coinvolti in questa opera di manipolazione non ci sarebbe solo Sylvain Lesné, principale autore, ma la pharma Cassava, che aveva investito nello sviluppo di farmaci contro la formazione delle placche,
Nell’articolo di Science non si parla in modo esplicito di manipolazione ma di dubbi (“expression of concern”) sulla validità dei dati sperimentali. Lo studio si basava sull’iniezione intracerebrale in giovani topi di grosse quantità del suddetto oligomero e nella successiva constazione di deterioramento delle loro capacità mnemoniche. Un test che per loro (e per gli editori) era la prova che la beta amiloide non era una conseguenza della malattia ma la causa. Fu quello il momento in cui tale ipotesi prevalse sulle altre e la ricerca si spostò verso la prevenzione della formazione delle placche. Approcci che nel corso degli anni si sono rivelati infruttuosi se non controproducenti (alcuni farmaci capaci di contrastare la formazione delle placche acceleravano il decorso della malattia, rafforzando l’idea opposta che le placche fossero invece un modo con cui l’organismo cercava di rimuovere l’eccesso di proteine alterate, neutralizzandole come aggregati).

L’articolo su Nature (e tutti quelli successivi dell'autore) sono ora sotto riesame e presentano una nota di avvertimento.

In aggiunta all'articolo su Science suggerisco la lettura degli articoli tematici sui siti retractionwatch e forbetterscience.

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