Una nuova teoria ipotizza che il morbo di Alzheimer (da qui in poi AD) sia in realtà una malattia autoimmune.
Un "terremoto" concettuale che è diretta conseguenza di movimenti tellurici nel campo dopo che lo scorso luglio uno studio pubblicato sulla rivista Science (vedi qui il mio articolo dedicato) solleva seri dubbi sulla affidabilità (leggasi dati falsificati) dello studio seminale dell'ipotesi amiloide, pubblicato nel 2006 sulla rivista Nature.
Una rivelazione che segue un aspro dibattito nato l'anno scorso quando la FDA approvò il farmaco (un anticorpo monoclonal) aducanumab, specifico per la beta-amiloide pur con dati incompleti e contraddittori.
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L'ipotesi amiloide ha influenzato per anni i progetti di ricerca finalizzati a sviluppare terapie contro la malattia, cercando di prevenire la formazione dei "grumi" di amiloide nel cervello. Purtroppo (e ora si può aggiunge, prevedibilmente) questi sforzi sono stati vani.
La necessità di pensare "fuori dagli schemi" su come prevenire una malattia chiave, dato l'invecchiamento della popolazione mondiale, sta producendo qualche novità.
Tra le ipotesi formulate c'è quella che vede l'AD come una malattia che nasce nei mitocondri, il risultato finale di una infezione cerebrale causata da batteri del cavo orale o ancora da un anomalo accumulo di metalli come zinco, rame e ferro all'interno del cervello
La nuova ipotesi autoimmune viene da un team di ricerca di Toronto, giunto a questa conclusione forte dei suoi 30 anni di ricerca sulla malattia.
Come accade in altre parti del corpo, il sistema immunitario è in prima linea nel favorire il processo di guarigione successivo a traumi o nel combattere una infezione sebbene questa azione possa produrre effetti indesiderati indotti dai danni causati dall'infiammazione sui tessuti sani.
I ricercatori canadesi ritengono che la proteina beta-amiloide non sia in realtà una proteina anomala (come può essere la proteina prionica alterata) ma un componente chiave del sistema immunitario cerebrale; in seguito ad un trauma o ad una infezione batterica questa proteina avrebbe infatti un effetto protettivo. Ma la sua stessa azione potrebbe innescare dei problemi a lungo termine dovuto al fuoco amico indotto dalla somiglianza tra le molecole lipidiche della membrana batterica e di quella delle cellule cerebrali. Il fuoco amico provoca una perdita cronica e progressiva della funzione delle cellule cerebrali, che culmina nella demenza quando i danni superano la pur alta capacità compensativa data dalla plasticità cerebrale (questa la ragione per cui quando compaiono i sintomi delle malattie neurodegenerative il danno è oramai talmente elevato da non potere essere curato).
Nota. Tali effetti collaterali sul lungo periodo non sono una anomalia di un sistema di difesa "progettato" male. L'obiettivo principale dei sistemi di difesa e riparazione (su cui la selezione naturale agisce) è fornire protezione e sollievo sul breve termine in modo da permettere all'organismo di raggiungere o rimanere più a lungo nella fase riproduttiva della sua vita cioè l'unica fase su cui la fitness genetica amica. Quello che accade sul lungo periodo non ha rilevanza perché non può essere selezionato, specie età avanzate che sono una prerogativa storicamente molto recente.
Se quindi si cambia prospettiva e si considera l'AD come il risultato di un attacco autodiretto del sistema immunitario (come ad esempio l'artrite reumatoide) ecco che allora cambia il tipo di approccio per prevenire (ripeto "prevenire" non "curare") la malattia usando terapie come quelle a base di steroidi ma diverse perché il cervello è un organo del tutto particolare.
I prossimi anni ci diranno se e quanto questo nuovo pensiero ci porterà da qualche parte
Fonte
- β-Amyloid is an Immunopeptide and Alzheimer’s is an Autoimmune Disease
- Alzheimer’s Might Not Be Primarily a Brain Disease: A New Theory Suggests It’s an Autoimmune Condition
Donald F. Weaver ("The Conversation")
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