Introduzione
La Montalcini lo aveva detto.
Peccato però che all'epoca la reazione fu una levata di scudi farcita di attacchi personali da parte di chi non solo era privo di titoli scientifici ma, soprattutto, si faceva vanto del dualismo crociano tra pensiero "alto" (lettere, filosofia, etc) e "basso" (le scienze in generale) visto come mero esercizio tecnico. Per dirla semplicemente era per molti inammissibile l'idea stessa che la biologia (e nello specifico la genetica) potesse avere un qualche ruolo nelle malattie e nella dipendenza "in quanto solo frutto di scelte individuali e/o causate dall'ambiente".
Una corrente di pensiero quella antiscientifica da sempre maggioritaria in Italia innestatasi poi sulla perniciosa moda del politicamente corretto che soppesa ogni affermazione in base al rischio "discriminatorio". Un problema che viene esacerbato dalla pochezza dei media generalisti sempre più alla ricerca di "click" sui social (come si vede dai titoli acchiappalettori) rispetto a quello che dovrebbe essere il loro vero ruolo: informare sui fatti e fornire a chi ne è privo gli strumenti per contestualizzare le informazioni.
Cosa disse di così scandaloso la Montalcini? Che alcuni individui sono più predisposti di altri a sviluppare una dipendenza da sostanze psicotrope (droghe, alcol, fumo, etc).
Una affermazione che un qualunque studente impegnato nel corso di genetica-1 (ma anche un liceale) potrebbe spiegare pena l'immediata cacciata dall'aula d'esame.
Eppure la reazione mediatica fu che la Montalcini con tali affermazioni "marchiava" de facto le persone come "ineluttabilmente destinate a diventare tossicodipendenti" e come tale il concetto era discriminatorio e quindi da rigettare. Una risposta scomposta che veniva in primis da persone incapaci di distinguere sia le basi neurochimiche della dipendenza che concetti altrettanto elementari di epidemiologia e statistica.
Parlare di "predisposizione" infatti NON equivale a dire condanna certa ma maggiore probabilità che l'evento X si verifichi. Ovvio no?!
Il punto centrale alla base della negazione di genetica della predisposizione è che per troppe persone ancora oggi la dipendenza o in generale ogni problematica legata all'attività cerebrale e al comportamento riguardano un livello superiore dell'essere rispetto alla "mera materia" corporea. Evidentemente non è così come ben dimostra la neurochimica e lo studio delle neuroscienze in generale.
Eppure la reazione mediatica fu che la Montalcini con tali affermazioni "marchiava" de facto le persone come "ineluttabilmente destinate a diventare tossicodipendenti" e come tale il concetto era discriminatorio e quindi da rigettare. Una risposta scomposta che veniva in primis da persone incapaci di distinguere sia le basi neurochimiche della dipendenza che concetti altrettanto elementari di epidemiologia e statistica.
Parlare di "predisposizione" infatti NON equivale a dire condanna certa ma maggiore probabilità che l'evento X si verifichi. Ovvio no?!
La predisposizione può essere ereditata dai genitori (e qui conta la cosiddetta "penetranza" genetica) oppure insorgere de novo a causa di neo-mutazioni o dalla formazione di neo-aplotipi conseguenti al riassortimento meiotico del genoma parentale. La combinazione di due alleli derivati dai genitori, "innocui" quando in singola copia, può fare comparire l'effetto (o al contrario scomparire) nei figli.Di fatto tale "predisposizione" non è diversa rispetto a quella che nei soggetti portatori di mutazioni pre-oncogeniche nei geni BRCA1 e BRCA2 si associa al rischio, dimostrato, di sviluppare tumori all'ovaio o al seno. Se nel caso dei geni BRCA il rischio è molto elevato (superiore al 50 %) a causa del ruolo di questi geni nella riparazione del DNA, nel caso di altri geni il rischio incrementale è in genere nettamente inferiore ma nondimeno statisticamente evidente.
Il punto centrale alla base della negazione di genetica della predisposizione è che per troppe persone ancora oggi la dipendenza o in generale ogni problematica legata all'attività cerebrale e al comportamento riguardano un livello superiore dell'essere rispetto alla "mera materia" corporea. Evidentemente non è così come ben dimostra la neurochimica e lo studio delle neuroscienze in generale.
L'affermazione della Montalcini era quindi, da un punto di vista scientifico, innegabile e non avrebbe fatto sollevare nemmeno un sopracciglio di dubbio in qualunque consesso scientifico l'avesse espressa. Sicuramente la dipendenza da sostanze psicotrope è meno compresa rispetto alla predisposizione tumorale data la complessità dei circuiti neuronali che regolano i nostri comportamenti ma il principio è lo stesso. Studiare la neurochimica equivale a capire come agisce la sostanza X; nello specifico quale sia il bersaglio (diretto o indiretto) tra i vari recettori, neurotrasmettitori e canali di membrana (oltre che in quali cellule e distretti cerebrali).
Le sostanze psicotrope agiscono in modo specifico su uno o più circuiti neurali con una certa predilezione (non esclusiva) per l'area sinaptica. In molti casi è il "circuito della ricompensa" (centrato sul neurotrasmettitore dopamina) il bersaglio principale proprio per l'effetto "feel good" che provoca la dopamina.
Va da sé che se un circuito contiene una variante che lo rende più sensibile (ad esempio a causa di una maggiore affinità) ad una data sostanza "ambientale", il soggetto portatore avrà una diversa propensione a subirne gli effetti neurochimici. Al contrario l'assenza dello stimolo riduce fortemente il ricorso ad attività che in condizioni standard provocherebbero piacere (ad esempio i topi privi di recettori per gli endocannabinoidi fanno molto meno jogging sulla ruota e si sa che la corsa libera endorfine ed è per questo che molte persone hanno "bisogno" di correre tutti i giorni).
Le sostanze psicotrope agiscono in modo specifico su uno o più circuiti neurali con una certa predilezione (non esclusiva) per l'area sinaptica. In molti casi è il "circuito della ricompensa" (centrato sul neurotrasmettitore dopamina) il bersaglio principale proprio per l'effetto "feel good" che provoca la dopamina.
Va da sé che se un circuito contiene una variante che lo rende più sensibile (ad esempio a causa di una maggiore affinità) ad una data sostanza "ambientale", il soggetto portatore avrà una diversa propensione a subirne gli effetti neurochimici. Al contrario l'assenza dello stimolo riduce fortemente il ricorso ad attività che in condizioni standard provocherebbero piacere (ad esempio i topi privi di recettori per gli endocannabinoidi fanno molto meno jogging sulla ruota e si sa che la corsa libera endorfine ed è per questo che molte persone hanno "bisogno" di correre tutti i giorni).
Questo spiega anche perché a parità di sigarette fumate nell'adolescenza, alcuni diventano fumatori ed altri no, e perché tra i primi alcuni non avranno grossi problemi nel decidere di smettere di fumare dall'oggi al domani mentre altri (a parità di motivazioni) proveranno a smettere ripetutamente nel corso della vita ma con esiti parziali o nulli.
Lo studio
Lo studio, pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry da un team della università di Yale, ha preso in esame il genoma di oltre 14 mila individui alla ricerca di varianti genetiche associabili alla dipendenza da cannabis (la pianta da cui si ricava la marijuana tra i cui principi attivi vi è il THC).
In sintesi l'analisi genetica ha dimostrato che vi è una correlazione tra l'essere a rischio dipendenza da marijuana e il rischio della cosiddetta depressione maggiore.
In altre parole chi ne fa uso è anche la persona che avrebbe avuto maggiori rischi di depressione cronica, indipendentemente dall'uso di
droga.
I componenti "attivi" della marijuana, noti come cannabinoidi, provocano indirettamente un incremento dei livelli di dopamina (neurotrasmettitore coinvolto tra le altre cose nel circuito della "ricompensa") attraverso il blocco funzionale del neurotrasmettitore GABA.
Cannabis (credit: Cannabis Training University) |
Lo studio è uno dei primi ad avere identificato le varianti genetiche che aumentano significativamente il rischio dipendenza e deve molto, concettualmente, a quanto si è appreso negli anni sulla componente ereditaria, del rischio alcolismo. Rischio inteso, attenzione, come una maggiore tendenza a trovare "soddisfazione" nell'alcol (o in altre sostanze). Se una persona è più sensibile di un'altra all'effetto di una sostanza, la probabilità che la prima ne abusi (almeno nelle fasi iniziali di "non dipendenza") sarà maggiore. Un esempio di gene le cui varianti modificano la predilezione per l'alcol (alias quanto si è propensi a bere) è β-Klotho, codificante per una proteina di membrana con effetti di "relay" tra la FGF21 e l'alcol nel sangue.I risultati potrebbero anche spiegare perché le persone affette da schizofrenia sono molto meno propense ad usare cannabis (quest'ultima "anticipa" l'insorgere delle crisi) forse per la sovrapposizione di alcuni pathway neurochimici.
Particolarmente importanti saranno i dati sulle differenze genetiche tra i soggetti per i quali è stata diagnosticata dipendenza da cannabis e coloro che pur facendone uso non mostrano alcun segno di dipendenza. Per il momento si sa che alcuni dei geni le cui varianti sono "correlabili" alla dipendenza sono coinvolti nella regolazione dei livelli intracellulari di calcio, ione chiave della funzionalità sinaptica.
Il legame tra dipendenza, circuiti della ricompensa e predisposizione "parziale" è riassunto da questo frasi, estratte da una review pubblicata su Cell
(...) most drugs of abuse exert their initial reinforcing effects by activating reward circuits in the brain and that, while initial drug experimentation is largely a voluntary behavior, continued drug use impairs brain function by interfering with the capacity to exert self-control over drug-taking behaviors and rendering the brain more sensitive to stress and negative moods. Indeed, individuals with genetic vulnera- bilities, exposed to chronic stress, or suffering from comorbid psychiatric conditions, as well as those who abused drugs during early adolescence, are at greater risk of transitioning into the automatic and compulsive behaviors that characterize addiction (...).
[Nora D. Volkow & Marisela Morales (2015), Cell]
Fonte
- Genome-wide Association Study of Cannabis Dependence Severity, Novel Risk Variants, and Shared Genetic Risks
Richard Sherva, Qian Wang, Henry Kranzler, JAMA Psychiatry. 2016;73(5):472-480
- Genome-wide Significant Associations for Cannabis Dependence Severity
James T. R. Walters & Michael J. Owen,
- Further evidence found for causal links between cannabis and schizophrenia
University of Bristol, news
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Chiusura doverosa la segnalazione (per chi non lo avesse ancora letto) del libro di Rita Levi-Montalcini
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