Un aggiornamento di un articolo del 2020 in cui si citava la notizia (fantascientifica solo pochi anni fa) della prima vera foto di un esopianeta. L'articolo originale è presente il calce all'aggiornamento.
Image credit: Aarynn Carter, the ERS 1386 team |
La foto è stata scattata dal telescopio spaziale James Webb, lanciato poco più di un anno fa ed entrato in funzione da qualche mese. Per quanto pixellato è una immagine all'infrarosso di un pianeta la cui stella è stata "oscurata" per impedire alla sua luce di sovrastare quella del pianeta.
Il pianeta, noto come HIP 65426 b è un pianeta di tipo gioviano scoperto nel 2017, ma più giovane (solo una decina di milioni di anni) e più caldo, che si trova a 107 parsec dalla Terra nella costellazione del Centauro. Orbita ad una distanza considerevole dalla sua stella (classe spettrale A2V), circa il doppio della distanza Plutone-Sole
Una distanza considerevole soprattutto se rapportata ai pianeti solitamente identificati con i metodi classici (ad esempio il metodo dei transiti) ma non casuale in quanto sarebbe stato ben difficile visualizzare un pianeta a tale distanza e in orbita prossimale a causa della luminosità della stella.
È la prima immagine di esopianeta mai scattata a lunghezze d'onda dell'infrarosso lontano, una caratteristica che consentirà agli astronomi di studiare l'intera gamma di luminosità di un pianeta e la sua composizione.
Ad oggi il numero di esopianeti confermati supera i 5 mila ma quelli fotografati sono solo una ventina. L'imaging diretto degli esopianeti è difficile, perché spesso si perdono nel bagliore della stella attorno alla quale orbitano. L'utilizzo della rilevazione a lunghezze d'onda dell'infrarosso permette di aumentare il contrasto tra stella e pianeta, facilitando così la loro individuazione (ma sempre in orbite sufficientemente lontane).
Tra i risultati ottenuti dall'analisi spettrografica la presenza di granelli di silicato - essenzialmente sabbia calda - nell'atmosfera del pianeta. Tali nuvole di sabbia possono formarsi quando le temperature sul pianeta sono abbastanza calde da vaporizzare i minerali che formano le rocce.
***
I due pianeti (frecce) orbitanti attorno alla stella TYC 8998-760-1. Credit:ESO/Bohn et al. |
Per visualizzare gli articoli dedicati su questo blog cliccate sul tag --> esopianeti.
I metodi di rilevazione più usati a questo scopo sono vari e comprendono il telescopio orbitante Keplero , sostituito a metà 2018 da TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), a cui si aggiungono telescopi terrestri come il VLT (Very Large Telescope).
Cronologia e missioni pianificate nell'ambito della ricerca degli esopianeti da parte di NASA ed ESA (credit: ESA) --> Immagine ad alta risoluzione |
Il numero di esopianeti confermato nel momento in cui scrivo è 4197 su 3109 sistemi stellari. Numeri aggiornati disponibili su Exoplanet Search Program (NASA) o su exoplanetarchive (Caltech).
Dove è la novità vi chiedere allora.
Fino ad oggi i metodi per identificare la presenza di pianeti erano di tipo indiretto, basati cioè su tecniche capaci di rilevare alterazioni (ad esempio orbitali o di luminosità) nella stella monitorata, spiegabili con la presenza di uno o più corpi associati. Metodi di studio molto precisi ed interessanti (vedi "postilla" a fondo pagina) ma che in un certo emozionalmente poveri in quanto ci privano della osservazione diretta.
Torniamo all’immagine iniziale.
Il merito va, ancora una volta, al VLT dell’ESO (Osservatorio Europeo Australe), dimostratosi in grado di scattare una foto di un sistema planetario intorno alla stella TYC 8998-760-1, simile al Sole in quanto a caratteristiche, e distante 310 anni luce. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters da un team olandese dell'università di Leida.
L’anello luminoso che sembra circondare i due pianeti è in realtà un artefatto ottico mentre gli altri puntini luminosi non indicati dalle frecce sono stelle sullo sfondo.
Anche qui la domanda ovvia su come si sia riusciti a distinguere “puntini” apparentemente identici tra stelle e pianeti: possibile grazie al movimento orbitale di quelli con le frecce mentre le stelle “vere” rimanevano fisse ad ogni istantanea scattata. Non che si tratti di dati facili da ottenere, soprattutto quando non sai dove cercare nella mole di dati disponibili. La spostamento dei “puntini” è stato osservato confrontando le foto del 2019 con quelle del 2018 e 2017, previa schermatura della luce della stella mediante un coronografo (SPHERE) montato sul VLT, un filtro obbligato per potere rilevare oggetti che, dalla nostra distanza, apparirebbero troppo vicini ad una stella per essere visualizzati.
Nel prossimo futuro si aggiungerà un nuovo strumento di osservazione, il ELT (Extremely Large Telescope), ora in costruzione che potrebbe aiutare a identificare eventuali altri pianeti in orbita ad una distanza "accettabile" perché siano, sulla carta, compatibili con condizioni adatte alla vita. In subordine si vuole anche cercare di comprendere se i due pianeti ora trovati si sono originati dal disco protoplanetario della stella o se si tratta di due "rogue planets" catturati in una fase successiva.
Fonte
- Two directly-imaged, wide-orbit giant planets around the young, solar analogue TYC 8998-760-1*
A.J. Bohn et al. The Astrophysical Journal Letters (2020)
Dove è la novità vi chiedere allora.
Fino ad oggi i metodi per identificare la presenza di pianeti erano di tipo indiretto, basati cioè su tecniche capaci di rilevare alterazioni (ad esempio orbitali o di luminosità) nella stella monitorata, spiegabili con la presenza di uno o più corpi associati. Metodi di studio molto precisi ed interessanti (vedi "postilla" a fondo pagina) ma che in un certo emozionalmente poveri in quanto ci privano della osservazione diretta.
Vale la pena ricordare che pur essendo il monitoraggio diretto alle nostre immediate vicinanze (l'area cerchiata nella figura sotto) parliamo di distanze da decine e centinaia di anni luce in quella che è in ogni caso la periferia della Via Lattea. Una minima frazione di quanto esiste là fuori, ma pur sempre troppo lontana e/o difficile da visualizzare in modo diretto. Una eccezione sono i pianeti SWEEPS-11 e SWEEPS-04, identificati nella galassia di Andromeda mediante il metodo delle microlenti gravitazionali a 27 mila anni luce da noi. Potete trovare la lista degli esopianeti sul exoplanet.eu; se riorganizzate la tabella cliccando sulla distanza angolare, avrete una lista in funzione della distanza da noi (per convertire da arcsec a parsec e poi in anni luce potete usare il metodo QUI suggerito).
Credit: NASA via exoplanet.sg |
Il merito va, ancora una volta, al VLT dell’ESO (Osservatorio Europeo Australe), dimostratosi in grado di scattare una foto di un sistema planetario intorno alla stella TYC 8998-760-1, simile al Sole in quanto a caratteristiche, e distante 310 anni luce. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters da un team olandese dell'università di Leida.
Prima di preparare le valigie e chiedere un passaggio alla Enterprise di turno meglio premettere che la stella è decisamente è ancora molto giovane (una decina di milioni di anni contro i quasi 5 miliardi del Sole) e che i due pianeti visti sono un super-Giove e un mini-Nettuno, con orbite molto più distanti dalla stella dei due pianeti giganti del nostro sistema (il più vicino orbita ad una distanza 5 volte quella tra Sole e Nettuno). Decisamente inabitabili.L’interesse della scoperta è triplice: esopianeti intorno ad una stella di tipo solare; l'immagine che li mostra “direttamente” e l’istantanea di un sistema planetario nella sua infanzia.
L’anello luminoso che sembra circondare i due pianeti è in realtà un artefatto ottico mentre gli altri puntini luminosi non indicati dalle frecce sono stelle sullo sfondo.
Anche qui la domanda ovvia su come si sia riusciti a distinguere “puntini” apparentemente identici tra stelle e pianeti: possibile grazie al movimento orbitale di quelli con le frecce mentre le stelle “vere” rimanevano fisse ad ogni istantanea scattata. Non che si tratti di dati facili da ottenere, soprattutto quando non sai dove cercare nella mole di dati disponibili. La spostamento dei “puntini” è stato osservato confrontando le foto del 2019 con quelle del 2018 e 2017, previa schermatura della luce della stella mediante un coronografo (SPHERE) montato sul VLT, un filtro obbligato per potere rilevare oggetti che, dalla nostra distanza, apparirebbero troppo vicini ad una stella per essere visualizzati.
Nel prossimo futuro si aggiungerà un nuovo strumento di osservazione, il ELT (Extremely Large Telescope), ora in costruzione che potrebbe aiutare a identificare eventuali altri pianeti in orbita ad una distanza "accettabile" perché siano, sulla carta, compatibili con condizioni adatte alla vita. In subordine si vuole anche cercare di comprendere se i due pianeti ora trovati si sono originati dal disco protoplanetario della stella o se si tratta di due "rogue planets" catturati in una fase successiva.
Fonte
- Two directly-imaged, wide-orbit giant planets around the young, solar analogue TYC 8998-760-1*
A.J. Bohn et al. The Astrophysical Journal Letters (2020)
Postilla metodologica
Che metodi usano gli astrofisici per identificare i pianeti al di fuori del nostro sistema?
Che metodi usano gli astrofisici per identificare i pianeti al di fuori del nostro sistema?
- Transito. Dalla variazione di luminosità apparente (cioè percepitata dai nostri strumenti) della stella e dalla sua periodicità si può ricavare massa, distanza e periodo orbitale del pianeta orbitante. Limiti ovvi di questo metodo la dimensione del pianeta e la sua distanza dalla stella, che si traduce per un osservatore esterno in una diversa proporzione della quantità di luce bloccata; data la distanza tra noi e la stella, la distorsione prospettica (distanza tra pianeta e stella) è irrilevante a meno di volere cercare "un Plutone" e il calcolo può essere approssimato come (dove Rp è il raggio del pianeta, R* il raggio della stella e F il flusso). Ovviamente possono essere osservati solo quei sistemi planetari in cui l'orbita è tale da essere in asse con il nostro punto di osservazione. Altre informazioni sul tipo di orbita vengono dal fenomeno dell'oscuramento al bordo.
Image converted from Kepler 10c, courtesy of NASA
credit: planetaryscience.com - Astrometria. Ogni oggetto con massa planetaria è in grado di perturbare la rotazione della stella, spostando il fuoco dell'orbita all'esterno della stella stessa. A causa di questo la stella ci apparirà orbitare non "su sé stessa" ma intorno ad un punto la cui distanza è funzione della massa dei pianeti nelle vicinanze. Si può dedurre la perturbazione dell'orbita osservando l'eventuale effetto Doppler della luce stellare.
Image: wikipedia ( )- Effetto lente gravitazionale. Per il noto effetto della gravitazione sulla luce, un qualunque oggetto dotato di massa è in grado di modificare il percorso della luce. La somma delle forze gravitazionali esercitata da stella e pianeta in asse rispetto al percorso della luce proveniente da una stella sullo sfondo funzionano come una lente di ingrandimento del segnale. Dal confronto tra segnale di riferimento prima e dopo il transito del pianeta si possono ricavare informazioni sulla massa aggiuntiva transitata, vale a dire quella del pianeta.
credit: planetary.org - Osservazione diretta. Utile per stelle vicine (meno di 500 anni luce) e per pianeti in orbita non troppo ravvicinata. La visualizzazione si basa sull'oscuramento della luce stellare così da visualizzare la luce riflessa (e in parte anche quella emessa) dai pianeti.
- L'insieme dei dati ottenuti, incrociati dove possibile tra loro, permette di creare un modello ottimale, vale a dire il modello con il maggior numero di osservazioni coerenti e nessun dato "negatore".
Un esempio "semplice" delle informazioni che l'insieme di questi dati fornisce è quella che permette di distinguere un pianeta roccioso come Marte da uno gassoso come Giove. Quando un pianeta supera certi valori dimensionali, e di massa, il pianeta "deve" essere gassoso. La distanza del pianeta dalla stella fornisce poi altri elementi e i risultati non sono sempre prevedibili. Fino a pochissimi anni fa la predizione dei sistemi planetari era viziata da una visione solar-centrica per cui i pianeti rocciosi dovevano essere interni e quelli gassosi esterni. Oggi, dopo avere scoperto molti pianeti definiti come Hot Jupiter, cioè giganti come Giove ma siti in un'orbita interna a quella di Mercurio, sappiamo che il modello del sistema solare è solo uno dei tanti possibili. Alcuni di questi pianeti sono talmente vicini da avere periodo orbitale e periodo rotazionale coincidenti (come avviene per i satelliti geostazionari) con la conseguenza che un lato è perennemente esposto e l'altro sempre al buio; una caratteristica in grado di generare differenze di temperatura fino a 400 gradi e perturbazioni atmosferiche altrettanto estreme.
Per chi volesse saperne di più sulle tecniche in uso rimando a siti "facili" come (link associati al nome) lo Smithsonian, l'università del Colorado, l'articolo "Exoplanet Detection Techniques" oppure la consigliatissima pagina della NASA)
Nessun commento:
Posta un commento