A volte le domande apparentemente più improbabili sono quelle che permettono di capire meglio alcuni metodi scientifici.
Un metodo quello dei "perché?" ampiamente usato da molta letteratura di divulgazione scientifica che, solo rimanendo nell'ambito italiano, comprende autori come Angela, Frova, etc. In ambito radiofonico segnalo la trasmissione radiofonica "Moebius" condotta da Federico Pedrotti su Radio24. Ed è proprio durante una di queste trasmissioni che è emerso il quesito che da il titolo a questo post :
si può datare approssimativamente quando durante l'evoluzione del genere Homo si sia passati dal naturale nudismo all'utilizzo di indumenti, ovviamente, semplici ma indossati costantemente?
E' superfluo sottolineare come le condizioni ambientali di per se siano un fattore secondario alla "vestizione". E' infatti più corretto pensare che la conquista di ambienti inospitali sia secondaria alla capacità di affrontare almeno sul medio termine le avverse condizioni. Se da una parte gli ominidi del Borneo o in genere della zona equatoriale/sub-tropicale non avevano/hanno grossi motivi per acquisire il concetto di vestizione usando le pelli di altri animali è altrettanto evidente che in altri ambienti anche solo temperati questo "passo" ha fornito un vantaggio selettivo molto forte.
Ricordo anche che nessun altro primate antropomorfo ha insito questo concetto, se tralasciamo i poveri scimpanzé a cui viene insegnato a mettersi i pantaloni per puro diletto dell'ammaestratore.
Molte sono le variabili che possono avere influito (perdita di una "pelliccia protettiva", etc) ma focalizzandosi solo su di esse si cadrebbe nel rischio di girare in tondo con quesiti del tipo "è nato prima l'uovo o la gallina".
Punto di partenza è che la specie sapiens è sostanzialmente priva (con eccezioni a livello individuale più che di popolazione ed etnia) di una copertura "pelosa" minimamente utile, sia che si considerino etnie adattate da migliaia di anni a climi freddi che tropicali. Il concetto di vestizione deve essere successivo quindi alla perdita di una "pelliccia".
Punto di partenza è che la specie sapiens è sostanzialmente priva (con eccezioni a livello individuale più che di popolazione ed etnia) di una copertura "pelosa" minimamente utile, sia che si considerino etnie adattate da migliaia di anni a climi freddi che tropicali. Il concetto di vestizione deve essere successivo quindi alla perdita di una "pelliccia".
Vale la pensa allora focalizzarsi su marcatori indiretti ma correlati alla vestizione. Quale indicatore migliore dei pidocchi?
Questi insetti sono infatti come tutti gli esseri viventi soggetti alla selezione naturale, in altri termini evolvono. Possono quindi essere studiati geneticamente, le diverse specie analizzate e la distanza genetica tra le diverse specie caratterizzata (a quanto tempo fa risale il progenitore comune?). Il punto nodale è che i pidocchi che usano come ospite abituale l'essere umano si distinguono in due categorie generali: i pidocchi dei capelli e quelli della cute a contatto con i vestiti. Queste due specie si sono adattate a due tipi di nutrimento diversi, ad esempio le cellule morte del cuoio capelluto nel primo caso. Il fenomeno della speciazione implica in primis la perdita della capacità di incrociarsi fra loro, e agli studiosi permette di seguire le differenze genetiche che si vanno sedimentando sui diversi rami evolutivi. Dalla analisi delle differenze esistenti in alcune sequenze del DNA e calcolando il tasso di mutazione standard è possibile calcolare il momento in cui si è esistito il progenitore comune. Un dato da cui si può ricavare il periodo in cui non esisteva la nicchia preferita dal pidocchio dei vestiti: circa 170 mila anni fa.
(fonte: Andrew Kitchen dell´Università di Pennsylvania; Moebius)
Articolo correlato --> Come dormivano i Flintstones
Articolo correlato --> Come dormivano i Flintstones
Nessun commento:
Posta un commento