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Il gioco d'azzardo: non una dipendenza ma un disturbo ossessivo

C'è una pubblicità che mi innervosisce. In realtà la pubblicità in se è simpatica e ben fatta. E' l'oggetto pubblicitario ed il personaggio che lo sponsorizza ad innervosirmi. Parlo degli spot "10eLotto" con Claudio Bisio in cui viene data non solo l'impressione che si vinca al primo colpo ma anche che puntare i soldi sia un gioco.

Non avrei nulla da obiettare se non avessi visto troppe volte le ricevitorie del centro piene di persone che acquistano un biglietto dietro l'altro e aspettano ansiose prima e frustrate poi che compaiano sul monitor i numeri dell'estrazione (una ogni 5 minuti). Ripeto l'obiezione non è il gioco in se, se considerato come tale cioè l'acquisto di un biglietto ogni tanto, quanto quello che la pubblicità trasmette: "si vince ed è fico".
Lascio in un altro post (qui) i dati numerici sulle probabilità di vincita, l'unico modo per valutare quanto un gioco sia leale: un gioco è tale se,  ovviamente in un contesto privo di illeciti, la cifra vinta è correttamente bilanciata dalla probabilità che ciò avvenga.

Ma torniamo al motivo principale di questo topic.
In una intervista fatta a Fadi Anjoul, uno psicologo clinico della University of Sidney che lavora da 15 anni presso la locale clinica per il trattamento del gioco d'azzardo (Gambling Treatment Clinic), l'intervistato afferma che uno degli errori più comuni è quello di considerare il giocatore come un drogato. Questo errore si ripercuote nella terapia usata ed è quindi alla base della scarsa efficacia della stessa che comporta la frequente ricaduta nel gioco compulsivo al termine della terapia.
"L'idea della dipendenza è una idea molto diffusa ma non accurata", dice il clinico, "infatti se i comportamenti compulsivi possono apparire fra loro simili, in realtà nei giocatori manca totalmente la sintomatologia clinica con fenomeni fisiologici quali la "tolleranza" e la "rimozione" (...). Per questo motivo è molto più corretto inquadrare il giocatore compulsivo come un paziente affetto da una ossessione non guidata. Questo implica che il soggetto NON è, come i tossicodipendenti, sotto l'influsso di uno squilibrio biologico al di fuori della possibilità di autocontrollo. E' più corretto vederlo come un soggetto esposto in modo continuo a scelte comportamentali prive di vera informazione".
E l'assenza di informazione, aggiungo io, ha un ruolo importante nel giocare senza pensare.
La terapia sviluppata dal clinico è chiamata terapia cognitiva, ed ha lo scopo di aiutare la persona a capire le ragioni che lo spingono a giocare, a valutare la situazione in cui si trovano e a cercare di cambiare il modo in cui si interfacciano al gioco. 
Le terapie sviluppate sembrano dare risultati eccellenti tanto da fare affermare al professor Alex Blaszczynski, direttore della University’s School of Psychology ed esperto mondiale in queste problematiche " i risultati della nuova terapia cognitiva sono estremamente buoni."
Un problema, quello del gioco, che ha l'effetto perverso di fare aumentare nei periodi di crisi economica il numero di nuovi poveri.

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