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Nell'autismo la genetica esercita un ruolo dominante

Tra le cause dell'autismo la genetica occupa un ruolo di rilievo ma da sola non sufficiente a spiegare la eziogenesi di una malattia ancora troppo poco compresa. Siamo solo all'inizio di una strada che forse tra qualche anno porterà allo sviluppo di strumenti diagnostici prenatali ed è per questo motivo che tanto interesse destano le nuove ricerche.

Uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry da ricercatori del King's College di Londra ha quantificato il contributo genetico al rischio autismo (o meglio della serie di malattie raggruppate sotto il termine Autism Spectrum Disorder - ASD) in un range tra il 74 e il 98 per cento.
Se è vero che il contributo della componente ereditaria (quindi il rischio di avere un secondo figlio malato se in famiglia è già presente un caso) era noto, lo studio attuale aiuta a fare luce sui numeri di una malattia che nell'immaginario collettivo assume i canoni di una vera e propria epidemia.
Uno dei problemi centrali della diagnostica è proprio nel conteggio dei casi e nel raffronto con il passato. Quello che potrebbe sembrare un compito molto semplice, contare nella popolazione il numero di nuove diagnosi di ASD, è in realtà alquanto problematico data la eterogeneità della malattia (intesa come forme con cui si può presentare). Il fatto stesso che il termine ASD sia un termine di comodo utile per definire casi molto diversi tra loro con alcuni punti in comune (e verosimilmente con una base genetica diversa) rende evidente quanto la diagnosi di autismo, in assenza di biomarcatori affidabili, sia fallace e quindi anche i numeri dei malati siano soggetti ad ampie fluttuazioni a seconda di chi fa la diagnosi. Difficile quindi prendere seriamente i numeri lanciati da alcuni media che fanno credere che ci sia stata una esplosione di casi negli ultimi anni.
E' vero che l'inquinamento ambientale potrebbe avere avuto un ruolo nell'aumentata prevalenza (numero di soggetti diagnosticati nella popolazione) dei casi negli ultimi 20 anni, ma è altrettanto vero che usare come raffronto i numeri del passato è, nel caso di malattie a difficile diagnosi, poco affidabile. Molti dei soggetti oggi definiti autistici fino a pochi anni fa ricadevano in quell'ampio calderone diagnostico che va dal soggetto con un comportamento "strano" ma socialmente competente alle persone incapaci di vita sociale passando attraverso quelli che venivano genericamente etichettati come "ritardati mentali".
Tutte definizioni oggi non più accettabili in quanto semplicistiche oltre che non corrette.
Lo studio inglese si è basato sui dati pregressi ottenuti nell'ambito di uno studio ventennale noto come "Twins Early Development Study" (TEDS), il cui fine era l'analisi continuativa di gemelli (sia monozigoti che dizigoti) nati in Inghilterra e Galles tra il 1994 e il 1996. All'interno di una casistica di oltre 6 mila coppie di gemelli i  ricercatori ne hanno selezionati 258, 160 dei quali con ASD. Su questo campione è stata fatta l'analisi epidemiologica.
Il metodo di analisi usato che raggruppa nello stesso studio sia gemelli "uguali" che gemelli "fratelli" è particolarmente potente in quanto permette di estrarre il contributo genetico per uno specifico fenomeno e, per converso, di valutare l'ipotetico impatto ambientale.
Sebbene si sia ancora ben lontani dalla identificazione dei geni responsabili di quella che è una anomalia dello sviluppo embrionale del sistema nervoso centrale (e data l'eterogeneità della malattia è verosimili che i geni coinvolti non siano pochi), l'articolo ora pubblicato aggiunge un importante tassello per la comprensione del fenomeno e per smentire ancora una volta le idee strampalate su cause "magiche" dell'autismo (vedi le folli idee che indicano nei vaccini o nelle carenti cure parentali la causa della malattia --> qui).
Idee non solo folli ma anche non rispettose dei problemi che avere in casa un figlio autistico ingenera.

La ricerca sta cercando di fare luce all'interno di un fenomeno complesso e chiaramente ci vorrà ancora del tempo. Alcune speranze (ma non sul breve tempo) arrivano da Guoping Feng (Broad Institute, USA) uno dei più conosciuti ricercatori nel campo, che spera di potere un giorno revertire almeno alcuni dei sintomi dell'ASD ripristinando la funzionalità del gene Shank3. Questo gene, alterato nell'1 % dei malati, codifica per una proteina importante per la funzionalità di alcune sinapsi neuronali. In presenza di anomalie strutturali è verosimile che la comunicazione interneuronale sia deficitaria con conseguenze a diversi livelli.
In breve. Il team coordinato da Feng ha creato topi geneticamente modificati in cui l'espressione del gene Shank3 era regolabile con la semplice aggiunta di una molecola nella dieta dei ratti. Con una dieta standard il gene era spento e i topi sviluppavano comportamenti ripetitivi e deficit nella loro capacità socializzante. Se si aggiungeva alla dieta dei topi adulti modificati (con età tra 2 e 5 mesi) la molecola attivatrice (il tamoxifene) i ricercatori sono stati in grado di eliminare i comportamenti ripetitivi e a migliorare la loro l'interazione sociale. L'analisi istologica ha poi mostrato che che la densità delle spine dendritiche era drammaticamente aumentata nello striato dei topi trattati, dimostrando così che la plasticità strutturale presente anche nel cervello adulto era in grado di compensare alcuni deficit dello sviluppo embrionale.
 I dati sono al momento limitati ai ratti (vedi "McGovern neuroscientists reverse autism symptoms" , mit/news, febbraio 2016).

Prossimo articolo sul tema autismo --> "usare la MRI per capire il cervello autistico". Per altri articoli sul tema clicca il tag --> autismo nel pannello a destra.


Fonte
- Heritability of Autism Spectrum Disorder in a UK Population-Based Twin Sample’
Emma Colvert et al. JAMA Psychiatry, (2015) 

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