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Houston abbiamo un problema! I viaggi spaziali "gonfiano" la testa

Houston abbiamo un problema! 
Volare nello spazio "gonfia" la testa
Sottotitolo: La nostra fisiologia non è fatta per i viaggi spaziali e molto rimane da capire prima di intraprendere missioni pluriennali.

Viaggiare nello spazio comporta molteplici problemi, anche solo limitandosi a quelli riferiti alla salute degli astronauti.
L'essere umano è composto per circa il 60 per cento di acqua. In assenza di gravità i fluidi si ridistribuiscono in modo uniforme nei vari distretti corporei; la testa e il torace sono le aree che sembrano risentirne maggiormente a causa del maggior afflusso di liquidi rispetto alla condizione di normale gravità.
Riassumendo in una riga, i problemi principali della assenza di gravità prolungata riguardano l'atrofia degli arti, viso gonfio e una aumentata pressione intracranica. Mark Kelly, un veterano che ha preso parte a quattro missioni dello Space Shuttle conferma "hai una sensazione costante di gonfiore alla testa. La stessa provata sulla Terra quando si rimane appesi a testa in giù per un paio di minuti. Solo che qui dura per tutto il tempo di permanenza a gravità ridotta".
E parliamo di missioni in orbita terrestre, non di viaggi interplanetari!
Fare jogging nello spazio (©link)
Comprendere nel dettaglio tutti i cambiamenti a cui va incontro il corpo di un astronauta è necessario ma tutt'altro che semplice. Ancora più difficile sarà progettare contromisure per minimizzare gli effetti associati a viaggi della durata di mesi se non di anni.
Tra i problemi noti vi è la fragilità ossea e l'atrofia muscolare. Problemi ora "risolti" grazie all'ausilio di tapis-roulant specifici e a farmaci contro l'osteoporosi. Altri, come la difficoltà di alimentarsi e il dormire a sufficienza sono tra le priorità attuali della ricerca medica finanziata dalla NASA.

Un grosso problema è ovviamente rappresentato dalle radiazioni. In assenza dello scudo fornito dal campo magnetico terrestre (che deflette i raggi solari e cosmici) le radiazioni assorbite diventano consistenti e il rischio di cancro aumenta in parallelo. La domanda è: quale è il rischio aggiuntivo "accettabile" di cancro, per un astronauta che abbia partecipato ad una missione spaziale? Una domanda non banale in vista delle future missioni su Marte ipotizzate per il 2030. Missioni della durata stimata di 2,5 anni, cioè 6 volte superiori ai turni attuali degli astronauti sulla stazione spaziale. Il recordman della permanenza dello spazio è oggi Valery Polyakov, con una permanenza di 438 giorni sulla stazione spaziale russa Mir nel 1994.
L'occhio di un astronauta prima (sin) e
dopo (dx) il volo. Le frecce indicano
la pressione su bulbo e nervo
(©NYT / Rad. Soc. of N.America)
Ci sono poi altri problemi "sfuggenti" di cui ci accorge solo oggi a distanza di 50 anni dal primo volo. Solo 5 anni fa si scoprì infatti la presenza di alterazioni nella morfologia (schiacciamento) dei bulbi oculari in alcuni astronauti. Nel 2009, Michael R. Barratt, un astronauta medico impegnato nella missione di sei mesi sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale) notò di avere difficoltà nel mettere a fuoco gli oggetti da vicino. Stesso problema per un altro membro dell'equipaggio, Robert Thirsk, anche lui un medico. Dopo avere condotto in modo incrociato gli esami oculistici del caso, si pervenne alla conferma che il problema era oggettivo e chiaramente non casuale avendo colpito due membri dell'equipaggio. Dopo avere comunicato il problema, la NASA caricò sulla navetta di rifornimento delle fotocamere ad alta risoluzione in modo da ottenere immagini chiare dell'occhio. Immagini che associate all'analisi ad ultrasuoni hanno confermato lo schiacciamento del bulbo oculare. Oltre allo "schiacciamento", si notò un rigonfiamento nei nervi ottici e la comparsa di macchie sulla retina.

"Meno male che è avvenuto ora e non durante la missione su Marte" chiosano i responsabili medici della NASA.
Un problema, si è scoperto poi, già descritto durante l'era Shuttle, ma passato inosservato. "Si tratta di un classico caso di rischio occupazionale" affermano alla NASA. "Abbiamo scoperto qualche cosa che abbiamo avuto sotto il naso ma che … non abbiamo visto". L'averlo infine rilevato è probabilmente una combinazione della presenza di due astronauti medici nella stessa missione, in grado di riportare accuratamente sintomi da altri descritti in modo troppo generico, e della disponibilità di strumenti tecnologici adeguati.
Fortunatamente non si tratta di danni di entità tale da avere alterato l'operatività (e la sicurezza) degli astronauti. La preoccupazione però è che questo fenomeno sia soltanto la punta dell'iceberg di alterazioni fisiologiche che esploderebbero durante missioni prolungate e in un ambiente meno "riparato" da quello offerto dalla prossimità al pianeta.
Ne è ben consapevole la NASA che ha predisposto un monitoraggio accurato della salute di Scott J. Kelly, che passerà un anno sulla ISS a partire dalla primavera 2015: il doppio del tempo dei suoi precedenti soggiorni nel 2010 e 2011 e  la più lunga sperimentata da un astronauta americano. John Charles, a capo della ricerca medico-scientifica della NASA, sta pianificando gli esperimenti da condurre in orbita sull'astronauta, finalizzati al rilevare le differenze fisiologiche tra una permanenza di 6 e 12 mesi in orbita. "Teoricamente dovrebbero esserci differenze ma non è detto" ha affermato il dottor Charles." Il corpo potrebbe subire un processo di acclimatamento alla diversa gravità e dopo pochi mesi andare incontro ad una stabilizzazione degli epifenomeni (visione e ossea) ora noti". Un esperimento che ha un vantaggio intrinseco considerevole dato che Kelly ha un fratello gemello, Mark, che fungerà da controllo a terra.

Mentre le cause della decalcificazione e dell'atrofia sono note, sulle cause dei problemi alla vista gli scienziati hanno più domande che risposte. Si sospetta che gli effetti negativi derivino principalmente dallo "spostamento" di fluidi corporei e in particolare dalla maggiore pressione del liquido cerebrospinale che "spinge" dall'interno sul retro dei bulbi oculari. Una ipotesi che non riesce a spiegare per quale motivo l'occhio destro sia maggiormente colpito di quello sinistro e perché gli uomini siano più a rischio delle donne. Come se non bastasse si è scoperto che gli astronauti con un problema di visione hanno anche livelli di omocisteina (un marcatore di rischio cardiovascolare) più elevati. Potenzialmente questi problemi potrebbero essere risolti attraverso la gravità artificiale, ottenibile facendo ruotare la navicella come una giostra. Ma questa procedura aumenterebbe la complessità di missioni già complesse di loro, aumentano il rischio di malfunzionamenti e quindi di catastrofi.

Un altro aspetto da considerare è l'effetto della gravità sull'apparato vestibolare, in pratica l'area dell'orecchio interno che ci permette di distinguere l'alto verso il basso (e di stare in equilibrio), e il cui non "funzionamento" è ben noto ad ogni sommozzatore che deve seguire le bolle d'aria per capire dove è il "sopra". Il problema nasce durante il passaggio da assenza a presenza di gravità (durante il rientro quindi) quando gli astronauti possono provare una sensazione di vertigine. Immaginiamo l'effetto di questa "minor lucidità" nelle fasi di atterraggio su Marte dopo mesi di viaggio in assenza di gravità. Fortunatamente i sistemi automatici che hanno permesso di fare atterrare i vari Mars Explorer su Marte, hanno dimostrato di essere in grado di ovviare al controllo manuale.

Tornando alle radiazioni cosmiche, i ricercatori del Brookhaven National Laboratory hanno cercato di riprodurre gli effetti sul corpo, esponendo dei topi a quantità di radiazioni paragonabili a quelle ricevute da un astronauta su una navicella standard e per un tempo di diversi mesi. Risultato, i topi hanno mostrato una diminuita capacità di affrontare i test di orientamento nel labirinto, un indice di danno cerebrale. Ma gli organi a rischio radiazioni sono anche cuore, sistema nervoso e apparato digerente. Anche in questo caso i test continuano.

Non dimentichiamoci infine delle condizioni psicologiche degli astronauti, un aspetto ampiamente sottolineato in molta fiction fantascientifica ma che rende bene l'idea delle preoccupazioni che un "malfunzionamento" psichico avrebbe sulla sopravvivenza dell'equipaggio. Gary Beven, uno psichiatra della NASA, se ne sta occupando e conta molto sui dati che emergeranno dalla missione del 2015 quando verranno confrontate le caratteristiche psicologiche dei primi sei mesi con quelle nella parte finale della missione. Particolare attenzione verrà posta su variazioni significative dell'umore, sonno, irritabilità e capacità cognitive. Aspetti questi fondamentali una volta che gli astronauti avranno lasciato l'orbita terrestre e si troveranno isolati dal resto dell'umanità. Durante le missioni Apollo, il ritardo nelle comunicazioni era di 1,3 secondi. Su Marte, i ritardi sono dell'ordine di minuti (vedi blog dell'ESA) e quindi la conversazione in tempo reale diventa impossibile (al netto di eventuali disturbi legati a tempeste solari). L'equipaggio (4-6 persone) dovrà essere autosufficiente e in grado di affrontare e risolvere ogni conflitto di personalità. La tecnologia fornirà un importante ausilio. Beven ipotizza che verranno usati sistemi informatici in  grado di rilevare sottili cambiamenti nell'espressione del viso o nel tono della voce, che rilevati sul nascere permetterebbe di disarmare i conflitti latenti tra i membri dell'equipaggio prima che "esplodano". Il rischio è più che reale come evidenziato dai risultati di un esperimento russo che utilizzò sei volontari per simulare un viaggio su Marte: dei 6 uomini che presero parte alla "missione" chiusi in una finta navicella per 17 mesi, ben 4 ebbero problemi comportamentali e nel complesso l'equipaggio divenne meno attivo con il proseguimento dell'esperimento
L'obiettivo che si pone John Charles è quello di sviluppare contromisure tali da permettere di fare atterrare persone su Marte in buona condizione psico-fisica.

I tanti problemi potenziali ora descritti non hanno scoraggiato gli aspiranti astronauti (ovviamente tutte persone qualificate) che hanno accolto l'annuncio del reclutamento di personale indetto da due agenzie spaziali private, Inspiration Mars e Mars One (articolo QUI). L'obiettivo è quello di realizzare voli marziani in anticipo rispetto al progetto ufficiale (i link associati sono molto interessanti).
La NASA dal canto suo ha annunciato che non intende affrettare i tempi e continuerà ad utilizzare la stazione spaziale almeno fino al 2024 in modo da integrare le conoscenze mediche attuali con dati ottenuti da nuove sperimentazioni. Il mantra della NASA è che esistono "variabili sconosciute", problematiche non prevedibili e quindi difficilmente prevenibili. Aumentare al massimo i test pre-lancio dovrebbe servire a diminuire il rischio di sorprese fatali.

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Fonte
- Beings Not Made for Space
 New York Times, 27 gennaio 2014

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