Il nome lune galileiane per indicare i principali satelliti di Giove non è un riconoscimento postumo.
Fu proprio Galileo Galilei a scorgere per primo dei puntini luminosi attorno al pianeta, chiamati in seguito Io, Europa, Ganimede e Callisto.
Credit: ESA |
A distanza di più di 400 anni l'interesse per queste lune è, se possibile, ancora maggiore.
Tra le ragioni del rinnovato interesse (che coinvolge anche le lune di Saturno, vedi ad esempio Encelado) vi è sia il loro potenziale intrinseco come punti di attracco per future missioni robotiche ed umane (evento impossibile sui pianeti giganti) che la loro estrema diversità. Dalla glaciale Europa con il suo oceano di acqua sotterraneo al vulcanico IO, dal butterato Callisto (pieno di crateri) al magnetico Ganimede possiamo ben dire che i dintorni di Giove offrono agli studiosi ampia materia di studio.
Oggi sappiamo che il nostro sistema solare non è il modello "classico", utile per prevedere la distribuzione planetaria in altri sistemi stellari, come ipotizzato fino ad un decennio fa.
La disposizione di pianeti rocciosi nella parte interna e di quelli gassosi in periferia è solo una delle tante possibilità, e quasi certamente nemmeno la più frequente. Tra le tante scoperte ottenute grazie all'Exoplanet Search Project, oggi sappiamo che gli Hot Jupiters (pianeti gioviani caldi, cioè pianeti giganti gassosi situati in orbite anche più interne a quelle di Venere) sono molto comuni.
All’inizio si pensava che questo risultato fosse viziato dalle metodiche di analisi (--> come si identificano pianeti in altri sistemi) che rendevano molto più facile trovare un pianeta gigante vicino ad una stella che uno piccolo, ma i dati successivi, seppure con proporzioni meno estreme, portano oggi a pensare che il nostro sistema sia stato solo un caso (fortunato) tra i tanti.
Sappiamo che i pianeti del sistema solare si sono formati dall’aggregazione delle polveri del disco protoplanetario "avanzati" dopo il processo di genesi e accensione stellare, e che pianeti giganti gassosi sono in un certo senso delle stelle mancate (invero molti gradini sotto le nane brune, le vere stelle mancate). Non grandi a sufficienza (quindi prive di sufficiente idrogeno) per avere massa da accendere le reazioni di fusione nucleare ma capaci di sviluppare anche loro un proprio disco di polveri e gas quasi come quello solare.
E’ da questo disco che si sarebbero sviluppate le lune nel caso di Giove e Saturno (il caso della Luna è diverso, verosimilmente il risultato di un impatto tra pianeti). Limitandoci al caso di Giove, il protodisco intorno al pianeta sarebbe stato in parte alimentato anche dalla materia (allora molto abbondante) del disco protoplanetario residuo, che in prossimità del pianeta sarebbe stato deviato nella zona dei poli per cui poi essere riemesso, rimescolando il disco di polveri e gas.
Una dinamica complessa su cui getta un poco di luce un recente lavoro di Konstantin Batygin e Alessandro Morbidelli. Secondo il loro modello, esiste un intervallo dimensionale delle polveri ghiacciate (intorno a 1 mm) in cui si crea uno stato di equilibrio tra la “corrente” gravitazionale che li trascina verso Giove e la corrente di deflusso. Una tale “stasi” locale creerebbe la condizione minima affinché le polveri possano iniziare il processo di aggregazione (passando attraverso gli stati dimensionali di planetesimals, asteroidi oblunghi, per arrivare alle lune) senza che la gravità dell’ingombrante vicino disgreghi il tutto (sull'effetto distruttore della gravità vedi anche il "Limite di Roche").
Il risultato finale dipende dai “mattoni” a disposizione e dalla vicinanza a Giove. Per questa ragione la composizione delle lune galileiane è molto diversa tra loro con satelliti molto ricchi di acqua (ghiacciata o meno), altri in cui gli unici ghiacci sono fatti da idrocarburi e altri ancora in cui le forze mareali di Giove sono tali da rimodellare in continuo la crosta rocciosa del pianeta dando così origine ai vulcani.
E’ da questo disco che si sarebbero sviluppate le lune nel caso di Giove e Saturno (il caso della Luna è diverso, verosimilmente il risultato di un impatto tra pianeti). Limitandoci al caso di Giove, il protodisco intorno al pianeta sarebbe stato in parte alimentato anche dalla materia (allora molto abbondante) del disco protoplanetario residuo, che in prossimità del pianeta sarebbe stato deviato nella zona dei poli per cui poi essere riemesso, rimescolando il disco di polveri e gas.
Una dinamica complessa su cui getta un poco di luce un recente lavoro di Konstantin Batygin e Alessandro Morbidelli. Secondo il loro modello, esiste un intervallo dimensionale delle polveri ghiacciate (intorno a 1 mm) in cui si crea uno stato di equilibrio tra la “corrente” gravitazionale che li trascina verso Giove e la corrente di deflusso. Una tale “stasi” locale creerebbe la condizione minima affinché le polveri possano iniziare il processo di aggregazione (passando attraverso gli stati dimensionali di planetesimals, asteroidi oblunghi, per arrivare alle lune) senza che la gravità dell’ingombrante vicino disgreghi il tutto (sull'effetto distruttore della gravità vedi anche il "Limite di Roche").
Il risultato finale dipende dai “mattoni” a disposizione e dalla vicinanza a Giove. Per questa ragione la composizione delle lune galileiane è molto diversa tra loro con satelliti molto ricchi di acqua (ghiacciata o meno), altri in cui gli unici ghiacci sono fatti da idrocarburi e altri ancora in cui le forze mareali di Giove sono tali da rimodellare in continuo la crosta rocciosa del pianeta dando così origine ai vulcani.
Il modello di Batygin e Morbidelli non si ferma a questa ipotesi ma prevede che la formazione delle lune sia avvenuta in fasi successive e distinte, a partire dalla formazione del vulcanico Io.
Credit:NASA |
La sua formazione avrebbe innescato perturbazioni facilitanti la formazione delle altre lune: un primo evento fu il suo spostamento nell’orbita interna del disco seguendo "la cascata della materia" e il secondo la produzione, generata dalla sua presenza, di alterazioni locali nella distribuzione di massa con la comparsa di nuove “aree di equilibrio” (distruggendone verosimilmente altre) da cui la comparsa di condizioni prima assenti che avrebbero portato alla formazione di Europa e Ganimede.
Molto probabile che ad ogni passaggio la qualità dei “mattoni” disponibili si sia modificata facilitando così la comparsa di lune in cui la quantità di acqua o idrocarburi diventava maggiore di quella “rocciosa”.
Europa (--> QUI articolo precedente) |
Ganimede (credit: NASA/JPL/DLR) |
Alla fine del periodo di assemblaggio ci si sarebbe trovati con orbite stabilizzate anche dall’effetto di risonanza per cui il numero di orbite tra alcune lune è dato da numeri interi che si rinormalizzano ad ogni ciclo orbitale. E’ noto da anni (risonanza di Laplace) che per ogni 4 orbite di IO, Europa ne compie 2 e Ganimede 1.
Il Sole avrebbe messo il tassello finale grazie al vento solare che “soffiando” i gas e i detriti rimanenti verso l'esterno del disco, avrebbe creato le condizioni per la formazione della luna Callisto. Troppo distante per entrare in risonanza con le tre sorelle lunari, con una orbita di 2 settimane.
credit: Henrykus (via wikipedia) |
Nel caso di Saturno questo fenomeno di risonanza si osserva tra Dione ed Encelado, tra Teti e Minas, e tra Iperiore e Titano. In ambito extra-solare è stato descritto nel sistema Gliese 876.
Il Sole avrebbe messo il tassello finale grazie al vento solare che “soffiando” i gas e i detriti rimanenti verso l'esterno del disco, avrebbe creato le condizioni per la formazione della luna Callisto. Troppo distante per entrare in risonanza con le tre sorelle lunari, con una orbita di 2 settimane.
Callisto (Credit: NASA) |
Per approfondimenti -->Atlante interattivo delle lune del sistema solare
Fonti
- Formation of Giant Planet Satellites
The Astrophysical Journal (05/2020)
- Jupiter’s Biggest Moons Started as Tiny Grains of Hail
NYTimes
- The Dance of Jupiter's Moons
Caltech
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