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La studio dei meccanismi alla base della cura parentale nei maschi è stata a lungo trascurata nei suoi aspetti biochimici. Vuoi per l'assenza di una relazione diretta (nel senso materno del termine) con la prole vuoi per i limiti oggettivi degli strumenti di indagine fino a poco tempo fa disponibili; limiti che rendevano l'analisi comportamentale l'unico mezzo sperimentale disponibile.
Se da una parte è chiaro che la presenza della prole induce atteggiamenti protettivi (il cosiddetto effetto cucciolo osservabile anche a livello interspecie nei mammiferi) dall'altro, a meno di evocare una qualche forza sovrabiologica, era difficile capire come potesse instaurarsi tale relazione.
Nei paragrafi precedenti abbiamo visto il ruolo centrale dello stimolo visivo nell'indurre la cura parentale. Sappiamo anche che esistono dei tratti ben definiti (occhi grandi, etc) che massimizzano il richiamo protettivo lanciato all'adulto. Un fenomeno ovviamente non limitato all'essere umano ma presente a diversi livelli in tutti le specie sociali. Abbiamo anche visto che il contatto visivo altro non è che uno strumento per l'attivazione di determinati circuiti neurali.
Indizi preliminari indicano in effetti che anche nei padri, come nelle madri, la biochimica comportamentale sia basata sull'equilibrio ossitocina-vasopressina. Solo che a differenza della madre dove l'attivazione è mediata da un bombardamento di segnali interni ed esterni (gestazione, parto, lattazione, visione, olfatto, ...) nel caso paterno l'attivazione dipende da input visivi e forse olfattivi.
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La cura genitoriale è molto importante per lo sviluppo equilibrato della prole nei mammiferi sociali. Traumi e/o una scarsa cura parentale nei primi anni di vita degli esseri umani si traducono in comportamenti e stati emotivi socialmente patologici che persistono in fase adulta. I maschi in particolare sembrano particolarmente vulnerabili a esperienze negative precoci. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato una correlazione fra trascuratezza parentale e autismo soprattutto nel maschio data la frequenza 3-10 volte superiore di casi di autismo rispetto alle femmine; a mio avviso tuttavia l'autismo, una malattia estremamente eterogenea, è più il risultato di anomalie "ambientali" durante la gestazione (oltre che fattori predisponenti di tipo genetico) che di una carente cura parentale. Un discorso questo estremamente delicato, visto che se erratamente formulato (come troppo spesso avviene) potrebbe indurre nella madre di bambini autistici un senso di colpa che, oltre ad essere immotivato, avrebbe effetti devastanti sul nucleo familiare.
Riassumendo, sia i maschi che le femmine producono (e rispondono a) vasopressina ed ossitocina. Tuttavia la produzione di vasopressina nelle regioni del cervello legate alla aggressività difensiva, come l'amigdala e il setto laterale, sono particolarmente sensibili agli ormoni maschili. Da questo deriva che nei maschi soggetti a condizioni di stress ripetuto, i livelli di vasopressina indotti sono molto maggiori che nelle femmine. Altri dati indicano che la cura parentale e lo stress ambientale influenzano direttamente lo stato di metilazione (e quindi l'espressione) del gene codificante il
recettore dell'ossitocina .
Quando le arvicole della prateria "single" vengono esposte ad un fattore di stress breve ma intenso (ad esempio pochi minuti di nuoto) i maschi rispondono maggiormente a questo stress ricercando nuovi legami con altri individui prima ignorati. Sotto stress i maschi e le femmine reagiscono in modo diverso anche negli aspetti di vita di coppia. L'amore è un fenomeno epigenetico: comportamenti sociali e legami emotivi sono plastici e di tipo adattativo, come del resto lo è la biologia su cui si basano.
L'insieme di eventi ambientali, la fisiologia e la cura parentale hanno un effetto che va oltre quello diretto, potendo trasmettersi, una volta che lo stimolo sia cessato, alle generazioni successive. Nei roditori ad esempio è ben noto che la prole trascurata dalla madre a sua volta avrà come genitore carenze comportamentali.
I bambini di genitori stressati e/o che vivono in un ambiente problematico sono esposti cronicamente ad alti livelli di vasopressina (sia endogena che da latte materno); come se non bastasse lo stress induce a livello genico l'aumento della sintesi dei recettori della vasopressina e quindi una maggiore sensibilità al neuropeptide. Questa sovra-esposizione facilita nel bambino la comparsa di comportamenti difensivi e predispone nella vita futura a reazioni comportamentali sopra le righe.
Da qui l'importanza della notizia apparsa sul New York Times poche settimane fa riguardo all'iniziativa del sindaco di New York, Michael Bloomberg: l'attivazione nelle zone problematiche della città di una rete di assistenza diurna a carico del Comune per i bambini (da 3 mesi fino all'età scolare, una sorta di nido-asilo quindi), in modo da rimuovere ogni situazione di stress o di pseudo-abbandono (genitori che lavorano tutto il giorno) nelle future generazioni cancellando sul nascere situazioni ansiogene.Ancora una volta le arvicole sono un modello animale utile per la comprensione del fenomeno: i roditori trattati con vasopressina subito dopo la nascita manifestano nel corso della vita una maggiore aggressività rispetto ai controlli. Al contrario i roditori esposti a un antagonista della vasopressina mostrano una aggressività decisamente minore da adulti.
Semplificazione dell'asse ipotalamo-pituitario |
In particolare le relazioni a lungo termine forniscono un sostegno emotivo e spengono l'attività dell'asse ipotalamico pituitario. Al contrario stress intensi ne aumentano l'attività. La capacità della ossitocina di regolare questo asse spiega probabilmente l'eccezionale capacità della maggior parte delle donne di far fronte alle sfide della nascita e dell'educazione dei figli. Il cosiddetto multitasking femminile.
Gli individui che possono avvalersi di un forte sostegno emotivo, posti all'interno di una fitta rete di relazioni sociali, sono più resistenti ai fattori di stress rispetto a coloro che si sentono isolati o sono solitari. Un dato confermato nella maggiore velocità di guarigione dei primi a traumi fisici.
L'amore è tuttavia un'arma a doppio taglio. I comportamenti e le emozioni forti possono renderci vulnerabili ad esempio esponendoci a rischi inutili. Inoltre è ben noto dai fatti di cronaca e di vita quotidiana come la perdita di un legame possa avere conseguenze tragiche.
Come spiegare questo legame sentimento-salute fisica?
E' necessario per questo tenere in considerazione sia lo stato di stress attuale (rilevabile dai livelli di cortisolo, etc) che i danni associati allo stress continuato.
Tornando alla ossitocina è importante sottolineare che i recettori dell'ossitocina sono espressi anche nel cuore. La loro espressione nelle cellule cardiache ha una valenza protettiva e facilita la riparazione dei tessuti cardiaci danneggiati grazie alla capacità della ossitocina di indurre il differenziamento delle cellule staminali cardiache in cardiomiociti (quindi il ricambio delle cellule danneggiate). L'ossitocina può inoltre facilitare la neurogenesi nell'adulto ed è generalmente coinvolta nella riparazione dei tessuti, soprattutto dopo un'esperienza stressante. Sappiamo amche che l'ossitocina ha proprietà anti-infiammatorie e anti-ossidanti. Questo spiega per quale motivo una persona circondata da affetti guarisce più in fretta di una trascurata.
Le aree cerebrali attive nel sesso e nell'amore (®JSM, vedi nota bibliografica) |
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Concludiamo con un accenno ad uno degli aspetti patologici dell'amore, la gelosia "anomala". Due le cose da precisare a questo riguardo:
- ho volutamente sottolineato il fatto che (come accennato in precedenza) si tratta di uno degli aspetti patologici, dato che è l'innamoramento l'esempio di uno sbilanciamento razionale che determina comportamenti borderline come il pensiero totalmente centrato sull'oggetto del proprio desiderio, la ridotta capacità di valutare oggettivamente la controparte e la sofferenza implicita nel distacco anche solo temporaneo
- la gelosia in sé è un fenomeno assolutamente naturale e facilmente spiegabile, sia nei maschi che nelle femmine, da semplici ragioni evolutive. Sono stati infatti selezionati nel corso degli eoni passati i soggetti che avevano un comportamento tale da massimizzare la trasmissione dei propri geni. Una gelosia "sessuale" verso il partner che negli uomini serve per assicurarsi la trasmissione dei propri geni, mentre nelle donne, che non hanno i dubbi genitoriali (mater semper certa), peserebbe di più l’intenzione di garantire cure e risorse per la prole.
Secondo Hasse Walum, primo autore di uno studio specifico condotto dal Karolinska Institutet "si deve ai geni il 32% dei fattori relativi alla gelosia di tipo sessuale, mentre per quella "sentimentale" i geni influiscono per un 26%".
Lo studio è stato condotto su 3.197 coppie di gemelli, di cui un gruppo era costituito da monozigoti e il secondo - come controllo - da dizigoti (quindi in tutto e per tutto fratelli e non gemelli identici). I ricercatori hanno chiesto ai gemelli, in una scala da uno a dieci, li disturbava l’idea che il proprio partner avesse avuto una scappatella di una sola notte, oppure si fosse infatuato di un’altra persona. Risultato: gli uomini erano molto più infastiditi dalle donne dall’idea che il proprio partner avesse fatto sesso con un’altra persona. Anche solo una volta.
Chiara allora l'importanza del tipo di campioni usati. I controlli usati hanno infatti vissuto nello stesso identico ambiente e nello stesso momento, così come avviene per i gemelli. Se fossero stati usati dei fratelli non gemelli-dizigotici, si sarebbero introdotte variabili legati all'età, all'ambiente, etc.
Il fatto che la concordanza nelle risposte sia stata di gran lunga maggiore nel gruppo dei gemelli monozigoti è un chiaro effetto della componente genetica.
Certo l’ambiente socioculturale è importante ma la base biologica è netta. Non è forse allora nemmeno un caso il fatto che alcune patologie come morbo di Parkinson e schizofrenia siano associati a maggiore incidenza (nella fase presintomatica) di gelosia sopra le righe.
Da dove origina la gelosia?
Secondo una ricerca dell’università di Pisa condotta da Liliana Dell'Osso, "il principale indiziato delle forme più acute di gelosia è uno squilibrio dei circuiti di serotonina e dopamina nella corteccia pre-frontale".
Visto? Troviamo sempre questi due neurotrasmettitori nei diversi aspetti della biochimica dell'amore. Tuttavia i geni, pur giocando un ruolo importante, non sono un destino ineluttabile. Continua poi la Dell'Osso, "la componente genetica viene innescata da fattori scatenanti, che possono essere dei più vari, tant’è che per analogia al concetto di genoma si parla di "esposoma" per indicare l’insieme dei condizionamenti ambientali a cui si è esposti nel corso della vita dallo stress lavorativo e familiare alla risposta immunitaria, dall’uso di alcool e droghe alle sostanze chimiche con cui si entra in contatto attraverso aria, acqua, alimentazione fumo , droghe, farmaci eccetera".
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Continua QUI (riassunto degli ormoni coinvolti)
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