(post precedente sul tema, ---> Autismo: una patologia geneticamente eterogenea)
Quando si parla di autismo è proibito generalizzare. Non si tratta soltanto dell'imprescindibile dovere medico di trattare ogni paziente come un individuo e non come un caso fra tanti, ma di un fatto oggettivo. Parlare di autismo vuol dire parlare di un gruppo di malattie eziologicamente diverse e poco caratterizzate che presentano una sintomatologia simile (di cui il personaggio di Rain Man è solo un esempio). Una semplificazione conseguente alla bassa quantità di dati molecolari disponibili e che rende estremamente arduo definire percorsi para-terapeutici (dalla malattia infatti non si guarisce) specifici per favorire l'integrazione sociale dei pazienti.
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Quando si parla di autismo è proibito generalizzare. Non si tratta soltanto dell'imprescindibile dovere medico di trattare ogni paziente come un individuo e non come un caso fra tanti, ma di un fatto oggettivo. Parlare di autismo vuol dire parlare di un gruppo di malattie eziologicamente diverse e poco caratterizzate che presentano una sintomatologia simile (di cui il personaggio di Rain Man è solo un esempio). Una semplificazione conseguente alla bassa quantità di dati molecolari disponibili e che rende estremamente arduo definire percorsi para-terapeutici (dalla malattia infatti non si guarisce) specifici per favorire l'integrazione sociale dei pazienti.
Il logo di una associazione USA per bambini autistici |
Un punto di vista interessante in quanto viene dal malato che spiega come ha imparato a convivere con la sua malattia e, dato il suo lavoro, a usare la diversità di pensiero PER il suo lavoro.
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Dicevamo allora che l'autismo comprende gruppi eterogenei di soggetti, ad eziologia poco nota. Definire al suo interno sottoclassi comuni è il primo passo per individuare precocemente i soggetti e sottoporli a percorsi psico-formativi (e forse in futuro a terapie) mirate. Una prospettiva che permetterebbe di integrare più efficacemente questi individui altrimenti condannati ad una vita di isolamento.
I dati che seguono, pubblicati su Science (vedi anche UCSD), vanno in questa direzione.
Un team di ricercatori della University of California a San Diego (UCSD) e della Yale School of Medicine, hanno studiato una forma di autismo associata ad epilessia (altra malattia di origine eterogenea e poco compresa). Lo studio di questa associazione, presente nel 25% dei pazienti autistici, ha permesso di sviluppare interessanti novità terapeutiche in cui il ruolo principale è svolto da un comune integratore alimentare
Facciamo un passo indietro per capire come si sia giunti a questo risultato. Tra i tanti meriti del Progetto Genoma voglio sottolineare l'avere stimolato lo sviluppo di tecniche di analisi via via più sofisticate. La Exon Sequencing è una di queste. Brevemente si tratta di una tecnica che focalizza l'analisi del DNA genomico sulla sequenza degli esoni, le zone del gene propriamente codificanti, più che sul gene nel suo complesso (i geni a loro volta coprono una percentuale ridotta di tutto il DNA, il genoma). Una semplificazione procedurale che se da una parte consapevolmente trascura molte importanti regioni regolatorie, dall'altra si focalizza sulla ricerca dele mutazioni che causano le alterazioni strutturali della proteina codificata dal gene stesso.
Il grosso vantaggio di questo approccio è la diminuzione sostanziale dei costi e dei tempi operativi. Un punto molto importante quando i pazienti da analizzare sono molti.
Con questa tecnica il gruppo di Joseph G. Gleeson ha identificato, studiando il DNA di due famiglie autistiche, una mutazione in un gene importante per il metabolismo degli aminoacidi ramificati (leucina, isoleucina e valina), aminoacidi non sintettizzabili dalle cellule umane il cui apporto dipende quindi unicamente dalla dieta. Un limite che avrebbe messo in serio pericolo la sopravvivenza stessa dell'essere umano durante i frequenti periodi di penuria di cibo, se non fosse intervenuta l'evoluzione che ha selezionato in tali occasioni un interruttore di emergenza. In caso di penuria di cibo viene spento il catabolismo (degradazione) degli aminoacidi ramificati.
La scoperta di Gleeson è che il sottogruppo di individui autistici esaminati è carente in questo sistema di controllo. "La cosa più entusiasmante", chiosa Gleeson "è che il potenziale trattamento [per compensare questo difetto metabolico - NdB] è evidente e semplice: basta dare ai pazienti affetti gli aminoacidi di cui il corpo è deficitario".
"Pensiamo che questo lavoro fornisca un marcatore importante per lo screening genico che potrebbe predire precocemente la malattia".
Un primo test, consistito nel fornire a cellule staminali neurali in coltura gli aminoacidi carenti, confermò la correttezza dell'ipotesi; le cellule acquisivano un comportamente normale. Successivamente vennero studiati topi mutati nel gene indiziato e anche in questo caso l'assunzione di integratori aminoacidi nella dieta migliorava i sintomi neurocomportamentali. Gaia Novarino la ricercatrice italiana primo nome del lavoro aggiunge, "Studiare gli animali è stato fondamentale per la nostra scoperta. Abbiamo scoperto che i topi mostravano una condizione molto simile ai nostri pazienti, e avevano anche crisi epilettiche spontanee, proprio come i nostri pazienti. Una volta dimostrato che la condizione nei topi era trattabile, la domanda pressante è se sia possibile estendere il trattamento ad i nostri pazienti." (qui il podcast dell'intervista a Science).
Un trattamento che non dovrebbe presentare controindicazioni, trattandosi di integratori alimentari di uso comune acquistabili in molti supermercati.
Il limite intrinseco dello studio è la frequenza di questa mutazione nella popolazione autistico/epilettica. Una frequenza al momento non nota visto che i pazienti analizzati appartenevano a 2 famiglie imparentate fra di loro. Uno screening a tappeto è la condizione base per capire se questo trattamento sia utilizzabile su altri pazienti.
Fonti
- Association Between Maternal Use of Folic Acid Supplements and Risk of Autism Spectrum Disorders in Children
Pål Surén et al, JAMA. 2013;309(6):570-577
I dati che seguono, pubblicati su Science (vedi anche UCSD), vanno in questa direzione.
Un team di ricercatori della University of California a San Diego (UCSD) e della Yale School of Medicine, hanno studiato una forma di autismo associata ad epilessia (altra malattia di origine eterogenea e poco compresa). Lo studio di questa associazione, presente nel 25% dei pazienti autistici, ha permesso di sviluppare interessanti novità terapeutiche in cui il ruolo principale è svolto da un comune integratore alimentare
Facciamo un passo indietro per capire come si sia giunti a questo risultato. Tra i tanti meriti del Progetto Genoma voglio sottolineare l'avere stimolato lo sviluppo di tecniche di analisi via via più sofisticate. La Exon Sequencing è una di queste. Brevemente si tratta di una tecnica che focalizza l'analisi del DNA genomico sulla sequenza degli esoni, le zone del gene propriamente codificanti, più che sul gene nel suo complesso (i geni a loro volta coprono una percentuale ridotta di tutto il DNA, il genoma). Una semplificazione procedurale che se da una parte consapevolmente trascura molte importanti regioni regolatorie, dall'altra si focalizza sulla ricerca dele mutazioni che causano le alterazioni strutturali della proteina codificata dal gene stesso.
Il grosso vantaggio di questo approccio è la diminuzione sostanziale dei costi e dei tempi operativi. Un punto molto importante quando i pazienti da analizzare sono molti.
Con questa tecnica il gruppo di Joseph G. Gleeson ha identificato, studiando il DNA di due famiglie autistiche, una mutazione in un gene importante per il metabolismo degli aminoacidi ramificati (leucina, isoleucina e valina), aminoacidi non sintettizzabili dalle cellule umane il cui apporto dipende quindi unicamente dalla dieta. Un limite che avrebbe messo in serio pericolo la sopravvivenza stessa dell'essere umano durante i frequenti periodi di penuria di cibo, se non fosse intervenuta l'evoluzione che ha selezionato in tali occasioni un interruttore di emergenza. In caso di penuria di cibo viene spento il catabolismo (degradazione) degli aminoacidi ramificati.
La scoperta di Gleeson è che il sottogruppo di individui autistici esaminati è carente in questo sistema di controllo. "La cosa più entusiasmante", chiosa Gleeson "è che il potenziale trattamento [per compensare questo difetto metabolico - NdB] è evidente e semplice: basta dare ai pazienti affetti gli aminoacidi di cui il corpo è deficitario".
"Pensiamo che questo lavoro fornisca un marcatore importante per lo screening genico che potrebbe predire precocemente la malattia".
Un primo test, consistito nel fornire a cellule staminali neurali in coltura gli aminoacidi carenti, confermò la correttezza dell'ipotesi; le cellule acquisivano un comportamente normale. Successivamente vennero studiati topi mutati nel gene indiziato e anche in questo caso l'assunzione di integratori aminoacidi nella dieta migliorava i sintomi neurocomportamentali. Gaia Novarino la ricercatrice italiana primo nome del lavoro aggiunge, "Studiare gli animali è stato fondamentale per la nostra scoperta. Abbiamo scoperto che i topi mostravano una condizione molto simile ai nostri pazienti, e avevano anche crisi epilettiche spontanee, proprio come i nostri pazienti. Una volta dimostrato che la condizione nei topi era trattabile, la domanda pressante è se sia possibile estendere il trattamento ad i nostri pazienti." (qui il podcast dell'intervista a Science).
Un trattamento che non dovrebbe presentare controindicazioni, trattandosi di integratori alimentari di uso comune acquistabili in molti supermercati.
Il limite intrinseco dello studio è la frequenza di questa mutazione nella popolazione autistico/epilettica. Una frequenza al momento non nota visto che i pazienti analizzati appartenevano a 2 famiglie imparentate fra di loro. Uno screening a tappeto è la condizione base per capire se questo trattamento sia utilizzabile su altri pazienti.
Nota aggiunte a posteriori
Si è parlato sopra dell'importanza degli aminoacidi ramificati come potenziali aiuti nella prevenzione
Nuovi studi indicano l'acido folico come un altro degli attori coinvolti in questa eterogenea malattia. Dell'acido folico si conosce oramai l'importanza nella gravidanza (vedi il sito dell'Istituto Superiore di Sanità per altre informazioni, qui). Quello che è emerso è che l'utilizzo dell’acido folico dimezza il rischio autismo purchè l'assunzione (insieme ad altri integratori) avvenga fra la quarta e l'ottava settimana di gravidanza. Il lavoro, risultato della collaborazione fra team americani e norvegesi e pubblicato sul Journal of the American Medical Association, riporta i risultati dell'analisi nel corso di cinque anni di più di 85 mila bambini. Le differenze nell'incidenza della malattia sono notevoli. La frequenza dei controlli (che equivale a quella della popolazione standard) è dello 0,21% e tale frequenza crolla allo 0,01% nel gruppo le cui madri avevano assunto acido folico secondo i dosaggi consigliati.
Uno studio del 2022 condotto su modelli animali indica nel gene EGR1 un potenziale candidato. Alcune mutazioni alterano il comportamento sociale dell'animale portatore.
Sull'argomento autismo in generale l'articolo successivo è QUI
Sul tema "autismo e genetica" QUI trovate l'articolo successivo
Fonti
- Mutations in BCKD-kinase Lead to a Potentially Treatable Form of Autism with Epilepsy
G. Novarino et al. ,Science 19 October 2012: Vol. 338 no. 6105 pp. 394-397
- Association Between Maternal Use of Folic Acid Supplements and Risk of Autism Spectrum Disorders in Children
Pål Surén et al, JAMA. 2013;309(6):570-577
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