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Una pillola contro le radiazioni?

Una pillola per il trattamento di massa dopo disastri nucleari?
 
Torniamo indietro con la memoria all'incidente di Fukushima, frutto di una serie di eventi concatenati non attribuibili, a differenza di Chernobyl, agli errori o al pressapochismo umano. Un evento che seppur molto grave non ha avuto un impatto tragico in termini di vite umane ... ma avrebbe potuto averne.
Fukushima
Una possibilità questa che le autorità giapponesi valutarono nelle concitate ore in cui il rischio "fusione del reattore" si materializzava e che avrebbe comportato comportato l'evacuazione di circa 36 milioni di persone (pari a circa la metà della popolazione italiana) dall'area metropolitana di Tokjo. Oltre ad i problemi logistici un problema fondamentale da affrontare era il trattamento delle persone esposte nell'area di "fallout". 

Da questa considerazione parte una interessante analisi del New York Times (che uso come spunto) in cui si riassumono i progressi nel campo delle terapie preventive dei danni da radiazioni. Terapie diverse a seconda che la terapia sia contenitiva o preventiva. Mentre il trattamento terapeutico di un danno acuto (ustioni, morte cellulare, edemi, necrosi, ...) è sostanzialmente contenitivo e anti-dolorifico, nel caso di trattamenti su soggetti esposti ma non al punto tale da manifestare danni acuti il margine potenziale di manovra è maggiore.
Mi spiego.
Una dose di radioattività (elettromagnetica come con la radiazione X/gamma o particolata come quella associata ad i radionuclidi che decadono emettendo particelle beta o alfa) sufficientemente elevata provoca danni immediati ad i tessuti direttamente esposti. Questi danni comportano in genere morte cellulare che se coinvolge un numero di cellule critico altera la funzionalità del tessuto/organo colpito (ad esempio ustioni della pelle, edemi, etc). Se il danno pur essendo superficiale (cioè nessun altro distretto corporeo appare colpito) coinvolge anche le cellule necessarie per la riparazione/rigenerazione dei tessuti il danno sarà permanente e necessiterà di trapianti di cute più o meno estesi. A questo vanno aggiunti i danni genetici che potrebbero nel tempo causare tumori sia nella zona esposta che diffusi.
Con questo tipo di esposizione, acuta essendo limitata nel tempo, l'approccio base è agire sulle ferite e monitorarne l'evoluzione. Non essendovi più la fonte radiante i danni sono quelli generatisi nel momento dell'esposizione.

Diverso è il discorso in caso di una esposizione cronica dove la fonte di contaminazione sia persistente (ad esempio il cibo e l'acqua contaminati della zona di Chernobyl, ma anche i minatori esposti in continuo alla radioattività delle miniere). In questo caso anche se l'esposizione primaria fosse stata minima e non tale da provocare danni visibili (i danni genetici purtroppo si vedono con il tempo) rimarrebbe il problema della esposizione secondaria. Una esposizione potenzialmente aggravata dall'accumulo nel corpo di radionuclidi; fra questi i radionuclidi più dannosi sono gli emettitori alfa o beta e non, come viene comunemente pensato i quelli che emettono radiazione elettromagnetica.
Il motivo è semplice: la radiazione particolata fa poco strada essendo prontamente assorbita, data la massa della particella, dai tessuti circonstanti mentre i raggi X o gamma poichè interagiscono solo in minima parte con la materia, diffondono all'esterno del corpo.
Il problema principale quindi è che le persone contaminate internamente hanno un beneficio parziale dalla rilocazione ad aree non contaminate in quanto i nuclidi assorbiti rimangono nel corpo dove continuano a bombardare le cellule in prossimità.
Una precisazione importante: una persona contaminata con nuclidi beta o alfa emettitori NON è una persona che contamina/irradia il proprio vicino di sedia. Ricordo infatti che le particelle alfa e beta vengono fermate da molto meno di 1 mm di tessuto cellulare.

Tornando al motivo per cui ho iniziato questo articolo, l'incidente in stile-Fukushima rappresenta solo uno dei tanti incubi che non fanno dormire le persone preposte a pianificare la macchina dei soccorsi in caso di contaminazione radioattiva di massa. Oltre ad i malfunzionamenti delle centrali nucleari (di cui si sa almeno numero e localizzazione), l'incubo maggiore è legato ad azioni terroristiche che sfruttino le cosidette bombe sporche (di cui ovviamente non si sa dove e quante).
Fukushima in un certo senso ha ricordato a tutti l'importanza della ricerca di trattamenti poco costosi e facilmente utilizzabili sul campo. L'obiettivo primario è infatti mettere in sicurezza le persone a rischio di esposizione e trattare quelle già esposte.

Cosa è disponibile oggi e su cosa si sta lavorando? 
Ad oggi l'agente chimico disponibile per la decontaminazione "interna" è un relitto della guerra-fredda e si chiama DTPA (diethylene triamine pentaacetic acid). Questa molecola deve essere somministrata per via endovenosa ed è solo parzialmente efficace in quanto rimuove solo una parte degli actinidi, cioè quella serie di elementi atomici che sulla tavola di Mendeleev si trovano fra l'actinio e il laurenzio e che sono i maggiori responsabili del rischio biologico.
Molto interessante quindi la notizia di nuove molecole sviluppate da team coordinati da Ken Raymond del Department of Energy presso il Lawrence Berkeley National Laboratory, con potere decontaminante molto maggiore, in grado di rimuovere gli actinidi rilasciati in seguito ad un incidente nucleare (civile o terroristico) come l'americio, il curio, l'uranio ed il nettunio.

Il trattamento, in fase di sperimentazione, consiste in una pillola, una modalità di somministrazione questa ideale in caso di contaminazione di massa. A seconda della quantità di radiazione a cui si è stati esposti, e dalla immediatezza del trattamento, la assunzione di una sola pillola permette di rimuovere fino al 90% dei contaminanti actinidici entro le 24 ore. Un regime di trattamento consistente in 1 pillola al giorno per due settimane sarebbe in teoria sufficiente per rimuovere ogni traccia actinidica.

I danni?  Sfortunatamente i danni genetici provocati dalla permanenza dell'agente radiante una volta prodotti sono un problema "irrimediabile" (per ulteriori dettagli vedere la parte finale dell'articolo nel paragrafo danno da radiazioni)

Quali sono i principi attivi di questa pillola?
Si tratta di molecole in grado di funzionare come delle gabbie chimiche in grado di legare nel modo più specifico possibile gli actinidi. Disegnare molecole del genere è possibile considerando che sia il plutonio (IV) che il ferro (III) sono chimicamente simili. Usando come modelli naturali le unità chelanti trovate nei siderofori (piccole molecole secrete dai batteri per estrarre e catturare il ferro a loro necessario) è stato possibile progettare molecole del tipo idrossipiridonati (HOPO) contenenti 4 o 8 braccia chelanti, cioè atomi con coppie di elettroni disponibili per il legame covalente con un actinide.
La molecola octadentata in grado di catturare gli actinidi
 Molecole di questo tipo sono sintetizzabili su scala industriale (prodotti finora 5 kg) ed in più hanno dimostrato di essere altamente efficaci e prive di effetti tossici alle dosi testate. Caratteristiche queste che hanno permesso, seguendo le direttive imposte dalla Food and Drug Administration (FDA), di iniziare la procedura di sperimentazione necessaria per la richiesta di autorizzazione all'uso di un qualunque medicinale. Un percorso estremamente costoso che necessita di sponsor che vogliano spendere soldi per un farmaco che, si spera, non verrà mai usato.
Ogni anno il numero di farmaci noti come NME (nuove molecole) approvati in USA dalla FDA sono meno di 25, e ciascuno ha un costo di sviluppo cumulativo superiore al miliardo di dollari. Decidere quindi di investire questi soldi per un farmaco il cui utilizzo è previsto solo in seguito ad un incidente nucleare è una decisione che nessun consiglio di amministrazione aziendale approverebbe. La partnership finanziaria pubblico-privato è in certi casi fondamentale se la società civile vuole essere pronta a fronteggiare eventi potenzialmente catastrofici come Chernobyl, Fukushima o peggio una azione terroristica con una bomba "sporca".
 Questo ha un prezzo, ma il prezzo da pagare in caso di catastrofe sarebbe molto maggiore.

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Danni da radiazioni (continua da sopra)
Purtroppo i danni genetici provocati dalla permanenza dell'agente radiante sono, una volta prodotti, "irrimediabili". Irrimediabili in quanto la cellula diviene portatrice del danno. Il danno genetico in senso lato è solo un fattore di rischio non una condanna. Infatti la maggior parte del genoma contiene zone non codificanti e solo un numero minimo di geni ha funzioni regolatorie chiave. Inoltre la maggior parte delle cellule danneggiate nelle funzioni chiave si "suicida" mediante il processo noto come apoptosi.
Il rischio derivante dalle radiazioni è bi-faccia:
  • da una parte il danno è cumulativo (più esposizione è uguale a maggiore probabilità di danno in un gene chiave) e sopra una certa dose la cellula non è in grado di riparare il danno; 
  • dall'altra a differenza delle tossine non vi è una soglia minima sotto la quale non vi sia rischio. Il danno da radiazione è un evento probabilistico, una singola particella alfa potrebbe essere sufficiente a creare un danno genetico grave se per puro caso colpisse il punto giusto sul DNA, la cellula giusta (ad esempio una cellula pluripotente), al momento giusto. Il rischio aggiuntivo è considerato irrilevante qualora la radiazione assorbita sia inferiore a quella assorbita in condizioni standard (somma di radiazione ambientale e cosmica).

Capisco che la maggior parte delle persone non abbia dimestichezza con un linguaggio a base di DNA e lesioni genetiche. Per spiegare meglio questo punto consideriamo la tipologia dei indotti:
  1. Danno tale da provocare la morte o la mancata capacità proliferativa della cellula. L'effetto è locale e immediato e, se non compensato dalle altre cellule, di impatto generale. Ad esempio una radiazione che provocasse la morte delle cellule epidermiche risulterebbe in una necrosi di diversa entità a seconda del numero (e del tipo) di cellule coinvolte. La perdita di cellule staminali epidermiche provocherebbe una lesione non guaribile. Esiste un valore soglia (anche se prima ho detto che se vogliamo essere precisi in realtà non vi è). Al di sotto di valore la radiazione assorbita è, sul breve termine, sostanzialmente innocua e riparata con i meccanismi fisiologici cellulari. Poi va da se che il danno è innocuo sul breve ma ... vedi punto 2
  2. Danno genetico. Anche se il danno fosse sotto soglia, cio nonondimento potrebbe essere causa di future patologie tumorali a causa di modificazioni genetiche indotte. In questo senso si dice che non esiste un valore soglia per i danni genetici. Siamo di fronte ad un evento stocastico: un singolo evento radiante (sia esso dovuto ad i raggi cosmici, al radon delle rocce o a contaminazioni industriali/militari/etc) può essere sufficiente se "colpisce il DNA nel punto giusto, la cellula giusta, nel momento giusto, per provocare danni futuri.
Torniamo allora alla pillola di cui sopra.
Qualunque trattamento il cui fine sia di prevenire i danni da radiazioni (tranne quelli acuti già avvenuti ... ) deve rimuovere nel minor tempo possibile gli agenti radianti dall'interno del corpo, in modo da minimizzare l'accumulo di cellule danneggiate che porterebbero ad un danno visibile e diminuire il numero di eventi mutagenici "futuri" (quelli che avverrebbero se il radionuclide e tutti i derivati permanesse in sede).
Una volta assorbiti gli actinidi devono essere immobilizzati e rimossi dal corpo nel più breve tempo possibile.


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vedi anche Lawrence Berkeley National Laboratory

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