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Il dilemma del sistema immunitario. Distinguere i batteri buoni da quelli cattivi

Come facciano gli esseri umani, e tanti altri animali, a discriminare tra i microbi utili (da non attaccare) e quelli dannosi (da eliminare al più presto) è una delle domande base della moderna immunologia.
L'intestino umano è popolato da miliardi di batteri, la maggior parte dei quali è innocua se non spesso utile. 
Utile? Si, proprio così, non si tratta di un refuso. I microorganismi che ospitiamo ci rendono il favore (relazione mutualistica) in due modi:
  • Direttamente. Sebbene una persona possa vivere senza flora intestinale i microorganismi svolgono alcune reazioni utili come la fermentazione di molecole indigerite facilitandone l'assorbimento ma anche produzione di vitamine come biotina e vitamina K. Il caso "estremo" è quello dei ruminanti che, senza i batteri presenti nel rumine che digeriscono la cellulosa, non assimilerebbero gran parte dei vegetali che mangiano.
  • Indirettamente. La più importante è l'azione competitiva che permette di tenere sotto controllo i batteri dannosi. Altre funzioni sono l'addestramento del sistema immunitario che diviene via via più efficiente (esempio classico sono i bambini cresciuti iperprotetti che si ammalano più facilmente da adulti) e l'azione sugli ormoni che regolano l'immagazzinamento dei grassi (gli obesi e i normopesi hanno popolazioni di batteri diverse).
Quindi visto che i batteri forniscono dei vantaggi il sistema immunitario ha dovuto imparare a distinguere quelli innocui da quelli dannosi. In teoria una lotta impari vista la quantità di batteri (100 trillioni) nell'intestino, circa 10 volte tutte le nostre cellule. E soprattutto dannosa visto che se il sistema immunitario attaccasse ogni batterio che incontra i danni provocati dal continuo e massiccio stato infiammatorio sarebbero ingenti.
A sinistra i batteri "amici", a destra quelli dannosi.
Utile per rispondere a questo quesito è l'articolo pubblicato su Cell Host & Microbe da Emily Troemel della UCSD (vedi qui, sito università) derivante dallo studio su un nematode.
Il nematode C. elagans è uno dei modelli animali più utili per i ricercatori. Non solo possiedono cellule intestinali simili come struttura a quelle umane ma sono anche animali trasparenti e facili da crescere.
I nematodi possono contare solo sul sistema immunitario innato (che riconosce genericamente tutto ciò che non è self) mancando del sistema immunitario adattativo (anticorpi e cellule immunitarie specifiche per un dato antigene). La Troemel ha osservato che quando le cellule intestinali del nematode incorporano una tossina batterica essi sviluppano una risposta anti-microbica. Il modo con cui le cellule identificano la presenza di "nemico" batterico è attraverso il monitoraggio costante delle proprie cellule e non attraverso la rilevazione di organismi estranei. Una scelta molto utile e non dispersiva in quanto molte delle tossine batteriche più comuni (Pseudomonas, Diphteria, Ricin, Shiga, ...) interferiscono con la sintesi proteica. Monitorare le proprie cellule è più semplice e più veloce che identificare una fra le tante tossine potenzialmente presenti.
Questo dato può essere esteso anche ad organismi più evoluti. E' molto probabile che i batteri nel nostro intestino siano semplicemente tollerati fino a che le cellule a contatto con loro non presentano alterazioni tali da fare scattare l'allarme e la rimozione di ogni organismo trovato associato alle cellule alterate. 
Un modo semplice, poco costoso e quindi efficiente che l'evoluzione ha selezionato.

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